Tecnologia
di George Bugliarello, Luciano Gallino
TECNOLOGIA
Tecnologia di George Bugliarello
sommario: 1. La tecnologia come fenomeno. a) Introduzione. b) L'evoluzione della tecnologia. c) La natura della tecnologia. d) Il biosoma. e) Le conseguenze biologiche e sociali della tecnologia. f) Le patologie della tecnologia. 2. La tecnologia come processo. a) Inputs, outputs e trasformazioni. b) Ricerca e sviluppo; innovazione. c) Finalità, politiche tecnologiche e meccanismi regolatori. 3. L'ambiente e l'infrastruttura. a) Le influenze dell'ambiente. b) L'infrastruttura fisica. c) L'infrastruttura sociale. d) L'educazione dei produttori e degli utenti della tecnologia. 4. La tecnologia come strumento sociale. a) La tecnologia come strumento per i servizi sociali. b) La tecnologia come strumento per lo sviluppo. c) La tecnologia al servizio di scopi militari. 5. Il futuro della tecnologia. □ Bibliografia.
1. La tecnologia come fenomeno
a) Introduzione
La tecnologia, ossia l'estensione delle capacità biologiche umane per mezzo di artefatti sia tangibili sia non tangibili, è un fenomeno schiettamente umano, che amplia le facoltà dei nostri muscoli, dei nostri sensi, o del cervello stesso, riducendo la nostra dipendenza dall'ambiente e permettendoci di modificare progressivamente i processi biologici che regolano il funzionamento del nostro corpo e le leggi naturali dell'evoluzione.
La tecnologia permea e caratterizza al giorno d'oggi ogni aspetto della nostra vita, in alcuni casi in maniera assai evidente, in altri in modo molto più sottile; talvolta non ci rendiamo neppure conto del fatto che, quando ci viene somministrata una compressa per combattere il mal di testa o per aiutare la digestione, o anche quando beviamo un bicchiere di vino, ci stiamo avvalendo di prodotti messi a nostra disposizione dalla tecnologia.
In realtà ogni ora, anzi ogni minuto della nostra giornata ci mette a contatto con una qualche manifestazione di grandi sistemi tecnologici: ad esempio, con l'industria farmaceutica quando ci laviamo i denti, con le industrie tessili e chimiche quando indossiamo i nostri abiti, con le industrie dell'informazione quando apprendiamo le notizie del giorno dai mass media, con le industrie elettriche e petrolifere ogni volta che accendiamo una lampadina elettrica o il motore di un'automobile. Se, per la mentalità dell'uomo del Medioevo, il terrore era rappresentato da visioni dell'inferno con fuoco e zolfo, per la nostra mentalità moderna esso è piuttosto di natura tecnologica e può essere rappresentato, per esempio, dalla bomba atomica, da un blackout elettrico, dal talidomide, dal naufragio di una superpetroliera in prossimità di una spiaggia, o, più banalmente, dal restare senza benzina in mezzo al traffico delle ore di punta.
I sentimenti di amore e odio che caratterizzano ormai da tempo le reazioni di tanta parte della nostra società nei confronti della tecnologia derivano perlopiù dalla mancata comprensione delle infinite sfaccettature della tecnologia, che va considerata non soltanto come un fenomeno divenuto ormai parte integrante e determinante della nostra vita quotidiana, ma ancbe come strumento per l'azione e lo sviluppo sociale, come un processo con una dinamica e limitazioni proprie, influenzato dall'ambiente, dai costumi, dalla politica e da molti altri fattori. Ancora oggi non abbiamo - della tecnologia - una visione equilibrata, che ci possa guidare nelle difficili scelte che la tecnologia stessa ci obbligherà ad affrontare in futuro. Ciò deriva in gran parte dalla mancanza di un'adeguata filosofia della tecnologia, che si rivolga alla sua essenza come fenomeno che amplia e modifica le possibilità umane e, al tempo stesso, come processo nettamente distinto dalla scienza. Senza una tale filosofia, i nostri rapporti con la tecnologia a tutti i livelli avverranno in una sorta di vuoto intellettuale e morale. Non è stato finora studiato in modo approfondito il posto che la tecnologia è venuta a occupare o dovrebbe occupare nella nostra vita, né vi sono punti fermi o direttive autorevoli che ci guidino nei futuri sviluppi o nell'uso della tecnologia.
La tecnologia è nata con l'uomo e addirittura, in alcune forme molto semplici - quali, ad esempio, il formicaio o il bastone usato dallo scimpanzè - è più antica dell'uomo. Tuttavia, solo in data relativamente recente si sono fatti tentativi di capire l'essenza del fenomeno tecnologico e il futuro che esso ci apre. Benché i trattati sulla tecnica abbiano una lunga storia - possiamo citare le Georgiche di Virgilio, la Pirotechnia di Biringuccio e il De re metallica di G. Agricola - la prima grande opera che abbia collegato lo how to della tecnologia ai suoi scopi sociali fu l'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert. Le speculazioni sul futuro della tecnologia e di una società tecnologica sono ancora più recenti: J. Verne, E. Bellamy e H. G. Wells hanno tutti scritto negli ultimi cento anni o poco più, e la formulazione di scenari e lo sviluppo di metodi sistematici di predizione, quali, ad esempio, il metodo di Delfi, sono cosa dei nostri giorni (v. Kahn e Wiener, 1967; v. Kahn e altri, 1976; v. Hall, 1977; v. Gilfillan, 1964).
I recenti trattati sulla tecnologia - citiamo, ad esempio, i lavori di Mumford e di Ellul - sono di natura piuttosto critica che costruttiva. Infatti, mentre hanno espresso profonde preoccupazioni circa la direzione di sviluppo della tecnologia contemporanea e i suoi eccessi - in ciò associandosi a tanti artisti moderni: da Picabia a Charlot in Tempi moderni, da Duchamp a Th. Pynchon - non hanno proposto alternative realistiche.
b) L'evoluzione della tecnologia
La tecnologia ha raggiunto un tale grado di complessità che qualunque paradigma - di natura storica o funzionale - sia usato per descriverne l'evoluzione, condurrà necessariamente a una semplificazione eccessiva; tuttavia i paradigmi sono utili se si vuole mettere in evidenza almeno qualcuno dei più importanti aspetti del fenomeno tecnologico.
