STRANIERI (XXXII, p. 817)
Il movimento dottrinale e le iniziative assunte da varî enti internazionali, fra cui soprattutto la Società delle nazioni, nel senso di elaborare norme di diritto comune sul trattamento degli stranieri, che fossero accettabili da tutti gli stati, dopo aver toccato il massimo del loro sviluppo intorno al 1930, si affievolirono e dovettero successivamente arrestarsi in conseguenza della seconda Guerra mondiale. Pertanto la disciplina giuridica della condizione dello straniero è rimasta, come prima, subordinata al potere legislativo di ogni stato, salvo le norme poste mediante convenzioni internazionali, soprattutto bilaterali.
In Italia il nuovo codice civile del 1942 ha introdotto una modificazione fondamentale all'art. 3 del vecchio codice, il quale disponeva: "Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti ai cittadini", giacché la nuova norma, contenuta nelle disposizioni sulla legge in generale adesso premesse, stabilisce: "Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve disposizioni contenute in leggi speciali". L'innovazione è costituita dall'introduzione del principio di reciprocità, che è un'opportuna garanzia in favore di cittadini italiani all'estero.
Sotto l'impero del vecchio codice, gli stranieri erano in Italia senz'altro parificati ai cittadini quanto al godimento dei diritti civili, qualunque fosse il trattamento che lo stato, al quale essi appartenevano, facesse agli Italiani. Per cui gli stati esteri non erano affatto indotti a trattare gli Italiani in modo pari a quello secondo cui i loro cittadini erano trattati in Italia perché, in ogni caso, un ottimo trattamento sarebbe stato ugualmente riservato in Italia ai loro cittadini. Questa situazione era d'ostacolo anche alla conclusione di convenzioni internazionali intese a proteggere gli Italiani all'estero, giacché il governo italiano non poteva mai valersi dell'arma della reciprocità.
Il significato fondamentale dell'art. 6 disp. prel. è questo: che cioè, in mancanza di disposizioni diverse, lo straniero gode effettivamente di tutti i diritti civili riconosciuti al cittadino. Lo straniero gode quindi, sempre a condizione di reciprocità, della tutela al nome e ai suoi titoli onorifici, al nome commerciale, ai marchi di fabbrica, ha diritto di contrarre matrimonio, di riconoscere figli naturali, può essere sottoposto a tutela e fungere da tutore, può fare testamento e ricevere altresì eredità, gode del diritto di proprietà letteraria, può acquistare e in genere alienare beni mobili od immobili ed essere titolare di qualsiasi diritto reale, salvo alcune limitazioni riguardanti cose che presentano un particolare interesse per la sicurezza politica od economica dello stato. Così, nei riguardi della proprietà delle navi, il nuovo codice della navigazione (art. 143 e segg.), ha accentuato la tutela degl'interessi nazionali, ammettendo bensì gli stranieri, come il vecchio codice della marina mercantile (art. 40), a partecipare alla proprietà di navi italiane soltanto fino alla concorrenza di un terzo, ma richiedendo, oltre che fossero dotati del requisito del domicilio o della residenza in Italia da oltre cinque anni, anche che di volta in volta dovessero decidere in merito, con facoltà discrezionale, i ministri interessati. Relativamente alla proprietà degli aeromobili lo stesso codice (art. 751) ha abrogato la norma posta dall'art. 6 del r. decr. legge 20 agosto 1923, n. 2207, per cui gli stranieri potevano essere comproprietarî di un aeromobile assieme a cittadini italiani, a condizione però che a questi ultimi appartenesse più della metà del valore dell'aeromobile stesso, stabilendo che un aeromobile non può acquistare la nazionalità italiana se non appartenga per intero a cittadini italiani ovvero allo stato o ad enti pubblici italiani. Pertanto gli stranieri non possono essere proprietarî di aeomobili italiani: lo possono invece soltanto le società con interessi stranieri, sempreché siano costituite ed abbiano sede in Italia, il loro capitale appartenga per due terzi almeno a cittadini italiani, e il loro presidente e due terzi degli amministratori, ivi compreso l'amministratore delegato, nonché il direttore generale, siano cittadini italiani.
