Israele, storia di
Un antichissimo nuovo Stato
Israele è un nome molto antico, citato nella Bibbia più di duemila volte. Da allora questo nome è diventato quello di tutto il popolo ebraico e poi il nome dell'antico regno biblico e dello Stato ebraico fondato nel 1948 dopo millenni di diaspora. Nell'Ottocento lo scrittore ungherese Theodor Herzl, il fondatore del sionismo ‒ il risorgimento del popolo ebraico ‒, intitola Vecchia-nuova terra la sua opera fondamentale, con la quale spiega perché gli Ebrei devono tornare alla propria terra per diventare, finalmente, un popolo come gli altri, senza essere disprezzati dal resto del mondo, senza emarginazione. "Se lo volete, non sarà un sogno", dice ancora il padre del sionismo. Dal 14 maggio del 1948 Israele non è più un sogno
In terra d'Israele non era mai sparita del tutto la presenza ebraica, malgrado i divieti e le persecuzioni. A Hebron e a Gerusalemme, così come nella zona del Lago di Tiberiade, erano sempre vissute piccole comunità di Ebrei. È però con l'Ottocento che inizia una serie di ondate migratorie dall'Europa verso la terra d'Israele, all'epoca sotto il governo ottomano. Queste ondate migratorie si chiamano aliyot, letteralmente "salite": e ve ne furono diverse.
Agli inizi del Novecento nella terra che all'epoca viene chiamata Palestina vive, oltre a una società araba, anche una società ebraica con una sua lingua, che è l'ebraico biblico riportato a nuova vita. Con la fine dell'Impero turco la Palestina passa sotto il mandato britannico: la presenza ebraica continua ad aumentare.
Poi in Europa arrivano il nazismo, la guerra e la Shoah, la distruzione degli Ebrei d'Europa: qualcuno fa in tempo a emigrare, o verso la Palestina o verso gli Stati Uniti. Ma sei milioni di Ebrei muoiono per mano dei nazisti. Alla fine della guerra, molti dei superstiti 'salgono' in terra d'Israele, malgrado i divieti d'immigrazione imposti dagli Inglesi.
Nel novembre del 1947 una risoluzione ONU prevede, nella Palestina da cui gli Inglesi se ne stanno andando, la creazione di due Stati: uno arabo palestinese e uno ebraico palestinese. Gli Arabi rifiutano questa risoluzione e dichiarano guerra al futuro Stato ebraico. Per gli Ebrei, invece, è un momento di esultanza: dopo quasi duemila anni, hanno di nuovo uno Stato.
Il 14 maggio del 1948 David Ben Gurion, primo ministro del nuovo Stato, proclama ufficialmente la nascita dello Stato d'Israele. Quello stesso giorno le armate arabe di Siria, Giordania, Egitto e Iraq attaccano il paese. Comincia così la prima di una serie di guerre che Israele si è trovato a combattere contro un fronte arabo deciso a eliminare questa presenza dalla carta geografica. Fra le altre ricordiamo la guerra dei Sei giorni, nel 1967, che portò Israele alla conquista dei cosiddetti Territori, cioè Cisgiordania e Gaza ‒ dove sono stati successivamente creati anche insediamenti ebraici ‒ e la guerra del Kippur, nell'ottobre del 1973.
La storia d'Israele ha riempito spesso le prime pagine dei giornali: guerre, attività tenace del terrorismo che per decenni ha colpito vittime civili. E le due recenti intifade, movimento armato contro Israele nei Territori occupati: la seconda in particolare ha inaugurato l'uso del terrorismo kamikaze per colpire nel modo più cruento possibile. È difficile stabilire dove la storia finisca e dove cominci l'attualità: qui la storia è capace di imprevisti colpi di scena, nel bene e nel male. Nel 2005 Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza, mentre l'Autorità Palestinese ha scelto di andare nella direzione di una pacifica, benché sofferta, coesistenza di due Stati nella regione.
Israele è dal canto suo un paese molto piccolo, grosso più o meno come la nostra Lombardia. Ha una popolazione di circa cinque milioni di abitanti. In maggioranza Ebrei ‒ provenienti dai luoghi più diversi ‒ ma anche Arabi (un decimo della popolazione) e altre minoranze. Fare il giro dell'isolato in una qualunque città del paese significa avere la garanzia di sentire parlare più di una lingua: ebraico, arabo, russo, yiddish, inglese…
Israele è un paese vivace, da un punto di vista produttivo e culturale. Vi si pratica un'agricoltura che è il vanto della sua storia, perché si è riusciti a strappare la terra al deserto, coltivandola con amore e tanta fatica, in perenne scarsità di acqua. Il kibbuz, fattoria collettiva in cui non esiste la proprietà privata e tutti sono eguali, è stato l'asse portante di questa agricoltura. È un paese pieno di contrasti: nei paesaggi che cambiano radicalmente magari a distanza di pochi chilometri, nella gente così diversa per i tratti del viso e i modi di vivere (religiosi e laici, e tante culture diverse da cui la popolazione proviene).