Jacini, Stefano
Uomo politico (Casalbuttano, Cremona, 1826 - Milano 1891). Nato in una ricca famiglia della borghesia terriera, studiò diritto ed economia a Berna, a Milano e in vari atenei tedeschi e perfezionò le sue conoscenze con lunghi viaggi nell’Europa settentrionale e in Oriente. Nel 1856 pubblicò La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole in Lombardia e nel 1858 Sulle condizioni economiche della provincia di Sondrio, due importanti saggi che intrecciavano l’esame degli aspetti tecnici relativi all’agricoltura della regione con l’esame delle condizioni di vita delle popolazioni nella prospettiva di un’ulteriore diffusione dell’economia capitalistica. Cattolico e liberale moderato più incline agli studi che alla politica militante (non aveva partecipato ai moti del 1848) alla fine degli anni Cinquanta si avvicinò a Cavour e per lui redasse un rapporto segreto sulla situazione economico-sociale del Lombardo-Veneto, che rappresentò una vera e propria requisitoria contro il governo austriaco. Dal 1860 entrò attivamente in politica. Ministro dei Lavori pubblici nel dicastero Cavour dal gennaio 1860 al febbraio 1861 e di nuovo dal settembre 1864 al giugno 1866 nei due gabinetti La Marmora, promosse l’espansione della rete stradale e fece approvare la legge sul riordino della rete ferroviaria, mentre svolgeva un intenso lavoro diplomatico che portò all’alleanza con la Prussia nella terza guerra d’indipendenza. Ministro anche con Ricasoli, si dimise nel febbraio 1867 dopo che il re aveva firmato il decreto di scioglimento della Camera. Riprese di nuovo l’attività di studio e pubblicò Due anni di politica italiana (1868), un esame dell’opera del governo dalla Convenzione di settembre alla liberazione del Veneto, e Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo il 1866 (1867), lettera di addio ai suoi elettori, nella quale si dichiarava favorevole a un largo decentramento amministrativo. Era inoltre favorevole al suffragio universale indiretto che vedeva funzionale alla costruzione di un nuovo partito conservatore con la sua base nelle masse contadine, sottratte così sia alla destra reazionaria sia all’estremismo della sinistra. Tali temi troveranno spazio in uno scritto pubblicato nel 1879, I conservatori e l’evoluzione naturale dei partiti politici. Nominato senatore nel 1870, non approvò l’occupazione di Roma e parlò in Senato contro il trasferimento della capitale: Roma, secondo Jacini, doveva essere una sorta di capitale onoraria destinata all’incoronazione del re e ad altre cerimonie solenni. Il dissenso con il governo, allora e più tardi, e il suo accentuato conservatorismo, non gli impedirono di essere ascoltato interprete e relatore di molte importanti questioni. In particolare nel 1877 fu nominato presidente della giunta per l’Inchiesta agraria (15 volumi pubblicati tra il 1881 e il 1884) che, oltre a raccogliere una enorme quantità di dati, richiamò con forza l’attenzione dell’opinione pubblica sull’arretratezza complessiva dell’agricoltura italiana, sui suoi profondi divari regionali nonché sulle condizioni di drammatica miseria di larga parte della popolazione contadina. Nel 1880 fu nominato conte.