stomaco e digestione
Demolire il cibo per ricavarne energia
La digestione è il processo che trasforma il cibo in energia e in materiale da costruzione per il corpo. Il nostro apparato digerente è una specie di catena di smontaggio: infatti le grosse molecole presenti nel cibo devono essere demolite e trasformate in molecole più piccole che possano essere riassorbite o utilizzate come fonti di energia. L’apparato digerente è costituito da una sorta di imbuto nel quale il cibo viene immesso – la bocca e la faringe – e da un tubo lungo una decina di metri e di diametro variabile – lo stomaco e l’intestino – che termina con un’apertura (l’ano) per la fuoriuscita del materiale di scarto (le feci)
Il cibo che introduciamo nel nostro corpo ci procura piacere, specialmente se è gustoso, e un gradevole senso di sazietà. Ma non è questa la ragione principale per cui mangiamo. Infatti il corpo umano, come quello di tutti gli altri animali, ha bisogno di una continua immissione di alimenti (alimentazione) per trasformarli sia in energia sia in materiale da costruzione.
L’energia è necessaria per far funzionare il nostro corpo, che dunque si comporta come una macchina. Infatti ogni movimento, volontario o involontario, l’atto stesso di pensare, la costruzione e la riparazione dei nostri tessuti (tessuti biologici) consumano energia. Si tratta di energia chimica, che viene immagazzinata in particolari molecole (metabolismo) e utilizzata al momento opportuno.
I materiali da costruzione sono le molecole con cui l’organismo costruisce sé stesso – pensiamo a un bambino che cresce – oppure ripara o sostituisce quelle parti che continuamente si consumano o muoiono. Infatti ogni giorno miliardi di cellule che formano i nostri tessuti muoiono e devono essere rimpiazzate.
L’intero processo che porta alla trasformazione del cibo si chiama digestione. Tuttavia la digestione non è solo demolizione e riassorbimento. Con l’eccezione dell’atto di masticare e deglutire, tutto quello che avviene durante la digestione è al di fuori del nostro controllo volontario e procede grazie a una serie di meccanismi di regolazione nervosi e ormonali (sistema simpatico) che fanno sì che le ghiandole secernano i loro prodotti al momento giusto e nella quantità giusta e che i muscoli della parete del tubo digerente si muovano al tempo giusto e con la forza giusta.
Vediamo cosa succede quando facciamo uno spuntino, diciamo un panino con burro e prosciutto e un bicchiere di latte. La bocca ci informa sul sapore del cibo (gusto) e lo rende adatto a essere inghiottito e inviato nello stomaco. Se il cibo è liquido la bocca non ha compiti particolari. Un boccone solido, invece, può essere inviato nello stomaco solo dopo essere stato trasformato in bolo alimentare. Questo viene ottenuto masticando, impastando il cibo con la saliva, che contiene una sostanza lubrificante (la mucina), e con la collaborazione di un muscolo, la lingua, che ha poi anche il compito di dare al bolo la spinta finale verso la faringe. Questa si trova dietro alla bocca; attraverso la faringe passa non solo il cibo che deve scendere nello stomaco, ma anche l’aria che respiriamo (polmoni e respirazione). Questa via comune fa sì che a volte il cibo prenda la strada sbagliata – o, come si dice, ‘vada per traverso’ – e si incammini verso la trachea, il canale che porta l’aria ai polmoni. I polmoni però sarebbero gravemente danneggiati se sostanze liquide o solide li raggiungessero e la trachea si oppone a questa possibilità provocando un riflesso di tosse per respingere il cibo verso la faringe.
Nella bocca, oltre a formarsi il bolo, inizia la vera e propria digestione. Infatti, tra le sostanze presenti nella saliva c’è anche la ptialina, un enzima che comincia a demolire le grandi molecole dei carboidrati, come l’amido – uno dei principali componenti del pane –, che è formato da tante molecole di uno zucchero che si chiama glucosio.
Bene, a questo punto il bolo è pronto, e la lingua, con l’aiuto dei muscoli della faringe, lo spinge nell’esofago, uno stretto tubo di 2 cm di diametro che attraversa il torace davanti alla colonna vertebrale, supera il muscolo diaframma (corpo umano) che separa il torace dall’addome e che sbocca nello stomaco. Il bolo entra nello stomaco dopo avere superato uno stretto anello muscolare in fondo all’esofago (il cardias) che funziona da valvola, cioè ha il compito di impedire al cibo di tornare indietro. Quando per condizioni particolari il cardias non assolve a questo compito e il contenuto dello stomaco risale lungo l’esofago fino alla faringe, si ha il fenomeno del vomito.
