Sussidiarieta
di Angelo Rinella
Sussidiarietà
sommario: 1. Premessa. 2. Elementi per una definizione pre-giuridica del principio di sussidiarietà. 3. Il principio di sussidiarietà nell'ordinamento comunitario. 4. La sussidiarietà alla prova dei fatti. Dal Trattato di Amsterdam ai lavori della Convenzione sull'avvenire dell'Europa. 5. Il principio di sussidiarietà nell'ordinamento italiano. 6. La costituzionalizzazione del principio. Le dinamiche verticali e orizzontali. □ Bibliografia.
1. Premessa
Il richiamo esplicito del principio di sussidiarietà nel Trattato sull'Unione Europea (TUE), siglato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ha suscitato un profondo, diffuso e rinnovato interesse del mondo scientifico e politico in ordine al suo significato e alla sua valenza giuridica.
La prospettiva giuridica rappresenta solo una delle possibili chiavi di interpretazione del principio in esame, le cui radici affondano nella storia e nella cultura dell'umanità, legando insieme elaborazione filosofica e dimensione sociale (v. Millon-Delsol, 1992). Ma è certo che la sua positivizzazione, vale a dire la sua traduzione in regole giuridiche, in qualche maniera lo ha reso visibile e concreto, costringendo le istituzioni e i cittadini a confrontarsi con esso.
L'idea di sussidiarietà compare già nella Politica di Aristotele, in riferimento al ruolo dei vari attori sociali e ai rapporti di questi con il potere politico (Politica, I, 2, 1252 b). In seguito, Tommaso d'Aquino, muovendo dal pensiero di Aristotele, tentò di giungere a una sua più razionale sistematizzazione (De Regno, I, capp. XII-XIII; Summa Teologica, II, cap. II; Contra Gentiles, III). Non meno interessanti, poi, risultano le affermazioni in proposito rinvenibili nell'opera Politica methodice digesta di Johannes Althusius, il quale analizzò la società tedesca del XVII secolo dall'angolo visuale di protagonista e studioso della vita politica.
È tuttavia alla dottrina sociale della Chiesa cattolica che si deve la rielaborazione del principio di sussidiarietà in termini di regola applicabile alle relazioni tra Stato e persona o comunità di persone. Nell'enciclica Quadragesimo anno (15 maggio 1931), Pio XI afferma che "siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare". Di qui la necessità che "lo Stato rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento".
Nella dottrina sociale della Chiesa il principio di sussidiarietà si configura come un principio di diritto ipotattico (v. Mistò, 2002), vale a dire come un principio di libertà e di autonomia delle formazioni sociali intermedie e come misura della prossimità dell'istituzione alla persona. Il merito di questa impostazione sta principalmente nell'aver saputo portare nell'alveo di una sintesi coerente i diversi contributi del pensiero filosofico-politico sull'argomento, a partire dall'universalismo aristotelico sino agli assunti invidualistici e razionalistici del liberalismo moderno, riconoscendo alle formazioni sociali intermedie quella centralità che, nella moderna idea di Stato (nazionale e sovranazionale), rischiava di andare perduta.
Trattare della sussidiarietà, come oggi comunemente avviene, in riferimento ai temi dell'ordinamento comunitario, o del regionalismo e del federalismo, oppure anche dei diritti sociali e delle relazioni Stato-società civile - trattare, in altri termini, della sussidiarietà 'verticale' e 'orizzontale' - significa assumere quali impliciti termini di confronto dialettico le asserzioni normative del magistero della Chiesa.
2. Elementi per una definizione pre-giuridica del principio di sussidiarietà
La storia dell'idea di sussidiarietà consente, ancor prima che si passi a considerare la trasposizione giuridica dell'idea stessa, di mettere insieme alcuni elementi utili a una prima definizione del principio. È pur vero, in primo luogo, che non può sottovalutarsi il carattere polisemico del sostantivo 'sussidiarietà', carattere che deriva in linea di massima dalle diverse prospettive da cui si guarda a esso. Esiste, infatti, un'intricata mappa delle idee che intorno a quel termine si sono formate nel tempo a opera di diversi autori, in particolare studiosi della polis, giuristi e filosofi.
