SUD SUDAN.
– Condizioni economiche. Storia. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Lina Maria Calandra. – Stato dell’Africa centro-orientale. Il Paese è il più giovane Stato dell’Africa, costituitosi il 9 luglio 2011 a seguito degli accordi di pace del 2005 tra il governo del Sudan e il Movimento per la liberazione popolare del Sudan (SPLM) e del referendum per l’autodeterminazione (gennaio 2011), nel quale il 98% della popolazione (8.260.490 ab., al censimento del 2008; 11.738.718 ab., secondo una stima UNDESA, United Nations Department of Economic and Social Affairs, del 2014) ha optato per la secessione. La maggior parte degli abitanti (con un tasso di crescita del 4,0% annuo nel periodo 2010-15, tra i più alti al mondo) appartiene ai Dinka (38%) e ai Nuer (17%). Il tasso di urbanizzazione è molto basso anche se, con l’indipendenza, la capitale Juba (230.195 ab., 2008; 307.000 ab., secondo una stima del 2014) sta conoscendo uno sviluppo e un incremento demografico tra i più veloci dell’Africa.
Le condizioni della popolazione sono di estrema precarietà: speranza di vita di 55,3 anni (2013); oltre il 2% degli adulti affetto da AIDS/HIV (Acquired Immune Deficiency Syndrome/Human Immunodeficiency Virus); 31% degli abitanti senza accesso all’acqua potabile; tasso di alfabetizzazione al 27%. A deteriorare ulteriormente la situazione sono intervenuti vari fattori: la sospensione della produzione petrolifera nel gennaio 2012 (ripresa dopo 10 mesi), come ritorsione contro il Sudan (tutto il petrolio del S. S. transita per le infrastrutture del Sudan); le violenze esplose a Juba nel dicembre 2013 (tra forze leali al governo di Salva Kiir e componenti dell’esercito associate al vicepresidente Riek Machar) ed estesesi soprattutto a nord-est ed est del Paese (circa 50.000 morti e 1.500.000 sfollati); le tensioni con il Sudan nell’area di Abyei, rivendicata per le riserve petrolifere.
Si aggiungono, poi, 241.000 rifugiati (stime UNHCR, United Nations High Commissioner for Refugees, gennaio 2015), provenienti soprattutto dal Sudan (Sud Kurdufan e Nilo Azzurro), ma anche da Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana ed Etiopia. Pesanti le ripercussioni sull’economia, tra le più dipendenti dal petrolio al mondo: quasi l’80% del PIL e la totalità dell’export diretto verso Cina (72%) e Giappone (21%). Allevamento e agricoltura (83% della forza lavoro) coprono un altro 15% del PIL.
Storia di Silvia Moretti. – Dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Sudan (v.) il 9 luglio 2011, il S. S., 54° Stato africano, festeggiò la proclamazione della sua nascita a Juba, capitale del Paese, dove il presidente Salva Kiir Mayardit, cristiano, ex comandante dei ribelli meridionali che avevano lottato per l’autodeterminazione, giurò fedeltà alla nuova Carta costituzionale. All’indomani dell’indipendenza, divisioni tribali e conflitti di potere minacciarono immediatamente il processo di coesione interna, mentre destavano forti preoccupazioni i contrasti con il Sudan, privato, con la secessione delle regioni meridionali, di circa tre quarti della sua produzione petrolifera. Rimanevano al centro di un’accesa disputa alcune zone di confine: era irrisolta la questione della città di Abyei e del distretto omonimo, importante regione petrolifera, che entrambi gli Stati rivendicavano come parte del territorio nazionale, e pericolosamente incerta era anche la situazione nel Kurdufan meridionale, un territorio del Sudan diventato zona di frontiera.
Nei primi mesi del 2012 i rapporti tra i due Paesi degenerarono e il S. S. sospese l’esportazione di petrolio, accusando Khartum di sottrarre una parte della sua produzione mentre questa transitava negli oleodotti sudanesi, di cui il S. S. si serviva per raggiungere uno sbocco al mare. Dopo una fase di scontro, che vide in azione nel Kurdufan meridionale gruppi di ribelli legati al S. S., nel settembre 2012 i presidenti dei due Paesi firmarono un trattato per la creazione di una zona smilitarizzata lungo una parte del confine contestato e per la riapertura, previo accordo economico tra le parti, degli oleodotti sudanesi.
Ridottasi la tensione alle frontiere con il Sudan, a partire dal 2013 nel Paese esplosero conflitti tribali e faide di potere che, nel giro di due anni, portarono la popolazione sull’orlo di una crisi umanitaria, con oltre 10.000 morti, 1,5 milioni di sfollati interni e circa 500.000 rifugiati nei Paesi limitrofi. Uno scontro al vertice tra il vicepresidente Riek Machar, allontanato dalla sua carica, e il presidente Kiir Mayardit scoppiò nel dicembre 2013, quando l’esercito regolare sventò il colpo di Stato tentato da Machar e dai suoi uomini. Dopo aver toccato la capitale Juba, presto rientrata sotto il controllo governativo, i combattimenti si spostarono in diverse aree strategiche del Paese (Upper Nile, Jonglei), provocando una crisi alimentare che mise a repentaglio la sopravvivenza di milioni di persone. In questa lotta per il potere si rifletteva, innescando una spirale di violenza in-controllata, anche la rivalità tra le due etnie maggioritarie: i Dinka, più numerosi, che appoggiavano il presidente Kiir Mayardit, e i Nuer, rappresentati da Machar. La violenza dello scontro in atto trascinò nel conflitto circa 12.000 bambini, assoldati dall’esercito regolare e dai ribelli con rastrellamenti nelle scuole e nei villaggi. Nonostante la firma di un accordo di pace nel febbraio 2015, le continue violazioni del cessate il fuoco e la non collaborazione tra le parti minacciavano una possibile stabilizzazione del Paese.
Bibliografia: E. Thomas, South Sudan: a slow liberation, London 2015.
Per la produzione letteraria del S. S. v. Sudan: Letteratura.