Suono
Per circa tre decenni a partire dall'invenzione del cinema, i film non contenevano alcun s. sincronizzato preregistrato. Nonostante ciò, raramente essi erano muti, dal momento che durante la proiezione erano accompagnati dalla voce di un commentatore, dalla musica di strumenti o da effetti sonori opportunamente azionati. Dalla metà degli anni Venti furono adottati diversi sistemi che collegavano tra loro s. e immagini, sulla scia del perfezionamento delle tecniche di registrazione e riproduzione dei suoni. Un procedimento di registrazione e riproduzione sonora ha lo scopo di immagazzinare su un apposito supporto un determinato segnale acustico, per consentirne poi l'eventuale riproduzione. Qualunque sia il procedimento adottato, esso può essere schematizzato nel modo seguente. Durante la fase di registrazione, uno o più trasduttori elettroacustici (microfoni) raccolgono i s. da registrare trasformandoli in un segnale elettrico; tale segnale è poi amplificato e inviato a un opportuno trasduttore, diverso da sistema a sistema, che provvede a lasciarne una traccia su un supporto, in forma tale da consentirne la successiva lettura e riconversione in segnale acustico. La riproduzione avviene in modo inverso: un opportuno trasduttore (fonorivelatore, ingl. pick-up) provvede alla lettura della traccia registrata sul supporto, generando un segnale elettrico conforme alle informazioni in essa contenute; seguono quindi un amplificatore e un sistema di riproduzione con uno o più trasduttori elettroacustici (altoparlanti) che irradiano i s. nell'ambiente di ascolto.
I primi film con caratteristiche sonore, nei quali s. e immagini erano collegati, furono Don Juan (1926; Don Giovanni e Lucrezia Borgia) e The jazz singer (1927; Il cantante di jazz) diretti da Alan Crosland e distribuiti dalla Warner Bros.: il primo non conteneva dialoghi ed era accompagnato da una traccia di musica ed effetti sonori sincronizzati, mentre il secondo era anche cantato e parlato; i due film utilizzavano il sistema Vitaphone, con incisione su dischi grammofonici.Il sistema di registrazione meccanica su disco è il più antico e come principio risale al fonografo di Th.A. Edison (1877) e al grammofono di E. Berliner (1887). Un trasduttore elettromeccanico (fonoincisore) trasforma il segnale elettrico in vibrazioni meccaniche di una puntina tagliente, che incide un solco ondulato spiraliforme sulla faccia di un disco rotante a velocità costante. In riproduzione, il disco è fatto rotare alla stessa velocità, mentre una puntina, questa volta arrotondata per non danneggiare il disco, segue le ondulazioni del solco e le comunica al fonorivelatore, che le riconverte in segnale elettrico.
Con l'avvento del s. sincronizzato su disco, la velocità di ripresa fu standardizzata a 24 fotogrammi al secondo e la velocità di rotazione dei dischi abbassata, rispetto ai normali dischi dei grammofoni, passando da 78 giri al minuto a 33 giri e 1/3, per accrescerne la durata. Il diametro dei dischi cinematografici fu fissato in 16 pollici (32 cm circa) mentre gli apparecchi di riproduzione possedevano uno o due piatti portadischi, con passaggio automatico da uno all'altro. L'amplificazione era di tipo elettronico, con altoparlanti di buona qualità posti nei pressi dello schermo; il sincronismo tra immagini e s. era assicurato da un collegamento meccanico tra la macchina da proiezione e il giradischi, che perfezionava un metodo sperimentale precedente in cui il collegamento era elettrico e l'amplificazione prodotta dalle trombe stesse del grammofono. Il sincronismo sonoro rappresentava, d'altra parte, il principale difetto del sistema: se si fosse stati costretti a togliere soltanto un fotogramma alla pellicola, l'immagine non sarebbe più stata sincronizzata con il suono.
