RICCI, Stefano
RICCI, Stefano. – Nacque nei dintorni di Firenze il 26 dicembre 1765, figlio di Giovambattista e di Lucia Rossi (Torresi, 2000, p. 107).
Studiò all’Accademia di belle arti di Firenze, dove fu allievo di Innocenzo Spinazzi, distinguendosi nei concorsi minori: nel 1786 fu premiato per la copia in terracotta del Fauno coi cembali della Galleria degli Uffizi; nel 1787 per la copia, tratta dal calco, dello Zenone dei Musei Capitolini.
Nel 1795 scolpì la sua prima opera d’invenzione, la statua in marmo raffigurante San Filippo Neri (Pistoia, chiesa dei Ss. Prospero e Filippo Neri), ancora improntata sull’esempio dei lavori del maestro Spinazzi. Nel 1797 vinse il concorso triennale bandito dall’accademia fiorentina con il bassorilievo d’invenzione Giuseppe che spiega i sogni ai familiari del faraone e con l’ex tempore Elia nutrito dall’angelo nel deserto. Collaboratore già da anni nello studio di Spinazzi in lavori di restauro, fu incaricato di supplirlo nei circa diciotto mesi della sua malattia, fino alla morte nel novembre del 1798.
I rapporti con l’Accademia di belle arti di Firenze si consolidarono negli anni seguenti: il 12 aprile 1802 fu nominato accademico (Archivio dell’Accademia di belle arti di Firenze, filza H, ins. 113); e l’anno successivo sottomaestro di scultura, con decreto firmato da Maria Luisa di Borbone, regina reggente d’Etruria, il 6 giugno 1803 (Caldini, 2006, p. 85 n. 9). Dal 1804 ebbe studio in locali pertinenti alla soppressa Compagnia dello Scalzo nei pressi di piazza S. Marco, prima presi in affitto e in seguito acquistati, ospitandovi per più di trent’anni anche gli allievi.
Nel 1804 fu inaugurato ad Arezzo il Monumento a Niccolò Marcacci (Duomo, cappella della Madonna del Conforto), disegnato dall’architetto Giuseppe Salvetti e per il quale Ricci aveva scolpito la statua del vescovo inginocchiato.
Entro lo stesso anno dovevano essere stati compiuti gli angeli posti sulle porte del coro dell’altare maggiore della Basilica di S. Maria Novella a Firenze, poi scomparsi in seguito alla demolizione del 1861.
Nel 1803 fu incaricato di scolpire il Monumento sepolcrale di Maria Anna Testard Venturi (Firenze, basilica di S. Maria Novella), terminato entro il 1809, quando ricevette il saldo di pagamento.
Nel 1808 ebbe la commissione del Monumento sepolcrale di Michal Skotnicki, terminato entro il 1812 e destinato in un primo tempo alla chiesa di S. Domenico di Fiesole, ma invece collocato nel 1815 nella basilica di S. Croce a Firenze e replicato per la cattedrale di Cracovia.
Composto da una sola figura dolente, la Fede coniugale, seduta davanti a una colonna con l’urna cineraria e accompagnata da elementi allusivi alle arti coltivate dal defunto, fu molto lodato al tempo per la nobile semplicità nell’espressione del dolore, per «l’andamento delle pieghe scioltissimo e naturale, e il corretto disegno che formano le due somme prerogative del Ricci» (Monumenti sepolcrali della Toscana, 1819, tav. IX). Tale fortunata tipologia sarebbe stata applicata da Ricci, con varianti, in successivi monumenti funerari e seguita da altri scultori fiorentini.
Già nel periodo del granducato di Elisa Bonaparte in Toscana, e poi durante gli anni della Restaurazione lorenese, elaborò anche memorie sepolcrali di tono minore, fondate sul medaglione con il ritratto di profilo del defunto, inserito in stele o accompagnato da lapidi più o meno complesse: ne sono esempi la Memoria di Pio Fantoni, matematico bolognese, collocata in S. Croce nel 1809; quelle degli architetti Giuseppe Salvetti e Gaspero Maria Paoletti, sistemate in tempi diversi tra il 1812 e il 1818 nella cappella Peruzzi in S. Croce e oggi visibili nella cappella Salviati, alterate e ridotte rispetto al pensiero originale; o quella di Antonio Zannoni, murata nella navata della chiesa di S. Stefano al Ponte nel 1817.
Nel camposanto di Pisa fu accolta nel 1814 la stele in marmo bianco dedicata a Lorenzo Pignotti, dove il Genio delle lettere e della filosofia contempla con grazia canoviana il medaglione con il ritratto del letterato e scienziato. E, ancora per Pisa, scolpì tra il 1818 e il 1819 la stele sepolcrale del fanciullo Luigi Godoy (chiesa di S. Maria del Carmine).