Da una prospettiva che guardi alla sussidiarietà per le sue implicazioni giuridiche e politico-istituzionali, devono necessariamente rilevarsi alcuni elementi: la sussidiarietà implica una relazione; i soggetti di tale relazione si differenziano per dimensione, finalità, poteri, efficacia della propria azione, ecc.; i termini di questa relazione prevedono necessariamente uno o più soggetti sussidianti e uno o più soggetti sussidiati.
Quanto poi ai contenuti della relazione, è stato fatto rilevare in dottrina che il principio di sussidiarietà presenta almeno due aspetti, uno positivo e l'altro negativo, solo apparentemente in contraddizione tra loro (v. Millon-Delsol, 1993). L'aspetto negativo si concretizza in un dovere di non ingerenza, derivante dalla convinzione che ogni autorità in generale, e lo Stato in particolare, non debbano impedire agli individui e ai gruppi sociali di essere liberi di agire, di impiegare la loro energia, immaginazione e perseveranza al fine di raggiungere la piena realizzazione di se stessi, il tutto a vantaggio tanto dell'interesse generale, quanto dell'interesse particolare. L'aspetto positivo, invece, attribuisce a ogni autorità il compito di incitare, sostenere e, se necessario, sostituire gli attori insufficienti, in ottemperanza a un obbligo che equivale a un vero e proprio dovere di ingerenza.
Tra i due aspetti non vi è contraddizione, ma complementarità e costante riequilibrio, dal momento che il rispetto della libertà di azione è bilanciato dalla legittimità, o meglio, dall'obbligatorietà dell'intervento dell'autorità superiore, quando, in condizioni di 'scacco' o di 'insufficienza verificata', si debba procedere a sostituire l'attore carente. Inoltre, in virtù del principio di proporzionalità, che costituisce una sorta di criterio di valutazione della portata e dell'ampiezza dell'ingerenza consentita, l'intervento dell'autorità superiore deve mirare esclusivamente al perseguimento degli obiettivi pubblici desiderati.
Da quanto si è detto emerge che il principio di sussidiarietà è volto per un verso alla protezione dell'autonomia dell'individuo dalle strutture sociali che rischiano di schiacciarlo; per l'altro, ai rapporti tra collettività, in particolare ai rapporti tra comunità che si collocano su un piano gerarchico diverso.
Gli elementi così sommariamente rilevati consentono di rivolgere ora lo sguardo alle principali trasposizioni normative del principio di sussidiarietà e, al tempo stesso, alle problematiche da esse sollevate.
3. Il principio di sussidiarietà nell'ordinamento comunitario
Per effetto del Trattato siglato a Maastricht nel 1992, il principio di sussidiarietà ha fatto ingresso formalmente nell'ordinamento comunitario, con ciò assumendo la veste di una disposizione normativa.
L'articolo 5, commi 2 e 3, del Trattato della Comunità Europea (TCE) stabilisce che: "Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato".
La formulazione elaborata dal legislatore comunitario rappresenta una definizione del principio in esame che ne mette in risalto la valenza giuridica, allo scopo specifico di disciplinare un particolare sistema complesso di relazioni, quelle che intercorrono tra Comunità Europea e Stati membri in ordine alla ripartizione delle competenze e all'esercizio delle stesse.
L'analisi della disposizione normativa offre alcuni spunti estremamente utili alla ricostruzione di una possibile struttura del principio di sussidiarietà. In primo luogo, si evince che le attribuzioni esclusive della Comunità non rientrano nel possibile ambito di applicazione del principio in questione. Questa prima indicazione è d'altronde connaturata al principio stesso, dato il suo carattere relazionale; esso infatti, come si è detto, presuppone l'esistenza di una relazione tra soggetti che, nell'ipotesi di competenze esercitabili in modo esclusivo dalla Comunità, viene formalmente a mancare.
La seconda indicazione che emerge dall'art. 5, comma 2, del TCE, è che nelle materie diverse da quelle di stretta competenza della Comunità spetta agli Stati membri provvedere. Si afferma, in altre parole, la necessità di garantire prioritariamente l'azione dei singoli Stati, nelle loro diverse articolazioni istituzionali, in ragione della loro maggiore prossimità ai destinatari dei provvedimenti.