Allorché, intorno ai due-quattro milioni di anni fa, gli antenati dell'uomo furono scacciati dalla foresta da animali più forti e dovettero affrontare il difficile compito di cercare riparo, cibo e abbigliamento in un ambiente più ostile, già parecchie altre specie animali avevano imparato a utilizzare elementi del loro ambiente naturale per aumentare le loro possibilità di sopravvivenza, per esempio costruendo nidi, alveari o dighe. Ma, grazie alla sua maggiore capacità intellettuale e a un arto molto flessibile - la mano - l'uomo imparò ad affidarsi alla tecnologia per la propria sopravvivenza e il proprio sviluppo. A sua volta, la tecnologia, fin dai suoi stadi più arcaici - la lancia del cacciatore e il fuoco nelle caverne - incominciò a esercitare un'influenza notevole sull'organizzazione sociale dell'uomo e incoraggiò lo sviluppo di ruoli specializzati tra i membri della famiglia o della tribù, ben al di là di quanto non avvenisse nelle altre specie animali. L'organizzazione sociale divenne anzi essa stessa una forma di tecnologia, che conferì all'uomo una crescente superiorità sulle altre specie presenti nel suo ambiente naturale.
È possibile abbozzare l'evoluzione della tecnologia a partire da questi inizi primordiali considerando lo svolgimento di alcuni suoi temi fondamentali, in modo da mettere in luce la caratteristica fondamentale di questa evoluzione, ossia l'emergere di sempre nuovi campi tecnologici. Si noterà subito come ogni nuovo tema non abbia impedito l'ulteriore sviluppo delle spinte tecnologiche già emerse in precedenza.
Dal naturale all'artificiale e alla ‛progettazione' del naturale. - La tecnologia primitiva si limitava all'uso di materiali naturali e di forme di energia immediatamente utilizzabili, ossia pietre, legno, foglie, pelli, vento e correnti fluviali. Man mano che progrediva, però, la tecnologia cominciò a sostituire tali materiali o forme di energia con altri ottenuti attraverso processi artificiali sempre più complessi: dalla lavorazione della terracotta a quella dei metalli, dallo sfruttamento dell'energia idrica a quello del petrolio e dell'energia nucleare. L'utilizzazione su larga scala di materiali e di forme di energia creati o trasformati dall'uomo ha avuto ogni volta conseguenze profonde sulla società umana e sull'ambiente; si pensi, ad esempio, al passaggio dal Neolitico all'età del bronzo e, più tardi, alla rivoluzione industriale.
La tecnologia contemporanea ha fatto ancora un passo avanti con la creazione di strumenti per la ‛progettazione' del naturale, ossia per la trasformazione delle caratteristiche degli organismi biologici. Uno dei primi esempi di ciò è rappresentato dalla creazione di nuove specie vegetali o animali ibride, più adatte ai bisogni dell'uomo e ottenute attraverso riproduzione controllata. La possibilità di manipolare i codici genetici apre la via a un'ancor più avanzata progettazione di organismi biologici atti a rispondere a caratteristiche predeterminate dall'uomo. In realtà, tali organismi biologici - come chiariremo in seguito - vengono a condividere alcune caratteristiche delle macchine; si offusca così il confine tra ciò che è biologico e ciò che è creato dall'uomo.
Dalla tecnologia dei materiali a quella dell'energia, dell'informazione e dei sistemi. - Quando l'uomo, circa due milioni di anni or sono, emerse come specie distinta, la sua tecnologia era prevalentemente una tecnologia dei materiali, che fossero utilizzati per la costruzione di ripari o per la produzione di armi. Fu soltanto circa mezzo milione o, secondo scoperte recenti, forse un milione e trecentomila anni or sono che l'uomo riuscì a sfruttare il fuoco, avviando cosi un nuovo e fondamentale tema tecnologico, quello dell'energia, il quale, à sua volta, fu alla base della rivoluzione industriale, dei moderni sistemi di trasporti e della guerra moderna. L'invenzione della scrittura, che risale probabilmente a non più di settemila anni or sono, dette l'avvio al terzo grande tema tecnologico, quello dell'informazione, che avrebbe poi rivoluzionato la nostra vita con la diffusione di massa della stampa, dei calcolatori e delle telecomunicazioni. Infine, la necessità di coordinare i sistemi tecnologici sempre più vasti resi possibili dai progressi delle tecnologie dei materiali, dell'energia e dell'informazione, ha portato oggi alla creazione di una tecnologia dei sistemi, il cui scopo è far funzionare insieme molti elementi e funzioni diversi per il raggiungimento di un dato scopo. Tale tecnologia è diventata indispensabile per la costruzione e l'utilizzazione dei calcolatori, per il funzionamento dell'industria e degli ospedali, per dirigere le operazioni militari o per atterrare sulla Luna.
Dall'utilizzazione alla produzione e ai servizi. - All'inizio la tecnologia utilizzava la natura così come la trovava, ma ben presto cominciò a trasformarla, costruendo case per sostituire i ripari naturali, fortezze per creare strutture di difesa dove non ne esistevano di naturali, e canali per portare l'acqua dove non arrivavano i fiumi. In seguito, l'uomo ha sviluppato la capacità di creare artefatti in grandi quantità per mezzo della standardizzazione delle componenti e di una tecnologia della produzione, la cui massima espressione è la catena di montaggio. Un precursore della catena di montaggio può essere considerato l'Arsenale della Repubblica Veneta, nel quale si poteva costruire una nave in brevissimo tempo, cominciando dallo scafo e aggiungendo poi, in una serie di fasi successive, gli elementi dell'attrezzatura e dell'armamento. Poco dopo l'inizio del nostro secolo, Henry Ford rivoluzionò la fabbricazione delle automobili servendosi dello stesso principio.
La capacità di produrre artefatti complessi portò inevitabilmente alla ricerca di un'applicazione di questo know-how alla fornitura di servizi, da quelli sanitari all'istruzione e alle transazioni commerciali. Tale applicazione si dimostrò, però, ben più difficile del previsto a causa della natura intrinseca dei servizi, in quanto attività che rispondono a esigenze umane estremamente variabili. Soltanto nella seconda metà del nostro secolo l'informatica e la tecnologia dei sistemi hanno reso economicamente possibile lo sviluppo di risposte su larga scala e al tempo stesso flessibili alle esigenze dei servizi.