Lo stomaco è una dilatazione del tubo digerente a forma di grossa tasca, e può contenere fino a un litro e mezzo di materiale. L’ambiente è molto acido, più acido del limone e dell’aceto! Infatti le cellule della parete interna dello stomaco producono il succo gastrico che contiene in abbondanza acido cloridrico. L’acido ha il compito di impedire la sopravvivenza di microbi introdotti col cibo (batteri) e di creare un ambiente adatto al funzionamento di alcuni enzimi demolitori prodotti dallo stomaco, le pepsine e la chimosina. Questi enzimi appartengono alla famiglia delle proteasi, specializzate nella demolizione delle proteine in frazioni più piccole (peptidi). Nel bolo le pepsine attaccano le proteine del nostro spuntino: quelle vegetali del pane e quelle animali del prosciutto.
L’altro enzima, la chimosina, prende invece di mira il latte. Se infatti questo restasse liquido supererebbe lo stomaco senza subire nessuna demolizione. La chimosina però, demolendo una certa proteina del latte, fa sì che il latte coaguli, cioè diventi semisolido (cagliata) come uno stracchino o una ricotta. Questo permette agli altri enzimi presenti nello stomaco di cominciare a digerirlo.
Nello stomaco inizia anche la digestione dei grassi, a opera di altri enzimi. Nel nostro spuntino i grassi sono presenti nel prosciutto, nel latte e nel burro.
Il boccone di pane, burro e prosciutto, dopo essere stato masticato, inghiottito, diluito con il succo gastrico e attaccato dagli enzimi dello stomaco, è ormai irriconoscibile. Dopo 2 o 3 ore è pronto per proseguire il suo viaggio, con il nome di chimo.
Attraverso un’altra valvola, il piloro, la muscolatura dello stomaco spinge il chimo nel duodeno, che costituisce la parte più alta dell’intestino. Una volta passato, il piloro impedisce al chimo di tornare indietro.
Il duodeno è il primo tratto di quella lunga porzione del tubo digerente che si chiama intestino tenue. Per poter essere contenuto nel nostro addome, questo tubo è ripiegato molte volte su sé stesso, formando una sorta di matassa. Nell’intestino tenue il cibo viene definitivamente digerito e ridotto a piccole molecole che possono essere assorbite dall’intestino stesso ed entrare nel sangue.
L’assorbimento da parte dell’intestino è una funzione complessa e molto importante. Esso avviene attraverso i cosiddetti villi intestinali, i quali sono ripiegature della parete interna che aumentano enormemente la superficie dell’intestino e quindi l’efficienza.
Al duodeno arrivano dall’esterno importanti rinforzi per la demolizione delle grosse molecole.
Il primo aiuto è il succo pancreatico prodotto da una grossa ghiandola, il pancreas, che si trova nella parete posteriore dell’addome, coperta dallo stomaco. Il pancreas riversa nel duodeno, attraverso un piccolo canale, tanti tipi di enzimi in grado di demolire praticamente tutte le sostanze digeribili presenti negli alimenti. Le proteine – che si trovano in abbondanza nella carne, ma anche nel grano e nei legumi – vengono frammentate da varie proteasi, di cui la più nota è la tripsina; i grassi – che abbondano nel burro, nei formaggi, nell’olio e anche nella carne – vengono demoliti dalle lipasi; gli amidi – abbondanti nel pane, nella pasta, nelle patate e in altri cibi vegetali – dall’amilasi. Il succo pancreatico contiene anche un’altra sostanza, che abbiamo già incontrato nella parete dello stomaco: il bicarbonato, il cui compito è quello di neutralizzare l’acidità del chimo, che arriva dallo stomaco imbevuto di acido cloridrico.
Attraverso un altro piccolo canale (coledoco) che proviene da una vescichetta collegata col fegato – la cistifellea o colecisti – arriva al duodeno un altro rinforzo, la bile. Questa è un liquido scuro e amaro che viene raccolto e concentrato nella cistifellea per essere poi riversato nel duodeno in grande quantità (almeno mezzo litro al giorno) quando è presente cibo da digerire. È un liquido complesso, che non contiene enzimi e svolge due ruoli principali. Innanzitutto, grazie agli acidi biliari – composti che hanno la proprietà di potersi sciogliere sia nell’acqua sia nei grassi – riduce in microscopiche particelle i globuli di grasso del cibo, che non sono solubili in acqua. Questo processo di chiama emulsificazione e assomiglia a quello che succede se prendiamo una bottiglia contenente olio, vi aggiungiamo acqua e scuotiamo con forza. Otterremo un fluido opaco in cui l’olio si è frammentato in tante piccole goccioline circondate da acqua. Tutto questo ha lo scopo di aumentare la superficie del grasso e renderlo così più facilmente attaccabile da parte degli enzimi digestivi.
L’altro ruolo della bile è quello di scaricare nell’intestino, perché vengano eliminate con le feci, le diverse sostanze tossiche che il fegato estrae dal sangue e che vengono raccolte dalla cistifellea. Infatti il fegato è una specie di filtro purificatore.