In terzo luogo, l'articolo 5, comma 2, stabilisce che l'eventuale intervento della Comunità in funzione sussidiaria degli Stati membri è possibile solo nel caso in cui si verifichino le condizioni indicate dalla stessa disposizione normativa, e cioè quando "gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri".
A ben vedere, sono ricavabili due condizioni oggettive di esercizio dell'azione comunitaria: le istituzioni comunitarie possono intervenire solo quando ciò risulti necessario; la portata del loro intervento deve essere proporzionale agli obiettivi perseguiti. Per quanto concerne la prima condizione, la necessarietà dell'intervento sussiste quando gli obiettivi che si perseguono non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri, a causa della dimensione o degli effetti che l'azione prevista per conseguirli può produrre, ma possono, invece, essere realizzati meglio a livello comunitario.
Il principio di sussidiarietà, quindi, impone di fare un confronto tra l'azione comunitaria e l'azione degli Stati membri che, peraltro, non si pongono sullo stesso piano, dal momento che l'azione nazionale va preferita se assicura il raggiungimento anche solo sufficiente degli obiettivi perseguiti, mentre l'azione comunitaria prevale solo se garantisce un miglior raggiungimento di tali obiettivi (v. Daniele, 19952, p. 25). Ne consegue che l'incapacità degli Stati membri deve sempre essere motivata. Le istituzioni comunitarie, infatti, sono tenute a dimostrare la fondatezza del proprio intervento, ricorrendo ai criteri (peraltro suscettibili di valutazioni di merito) della dimensione dell'intervento stesso e degli effetti che esso è in grado di produrre.
Per quanto concerne la seconda condizione, invece, deve rilevarsi che, in base all'articolo 5, comma 3, l'intervento comunitario (questa volta tanto nei settori di competenza esclusiva, quanto nei settori di competenza concorrente) deve rispettare il principio di proporzionalità, cioè deve essere limitato "a quanto necessario" alla realizzazione degli obiettivi previsti dal Trattato di Maastricht.
Infine, risulta sufficientemente chiaro che l'intervento della Comunità in via sussidiaria è subordinato a un giudizio (v. Rescigno, 2002) che ne valuti l'opportunità avendo presente "gli obiettivi dell'azione prevista" (art. 5, comma 2, TCE), vale a dire le finalità che quell'azione è preordinata a conseguire; solo se le circostanze sono tali da far ragionevolmente prevedere che quegli obiettivi non saranno adeguatamente ("sufficientemente") realizzati, allora l'intervento della Comunità sarà giustificato in forza del principio di sussidiarietà.
Sempre a proposito di tale giudizio, la stessa disposizione normativa indica i criteri in base ai quali valutare l'opportunità di applicare il principio di sussidiarietà, criteri riconducibili alle "dimensioni" e agli "effetti" dell'azione in questione: sarà la misura delle dimensioni e degli effetti a indicare se gli obiettivi siano meglio realizzabili a livello comunitario piuttosto che a livello statale. Il principio in esame, infatti, dal punto di vista del diritto costituzionale opera come criterio di attribuzione dell'esercizio della potestà normativa, ma, ciò nonostante, non è in grado di modificare, né in senso estensivo né in senso restrittivo, quanto espressamente stabilito nei trattati istitutivi riguardo alla ripartizione della titolarità delle competenze tra Stati membri e istituzioni comunitarie (v. Rinella, 1994).
Per quanto le indicazioni della disposizione possano apparire esaustive, il principio di sussidiarietà enunciato nel Trattato istitutivo della Comunità Europea, presenta, a ben considerare, non poche difficoltà concernenti l'identificazione del suo campo di applicazione, con le condizioni e i limiti relativi, la valutazione della portata dei suoi effetti giuridici, la procedura per farvi ricorso e la procedura di controllo della sua corretta applicazione.
