Taiwan
Colonia giapponese dal 1895 al 1945 e sede dal 1949 della Repubblica di Cina, nello sviluppare una propria cinematografia T. ha dovuto per lungo tempo fare i conti con influenze esterne prima di potersi esprimere in modo autonomo. Dopo la vittoria dei comunisti in Cina (1949), l'arrivo in massa di una classe dirigente e militare (ma anche di semplici contadini) che parlavano mandarino, rimescolò i già intricati rapporti tra le varie etnie e lingue dell'isola. A parte i gruppi aborigeni, la popolazione di T. era infatti costituita da una base di cinesi emigrati nei secoli passati dalle province meridionali, che parlavano un proprio dialetto (una variante del fujianese, il minnan, spesso definito taiwanese tout court) e da una minoranza di Hakka proveniente dalla Cina settentrionale. L'uso di mandarino (in certi periodi imposto come lingua ufficiale) e taiwanese nella cinematografia locale ha quindi rispecchiato il rapporto tra mandarino e cantonese nel cinema cinese degli anni Trenta (v. Cina).
Rimangono poche tracce della produzione cinematografica di T. precedente la Seconda guerra mondiale e controllata da capitali giapponesi. Da varie testimonianze appare evidente il tentativo dei cineasti locali di conciliare le tradizioni autoctone con la propaganda imposta dalle forze di occupazione. Nel 1945 la partenza dei giapponesi provocò un crollo delle infrastrutture, e la produzione si interruppe. Mentre la Cina era sconvolta dalla guerra civile, T. diventava la base dei nazionalisti del Guomindang, che nel 1948 proclamarono la legge marziale abolendo i partiti politici; l'anno successivo, in seguito alla vittoria dei comunisti in Cina, nell'isola venne creato il governo provvisorio di Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek): fu l'inizio di una lunghissima tensione tra T. e Cina. Da quel momento la 'riconquista' della madre patria divenne l'obiettivo di una propaganda martellante, mentre il governo di Pechino considerava T. una provincia ribelle. Il cinema taiwanese venne riorganizzato dal Guomindang che diede vita a tre organismi per la produzione di documentari e di film di finzione. Il più importante era la CMPC (Central Motion Picture Company), di proprietà dello stesso Guomindang; mentre il China Motion Picture Studio e il Taiwan Motion Picture Studio, che dipendevano rispettivamente dal Ministero della difesa e dal governo provinciale, erano specializzati in documentari e cinegiornali.All'inizio degli anni Cinquanta venivano prodotti soprattutto mediocri film di propaganda anticomunista. Nel 1955 fu approvata una legge di censura che metteva al bando comunismo, pornografia e storie a forti tinte. In seguito, la fine del 'terrore bianco' e delle persecuzioni anticomuniste permise una certa flessibilità, e la CMPC cominciò a produrre film sulla vita nelle campagne e adattamenti letterari. Il principio guida, imposto dalle direttive del 1963, era quello del 'realismo sano' (jiankang xieshi): descrivere l'eroismo degli umili, promuovere l'altruismo e guardare con fiducia verso il futuro. Si affermarono registi come Lee Hsing (pinyin Li Xing) con Jietou xiangwei (1963, noto con il titolo Head of street, end of lane) e Pai Ching-jui (pinyin Bai Jingrui). Quest'ultimo, che aveva studiato in Italia, si specializzò in adattamenti di feuilletons della popolare scrittrice Chiung Yao (pinyin Qiong Yao), in seguito anche produttrice. Accanto al cinema ufficiale prosperava il cinema di genere (melodrammi, film musicali, adattamenti di opere cinesi) nel quale emersero registi come Lin Pao Chao (pinyin Lin Baozhao), che aveva studiato in Giappone e si appoggiava a piccoli studios indipendenti per girare film in taiwanese, ufficialmente considerati di serie B. Il cinema in questo dialetto attingeva al repertorio di leggende e miti locali, ed era sostenuto da un pubblico avido consumatore, come quello di Hong Kong, di ogni genere di film.A partire dal 1955, nell'evidente tentativo di recidere ogni legame con la Cina comunista, la CMPC aprì i propri studios alle produzioni hongkonghesi alla ricerca di ambientazioni suggestive. E se il cinema hollywoodiano continuava a guadagnare la parte più consistente di incassi, negli anni Cinquanta e Sessanta, tuttavia, anche il cinema di Hong Kong (cui vennero concessi aiuti per la produzione ed esenzioni fiscali) poté esercitare un considerevole influsso. Nel 1963 un film della casa di produzione Shaw Brothers, Liang Shanbo yu Zhu Yintai, ingl. The love eterne, di Li Hanxiang, ispirato a una sorta di Romeo e Giulietta della Cina meridionale, ottenne un enorme successo: il pubblico fu catturato dalla nostalgia per le tradizioni della madre patria, contraddicendo le aspettative del Guomindang, che ai melodrammi avrebbe preferito storie di virtù belliche. Prestigiosi registi hongkonghesi come Li Hanxiang e King Hu si stabilirono nell'isola, per periodi più o meno lunghi e con vario successo. King Hu realizzò a T. i suoi capolavori Longmen kezhan (1967, ingl. Dragon gate inn) e Xia nü (1970; A touch of zen ‒ La fanciulla cavaliere errante) e firmò, assieme a Lee Hsing e Pai Ching-jui, due film a episodi Xi nu ai le (1970, ingl. The four moods) e Da lunhui (1983, ingl. Wheel of life). Sulla scia dei generi hongkonghesi di successo, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta proliferò la produzione di film di arti marziali, in genere di mediocre qualità. Nel 1967 la produzione toccò i 257 film, ponendo T. al terzo posto in Asia dopo Giappone e India.