Dal controllo popolare a quello aristocratico; dal controllo democratico alla tecnologia di élite. - Nelle sue fasi più primitive, la tecnologia fu popolare e universale, nel senso che ogni essere umano poteva avvalersene, per esempio quando maneggiava bastoni, si copriva con pelli di animali o costruiva semplici ripari. Diventando più complessa, la tecnologia richiese la specializzazione, che a sua volta richiese forme di organizzazione sociale che finirono col mettere la tecnologia sotto il controllo di piccoli gruppi di leaders. La tecnologia divenne così essenzialmente aristocratica e si produsse un abisso tra le possibilità della gente comune di usare e controllare la tecnologia e quelle di quei pochi che avevano la facoltà di ordinare l'esecuzione di grandi progetti di costruzione o di costituire e comandare vasti eserciti. La costruzione delle piramidi in Egitto e della Grande Muraglia in Cina, l'organizzazione delle legioni romane e dell'immenso esercito di Luigi XIV sono esempi di tecniche aristocratiche.
Ma la rivoluzione industriale, le Rivoluzioni francese e americana e, soprattutto, la rivoluzione salariale iniziata da Henry Ford - il quale raddoppiò i salari allora abituali per dare agli operai la possibilità di comperare le automobili che essi stessi producevano - hanno finito col creare una forte classe media, che controlla in notevole misura i processi decisionali in materia di tecnologia. Grazie al loro notevole potere di acquisto, pressoché tutti i cittadini delle società più prospere hanno a disposizione grandi quantità di energia fisica sotto varie forme, che vanno dagli attrezzi meccanizzati ai veicoli, dall'elettricità all'accesso ai mezzi di telecomunicazione. In tal modo, con una spettacolare inversione di tendenza rispetto al passato, la tecnologia si è democratizzata attraverso il vicendevole rafforzarsi di democrazia e prosperità. D'altra parte, i grandi progressi tecnologici promossi dagli eventi che determinarono quest'era democratica della tecnologia contenevano in sé i semi della fase attuale della tecnologia.
In questa fase, mentre la quantità di energia fisica direttamente a disposizione del singolo cittadino continua a crescere, sono però emersi grandi sistemi tecnologici di energia smisurata, sui quali il controllo diretto dei singoli è scarsissimo. Un esempio emblematico di tale fenomeno è costituito dalle armi nucleari, il cui impiego in guerra richiede decisioni estremamente rapide, che non possono più essere assoggettate a un consenso democratico, ma devono invece essere affidate a un'élite.
Mentre dalla tecnologia popolare si passava a quella di élite, il singolo individuo perdeva progressivamente la capacità di produrre da sé i congegni tecnologici, salvo i più semplici. Nelle fasi primordiali della tecnologia l'individuo poteva - con le proprie mani - costruire ripari e fabbricare armi; poi, man mano che diventava più complessa, la tecnologia richiese certe organizzazioni sociali e la mobilitazione di risorse sempre più imponenti, rendendo impossibile per il singolo individuo produrre da solo un qualsiasi elemento significativo del sistema tecnologico. Oggi, se la nostra società fosse colpita da una catastrofe, se fossero distrutte fabbriche e altri mezzi di produzione e si perdesse la capacità organizzativa per la produzione della tecnologia, o addirittura la conoscenza dei processi tecnologici, saremmo costretti a ricominciare dallo stadio più elementare della tecnologia popolare.
La consapevolezza della capacità sempre minore del singolo individuo di realizzare da solo un prodotto tecnologico avanzato ha contribuito in non piccola misura a quei movimenti intellettuali secondo i quali la tecnologia ha spersonalizzato e alienato l'individuo. L'antidoto proposto è il ritorno a tecnologie più semplici e su scala più ridotta, sotto la parola d'ordine ‟piccolo è bello" (v. Schumacher, 1973). In realtà, il ritorno a una tecnologia primitiva renderebbe impossibile la sopravvivenza dell'umanità, data la densità di popolazione riscontrabile in tante parti del mondo (non si dimentichi, ad esempio, che all'epoca dei Romani la popolazione dell'Italia si aggirava sui cinque milioni di individui, mentre oggi è più di dieci volte superiore). Né il ritorno a una tecnologia meno complessa risulterebbe accettabile per una società avvezza a una medicina progredita, a viaggi veloci e a telecomunicazioni istantanee.
Dal tangibile all'astratto. - Un altro aspetto dello sviluppo tecnologico è costituito dal passaggio da una esclusiva concentrazione sul ‛tangibile' - cioè sulla produzione di oggetti materiali - all'interessamento per i problemi dell'organizzazione e dell'applicazione dei concetti tecnologici - per esempio quello di feedback - ad altri campi, dalla fisiologia all'economia. La tecnologia delle organizzazioni non è che un aspetto della tecnologia delle astrazioni, che sta diventando sempre più importante, dato il crescente bisogno di progettare software per i calcolatori, attraverso i quali la tecnologia viene coinvolta nei processi conoscitivi, nella dimostrazione di asserzioni logiche, nel gioco degli scacchi e in altri giochi e persino nel lavoro artistico, ad esempio mediante l'associazione di un calcolatore a un telaio per la produzione di nuovi disegni per stoffe.
Converrà, a questo punto, ricordare ancora una volta che le distinzioni tra questi vari temi non sono sempre nette, e che tutti i temi coesistono nell'intreccio che viene a costituire il processo tecnologico. Mentre stiamo cominciando a sviluppare l'ingegneria genetica, continuiamo a servirci di materiali naturali; mentre si stanno creando avanzati sistemi di informazione, una gran parte della tecnologia continua tuttora a essere impiegata per l'uso e la lavorazione di materiali tradizionali e per la produzione dell'energia; se molti elementi della nostra tecnologia sono ormai sfuggiti al controllo del singolo cittadino, altri ve ne sono sui quali possiamo esercitare un controllo maggiore che in passato; infine, mentre da una parte si sta inseguendo con mezzi tecnologici la sfera dell'astratto, dall'altra la tecnologia continua a essere soprattutto impiegata nella sfera del tangibile.