4. La sussidiarietà alla prova dei fatti. Dal Trattato di Amsterdam ai lavori della Convenzione sull'avvenire dell'Europa
Le difficoltà connesse all'applicazione del principio di sussidiarietà nell'ordinamento comunitario sono testimoniate dal Protocollo sull'applicazione dei principî di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato di Amsterdam del 1997. In esso si esortano le istituzioni comunitarie al rispetto, nell'esercizio delle rispettive competenze, del principio della sussidiarietà e di quello della proporzionalità. L'applicazione di tali principî deve rispondere agli obiettivi del Trattato e non deve contrastare con i principî elaborati dalla Corte di giustizia relativamente al rapporto tra diritto nazionale e diritto comunitario.
Dopo queste premesse, il Protocollo offre una definizione integrativa del principio in esame: esso "dà un orientamento sul modo in cui tali competenze (non esclusive della comunità) debbono essere esercitate al livello comunitario. La sussidiarietà è un concetto dinamico e dovrebbe essere applicata alla luce degli obiettivi stabiliti nel Trattato. Essa consente che l'azione della comunità, entro i limiti delle sue competenze, sia ampliata là dove le circostanze lo richiedano e, inversamente, ristretta e sospesa là dove essa non sia più giustificata". Particolare enfasi è posta poi sulle motivazioni che debbono accompagnare ogni proposta normativa comunitaria al fine di giustificarne la conformità ai principî di sussidiarietà e proporzionalità.
Per valutare l'opportunità dell'intervento sussidiario della Comunità, vengono indicati i seguenti criteri o parametri di valutazione: il problema che potrebbe essere oggetto dell'azione comunitaria presenta rilevanti aspetti transnazionali; l'azione a livello comunitario produrrebbe evidenti vantaggi, per la sua dimensione o i suoi effetti, rispetto all'azione dei singoli Stati membri; la mancanza di un'azione comunitaria potrebbe risultare in contrasto con le prescrizioni del Trattato. Resta in ogni caso il principio generale in base al quale "la Comunità legifera soltanto per quanto necessario" e "la forma dell'azione comunitaria deve essere quanto più possibile semplice" (Protocollo sull'applicazione dei principî di sussidiarietà e di proporzionalità, 1997).
Infine, lo stesso documento fa obbligo alla Commissione di presentare ogni anno al Consiglio e al Parlamento europeo una relazione circa l'applicazione del principio di sussidiarietà. Ed è proprio attraverso le relazioni della Commissione che è possibile scorgere le difficoltà che ancor oggi permangono in ordine all'applicazione di detto principio, difficoltà che hanno indotto i membri della Convenzione sull'avvenire dell'Europa, nel predisporre il progetto di Costituzione europea, a formare un apposito gruppo di lavoro per esaminare due questioni centrali: l'applicazione del principio e gli strumenti di controllo sull'osservanza del principio stesso.
La questione relativa all'applicazione è destinata a focalizzarsi sui criteri di giudizio circa l'opportunità o meno dell'azione sussidiaria della Comunità. Si tratta, in altre parole, di valutare se i criteri già indicati dal Protocollo del 1997 siano sufficienti o se debbano essere ulteriormente precisati e, se necessario, integrati da nuovi criteri. Ben più articolata e complessa sembra prospettarsi la questione dei controlli. I membri della Convenzione si sono espressi con un'ampia maggioranza a favore di meccanismi di controllo - sia di natura politica che di natura giurisdizionale - più efficaci.
Secondo le norme attualmente vigenti nell'ordinamento comunitario, il controllo politico sull'applicazione del principio di sussidiarietà è essenzialmente esercitato dalle stesse istituzioni che partecipano alla procedura legislativa. Per parte loro, i parlamenti nazionali svolgono un controllo nella misura in cui verificano la presa di posizione dei rispettivi governi in sede di Consiglio.
Per accentuare l'efficacia di tale controllo politico si sono prospettate alcune vie: istituire un 'garante della sussidiarietà' presso ciascuna istituzione comunitaria, con l'incarico di verificare ed esprimere un parere interno sulla conformità degli atti legislativi al principio di sussidiarietà; prevedere, in alternativa, che la Commissione inserisca una 'scheda sussidiarietà' in ciascuna proposta legislativa. Si vorrebbe, poi, rafforzare il controllo sull'applicazione del principio da parte dei parlamenti nazionali, mediante la loro partecipazione al procedimento legislativo o con l'accentuazione del loro controllo sulla posizione che i rispettivi governi assumono in sede di Consiglio.
