TANCREDI
(Tancredus). – Nacque nel 1185 circa a Bologna.
Ebbe come maestri Azzone per il diritto civile romano («Et audivi dominum Azonem dicere quod supra dictae cautiones locum non habent consuetudine praevalente»: Ordo iudiciarius 2.15) e Lorenzo Ispano per quello canonico, e studiò altresì con Giovanni del Galles (Johannes Galensis). Tra i suoi maestri va pure annoverato il lusitano Silvestro Godinho (Silvester Hispanus), e da alcuni suoi scritti si può intuire l’ascendente accademico di Riccardo Anglico (Viejo-Ximénez, 2004, p. 428). Divenne nel 1214 magister decretorum e tra i suoi allievi è da ricordare Bartolomeo da Brescia.
Fu dapprima canonico (1215 circa) e poi arcidiacono (1226) del capitolo cattedrale della città felsinea. La sua fu una nomina diretta da parte di papa Onorio III, che pose in questo modo fine a una situazione di stallo dovuta a un contrasto fra vescovo e collegio dei canonici, cui sarebbe dovuta competere l’elezione dell’arcidiacono per disposizione dello stesso Onorio (Sarti, 1772, fol. 28-29). Tancredi era invero legato da uno stretto rapporto fiduciario con la Sede romana.
Fu l’autore di un apparato di glosse (poi divenuto nel 1220 la glossa ordinaria) alla prima, seconda e terza Compilazione antica.
Fu con Tancredi che cambiò in modo definitivo l’approccio metodologico a questo genere scientifico. Infatti egli, invece di riportare le glosse dei vari autori in modo anonimo all’interno di un proprio commento, come era stato fatto sino ad allora (il che non rendeva di facile intelligibilità quanto era da attribuire a un altro autore e quanto al commentatore), appose accanto a ogni glossa la sigla o il nome dell’autore, oltre a scriverne di originali. L’apparato appariva allora una sorta di ordinato mosaico al testo della norma, nel quale era con armonia riportato il pensiero dei maggiori autori sul contenuto legislativo in commento (Pennington, 2008, p. 238). Assieme alla glossa di Bernardo Compostellano, Vincenzo Ispano, Alano Anglico e Lorenzo Ispano alle altre Compilazioni, l’apparatus di Tancredi costituisce il fondamento della glossa ordinaria alle decretali di Gregorio IX, opera di Bernardo da Parma.
Tancredi non scrisse invece glosse né alla quarta né alla quinta Compilatio, opera quest’ultima di cui è ormai dimostrato che fu l’autore, su mandato di Onorio III che gli ordinò di redigere una collezione delle sue decretali a decorrere dal 1216, anno di inizio del pontificato.
La raccolta, al pari della terza Compilazione, assunse carattere ufficiale di legge universale per la Chiesa. Con la bolla Novae causarum del 1226 (Regesta Pontificum Romanorum, a cura di A. Potthast, I, Berolini 1847, n. 7684) che da Onorio III fu inviata e dedicata al suo autore, Tancredi appunto, «quatinus eis solempniter publicatis abque ullo scrupolo dubitationis utaris et ab aliis recipi facias tam in iudiciis quam in scholis». L’opera si caratterizza anche per essere l’unica raccolta di decretali postgrazianee che riporta (oltre alle decretali di Onorio III sino al 1226, penultimo del suo pontificato) anche testi di legislazione civile, e specificamente le disposizioni normative contenute in una costituzione di Federico II del 22 novembre 1220 (MGH, Legum, II, Hannoverae 1837, pp. 243-245) su alcune libertà della Chiesa, e sull’appoggio che l’imperatore avrebbe prestato nella lotta contro gli eretici e i loro favoreggiatori. Tale costituzione fu confermata da Onorio III il medesimo giorno (Regesta Pontificum Romanorum, cit., n. 6408). L’apparato alla quinta Compilatio è opera di Giacomo d’Albenga, canonista vescovo di Faenza morto nel 1273 che ebbe pure il merito di completare l’apparato di Tancredi alla prima Compilatio (Viejo-Ximénez, 2004, p. 429).
Su richiesta di Otto, che poi sarebbe stato vescovo eletto di Gurk (diocesi suffraganea di Salisburgo), Tancredi compose anche tra il 1210 e il 1214 un breve trattato sul matrimonio (una summula de matrimonio come egli stesso la definisce nell’incipit dell’opera) sulla falsariga del liber IV delle raccolte di Decretales (Summa de matrimonio, a cura di A. Wunderlich, Göttingen 1841), che fu poi rielaborato dopo il 1234 da Raimondo di Peñafort nella sua Summa de matrimonio. Agli stessi anni (1210-15) risalgono anche alcuni scritti minori, che preparano l’opera che a ragione ha reso celebre Tancredi, e per il cui apporto alla scienza giuridica è tutt’oggi ricordato: il suo ampio Ordo iudiciarius, terminato attorno al 1216.