Aggiungiamo poi che nessuna esposizione, per quanto breve, dell'evoluzione della tecnologia può fare a meno di accennare alle profonde differenze storiche che tale evoluzione presenta in Oriente e in Occidente, poiché tali differenze contribuiscono a mettere in evidenza l'importanza dei fattori sociopolitici. Fino al Quattro e Cinquecento, le capacità tecnologiche dell'Oriente - soprattutto della Cina - e quelle dell'Occidente si trovavano più o meno allo stesso livello, anche se alcune tecnologie erano più sviluppate in Oriente, come la fabbricazione della carta e la stampa, mentre altre erano più avanzate in Occidente, come la navigazione.
Con il Rinascimento si verificò però, in Occidente, un importante cambiamento. La riscoperta della scienza greca, il generale fermento intellettuale della società - che facilitò i contatti tra artefici e sovrani - e la creazione di banche e di corporazioni promossero una rapida crescita della scienza e della tecnologia. La conseguenza fu che, nell'Ottocento, l'Occidente aveva ormai acquisito una schiacciante superiorità tecnologica che gli permise di dominare l'Oriente. L'unico paese orientale che abbia potuto sfuggire a tale dominio è stato il Giappone, il quale è riuscito, nel quasi mezzo secolo intercorso tra l'arrivo della squadra dell'ammiraglio Perry nella baia di Yeddo (1854) e l'inizio del Novecento, a trasformarsi da società feudale in una moderna società industriale. Il risultato più spettacolare di una simile trasformazione fu la disfatta inflitta da una flotta giapponese moderna alla flotta russa a Tsushima nel 1905.
Un aspetto notevole dello sviluppo tecnologico del Giappone sta nel fatto ch'esso s'innestò su una società assai diversa - per struttura e, ancor più, per i costumi e per l'atteggiamento verso la leadership - dalle società occidentali. Ancora oggi la società giapponese è fortemente paternalistica ed è meno soggetta al gioco dei vari gruppi di pressione, che predominano invece nelle società occidentali. Parimenti notevole è che il Giappone sia riuscito a sviluppare una forte tecnologia partendo da una carenza sia di risorse naturali sia di ricerca di base. L'impresa poté compiersi grazie a un elevatissimo grado di disciplina e di organizzazione, all'efficiente collaborazione che si stabilì tra industria e governo e grazie, infine, alla capacità di attingere - e sfruttare creativamente - informazioni scientifiche e tecnologiche da tutto il mondo.
I cicli tecnologici. - È possibile condensare i vari fattori dell'evoluzione della tecnologia dicendo ch'essa ebbe inizio quando un organismo biologico, l'uomo, usò il proprio lavoro per creare utensili a partire dagli elementi dell'ambiente. Nei termini più semplici, dunque, il lavoro creò il capitale, il quale, a sua volta, facilitò il compito dell'organismo biologico, aumentando la sua produttività o permettendogli di estendere il suo controllo sull'ambiente. La trasformazione del lavoro in capitale - che ha come conseguenza una maggiore produttività del lavoro, dalla quale deriva a sua volta la creazione di strumenti sempre più complessi - è il ciclo fondamentale che governa lo sviluppo della tecnologia. Così, lo sviluppo delle navi a remi e a vela promosse le comunicazioni che, fino al Rinascimento, fecero del Mediterraneo il centro dello sviluppo scientifico e tecnologico del mondo occidentale; l'invenzione del motore a combustione interna rese più efficiente l'agricoltura, liberando manodopera per il lavoro in fabbrica; a sua volta, l'automazione migliorò la produttività del personale nei processi produttivi e cosi via.
Man mano che i cicli tecnologici diventano più complessi, l'ingrediente fondamentale fornito dal lavoro è sempre meno energia muscolare e sempre più informazione, cioè conoscenze, know-how, controllo. L'informazione è l'essenza del processo che genera le nuove idee, le quali vengono poi tradotte in prodotti; essa è anche l'essenza del lavoro che una catena di montaggio altamente automatizzata richiede ai lavoratori.
In generale, i prodotti nuovi vengono montati e messi in funzione ‛in maniera artigianale' per produrre prototipi che, dopo un rigoroso controllo, saranno riprodotti su larga scala con mezzi più efficienti. Gli stadi iniziali dello sviluppo di un nuovo prodotto o di un nuovo processo produttivo sono quindi di norma carattenzzati da una maggiore intensità di lavoro, che diminuisce poi con la pratica e la produzione di massa (man mano che si procede lungo una ‛curva dell'apprendimento', che rappresenta la diminuzione del costo unitario in funzione dell'esperienza). Il costo del lavoro e il costo di produzione e, soprattutto, i costi di manutenzione vengono anch'essi ridotti con la standardizzazione delle componenti di un processo o di un congegno tecnologico, si tratti di un'automobile oppure di un programma per un calcolatore. È questa la lezione che Ford insegnò e diffuse agli inizi del nostro secolo.
Il ciclo che porta da una maggiore a una minore intensità di lavoro ha caratterizzato l'introduzione di molte tecnologie nuove. All'inizio, tuttavia, ridurre il lavoro spingendo l'automazione al massimo può non essere vantaggioso. Ad esempio, può essere necessario mantenere relativamente basso il livello di automazione in caso di domanda insufficiente della nuova tecnologia, ovvero si deve talvolta continuare a utilizzare il lavoro umano - anche se la nuova tecnologia non lo richiederebbe più - perché bisogna tener conto di fattori diversi, come il costume, la paura delle novità o le preoccupazioni dei sindacati. La paura delle novità fu alla base della legge che obbligava i primi automobilisti a farsi precedere da un uomo a piedi recante una bandiera, mentre sia la paura sia le pressioni dei sindacati sono insieme responsabili della presenza di una terza persona - il tecnico di volo - nella cabina di pilotaggio di molti aerei di linea, quando, dato l'elevato grado di automatizzazione, sarebbero sufficienti due sole persone, il primo e il secondo pilota.