Nel Monumento sepolcrale di Pompeo Signorini (Firenze, basilica di S. Croce), compiuto tra il 1812 e il 1817, ripropose la figura femminile dolente – in questo caso la Filosofia – isolata, seduta e allusiva a virtù del defunto. Simile tipologia scelse anche per il più tardo Monumento a Paolo Mascagni (Siena, Istituti biologici), collocato nel 1821 nella Libreria Piccolomini del Duomo di Siena, nel quale l’Anatomia dolente svolge un rotolo con il titolo del trattato sui vasi linfatici che aveva reso celebre Mascagni in Europa.
Con la riforma del ruolo dell’accademia fiorentina, approvata con rescritto granducale del 31 gennaio 1815, fu nominato maestro di scultura, divenendo di fatto il primo professore di quella disciplina, dato che quasi tutti gli studenti preferivano il suo insegnamento a quello dell’anziano Francesco Carradori (Firenze, Archivio dell’Accademia di belle arti, filza 1835, ins. 74).
Dal 1817 fu invitato a partecipare alla decorazione della nuova cappella della villa del Poggio Imperiale, progettata dall’architetto Giuseppe Cacialli: il tema unitario era la celebrazione di Maria, e Ricci eseguì due delle sei statue allegoriche previste, la Purità e la Fortezza.
Nel 1818 ottenne l’incarico di scolpire il busto di Angelo Maria d’Elci, da collocarsi nella nuova sala annessa alla Biblioteca Medicea Laurenziana, appositamente costruita per accogliere la preziosa collezione libraria donata da d’Elci (Gazzetta di Firenze, 21 luglio 1818). È probabile che il busto fosse già ultimato nel 1820, ma fu sistemato nella rotonda soltanto al termine dei lavori, nel 1841 (Firenze, Archivio dell’Accademia di belle arti, filza 1841, ins. 71).
Il 10 novembre 1822 fu inaugurato con solenne cerimonia in piazza Maggiore ad Arezzo il Monumento a Ferdinando III.
La grande statua raffigurante il granduca panneggiato all’antica e coronato di quercia era stata vista in lavorazione e ammirata nello studio dello scultore dall’imperatore d’Austria Francesco I in visita a Firenze nel marzo 1819 (Gazzetta di Firenze, 27 marzo 1819).
Seguì il Monumento sepolcrale di Ippolito Venturi (Firenze, basilica di S. Maria Novella), morto il 31 ottobre 1817, di cui si occupò il genero, il marchese Paolo Garzoni: composto da una figura dolente stante contenuta in un arcosolio, fu terminato entro il 1824 e montato entro la fine dell’anno seguente.
Tra il 1825 e il 1827 scolpì il busto ritratto del granduca Ferdinando III, morto nel giugno dell’anno precedente, collocato nel vestibolo della Galleria degli Uffizi (Archivio storico delle Gallerie fiorentine, filza XLIX, ins. 2; filza LI, ins. 44). Dopo la morte di Giovanni degli Alessandri, avvenuta nel settembre 1828, ne realizzò il monumento funebre, con il busto ritratto all’eroica posto in una nicchia tra due lucerne (Firenze, Museo di S. Marco, chiostro di S. Antonino).
Il 24 marzo 1830 fu inaugurato con una cerimonia solenne il Cenotafio di Dante in S. Croce, opera di elevato valore civile che impegnò Ricci per circa quindici anni, dalla prima idea sino all’esposizione.
Già nel 1815 il granduca Ferdinando III, consigliato dagli Operai di S. Croce, aveva deciso di affidarne l’esecuzione alla Società di eruditi toscani, rappresentata da Ricci. Per finanziare l’opera si fece ricorso a una pubblica sottoscrizione, annunciata da un manifesto in data 18 luglio 1818, caldeggiata dalla Gazzetta di Firenze (22 agosto 1818) e sostenuta dai versi composti da Giacomo Leopardi. Alla fine del 1819 lo scultore aveva già elaborato un bozzetto definitivo; negli anni seguenti lavorò ai modelli, che poi accrebbe quasi di un terzo per renderli proporzionati alla vastità dell’ambiente; questi erano ultimati nel 1825 (Gazzetta di Firenze, 30 aprile 1825). Altri quattro anni furono necessari per la traduzione in marmo delle grandi statue, trasportate a S. Croce nel 1829 e perfezionate in loco. «Il monumento a Dante sarà scoperto in questi giorni, ed è riuscito grandioso e di bella esecuzione», scrisse Gino Capponi a Giacomo Trivulzio il 20 marzo 1830 (Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate da A. Carraresi, Firenze 1892, p. 298, n. 117). Il commento ufficiale fu affidato a Melchiorre Missirini, che spiegò il significato delle figure simboliche, l’Italia e la Poesia, e i motivi delle scelte stilistiche (Missirini, 1830).
Nel 1831 ebbe ancora una commissione impegnativa: l’esecuzione del Monumento sepolcrale di Vincenzo Mazzoni, composto da due figure allusive a virtù del defunto, la Morale e la Meccanica, per la chiesa di S. Francesco a Prato, che terminò alla fine del 1834, ma che fu montato soltanto nel 1841.