Si tratta di una Summula de exceptionibus, una Summula de dolo et contumacia puniendi, una Summula de criminibus (edizione a cura di R. Fraher, in Bulletin of Medieval Canon Law, IX (1979), pp. 29-32), e alcune quaestiones (ibid., pp. 32-34). Nell’Ordo Tancredi riversa la sua formazione civilistica e canonistica. Come afferma nel Proemio (Pillius, Tancredus, Gratia, Libri de iudiciorum ordine, a cura di F.C. Bergmann, Göttingen 1842, rist. anast. Aalen 1965, p. 89), si proponeva una armonizzazione tra la procedura canonica (quale sinora formalizzata soprattutto nell’opera di Riccardo Anglico) e quella romana (esemplificata dalla Summa de ordine iudiciorum di Pillio, che «civili ordine, paucos tamen canones inducendo, ad modum summae scribendo perfecit»). Specificamente, premesso che le norme dei sacri canoni erano da preferire alle leggi civili, riteneva tuttavia che queste ultime potessero ben applicarsi anche alla procedura canonica quando non erano in contrasto con le norme ecclesiali («ubi leges sacris canonibus non repugnant»). Di fatto, i testi maggiormente usati da Tancredi furono il Decretum di Graziano, le decretali pontificie e i canoni dei concili sino alla morte di Innocenzo III. L’Ordo si suddivide in quattro parti. La prima tratta delle persone «quae debent consistere in iudicio» (giudici, ordinari e delegati; arbitri; collaboratori del giudice; avvocati e procuratori; «syndicus et actor», intesi come soggetti costituiti «ad agendum vel difendendum causa nomine universitatis»); nella seconda parte Tancredi svilupppò l’istruzione della causa, sia con riferimento a quella civile sia a quella penale e al ruolo dell’attore e del convenuto; argomento della terza pars è la litis contestatio «et omnibus, quae sequuntur in iudicio usque ad diffinitivam sententiam», con particolare riferimento alla raccolta e alla valutazione dei vari tipi di prova (giuramento, testimonianza, instrumenta ecc.); la quarta sezione è dedicata alla sentenza (definitiva e interlocutoria), alla sua validità e alla sua esecuzione, all’appello e alla restitutio in integrum quale rimedio processuale all’ingiustizia della cosa giudicata.
L’opera, concepita per la scuola e per la pratica, e scritta «assiduis postulationibus» dei propri «carissimi socii», si proponeva in definitiva di esporre le procedure «quo actor ad agendum, reus ad defendendum, et iudex ad causam audiendam, examinandam ac diffiniendam instrui valeant». Come a voler evidenziare che ogni parte nel processo ha un suo ruolo, e solo rispettandolo si può giungere alla ricostruzione della fattispecie e a identificare la verità (processuale, ma pur sempre verità), «possit veritas declarari» (Pillius, Tancredus, Gratia, Libri de iudiciorum ordine, cit., pp. 89 s.). L’Ordo fu rivisto da Bartolomeo da Brescia negli anni Trenta del XIII secolo per aggiornarlo alla luce delle decretali di Gregorio IX. L’opera ebbe un grande e duraturo successo, come dimostrano non solo i molteplici manoscritti del XIII e XIV secolo che la conservarono e la divulgarono (come numerose versioni francesi, prendendo le mosse dalle quali fu redatto il Casus legum, opera probabilmente da attribuire a Odofredo e databile tra il 1129 e il 1232: Bezemer, 2010, pp. 431 ss.), ma altresì il suo influsso sulle opere di autori successivi, come gli ordines iudiciarii di Grazia Aretino o Bartolomeo da Brescia (che già abbiamo ricordato come suo discepolo a Bologna), o ancora lo Speculum iudiciale di Guglielmo Durante che, anche dopo la revisione a opera di Giovanni d’Andrea e Baldo degli Ubaldi, «atteint le sommet des oeuvres de ce genre» (Stickler, 1957, col. 1138).
Morì a Bologna tra il 1234 e il 1236.
Fonti e Bibl.: M. Sarti, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, I, Pars II, Bononiae 1772, fol. 28 ss.; F.C. von Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, V, Heidelberg 1829, pp. 106 ss.; St. Kuttner, Repertorium der Kanonistik (1140-1234), Prodromus corporis glossarum, I, Città del Vaticano 1937 (rist. anast. 1981), pp. 327-354, 358-381; A.M. Stickler, Ordines judiciarii, in Dictionnaire de droit canonique, VI, Paris 1957, col. 1133-1145; Id., Iter Helveticum, in Traditio, XIV (1958), pp. 465-472; R. Weigand, Die bedingte Eheschließung im kanonischen Recht, I, München 1963, pp. 387-394; L. Chevailler, Tancredus, in Dictionnaire de droit canonique, VII, Paris 1965, coll. 1146-1165; R. Weigand, Neue Mitteilungen aus Handschriften, in Traditio, XXI (1965), pp. 481 s.; L. Boyle, The Compilatio quinta and the Registers of Honorius III, in Bulletin of Medieval canon law, VIII (1978), pp. 9-19; R. Fraher, Tancred’s «Summula de criminibus». A new text and a key to the Ordo iudiciarius, ibid., IX (1979), pp. 23-35; L. Fowler-Magerl, Ordo iudiciorum vel ordo iudiciarius, Ius commune. Sonderhefte 19, Frankfurt am Main 1984, pp. 128-130; St. Haering, Tankred von Bologna, in Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon, XI, Herzberg 1996, pp. 489 s.; J.M. Viejo-Ximénez, Tancredo (Tancredus), in Juristas universales, a cura di R. Domingo, I, Juristas antiguos, Madrid-Barcelona 2004, pp. 428-430; K. Pennington, The Decretalists 1190 to 1234, in The history of medieval canon law in the Classical period, 1140-1234, a cura di W. Hartmann - K. Pennington, Washington 2008, pp. 211-245; Id., Decretal collections 1190-1234, ibid., pp. 293-317; K. Bezemer, An italian gentleman in Paris. Odofredus and the casus legum on the Ordo iudiciarius of Tancredus, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis / Revue d’histoire du droit / The legal history review, LXXVIII (2010), pp. 431-442; A. Bettetini, Tancredi da Bologna, Tancredus, in Dizionario biografico dei Giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et alii, II, Bologna 2013, pp. 1930 s.