A partire dal 1930 la maggior parte degli studi cinematografici sostituì il primitivo sistema di registrazione sonora su disco con quelli decisamente più efficaci di registrazione sulla pellicola stessa del film. In questi sistemi il supporto di registrazione è una pellicola cinematografica o meglio una striscia di pellicola, larga circa 2,5 mm, detta colonna sonora, situata di fianco alla striscia occupata dai fotogrammi. Il dispositivo di registrazione è costituito da un oscillografo elettromeccanico, eccitato dalla corrente fonica, lo specchietto del quale invia sulla colonna sonora, attraverso un sistema di fenditure, un fascetto luminoso; al variare dell'intensità della corrente fonica varia proporzionalmente la larghezza del fascetto (colonna sonora ad area variabile) oppure l'intensità del fascetto (colonna sonora a densità variabile): in quest'ultimo caso, al fine di modulare l'intensità del fascetto può essere usata una cellula di Karolus, anziché il dispositivo oscillografo-fenditure. Il dispositivo di lettura è costituito da una cellula fotoelettrica che raccoglie, attraverso la colonna sonora, la luce di una sorgente generando un segnale elettrico proporzionale alla trasparenza media della colonna sonora e quindi riproducente i s. registrati. Entrando in dettaglio, la luce di una lampadina a filamento alimentata in corrente continua a bassa tensione (8÷12 V) viene raccolta da un piccolo cannocchiale e focalizzata in un sottile pennello luminoso rettilineo che colpisce la colonna sonora della pellicola e ne rileva le variazioni. La pellicola scorre in uno speciale rullo del proiettore (tamburo rotante) posto in corrispondenza della lampadina e del cannocchiale; il pennello luminoso raggiunge la pellicola passando attraverso una fenditura posta alla sua altezza nella parte fissa del tamburo. La fotocellula si trova all'interno del tamburo e su di essa cadono le modulazioni luminose che si formano nel momento in cui il pennello di luce attraversa la colonna sonora. Si ha allora un'emissione di elettroni proporzionale all'intensità della luce che colpisce la fotocellula, e tale emissione traduce quindi le variazioni di luce in correnti fotoelettriche modulate.
Un sistema di lettura ottica che a partire dagli anni Novanta sta gradatamente sostituendo la tradizionale fotocellula è il reverse-scanning, il quale sfrutta la luce rossa emessa da un diodo led migliorando di molto la dinamica sonora. Il sistema è strutturato a rovescio rispetto alla testa sonora: la sorgente di luce si trova nel tamburo rotante, mentre la cellula di lettura è sistemata nella scatola che normalmente contiene la lampadina.Poiché la colonna sonora richiede un moto uniforme di scorrimento davanti alla testa di registrazionedurante la formazione del film e davanti alla testa di lettura durante la proiezione, mentre i fotogrammi sono impressi e proiettati a scatti, la colonna sonora è sfalsata rispetto ai corrispondenti fotogrammi in modo che si possa formare un 'riccio' di pellicola tale da consentire l'uno e l'altro tipo di movimento. Oltre a irregolarità del moto della pellicola, distorsioni sonore possono essere dovute a non corrette regolazioni delle parti ottiche (lenti concentratrici, fenditure ecc.) e delle sorgenti luminose nelle teste di registrazione e di lettura; una notevole fonte di rumore è costituita dalla granulosità della gelatina fotografica, cui s'aggiunge l'effetto di striatura e di polvere aderente alla superficie della pellicola. Per evitare che i s. più intensi diano luogo a tracce che, nella registrazione ad area variabile, escano dalla colonna sonora o, nella registrazione a densità variabile, escano dalla zona di annerimento lineare della gelatina sensibile, si opera una compressione della dinamica (cioè l'escursione di intensità dei s.) a 40÷45 dB durante la registrazione e una successiva espansione, di pari entità, durante la riproduzione.