Dal 1836 Ricci trasferì il suo studio nella nuova scuola di scultura all’Accademia, finalmente approntata in locali dello stabilimento di S. Matteo, e affittò il proprio, di via S. Leopoldo, allo scultore Emilio Santarelli.
Esercitò sempre anche l’attività di perito e restauratore: tra l’altro, pulì e reintegrò del dito medio della mano destra il David di Michelangelo (Moreni, 1813, p. 120); intervenne sulla Venere dei Medici ritornata da Parigi (1816); sul Putto del Verrocchio in Palazzo Vecchio (1829); e, in età avanzata, sui pergami medievali di S. Andrea e di S. Giovanni Evangelista Fuorcivitas a Pistoia (1836-37). Dal 1830 si occupò del complesso restauro integrativo del gruppo antico di Menelao e Patroclo, nelle due versioni che si conservano nella loggia dei Lanzi in piazza della Signoria e in un cortile di palazzo Pitti, sulla base di un modello in gesso da lui formato.
Morì a Firenze il 23 novembre 1837 lasciando erede la moglie Teresa Bartolini, che ne curò il monumento funebre posto nei chiostri di S. Croce.
Opere. Altre opere ricordate dalle fonti ma non rintracciate sono: un busto in marmo di Napoleone, esposto all’accademia fiorentina nel 1812 (Giornale del Dipartimento dell’Arno, 24 ottobre 1812); una statua raffigurante Urania, nel giardino di palazzo Stiozzi Ridolfi (L. Gargiolli, Description de la ville de Florence et de ses environs, I, Firenze 1819, p. 219); un busto di Amerigo Vespucci, richiestogli da Gino Capponi, al quale stava lavorando nel 1819 (Lettere di Gino Capponi, cit., pp. 25, 39, 41); Iside, scolpita nel 1821 in marmo di Seravezza (Gazzetta di Firenze, 23 luglio 1822).
Il gruppo in marmo raffigurante Apollo e Giacinto, proveniente da palazzo de Larderel a Livorno, passato sul mercato antiquario e acquistato dalla Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti (Caldini, 1999), sembra invece da ricondurre alla mano di Francesco Carradori (R. Roani, in Pittore imperiale. Pietro Benvenuti alla corte di Napoleone e dei Lorena (catal., Firenze), Livorno 2009, p. 62, n. 12).
Fonti e Bibl.: T. Puccini, Dello stato delle Belle Arti in Toscana, Italia 1807; D. Moreni, Memoria intorno al risorgimento delle Belle Arti in Toscana e ai ristoratori delle medesime, Firenze 1812; Id., Descrizione istorico-critica della imp. Cappella de’ Principi eretta nella Basilica di San Lorenzo di Firenze da Michelagnolo Buonarroti d’ordine del sommo pontefice Clemente VII, Firenze 1813; Monumenti sepolcrali della Toscana disegnati da Vincenzo Gozzini e incisi da Giovan Paolo Lasinio, sotto la direzione di Pietro Benvenuti e di Luigi Cambray Digny, Firenze 1819; A. Benci, Mausoleo di Paolo Mascagni, opera dello Scultore S. R., in Antologia, 1821, t. 3, pp. 175 s.; Descrizione della statua colossale di marmo rappresentante S.A.I. e R. Ferdinando III... inalzata nella Piazza Grande di Arezzo l’anno MDCCCXXII, Firenze 1822; G. Cacialli, Collezione dei disegni di nuove fabbriche e ornati fatti nella R. Villa del Poggio Imperiale, Firenze 1823; M. Missirini, Delle memorie di Dante in Firenze e della gratitudine de’ fiorentini verso il divin poeta, Firenze 1830; S. R. Cenni biografici, in Gazzetta di Firenze, 29 maggio 1838; R. Nuti, Il monumento a Vincenzo Mazzoni nel chiostro di S. Francesco, in Archivio storico pratese, XIII (1935), 2, pp. 69-75; R. Caldini, Introduzione a S. R., in Artista, 1994, pp. 74-91; Id., S. R. scultore neoclassico, Livorno 1999; G. Fiori, Due busti neoclassici a Piacenza: Maria Luisa d’Austria di S. R., ed Angelo Mai di Rinaldo Rinaldi, in Strenna piacentina, 2000, pp. 176-182; A.P. Torresi, Scultori dell’Accademia. Dizionario biografico di maestri, allievi e soci dell’Accademia di Belle Arti a Firenze (1750-1915), Ferrara 2000, pp. 107 s.; R. Roani, Il gruppo di Menelao e Patroclo, in Le statue della Loggia della Signoria a Firenze. Capolavori restaurati, Firenze 2002, pp. 45-51; G. Capecchi, L’altro Aiace, tempi e modi di un restauro, in Palazzo Pitti, la reggia rivelata (catal.), Firenze 2003, pp. 71-83; R. Caldini, Le vie della scultura da S. R. a Pietro Guerri, in Arte in terra d’Arezzo. L’Ottocento, a cura di L. Fornasari - A. Giannotti, Firenze 2006, pp. 85-87.