All'inizio degli anni Settanta T. risultava sempre più isolata nel panorama internazionale: nel 1971 venne espulsa dall'ONU, nel 1972 furono interrotte le relazioni con il Giappone e nel 1975 fu abrogato il trattato di mutua difesa con gli Stati Uniti (ma i rapporti economici tra i due Paesi rimasero molto stretti). La propaganda si riaccese prepotentemente mentre nel 1975 moriva Jiang Jieshi. Alla fine del decennio il cinema taiwanese entrò in crisi, dopo che l'industrializzazione e la modernizzazione forzata avevano profondamente cambiato i gusti del pubblico. La critica deplorava i film di gangster violenti e a effetto, mentre il veterano Lee Hsing girava film pluripremiati come Wangyang zhong de yi tiao chuan (noto con il titolo A boat in the ocean) del 1978, Xiao cheng gushi (noto come Story of a small town) e Zao an, Taibei (noto con il titolo Good morning, Taipei), entrambi del 1979, sui mutamenti sociali ed economici avvenuti nelle campagne. Il principale impulso al rinnovamento venne proprio dalla CMPC, che all'inizio degli anni Ottanta, sotto la guida di James Soong, cercò di promuovere un cinema di alto profilo professionale, artistico e internazionale incaricando due giovani sceneggiatori, Wu Nien-chen (pinyin Wu Nianzhen) e Hsiao Yeh (pinyin Xiao Ye), di assoldare nuovi registi.Alla base del cosiddetto New Taiwan Cinema Movement (1982-1986) va rintracciata anche l'influenza della New Wave di Hong Kong che, con Tsui Hark, Patrick Tam, Ann Hui e Allen Fong, dimostrava come fosse possibile affrontare temi contemporanei e controversi con un linguaggio al passo coi tempi. Un importante fattore di rinnovamento fu anche l'emergere di un movimento letterario, lo xiangtu wenxue (letteratura regionalistica), che nei due decenni precedenti era stato represso a favore di scelte estetiche improntate a un 'realismo sano'. Gli scrittori della 'letteratura regionalistica' intendevano valorizzare le specificità culturali autoctone e rappresentare in maniera obiettiva i traumi causati dall'avvento della modernità.Il primo film-manifesto del nuovo cinema taiwanese è considerato Guangyin de gushi (1982, noto con il titolo In our time), dove i quattro episodi, rispettivamente diretti da Tao Dechen, Edward Yang, Ko Yi-cheng (pinyin Ke Yizheng) e Chang Yi (pinyin Zhang Yi), affrontano i temi dell'urbanizzazione e della nostalgia dell'infanzia, partendo dal 1967 per arrivare al presente. Per il successivo Erzi de da wan'ou (1983, noto con il titolo The sandwich man), Wu Nien-chen ha adattato tre racconti di Huang Chun-ming (pinyin Huang Chunming, uno degli esponenti più noti della 'letteratura regionalistica') per la regia di Hou Hsiao-hsien, Tseng Chuang-hsiang (pinyin Zeng Zhuangxiang) e Wan Jen (pinyin Wan Ren). Il tono varia dal neorealismo dolente alla satira acre; l'intento è di portare sullo schermo un'umanità quotidiana, dal sottoproletario alla piccola borghesia, riflettendo anche sul rapporto di T. con Giappone e Stati Uniti (così, per es. nel secondo episodio due venditori ambulanti devono smerciare in provincia delle pentole a pressione giapponesi poco affidabili; mentre nel terzo un poveraccio investito da un colonnello americano trova una fonte insperata di ricchezza). Terzo film spartiacque è stato Xiaobi de gushi (1983, noto con il titolo Growing up) di Chen Kun-hou (pinyin Chen Kunhou), per cui Hou Hsiao-hsien ha adattato un racconto di Chu Tien-wen (pinyin Zhu Tianwen). Storia semplice e commossa di un ragazzino che non accetta il patrigno, il film ha vinto i principali premi locali (Golden Horse Award) ottenendo un notevole successo di pubblico.