Tra un ciclo tecnologico e l'altro vi possono essere notevoli differenze, e persino il progresso in direzione di un maggior investimento di capitale non è sempre inevitabile. Si danno situazioni in cui il progresso è stato rovesciato. All'inizio del Medioevo, per esempio, ci fu un ritorno dal capitale al lavoro, con l'abbandono di artefatti quali le strade e i canali costruiti dai Romani. Tale periodo registrò anche un decremento dell'alfabetizzazione: uno strumento per risparmiare lavoro ottenuto mediante l'apprendimento e cioè un'attività a intensità di lavoro. La guerra è un'altra causa di regresso dal capitale, che viene distrutto, al lavoro, mentre il dopoguerra - è accaduto in Europa e in Giappone dopo la seconda guerra mondiale - è un periodo in cui i cicli di formazione del capitale a partire dal lavoro subiscono una forte accelerazione.
I cicli tecnologici non si succedono secondo uno schema semplice: cicli minori si trovano inseriti all'interno di cicli maggiori. Così, all'interno di un ciclo generale di produzione di massa, possono svilupparsi cicli a maggior intensità di lavoro: si pensi alla produzione di vetture su ordinazione, abiti su misura, ecc.
I più evidenti tra i grandi cicli sono quelli che hanno prodotto uno spostamento del centro di gravità dell'investimento nella tecnologia e delle attività della popolazione, come il passaggio dall'agricoltura all'industria. La capacità - dell'industria - di costruire macchine di potenza ed efficienza crescenti ebbe come principali conseguenze l'aumento della produttività agricola da una parte e l'ulteriore sviluppo dell'industria dall'altra. La crescente automazione nei processi industriali rese poi disponibile manodopera per altre attività, avviando un ulteriore ciclo, caratterizzato, questa volta, dal passaggio dall'industria ai servizi: avendo l'agricoltura già raggiunto un alto grado di efficienza, soltanto il settore dei servizi poteva infatti fornire nuovi sbocchi per una forza lavoro altrimenti eccedente.
Naturalmente, ogni spostamento prodotto dai cicli maggiori ha provocato grandi perturbazioni sociali e tecnologiche. Se gli spostamenti sono troppo rapidi, la forza lavoro può avere difficoltà di adattamento: basti pensare agli immensi mutamenti avvenuti, in questo secolo, nella struttura occupazionale (dall'agricoltura all'industria e quindi ai servizi), mutamenti che hanno talvolta messo a durissima prova le capacità di adattamento dei singoli. Le trasformazioni rapide accelerano l'obsolescenza delle macchine, aggravando il fabbisogno di capitale per nuovi investimenti. Come esempi dell'elevato tasso di obsolescenza delle macchine, si pensi agli stabilimenti siderurgici, che invecchiano dopo appena venti anni, ai nuovi modelli di motori d'auto immessi sul mercato ogni tre o quattro anni, alle generazioni di aeroplani civili, che si succedono ogni dieci o quindici anni (con gli ingentissimi investimenti relativi), mentre le generazioni degli aeroplani militari si succedono a un ritmo ancor più rapido.
I macrocicli, che spostano il centro di gravità dell'occupazione in una società dall'agricoltura all'industria e poi ai servizi, sono i medesimi che caratterizzano il passaggio dalla condizione di paese in via di sviluppo a quella di paese sviluppato. In un paese in via di sviluppo la popolazione è occupata principalmente nell'agricoltura e nei servizi e in misura molto minore nell'industria; ma via via che il paese progredisce lungo la via dello sviluppo sia l'agricoltura che i servizi, diventando più efficienti, devono cedere manodopera all'industria.
Una volta che il ciclo di sviluppo di un paese abbia compiuto la sua evoluzione dall'agricoltura all'industria, non ci si può attendere che la manodopera divenuta eccedente in questi due settori trovi automaticamente impiego nel settore dei servizi. Occorreranno investimenti e nuove tecnologie per mettere tale settore in grado di soddisfare la domanda di maggiori servizi di una società divenuta più ricca: maggiori servizi che vanno da un sistema sanitario efficiente ed esteso a tutta la popolazione a una migliore istruzione e a più efficienti sistemi di trasporto e di distribuzione.
La sfida tecnologica consiste nel fornire servizi di qualità superiore rispetto a quelli delle fasi agricola e industriale dello sviluppo, e ciò a onta del fatto che i servizi debbono essere ora a disposizione dell'intera popolazione. Troppo spesso, purtroppo, la qualità dei nuovi servizi di massa, per la pressione esercitata dagli alti costi e dagli alti salari che caratterizzano un'economia postindustriale, ha invece come conseguenza, per l'individuo, un minor soddisfacimento dei suoi bisogni. Un esempio banale, ma tipico, è dato dalla difficoltà di ritirare i bagagli negli aeroporti. In passato, chi viaggiava in treno si occupava personalmente dei propri bagagli; oggi, chi viaggia in aereo si trova in una situazione paradossale: dopo un volo che in un periodo brevissimo gli ha fatto superare grandi distanze, deve spesso sprecare molto tempo nel recupero dei bagagli, per scoprire magari che sono andati smarriti o sono stati mandati a una destinazione sbagliata; sotto questo aspetto si ha quindi un regresso rispetto all'epoca anteriore ai viaggi in aereo. Date le grandi quantità di passeggeri e di merci che transitano negli aeroporti, la soluzione del problema sta in investimenti nella tecnologia dell'informazione e della movimentazione dei materiali, allo scopo di rendere il servizio più efficiente e insieme più personalizzato. Tale è infatti, generalmente, la natura del problema che la tecnologia deve affrontare nel settore dei servizi: si tratta cioè di progettare processi tecnologici avanzati, che permettano di produrre in massa soluzioni individuali, anziché stereotipate, a esigenze variabili.