La tecnica di registrazione ottica su pellicola fu descritta in modo esauriente già agli inizi del 19° sec., e alcuni particolari risalgono al 1880. Un sistema primitivo di questo tipo, con il s. registrato su una pellicola separata da quella ottica per mezzo di raggi ultravioletti modificati nella loro intensità, era basato sulla proprietà dell'esculina di assorbire i raggi ultravioletti e sulla qualità di certe materie coloranti di essere trasparenti a tali raggi. Dopo lo sviluppo in acqua calda, si imbibiva il fotofonogramma con una soluzione di esculina; l'assorbimento era proporzionale, nei vari punti, all'intensità della registrazione. Il fotofonogramma era quindi applicato dietro il positivo ottico, stampato su una pellicola più sottile della normale. L'immagine ottica era costituita da materie coloranti speciali, trasparenti ai raggi ultravioletti, in modo tale che la cellula fotoelettrica, sensibile a tali raggi, era eccitata esclusivamente dalle variazioni di intensità del fotofonogramma all'esculina, mentre l'immagine ottica, passando nel proiettore, era invece proiettata sullo schermo.
Negli anni Cinquanta la registrazione del s. su traccia ottica fu sostituita da quella su traccia magnetica: una striscia di materiale magnetico con impresso il s. era incollata, dopo la stampa, direttamente sulla pellicola. Tale metodo assicurava alta fedeltà, per l'estesa gamma di frequenze riproducibili, e grande praticità d'impiego, potendosi effettuare cancellazioni e reincisioni in modo rapido e praticamente senza limiti. Un altro vantaggio era la relativa facilità di registrazione contemporanea su più piste indipendenti per la stereofonia a più canali. Dalla fine degli anni Settanta, il progresso della tecnologia consentì di registrare il s. stereofonico di nuovo su traccia ottica.
Nel sistema di registrazione magnetica (già proposto alla fine del 19° sec.), il trasduttore impiegato (testina magnetica) è fondamentalmente un elettromagnete che trasforma il segnale elettrico fonico in un campo magnetico variabile; davanti alla testina scorre a velocità costante un nastro di materiale plastico ricoperto da uno strato sottile di materiale magnetico, la cui induzione magnetica residua risulta modificata concordemente con le variazioni del campo prodotto dalla testina (nei primi dispositivi, risalenti al 1939, veniva usato un filo d'acciaio, anziché un nastro magnetico). La riproduzione avviene con l'impiego di un'analoga testina che trasforma le variazioni di flusso magnetico provocate dal nastro (che scorre alla stessa velocità con cui è stato registrato) in un segnale elettrico, che riproduce il segnale originario.
Una delle caratteristiche più importanti dei diversi sistemi di registrazione e di lettura sonora è la fedeltà di riproduzione, cioè la capacità di restituire s. identici a quelli originali. Un'alta fedeltà si ottiene se si riesce a conservare la composizione armonica e l'escursione di intensità dei s. registrati. Nel campo di frequenze in cui opera, un sistema altamente fedele deve essere non soltanto lineare, cioè capace di registrare e riprodurre esattamente nello stesso modo s. di frequenza diversa, ma anche esente da distorsioni e da rumore proprio (ronzio, fruscio, crepitio ecc.).
Il più diffuso ed efficiente sistema di riduzione del rumore di fondo che si aggiunge a ognuna delle trascrizioni a cui si è obbligati durante il doppiaggio, la realizzazione degli effetti e soprattutto in fase di mixage, è il Dolby System, ideato negli anni Settanta da Ray Dolby. Grazie a tale sistema, all'atto della trascrizione si rinforzano i segnali più deboli in modo che vengono registrati a un livello superiore al rumore di fondo; operando una distorsione inversa, all'atto della riproduzione, si riportano i segnali deboli a un più basso livello, abbassando contemporaneamente il rumore di fondo fino al punto di ridurlo considerevolmente. Il primitivo sistema Dolby A agiva su tutto lo spettro sonoro (20÷20.000 Hz); poiché il rumore di fondo è limitato alle frequenze medio-alte, fu messo a punto un ulteriore sistema, il Dolby B, che agiva in modo simile al precedente soltanto su tale parte dello spettro.