Tutto quello che avanza del nostro spuntino – materiale non completamente digerito, sostanze non assorbite, acqua, cellule morte che si sono sfaldate dalla parete intestinale – viene spinto dalla muscolatura dell’intestino attraverso un’altra valvola che separa l’intestino tenue da una sorta di sacca, detta cieco. Il cieco non è altro che l’inizio dell’ultima parte dell’intestino, che per il suo notevole diametro viene chiamato intestino crasso.
Il cieco possiede una piccola e sottile diramazione chiamata appendice. A volte l’appendice si infiamma (appendicite) e può essere necessario che un chirurgo la tolga per evitare guai maggiori. Se, per esempio, la parete dell’appendice si rompe, l’infezione può colpire anche la cavità addominale (peritonite).
Nell’intestino crasso avviene un notevole riassorbimento di acqua e di sali, per cui il suo contenuto – che nel frattempo va incontro a un processo di fermentazione e putrefazione, producendo anche gas dall’odore poco piacevole – diviene via via meno liquido e si trasforma nelle feci. Queste, una volta imboccato l’ultimo tratto dell’intestino (intestino retto), vengono spinte fuori dal corpo attraverso l’ano, il foro di uscita.
Perché le pepsine non attaccano anche le proteine delle cellule dello stomaco? Per fortuna lo stomaco si difende da solo: la sua parete produce un muco che la protegge e la lubrifica, e una sostanza, il bicarbonato, che neutralizzando localmente l’acido cloridrico impedisce alle proteasi di agire. Quando c’è bruciore o acidità di stomaco significa che è stato prodotto acido in eccesso che ‘infastidisce’ le cellule dello stomaco. Infatti questo disturbo passa con un cucchiaino di bicarbonato o di altri prodotti antiacido (acidi e basi). In certe condizioni però la neutralizzazione dell’acido cloridrico non funziona alla perfezione. Allora l’eccesso di acidità presente nello stomaco o nel duodeno può provocare nella parete di questi organi una lesione che non guarisce spontaneamente (ulcera). Fino a pochi anni fa l’unico modo per curare le ulcere ed evitare che facessero un vero e proprio foro nella parete dello stomaco o del duodeno era di intervenire chirurgicamente, ma fortunatamente da alcuni anni sono disponibili medicine in grado di curarle senza ricorrere alla chirurgia.
Lo stomaco dei bambini piccoli è una fabbrica di formaggio? In un certo senso sì! Quando i bambini si nutrono solo o prevalentemente di latte, serve molta chimosina per coagulare tutto quel liquido bianco e consentire allo stomaco di iniziarne la digestione. La coagulazione del latte da parte della chimosina è il primo passo per fare il formaggio e tempo addietro la chimosina veniva estratta dallo stomaco dei vitelli – il cosiddetto caglio – proprio per questo scopo. Adesso l’industria utilizza altre proteasi più comode da ottenere.
Cosa succede se si ingoia un bottone, una moneta, un anello o un sassolino? Lo stomaco non ha gli strumenti per demolire questi materiali. E allora i casi sono tre: l’oggetto può rimanere nello stomaco per chi sa quanto tempo; oppure può stimolare il riflesso del vomito e ritornare indietro; oppure, se la sua forma e le sue dimensioni lo consentono, può superare la valvola del piloro ed essere spinto a poco a poco sempre più giù nel tubo dell’intestino fino a raggiungerne l’uscita ed essere espulso insieme alle feci.
Tra le sostanze che il fegato estrae dal sangue c’è la bilirubina, un prodotto che deriva dalla decomposizione dell’emoglobina contenuta nei globuli rossi del sangue. I globuli rossi sono cellule dalla vita breve, e ogni giorno ne muoiono varie centinaia di milioni. Tutte quelle cellule morte vengono raccolte da particolari cellule ‘spazzine’ e da loro digerite, ma alcuni prodotti della digestione non possono essere riutilizzati. Tra questi c’è la bilirubina, che il fegato riversa nella bile e la bile nell’intestino. È un derivato della bilirubina che dà un colore marrone alle feci. Quando troppa bilirubina resta nel sangue – per una malattia del fegato (epatite) o per altre ragioni – il suo colore dà alla pelle un colorito giallastro, una condizione chiamata itterizia.
L’intestino, e in particolare quello crasso, è abitato da una notevole quantità e varietà di batteri. I batteri intestinali collaborano ai processi di fermentazione e putrefazione e vengono in parte espulsi con le feci, di cui costituiscono una parte notevole. Questi batteri, in condizioni normali, sono tutt’altro che dannosi: per esempio producono vari tipi di vitamine essenziali per la nostra salute, e normalmente sopraffanno quei batteri dannosi che possono entrare nell’intestino o con il cibo o attraverso l’ano. A volte però succede che siano i batteri dannosi a prevalere, e allora arrivano dolori di pancia, febbre, diarrea e vomito.