È importante rendersi conto che anche nel settore dei servizi vi sono cicli tecnologici. Per esempio, oggi siamo in grado di mettere - rapidamente e a un costo unitario bassissimo - milioni di circuiti in una sola microchip; dobbiamo invece impiegare quantità considerevoli di tempo e di sforzi per fornire i programmi - il software - necessari per l'utilizzazione dei circuiti. L'alta intensità di lavoro che caratterizza la produzione di software promuove la ricerca di un'automazione che riduca i tempi di programmazione. Prende così l'avvio un nuovo ciclo tecnologico, nel quale il lavoro viene utilizzato per ‛ridurre' il lavoro (in questo caso, le capacità di programmazione vengono sfruttate per ridurre il lavoro di programmazione) senza la mediazione di strumenti o artefatti materiali - tranne il calcolatore -, che invece sono usati per la produzione tradizionale e per quella di hardware.
c) La natura della tecnologia
L'estensione delle facoltà biologiche dell'uomo per mezzo della tecnologia avviene lungo due direzioni dall'organismo verso l'esterno, per abbracciare e modificare aree sempre più vaste dell'ambiente (fino al macrocosmo dello spazio), e dall'organismo verso il suo stesso interno (sino al microcosmo degli organi e delle cellule). La spinta verso l'esterno ha operato fin dall'inizio della tecnologia: dalla prima volta che si usò un bastone per estendere la portata del braccio. La spinta verso l'interno è, invece, molto più recente, poiché richiede un grado avanzato di specializzazione. Le sue prime manifestazioni si ebbero, in epoche primitive, con la preparazione e la somministrazione rituale di erbe, pozioni e altre sostanze naturali, di cui erano state empiricamente scoperte le virtù terapeutiche. All'incirca quattromila anni fa gli Egiziani compirono il secondo passo (l'intervento meccanico diretto), penetrando all'interno del corpo con strumenti chirurgici. Il ritmo dell'intervento tecnologico sul nostro corpo si accelerò con l'invenzione del microscopio nel Seicento, poi con la scoperta dei raggi X alla fine dell'Ottocento e, soprattutto, con i progressi nella produzione di organi artificiali e nell'ingegneria genetica nella seconda metà del nostro secolo.
La tecnologia si è sempre avvalsa di tutte le conoscenze che potessero riuscirle utili per il suo scopo: l'estensione delle facoltà umane. In particolare, la scienza ha assunto un'importanza fondamentale per la tecnologia; sarebbe però un grave errore considerare la tecnologia semplicemente come un'applicazione della scienza. Molti progressi tecnologici nascono dall'esperienza e dall'intuizione, piuttosto che da applicazioni esplicite di conoscenze scientifiche; ad esempio, gli ingegneri navali dovettero calibrare la potenza dei motori delle navi molto tempo prima che l'idrodinamica risolvesse, all'inizio del nostro secolo, il paradosso di d'Alembert, secondo il quale un corpo che si muova a velocità costante attraverso un fluido non dovrebbe incontrare alcuna resistenza (v. Prandtl, 1927).
È perciò più rispondente al vero dire che, se la tecnologia - in particolare quella moderna - fa il massimo uso possibile della scienza, il suo sviluppo è però in larga misura autonomo. D'altra parte, anche la scienza dipende dalla tecnologia: la portata e la profondità della scienza contemporanea risulterebbero impossibili senza i calcolatori, il radar, il microscopio elettronico o l'ultracentrifuga. Ciascuno di tali congegni, è vero, incorpora principî scientifici, ma è anche il prodotto di un'ingegneria avanzata; analogamente, l'esplorazione dello spazio è un trionfo tecnologico - basato, certo, su alcuni principî scientifici fondamentali - che ha aperto alla scienza possibilità immense di ampliare le sue conoscenze dell'Universo e di controllare molte sue teorie. Una delle caratteristiche fondamentali della scienza moderna è dunque la sua notevole dipendenza dalla tecnologia (ma è altrettanto vero l'inverso).
Sebbene i confini tra tecnologia e scienza non siano netti, non bisogna però confondere la natura delle due attività: l'una attinge all'altra, ma ognuna segue i propri metodi ed è guidata dalle proprie verità. Se la scienza, in quanto ricerca di una verità riproducibile, è fine a se stessa, la tecnologia è invece il mezzo per un fine. La scienza osserva la natura, la misura, astrae l'informazione essenziale, generalizza le sue scoperte sotto forma di teorie e controlla la verità di una teoria attraverso la validità delle predizioni ch'essa consente. La tecnologia, invece, opera con fini utilitaristici, spesso guidata da considerazioni di efficienza e di costi (irrilevanti per la scienza) e non può con altrettanta facilità controllare sperimentalmente le sue teorie né modificare i risultati. Come si potrebbe, per esempio, ‛sperimentare' il progetto di una grande città? Un esempio di questa impossibilità è dato dalla costosa battaglia combattuta invano da R. Moses nel tentativo di assicurare sufficienti possibilità di scorrimento al traffico tra New York e Long Island. Dopo la costruzione - in rapida successione - di tre immensi ponti, ognuno dei quali sortì l'effetto di intensificare il traffico anziché ridurre la congestione, la battaglia fu abbandonata (v. Caro, 1974).
Poiché è impossibile controllarne, sulla scala temporale umana, le conseguenze biologiche ultime, la tecnologia risponde a criteri di valore rispetto ai quali il problema della verità è irrilevante; mentre, infatti, ha senso chiedersi se un'asserzione scientifica sia vera, la stessa domanda sarebbe priva di significato nel caso di una macchina, che non può essere né vera né falsa. La questione della verità può ricevere una risposta, nel caso della macchina, solo se riferita ai fini per i quali è stata costruita; per esempio ‟è vero che questa macchina può produrre una potenza di 50 watt?".
Come abbiamo già accennato, in passato il concetto di tecnologia abbracciava soltanto le attività che estendevano le nostre facoltà per mezzo di artefatti tangibili (in realtà, soltanto di un certo tipo di artefatti tangibili, quali le costruzioni, le macchine meccaniche o elettriche o gli impianti chimici). Gli artefatti non tangibili, come uno schema ‛organizzazionale' o un procedimento medico, non erano considerati di pertinenza della tecnologia. Oggi, con la programmazione dei calcolatori, l'ingegneria dei sistemi e l'ingegneria genetica, la concezione tradizionale della tecnologia come attività confinata agli artefatti tangibili è divenuta insufficiente. Siamo quindi costretti ad accettare una definizione più larga, comprendente le estensioni tecnologiche sia tangibili sia non tangibili delle nostre facoltà biologiche.