Si è profilata anche l'ipotesi di istituire un organo ad hoc con il compito di svolgere una funzione di controllo, ma questa soluzione ha posto diversi problemi riguardo alla composizione dell'organo, al tipo di poteri di cui dovrebbe essere investito (se consultivi o decisionali), al momento in cui tale controllo dovrebbe essere esercitato (prima o durante il procedimento decisionale).
Altrettanto rilevante appare la questione del controllo giurisdizionale. Attualmente esso è esercitato dalla Corte di giustizia e dai tribunali nazionali. La natura sostanzialmente politica del principio di sussidiarietà e i margini di discrezionalità di cui dispone il legislatore comunitario nell'applicazione di tale principio hanno fatto sì che la Corte si sia limitata essenzialmente, nei suoi giudizi, a constatare l'esistenza o meno di una motivazione per l'applicazione del principio in esame. Per migliorare l'efficacia del controllo giurisdizionale in seno alla Convenzione sono state prospettate alcune soluzioni, volte sia al rafforzamento dei poteri di controllo della Corte di giustizia, sia all'ampliamento del potere di adire la Corte, con ricorso di annullamento, in caso di violazione del principio di sussidiarietà. Tali proposte sono in parte recepite dall'art. 9.3 del Progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa (Salonicco, 20 giugno 2003) e dal Protocollo sull'applicazione dei principî di sussidiarietà e di proporzionalità allegato alla stessa Costituzione.
5. Il principio di sussidiarietà nell'ordinamento italiano
Per quanto il principio non fosse stato espressamente menzionato dal costituente del 1948, l'idea di una relazione tra Stato e formazioni sociali ispirata ai canoni della sussidiarietà compare nel testo della Costituzione italiana in tema di famiglia. L'art. 30, infatti, stabilisce che "è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti". In base al testo della disposizione costituzionale, l'azione sussidiaria dello Stato si fonda sul presupposto dell'incapacità dei genitori.
Un riferimento esplicito al principio di sussidiarietà, che risente dell'influenza derivante dal tenore dell'art. 5, TCE, si rinviene invece nell'art. 4, comma 3, legge 15 marzo 1997, n. 59, ove si legge che i conferimenti di funzioni e compiti amministrativi dalle Regioni agli Enti locali avvengono nell'osservanza di alcuni principî, tra i quali quello di sussidiarietà. La disposizione normativa in questione indica anche - peraltro con una formulazione contorta che rivela gli influssi di istanze tra loro disomogenee - cosa significhi applicare al conferimento di funzioni e compiti amministrativi il principio di sussidiarietà. Esso comporta "l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, all'autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati". Lo stesso principio, in base all'art. 1, comma 2, e all'art. 3, comma 1, della stessa legge, si estende anche ai rapporti tra Stato e Regioni e tra Stato ed Enti locali per quel che riguarda la distribuzione delle funzioni e dei compiti amministrativi.
A ben considerare, la chiave di lettura principale della suddetta disposizione sta nella formula "autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati": si vuole far sì, in altre parole, che il potere decisionale sia assunto dall'autorità pubblica più prossima a coloro che sentiranno gli effetti della decisione stessa. Inoltre, l'autorità più vicina ai cittadini interessati viene individuata in base alle "dimensioni territoriali, associative e organizzative" che le funzioni e i compiti conferiti impongono. In altre parole, devono essere messi a confronto funzioni ed enti per conferire a questi ultimi le funzioni che sono in condizione di assolvere efficacemente; ma la sussidiarietà impone che il confronto che prelude al conferimento cominci a partire dai Comuni - gli enti locali più prossimi ai cittadini - salendo, se necessario, fino agli apparati dello Stato centrale. Nessun criterio è tuttavia indicato per stabilire quando il rapporto funzione/ente possa dirsi ottimale.
6. La costituzionalizzazione del principio. Le dinamiche verticali e orizzontali
La legge costituzionale n. 3 del 2001 ha profondamente riformato il Titolo V della parte seconda della Costituzione, introducendo in modo esplicito dei riferimenti al principio di sussidiarietà. In particolare, il nuovo art. 118, dopo aver attribuito le funzioni amministrative ai Comuni, stabilisce - al comma 1 - che, quando sia necessario assicurarne l'esercizio unitario, le suddette funzioni sono conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Lo stesso articolo, al comma 4, dispone che "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli o associati per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà". L'articolo 120 della Costituzione, comma 2, prevede che, in determinate condizioni e per assicurare determinate finalità, il governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni. Tuttavia "la legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione".