Nella prima metà degli anni Ottanta molti dei più importanti registi hanno intrapreso un percorso personale e articolato, ottenendo riconoscimenti nei festival di tutto il mondo. Primo fra tutti Hou Hsiao-hsien, che si è servito del filtro della memoria, ispirandosi ai propri ricordi o a quelli dei suoi sceneggiatori, per riflettere sulle ferite aperte del passato. Fenggui lai de ren (1983; I ragazzi di Fengkuei) e Dongdong de jiaji (1984; In vacanza dal nonno), entrambi sceneggiati da Chu Tien-wen, mettono in scena con straordinaria sensibilità le difficoltà della crescita e il contrasto tra città e campagna. Nel capolavoro autobiografico Tongnian wangshi (1985; A time to live, a time to die) la storia familiare si intreccia con il dramma dei cinesi in esilio a T. dopo il 1949, che sognano invano di tornare in patria: Hou Hsiao-hsien, riflette sulla propria generazione disorientata, segnata dall'assenza di modelli paterni forti.
Il cinema di E. Yang si è concentrato sull'irruzione della modernità e sull'analisi del mondo urbano: Haitan de yi Tian (1983, noto con il titolo That day on the beach), dalla complessa struttura a flashback, e Qing mei zhu ma (1985, noto con il titolo Taipei story) trattano della disumanizzazione dei rapporti prodotta dalla società del benessere; Kongbu fenzi (1986, noto con il titolo The terrorizer) approda alla descrizione di un mondo alienato, scosso da atti di violenza gratuita, in cui è evidente l'influsso di Michelangelo Antonioni e di P. Tam.
La vitalità del cinema taiwanese degli anni Ottanta è testimoniata da molti altri film, meno conosciuti in Occidente. Con Daocao ren (1987, noto con il titolo Strawman) e Xiangjiao tiantang (1989, noto con il titolo Banana Paradise), Wang Tung (pinyin Wang Tong) si è rivolto al periodo dell'occupazione giapponese e del colpo di stato nazionalista, affrontando ironicamente il tema della mancanza di una coscienza politica nella popolazione. Protagonista del secondo dei film citati è un veterano del Guomindang che a T. non trova il paradiso sperato ma viene scambiato per una spia, ed è quindi costretto a cambiare identità e a fingersi traduttore, per quanto analfabeta. Uno sguardo caustico è anche quello di Chaoji daguo min (1985, noto con il titolo Super citizens) di Wan Jen, odissea tragicomica di un ragazzo di provincia alla ricerca della sorella nei bassifondi di Taipei. Nel corso del decennio si è cominciato inoltre a dedicare al tema della condizione femminile film importanti come Wo zheyang guole yisheng (1985, noto con il titolo Kuei-mei, a woman) di Chang Yi, in cui si narra la vita di una donna che, vessata dal sistema patriarcale, finisce per assumere il ruolo di capo famiglia e aderire alle stesse tradizioni che l'hanno oppressa.Accanto alla nuova consapevolezza tematica, in quegli anni è emerso anche uno stile caratteristico. Le sceneggiature hanno cercato di sviluppare storie aperte, lasciando lo spettatore libero di trarre la morale; mentre i registi hanno privilegiato il piano-sequenza e le inquadrature fisse in campo lungo, in modo da osservare il legame del personaggio con la realtà che lo circonda, e cogliere momenti di verità. Uno stile, specie in Hou Hsiao-hsien e Yang, di semplicità solo apparente, e anzi complesso, stratificato, ricco di ellissi, in ogni caso funzionale per riprese che si effettuano spesso con attori non professionisti, al di fuori degli studios.