Ciò non vuol dire che scompariranno le distinzioni tra le varie professioni e attività che utilizzano la tecnologia - per esempio tra la medicina e l'ingegneria o tra l'agricoltura e le arti grafiche -, ma piuttosto che è utile guardare a tutte queste attività come ad attività coinvolte nell'estensione delle nostre capacità naturali e quindi come facce diverse del medesimo fenomeno generale. Il riconoscimento di questa realtà contribuisce a una concezione unitaria di professioni e attività spesso considerate antitetiche o irrilevanti le une per le altre, come l'arte rispetto all'ingegneria o la medicina rispetto alla produzione industriale.
d) Il biosoma
Per meglio illustrare la natura della tecnologia, bisogna considerare che, a un certo punto della loro evoluzione, gli organismi biologici produssero due entità che proseguono, all'esterno del corpo, il processo evolutivo: le macchine e la società. Se chiamiamo macchina ogni artefatto creato da un organismo biologico e definiamo la società come il complesso di norme e organizzazioni che guidano le interazioni tra organismi biologici della stessa specie, diventa naturale considerare queste tre entità evolutive - l'organismo biologico, la società e le macchine - come un'unità, il biosoma, che è la base della nostra evoluzione futura. L'uomo moderno può essere considerato sensatamente soltanto dal punto di vista dell'unità - in lui - di queste tre entità: gli uomini non potrebbero infatti oggi sopravvivere, se non in numero molto ridotto e in condizioni assai più primitive delle attuali, senza macchine complesse e senza organizzazioni sociali. La tecnologia può dunque essere vista come l'insieme delle attività che ci prolungano socialmente e biologicamente per mezzo di macchine (secondo la definizione comprensiva datane sopra).
Nell'evoluzione del biosoma, sia la società sia le macchine hanno progressivamente acquisito una complessità che comincia ad avvicinarsi a quella dell'organismo biologico. Così, con la tecnologia dei calcolatori e delle comunicazioni, le macchine possono oggi, in certi casi, elaborare e immagazzinare informazioni meglio di quanto possiamo fare noi stessi. Analogamente, il numero di individui - collegati da interazioni sempre più frequenti - che vivono oggi nel mondo (circa 4 miliardi) è dello stesso ordine di grandezza del numero di cellule che costituiscono un grande organismo vivente. (Il fatto che sia gli individui sia i gruppi perseguano spesso scopi diametralmente opposti rispetto ad altri individui e ad altri gruppi, invece di agire in armonia - come le cellule di un organismo biologico -, è indice dell'entità della sfida che la componente sociale del biosoma deve affrontare).
In un senso molto radicale, il nostro futuro dipenderà dagli scambi tra le componenti del biosoma. Man mano che la società e le macchine diventeranno più complesse, saremo sempre più in grado di scegliere se esercitare le nostre funzioni biologiche in maniera biologica, o per mezzo di processi sociali, oppure per mezzo di macchine. Molte scelte di questo tipo vengono fatte già oggi, consciamente o inconsciamente, nella vita individuale come in quella collettiva: per esempio, per la prevenzione delle nascite abbiamo ora la possibilità di scegliere tra l'osservanza dei ritmi biologici, l'esercizio di una pressione sociale per costringere all'astinenza o il ricorso a un qualche dispositivo meccanico. Altro esempio: sono sempre esistiti strumenti sociali potenti - la storiografia, la poesia, ecc. - per perpetuare la memoria di persone illustri, anche da lungo tempo scomparse; oggi, le macchine che immagazzinano immagini, voci e persino geni danno virtualmente la possibilità di perpetuare la memoria di tutti i membri di una società.
Gli scambi tra le componenti del biosoma hanno spesso una grande importanza strategica, politica o industriale. Per esempio, nella programmazione dello sviluppo di un paese una delle scelte fondamentali è quella tra uno sviluppo caratterizzato dall'intensità di capitale, e quindi fortemente dipendente dalle macchine, e uno sviluppo caratterizzato dall'intensità di lavoro, e quindi basato sulla componente sociale del biosoma. La medesima alternativa si presenta quando si progetta un impianto industriale o si esegue un progetto di costruzione.
e) Le conseguenze biologiche e sociali della tecnologia
Ciascuna delle componenti del biosoma influenza le altre. La tecnologia, che è l'elemento del biosoma centrato sull'artefatto - la macchina - avrà perciò necessariamente conseguenze sia nel campo biologico, sia in quello sociale (quest'ultimo inteso in senso lato, sì da comprendere l'economia, la politica, la religione, il sistema dei valori e le strutture sociali). Spesso tali effetti comportano un notevole incremento delle nostre capacità e del benessere sociale (questo era appunto l'obiettivo); ma talvolta gli effetti sono invece negativi, potendo comportare il danneggiamento o addirittura la distruzione di entità biologiche o sociali. In nessun caso, comunque, la tecnologia resta priva di effetti.
Tra gli effetti più evidenti che la tecnologia (prodotto del cervello e dell'attività umana) ha avuto nel campo biologico, menzioniamo la supremazia che essa ha dato all'uomo sulle altre specie, il prolungamento della vita media dell'uomo e la possibilità di vincere la gravità e di muoversi nello spazio. Per quanto riguarda il campo sociale, l'influsso della tecnologia è stato dominante nello sviluppo di un gran numero di fenomeni sociali: dall'agricoltura alla città, dagli eserciti alle corporations moderne. Per esempio, si ritiene che - nell'antica Cina - sia stata la tecnologia necessaria per la costruzione di argini contro le inondazioni a esigere la creazione di strutture sociali che portarono poi alla nascita della monarchia cinese e all'unificazione del paese.
Le conseguenze sociali della tecnologia possono arrivare molto lontano. La comparsa della famiglia nucleare, per esempio, è dovuta alla mobilità della società moderna, a sua volta sollecitata dalla tecnologia e dalla necessità di seguire le occasioni di occupazione dovunque l'industria le offra. L'istantaneità delle comunicazioni ha trasformato la natura della diplomazia, col risultato di accentrarla assai più che in passato e di indebolire il ruolo tradizionale degli ambasciatori. La medesima capacità di comunicare istantaneamente, inoltre, ha da una parte rafforzato il potere degli Stati autoritari e dall'altra ha ampliato la domanda di partecipazione al processo politico.
