SUSA (lat. Segusium, Secusia)
Centro del Piemonte in prov. di Torino, sorto alla confluenza della Dora Riparia con il torrente Cenischia.
Già l'antico insediamento romano-celtico ebbe notevole rilevanza strategica e commerciale, posto com'era a controllo dei collegamenti obbligati con la Gallia Narbonensis attraverso i valichi del Moncenisio e del Monginevro. Un ruolo analogo rivestì il successivo borgo medievale, ricostruito e gradualmente ampliato dopo le invasioni franche e poi saracene (prima metà del sec. 10°).
Nel tessuto urbano odierno si ritrovano ancora edifici civili di origine bassomedievale, concentrati soprattutto nel c.d. borgo dei Nobili, l'espansione meridionale sabauda (secc. 13°-14°) al di fuori delle mura romane, ma anche nel centro più antico (case dell'od. via Palazzo di Città, fra cui quella pregevole dei Bartolomei, la torre dei Rotarii, ecc.). Avanzi medievali del palacium marchionale (secc. 13°-15°) si sono mantenuti anche nel rimaneggiato castello 'di Adelaide', così chiamato in ricordo di colei che avrebbe recato in dote (1047), insieme con S., l'intera marca di Torino a Oddone di Savoia (m. nel 1057 ca.).Il monumento locale più illustre è la chiesa di S. Giusto, cattedrale a partire dal 1772 e, in origine, pertinente all'omonimo monastero benedettino, voluto dal marchese di stirpe arduinica Olderico Manfredi (1027), in cui fu attivo un fecondo scriptorium, dal quale provengono alcuni codici decorati nel sec. 11°, tre dei quali presentano iniziali a intrecci e fogliette, motivi zoomorfi e antropomorfi (Milano, Bibl. Ambrosiana, O.53 sup.; O.55 sup.; H.101 inf.).Per ragioni di spazio, la fabbrica monastica era sorta a ridosso della Porta Sabaudiae e della cinta romana del 3° secolo. Unica superstite del complesso, benché rimaneggiata, la grandiosa abbaziale resta ancora d'incerta lettura. Di fatto, se l'ossatura ottoniana si è certamente conservata, tutta una serie di integrazioni e trasformazioni già romaniche e poi gotiche, nonché di manipolazioni successive, la copre e occulta in più parti, rendendone complessa una restituzione univoca. La basilica originaria presentava, come oggi, un impianto generale rettangolare, modulato su una proporzionalità ad quadratum - articolata cioè su una lunghezza interna, absidi escluse, pari al doppio della larghezza -, e una suddivisione in tre navate, la maggiore delle quali concepita secondo il consueto rapporto di 2:1 rispetto alla larghezza delle laterali. I robusti pilastri di sostegno dovevano avere una semplice sezione a T - alterata nel tempo dall'aggiunta di esili semicolonne -, ciò che induce a supporre come copertura un tetto ligneo su capriate per la nave centrale e crociere sulle campate delle navatelle. Le odierne crociere delle campate maggiori - alcune delle quali costolonate - dovrebbero riferirsi a una più tarda campagna di rinnovamento, intrapresa, a partire dal 1321, da Aicardo, arcivescovo di Milano, per la riparazione e il rifacimento della fabbrica, "ex nimia vetustate conquassata" (Savi, 1992, p. 96, n. 10). A quella stessa epoca, inoltre, andrebbero assegnate anche la radicale ricostruzione del corpo absidale in schiette forme gotiche e la sopraelevazione del cleristorio, dichiarata, sui fianchi esterni, dal fregio continuo di archetti pensili acuti, impostato ben al di sopra di quello precedente, romanico, ad archetti più ampi intervallati periodicamente da lesene in gruppi di sette-otto per campitura. Anche i prospetti brevi, verosimilmente, ebbero allora nuova sistemazione con un coronamento a capanna e svettanti pinnacoli. Circa a metà lunghezza del fianco meridionale è addossato il maestoso campanile - ritenuto, perlomeno nelle parti inferiori - coevo alla fondazione. Qui, al piano terreno, una sala conserva ancora qualche lacerto delle antiche pitture parietali: un velario con ampi bordi ornati da rombi, dipinto con figure fantastiche, nonché una lacunosa rappresentazione di cavaliere, opere probabili di un maestro lombardo (1030 ca.). Di stile differente e di qualità certo più alta sono invece altri frammenti - da assegnarsi a un artista d'Oltralpe attivo nei primi decenni del sec. 11° nel solco della tradizione aulica ottoniana - ritrovati in un vano quadrato e absidato, contiguo alla cappella terminale sud, in origine isolato e antecedente al S. Giusto stesso e solo più tardi incorporato nella costruzione dell'edificio. Doveva trattarsi infatti del battistero pertinente alla chiesa madre segusina di S. Maria Maggiore (fine del sec. 10°). All'interno del tiburio di tale ambiente, purtroppo parzialmente capitozzato e nascosto dalla falda del tetto, si svolgeva una teoria di apostoli e angeli resi con rapide pennellate nelle più brillanti tonalità del rosa, del giallo e del grigio azzurrino, con abbaglianti lumeggiature bianco-perlacee.
Fra gli arredi sacri superstiti s'impone, per particolare dignità formale, il grande altare monastico, oggi trasferito nella sala del Capitolo, firmato da Pietro da Lione ("Petrus Lugdunensis me fecit") e riferibile agli anni 1120-1130: esso è costituito da un parallelepipedo in scelto cipollino locale, di linee solennemente classicheggianti. Sono però magnifiche anche le due maniglie in bronzo, già sul portale della chiesa (tesoro della cattedrale), realizzate da un maestro lombardo-piemontese (1120 ca.) e rappresentanti con disegno fortemente stilizzato, benché ricco di espedienti decorativi, due protomi zoomorfe, un toro e un leone, simboli evidenti degli evangelisti Luca e Marco. Assai più tarda, ma non meno significativa, è un'altra opera che conferma gli insistiti contatti artistici con le aree culturali francesi: si tratta del c.d. trittico del Rocciamelone (dal 1673 trasferito nell'od. cattedrale) in bronzo inciso e dorato, che - a valve aperte - presenta, con raffinato grafismo su un fondo a girali, una Madonna con il Bambino fra i ss. Giorgio e Giovanni Battista insieme al committente, questi ultimi incisi, rispettivamente a destra e a sinistra, sugli sportelli. Il singolare lavoro, probabilmente realizzato da un cesellatore parigino, venne donato - come recita in caratteri gotici la scritta apposta al piede - da Bonifacio Rotario, cittadino d'Asti, il 1° settembre 1358.
Tra le restanti architetture medievali di S. occorre ricordare: la degradata chiesa già plebana di S. Maria Maggiore, sconsacrata e suddivisa in abitazioni da oltre due secoli; l'oratorio romanico di S. Saturnino (chiuso al culto nel 1749); la chiesa conventuale di S. Francesco, fondata nel 1244 da Beatrice di Savoia (m. nel 1266), d'impianto basilicale a tre navate voltate a crociera su robusti pilastri cilindrici.
Bibliografia:
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