Nelle disposizioni costituzionali prese in esame il principio di sussidiarietà è chiamato in causa in ordine a circostanze tra loro profondamente diverse, quasi a comprovare il suo carattere di formula a valenza multipla. La dottrina, con una scelta di vocaboli che appare poco felice, suole distinguere tra sussidiarietà 'verticale' e sussidiarietà 'orizzontale' allo scopo di dare ordine ai molteplici e variegati riferimenti al principio in esame.
Il modello esemplare di sussidiarietà in senso verticale viene comunemente individuato nel caso descritto dall'art. 5, comma 2, TCE, nel quale la relazione di tipo sussidiario intercorre tra due soggetti, la Comunità e il singolo Stato membro. Per effetto dell'applicazione del principio di sussidiarietà, l'esercizio delle funzioni può muoversi lungo un asse che si immagina 'verticale' e che unisce un livello di minori dimensioni (lo Stato) a un livello di dimensioni più ampie (la Comunità). Per effetto dell'applicazione del principio in esame, l'esercizio delle competenze non esclusive della Comunità può salire verso il livello comunitario e ridiscendere verso il livello statale, con un moto che si immagina verticale.
Altrettanto 'verticale' appare il rapporto tra Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni e Stato previsto dagli artt. 118, comma 1, e 120, comma 2, della Costituzione. In entrambe le ipotesi - rispettivamente di attribuzione delle funzioni amministrative e di esercizio dei poteri sostitutivi - l'azione sussidiaria si muove lungo un asse verticale. Il livello di base, vale a dire il Comune, ha una priorità nell'esercizio della funzione rispetto a quello immediatamente superiore, a meno che non ricorrano le condizioni giustificative per l'intervento dell'ente superiore in virtù della maggiore efficacia della sua azione. Guardando, dunque, allo schema nella sua verticalità, ai due estremi dell'asse lungo il quale si sviluppa la relazione di sussidiarietà si pongono da un lato il Comune, il quale può essere solo sussidiato da un livello superiore, e dall'altro lo Stato come soggetto esclusivamente sussidiante nei riguardi di uno dei livelli inferiori.
Ben diversa è invece l'ipotesi di cui all'articolo 118, comma 4, nel quale si delinea un rapporto tra soggetti privati da una parte e soggetti pubblici dall'altra. Il fatto di riferirsi a questo modello di sussidiarietà con l'aggettivo 'orizzontale' certamente non sta a indicare che tra i soggetti della relazione vi sia omogeneità o equiordinazione. Al contrario, tra quei soggetti per definizione non vi è parità. L'uso del termine 'orizzontale' si lega a un'immagine della vita sociale che si sviluppa seguendo linee orizzontali, lungo le quali fatti e azioni dei soggetti privati si intersecano con fatti e azioni dei soggetti pubblici. E dove quei fatti o quelle azioni sono alla portata di entrambe le suddette categorie di soggetti, in virtù del principio di sussidiarietà spetterà ai privati, singoli o associati, nell'esercizio della loro autonomia, agire in via prioritaria; mentre ai pubblici poteri è consentita solo un'azione sussidiaria.
In definitiva, tra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, almeno nei termini codificati nella Costituzione italiana, corre una profonda differenza. La prima attiene ai rapporti tra soggetti pubblici investiti della rappre-sentanza politica delle rispettive collettività. In tal caso le funzioni e i compiti esercitabili da questo o quel soggetto in virtù del principio di sussidiarietà comportano in capo a essi o un potere di imperio sui cittadini, o l'obbligo di erogare servizi a favore di questi. Nell'ipotesi della sussidiarietà orizzontale si tratta di far fronte alle necessità di interesse generale attraverso l'erogazione di servizi idonei. In altre parole, la sussidiarietà orizzontale determina quali siano i soggetti, privati o pubblici, che più efficacemente possono attendere alle necessità di interesse generale.
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