Tra i requisiti di un sistema di registrazione e di riproduzione sonora ad alta fedeltà vi è quello di riprodurre l'ambiente sonoro originale, cioè di dare all'ascoltatore sensazioni sonore simili a quelle che egli avrebbe avuto se si fosse trovato presente durante la registrazione. Un notevole passo in questo senso è stato fatto con la realizzazione della stereofonia cinematografica. Pur rimanendo in uso il sistema delle piste magnetiche per il 70 mm, dalla fine degli anni Settanta il 35 mm si avvale di una tecnologia che utilizza, con opportune modifiche, lo spazio e il sistema ottico di stampa della colonna sonora classica: su di essa sono impresse due piste parallele e indipendenti che modulano la luce per eccitare due diverse fotocelle. Si hanno così due segnali separati che contengono, oltre alla modulazione del s., anche alcuni segnali ausiliari. Un processore acquisisce questi segnali e compone il s. smistandolo su vari altoparlanti, tre dietro lo schermo e un certo numero sui lati e sul fondo della sala cinematografica. Mentre ai riproduttori posti dietro lo schermo è affidato il compito di dare l'effetto stereofonico (al centrale, in genere, è affidato il dialogo), quelli lungo il perimetro della sala entrano in funzione, comandati dal processore, in determinati momenti dell'azione, per dare allo spettatore la sensazione di essere al centro dell'azione, e non semplicemente davanti.
L'affermazione del compact disc ha indotto l'applicazione del sistema digitale anche alle colonne sonore cinematografiche. Il principio consiste nel fatto che la forma d'onda analogica del s. viene campionata a brevi intervalli di tempo e trasformata in un segnale digitale per mezzo di un convertitore analogico-digitale. In fase di registrazione, un fascio laser, modulato dal segnale sonoro campionato, codifica informazioni binarie sulla superficie del supporto mediante l'incisione di piccolissime aree. In fase di riproduzione, la rilevazione delle zone opache o riflettenti sulla superficie del supporto permette di decodificare le informazioni binarie e di riottenere il segnale sonoro originario.
Avendo raggiunto, ancora con il sistema analogico, un alto grado di qualità nella stereofonia, occorreva che il nuovo s. digitale fosse anch'esso stereofonico. Dopo alcuni esperimenti canadesi, una grande ditta fabbricante materiale sensibile studiò una pellicola per il negativo-suono ottico che permetteva di incidere e di leggere delle areole del diametro medio di 12 µm, areole che avrebbero rappresentato nel sistema digitale altrettanti bit. Poiché la colonna sonora classica è larga 2,54 mm, prevedendo anche uno spazio di separazione tra bit, su ogni riga trasversale potevano trovare posto 2540/15=169 bit. Per lasciare un certa ridondanza, il numero di bit riga fu ridotto a 150. Considerando che in ogni mm di colonna sonora possono trovarsi 1000/15=66 righe, si ha un totale di 150×66=9900 bit/mm lineare di colonna. Scorrendo il film alla velocità standard di 457,2 mm/s, in un secondo sarebbero passati 9900×457,2=4.526.280 bit. Riuniti in pacchetti (word) di 16 bit, la campionatura poteva essere pari a 4.526.280/16=283.892 word al secondo. Prendendo in considerazione ancora una suddivisione in cinque canali di s., ciascun canale digitale risultava campionato a 283.892/5=56.578 campioni al secondo, molto più frequentemente che nel compact disc, dove la campionatura raggiunge la frequenza di 41.000 campioni al secondo. Questo sistema riusciva ad avere quindi cinque canali di s., ognuno in grado di riprodurre 2¹⁶=65.536 livelli di suono. I cinque canali risultanti venivano destinati rispettivamente uno al centro dello schermo, due a ognuno dei due lati, il quarto e il quinto al surround (s. ambientale) stereofonico, mentre il canale del subwoofer (un altoparlante speciale posizionato anch'esso dietro lo schermo e destinato alla riproduzione delle basse frequenze) era derivato dai due canali del surround tramite filtraggio a 150÷200 Hz.Il primo esperimento confermò la possibilità del film di registrare un s. di qualità superiore a quello del CD-ROM, ma il sistema presentava molti inconvenienti pratici: per prima cosa si doveva usare una pellicola specifica, di un unico produttore, ma ancora più grave era il fatto che, avendo la sola colonna digitale, il film poteva essere proiettato soltanto nelle sale dotate della relativa apparecchiatura. Malgrado le sue indubbie qualità, il sistema ebbe quindi uno scarso successo commerciale. L'unico film di rilievo con colonna sonora registrata in questa maniera è stato infatti Dick Tracy realizzato nel 1990 da Warren Beatty.