Il nuovo codice ha chiarito inoltre la portata dell'art. 3 del vecchio codice, stabilendo al capov. dell'art. 6 che la norma sul trattamento degli stranieri vale anche per le persone giuridiche straniere. E pertanto tali persone hanno diritto di avere in Italia il medesimo trattamento che le leggi italiane fanno alle persone giuridiche nazionali, sempre sotto la condizione della reciprocità.
Gli stranieri sono esclusi, in generale, dai diritti politici e dall'esercizio delle funzioni pubbliche. Così in base alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, dall'elettorato attivo, e, in base all'art. 5 del testo unico per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decr. 5 febbraio 1948, n. 26, sono esclusi dall'eleggibilità a deputati e, analogamente, da quella a senatori.
Pur essendo esclusi dagli impieghi civili dello stato e da quelli presso gli enti locali, gli stranieri possono esservi ammessi quando abbiano la qualifica di Italiani non "regnicoli", cioè di individui che, pur essendo giuridicamente cittadini di altri stati, appartengano però a territorî italiani sottoposti alla sovranità di stati esteri.
Per quanto concerne l'esercizio delle professioni, gli stranieri sono esclusi da alcune, come quelle di avvocato e procuratore, di notaio, di capitano mercantile. Sono invece ammessi ad esercitare le professioni di medico, farmacista, veterinario, sotto condizione di reciprocità e sempreché siano in possesso di un diploma di laurea italiano o, se conseguito all'estero, convalidato da un'università italiana ed abbiano superato l'esame di stato. Gli stranieri possono altresì, sempre a condizione di reciprocità ed osservate le disposizioni ora accennate, esercitare la professione d'ingegnere e dottore in economia e commercio.
In altri campi del diritto pubblico lo straniero è invece parificato ai cittadini, qualora esista la condizione di reciprocità. Così lo straniero gode di tutti i beneficî delle leggi in materia sociale e di quelle riguardanti la protezione dei lavoratori, ed ha il diritto di essere assicurato contro l'invalidità e la vecchiaia. In materia giudiziaria lo straniero è equiparato pienamente al cittadino: e pertanto può farsi senza limiti attore e convenuto, salvo alcune garanzie stabilite a suo favore dal codice di procedura civile (art. 4) quando debba essere citato a comparire avanti l'autorità giudiziaria italiana. Egli può così essere ammesso al beneficio del gratuito patrocinio, a paritä di condizioni col cittadino. Per quanto riguarda l'ammissione degli stranieri, in Italia non esistono disposizioni tanto rigorose quali quelle stabilite in parecchi stati che tutelano con particolare energia le esigenze del lavoro nazionale. Lo straniero che intende entrare in Italia può essere respinto al confine soltanto per motivi di ordine pubblico.
È peraltro chiaro che lo straniero, una volta ammesso in Italia, deve osservare tutte le leggi locali di polizia e di ordine pubblico. Contro lo straniero che violi tali leggi possono essere adottate le seguenti misure: l'espulsione, che può essere di due specie: amministrativa, se decisa per motivi di ordine pubblico dal ministro dell'Interno, e penale, quando viene disposta dal giudice in seguito a determinate condanne penali; il rimpatrio obbligatorio, che può essere chiesto dal prefetto al console straniero competente.
La condizione giuridica di cui gli stranieri godono in Italia, quale è stata delineata sopra, è quella che risulta dal diritto comune, cioè dalle norme di portata generale che sono applicabili a qualsiasi straniero venga in contatto con l'ordinamento italiano. Nel caso concreto invece bisognerà tener conto, oltre che di tali norme, di quelle di diritto particolare che siano state emanate in considerazione di rapporti speciali tra l'ordinamento italiano e lo stato a cui lo straniero appartiene, il che avviene per lo più mediante la stipulazione di convenzioni di stabilimento, consolari, di commercio, di navigazione e simili, e l'introduzione nell'ordinamento interno delle norme in tal modo create.
Sul piano internazionale, mentre per ora non sono proseguiti i tentativi per l'adozione di regole uniformi di diritto sostanziale sul trattamento degli stranieri, ha invece assunto grande importanza il movimento inteso a promuovere un patto internazionale sui diritti dell'uomo (v. diritti umani, in questa App.); l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato il 10 dicembre 1948 una dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il cui contenuto viene a coprire in gran parte l'oggetto delle norme di origine internazionale concernenti il trattamento degli stranieri: lo scopo sovraccennato, in tal modo, verrà ad essere raggiunto per altra via.