Nel 1987 è stata revocata la legge marziale, con un'apertura verso un sistema politico multipartitico. T. si è quindi aperta al resto del mondo, e nel 1996 è stato nominato il primo presidente eletto dal popolo, Lee Teng-hui (pinyin Li Denghui). I film taiwanesi hanno continuato a essere richiesti dai festival di tutto il mondo e a vincere premi prestigiosi, a cominciare dal Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia a Beiqing chengshi (1989; Città dolente) di Hou Hsiao-hsien. Ma, proprio mentre registi come quest'ultimo e Yang arrivavano alla maturazione artistica, il pubblico locale ha iniziato a disaffezionarsi da un cinema che veniva considerato difficile e poco spettacolare. Con Beiqing chengshi, dedicato al travagliato periodo dal 1945 al 1949, Hou Hsiao-hsien (i cui film dal 1987 non sono più stati prodotti dalla CMPC) ha dato inizio a una trilogia sulla storia di T., continuata poi con Xi meng rensheng (1993; Il maestro burattinaio) sull'occupazione giappo-nese e la Seconda guerra mondiale, e Hao nan, hao nü (1995; Good men, good women), dove il presente viene confrontato con il periodo del cosiddetto terrore bianco. I suoi successivi film (Hai shang hua, 1998, I fiori di Shanghai e Qianxi manbo, 2001, Millennium mambo), sempre più raffinati e rarefatti, sono stati prodotti con capitali giapponesi e francesi, e hanno avuto scarso successo di pubblico. Lo stesso è successo a E. Yang, che ha girato negli anni Novanta i suoi film migliori: Guling jie shaonian sharen shijian (1991; A brighter summer day), immersione autobiografica negli anni Sessanta (un altro ritratto di una generazione senza padri sconvolta dalla violenza) e tre spaccati molto diversi della Taipei contemporanea. Il primo è dato dalla commedia Duli shidai (1995, noto con il titolo A confucian confusion); il secondo è il noir Majiang (1996, noto con il titolo Mah-jong); e infine Yi Yi (1999; Yi Yi ‒ e uno…e due…, premio per la regia al Festival di Cannes), toccante affresco plurigenerazionale di una famiglia.
Una seconda ondata di registi ha esordito all'inizio degli anni Novanta: il primo a farsi notare, anche all'estero, è stato Tsai Ming-liang, le cui radiografie della solitudine urbana hanno colto bene l'inquietudine delle giovani generazioni avvalendosi di uno stile di calibrato virtuosismo (Qingshaonian Nazha, 1992, I ribelli del dio neon, vincitore del Festival Cinema Giovani di Torino; e Aiqing wansui, 1994, Vive l'amour, vincitore del Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia). In Heliu (1997; Il fiume), invece, il regista ha usato la provocazione sessuale (dall'omosessualità all'incesto) come arma per attaccare la famiglia patriarcale. Se Tsai Ming-liang è di origine malese e ha studiato all'università di Taipei, Ang Lee, dopo aver studiato negli Stati Uniti è tornato in patria per dirigere due commedie di grande successo, coprodotte con capitali americani: Tui shou (1992, noto con il titolo Pushing hands) e Xi yan (1993; Il banchetto di nozze). Lee ha usato uno stile occidentalizzato per riflettere sui mutamenti della famiglia cinese. Dopo il fortunato quanto facile Yinshi nan nü (1994; Mangiare, bere, uomo donna), coprodotto dalla CMPC, ha iniziato una brillante carriera hollywoodiana, tornando a T. per un grande successo a sorpresa: Wo hu cang long (2000; La tigre e il dragone), che ha vinto quattro Oscar e reso popolare in tutto il mondo il genere hongkonghese delle arti marziali inaugurato da King Hu.Tra gli altri registi che hanno esordito negli anni Novanta vanno ricordati almeno lo sceneggiatore Wu Nien-chen per Taiping tianguo (1996, noto con il titolo Buddha bless America, satira dell'americanizzazione degli anni Sessanta) e Lin Chen-sheng (pinyin Lin Zhengsheng) per Meili zai changge (1998, noto con il titolo Murmur of youth), delicata storia sull'amore tra due ragazze. Ma tale vitalità artistica non è stata recepita dal pubblico locale; alla fine degli anni Novanta la produzione si è contratta a venti titoli all'anno e sono stati i film hollywoodiani a dominare il mercato.
Taiwan: nuove ombre elettriche, a cura di M. Müller, Venezia 1988.
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Taiwan: cinema degli anni Novanta, a cura di A. Aprà, Milano 1998.
B. Reynaud, Cinema di Taiwan: dall'occupazione giapponese a oggi, in Storia del cinema mondiale, a cura di G. P. Brunetta, vol. 4°, Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 857-77 e 1255-58.