Successivamente nacque un sistema compatibile, tale cioè da poter essere impiegato sia nei cinema attrezzati per il digitale, sia in quelli non ancora pronti. I segnali digitali lasciarono quindi la posizione classica della colonna sonora analogica, che rimase al suo posto, e trovarono spazio sotto forma di pacchetti tra una perforazione e l'altra (sistema SRD, Dolby Spectral Recording Digital). Per ridurre lo spazio destinato alle informazioni digitali senza dover ricorrere a una pellicola speciale, si riuscì a realizzare la compressione dei dati (nel rapporto di circa 18:1) mediante tecniche di elaborazione utilizzanti algoritmi che cancellassero frequenze ritenute superflue o ininfluenti sulla base di studi psicoacustici. La lettura del segnale avviene attraverso un sensore CCD in grado di rilevare 500 punti riga; la decodifica è a 8 bit. In questa maniera si possono ottenere sei canali con dinamica molto elevata (105 dB), ai quali se ne aggiunge un altro (back surround) nella variante SRD-EX di questo sistema.
Un secondo sistema denominato DTS (Digital Theater System), anch'esso molto valido, fu introdotto in concorrenza con il precedente. Sembrò un passo indietro, un ritorno al vecchio Vitaphone, ma così non era. Il s. era registrato su CD-ROM separati, che alcuni segnali, posti sul bordo della colonna ottica analogica (solitamente collocata) sincronizzavano perfettamente con il film. Erano sufficienti soltanto due, o al massimo tre, CD-ROM a contenere tutto il s. di un film, anche di notevole lunghezza, con una dinamica superiore ai 93 dB.
Nel 1993 per il film Last action hero è stato utilizzato il nuovo sistema sonoro SDDS (Sony Dinamic Digital Sound) a otto canali sonori, anziché cinque, per ulteriori due gruppi di altoparlanti, posti a metà schermo su entrambi i lati ed evidentemente destinato ai grandissimi schermi, con base di oltre venti metri. Nel SDDS la colonna sonora digitale è posta ai due bordi laterali della pellicola su due piste digitali analoghe, ciascuna formata da sei tracce: quattro tracce per lato costituiscono i canali audio (rispettivamente di destra e di sinistra) stereofonici, mentre le rimanenti due sono relative al backup mixato dei quattro canali presenti sul bordo opposto, insieme ai vari segnali di riferimento (firma, numeri di bordo, numeri di emulsione, key codes ecc.), da utilizzare come riserva, decodificandoli, solo in caso di necessità; la decodifica del segnale è a 16 bit. *
Stereostory. Un secolo di riproduzione sonora, Roma 1984; M. Calzini, Storia tecnica del film e del disco. Due invenzioni una sola avventura, Bologna 1991; N. Negroponte, Being digital, New York 1995 (trad. it. Milano 1995).