La supremazia biologica dell'uomo - frutto della tecnologia - ha messo a repentaglio la sopravvivenza di molte altre specie, sia animali che vegetali, e ha profondamente alterato l'equilibrio ecologico della Terra. Un'estrapolazione dalle tendenze attuali lascia prevedere per i prossimi venticinque anni - cioè lo spazio di una generazione - una crescita della popolazione della Terra dagli attuali 4 a 6 miliardi di individui, la distruzione del 40% delle foreste tropicali rimaste e l'estinzione del 20% delle specie animali e vegetali ancora esistenti (v. The global 2000..., 1980).
Poiché le alterazioni dell'equilibrio ecologico - come i cambiamenti nello strato di ozono che protegge la Terra da livelli altrimenti letali di radiazioni solari - possono avere conseguenze catastrofiche, è indispensabile un continuo controllo degli effetti biologici e ambientali della tecnologia. Altrettanto indispensabile, però, è il controllo degli effetti sociali della tecnologia, per evitare non soltanto gli orrori di una guerra nucleare, ma anche le gravi perturbazioni sociali provocate da mutamenti tecnologici e sociali troppo rapidi, che alienano e lasciano indietro vasti settori della popolazione.
f) Le patologie della tecnologia
È inevitabile che la tecnologia - in quanto mezzo per estendere al di là del corpo le nostre facoltà mediante artefatti - presenti fenomeni patologici, né più né meno di un organismo biologico. I mali della tecnologia sono principalmente di quattro tipi diversi, ognuno dei quali richiede cure particolari.
Le patologie delle macchine. - I guasti degli artefatti tecnologici possono essere causati da ragioni assai diverse, che vanno da errori di progettazione a difetti nei materiali o nella costruzione, all'utilizzazione errata dell'artefatto stesso. Per esempio, nel progetto di una struttura possono essere state mal calcolate le tensioni che vengono a esercitarsi sulle varie parti oppure una data parte può essere stata costruita di un metallo non rispondente alle caratteristiche richieste o, ancora, durante le fasi della costruzione quella parte può essere stata mal collegata con le altre; infine, può accadere che, nell'uso, la struttura venga sottoposta a sollecitazioni molto superiori a quelle previste dal progetto, oppure che una manutenzione difettosa provochi il deterioramento di qualche elemento.
Allo stesso modo, nel caso del programma per un calcolatore, il difetto può risiedere nella concezione generale, o ‛architettura', o in una delle componenti (ad esempio in un sottoprogramma); può anche esserci un errore nella codificazione del programma in un appropriato ‛linguaggio macchina'. Anche un programma di calcolatore, come una struttura, può essere utilizzato per scopi diversi da quelli per i quali era stato concepito o possono risultare carenti la manutenzione e l'aggiornamento.
In entrambi i casi i rimedi sono ovvi, anche se non sempre facili: migliori progetti, controllo di qualità nella produzione degli elementi del progetto e nel processo di traduzione del progetto nell'artefatto, più attento controllo degli usi dell'artefatto e più attenta manutenzione. Le difficoltà maggiori nascono allorché il progettista, spingendosi oltre i limiti delle conoscenze disponibili, deve basarsi su congetture anziché su calcoli razionali, o quando gli utenti di un artefatto tecnologico hanno una conoscenza troppo scarsa della teoria che è alla base della sua progettazione e del suo funzionamento. Un esempio tipico di ciò è l'incidente avvenuto a un DC-10 a Chicago nel 1978: un errato procedimento di rimozione dei motori dalle ali a scopo di manutenzione finì col produrre crepe nella struttura di supporto di uno dei motori, con la conseguenza che esso si staccò durante il decollo.
Le patologie del sistema sociale. - Carenze o difetti di un dato sistema sociale possono provocare l'uso improprio o l'abbandono di artefatti e sistemi tecnologici. I casi di uso improprio della tecnologia abbondano: dall'uso della tecnologia dell'informazione per controllare la vita della gente all'impiego di tecnologie nucleari, chimiche o biologiche a scopo bellico. Un esempio di abbandono di un sistema tecnologico è rappresentato dalla decadenza, nell'Alto Medioevo, dell'imponente rete di strade romane, decadenza provocata dalla dissoluzione dell'Impero romano; altro esempio è il deperimento, all'inizio dell'Ottocento, del sistema di irrigazione costruito dai colonizzatori francesi a Haiti.
Meno spettacolare, ma altrettanto importante nel suo insieme, è la miriade di insuccessi tecnologici dovuti all'incapacità di un sistema sociale di fornire ai lavoratori e agli utenti della tecnologia l'abilità, la disciplina e le motivazioni necessarie sia per crearla sia per usarla vantaggiosamente: l'incapacità, per esempio, di incoraggiare lo spirito imprenditoriale e l'innovazione, o l'incapacità di stimolare l'apprendimento dell'uso dei calcolatori o delle istruzioni per l'uso e la manutenzione delle macchine.
Il rimedio all'abbandono della tecnologia è, almeno in linea di principio, assai semplice: ristabilire un'adeguata disciplina sociale. Ben più difficile, invece, è porre rimedio a un uso improprio della tecnologia, poiché l'improprietà implica un giudizio di valore. È proprio qui che il concetto di biosoma, collocando il giudizio nel contesto dell'evoluzione, diventa cruciale. Se consideriamo la tecnologia come un'estensione extracorporea dell'organismo biologico, dobbiamo accettare il fatto che, come tutte le tappe evolutive che l'hanno preceduta, anche la tecnologia aumenta le facoltà umane di fare sia il bene che il male. Incombe quindi sulla società tecnologica il compito di usare questi poteri metabiologici dell'uomo al fine di rafforzare, e non distruggere, tale vantaggio evolutivo.
Le patologie delle componenti biologiche. - Il fatto che fenomeni patologici dell'uomo come organismo biologico possano incidere sull'uso dei mezzi tecnologici è evidente: basti pensare alla guida in stato di ebbrezza o a un pilota di aeroplano colpito da infarto durante il volo. Ancora più serie sono, però, le possibili conseguenze di certi insidiosi stati psicopatologici sui responsabili di mezzi tecnologici potenti, quali un missile nucleare o una banca di dati. La paura della tecnologia, che occupa oggi gli animi di molte persone e costituisce il Leitmotiv di tanta parte dell'arte e della letteratura dei nostri giorni, è principalmente la paura che la tecnologia possa essere usata per rafforzare i nostri impulsi psichici irrazionali.
La difesa contro tali patologie va ricercata in una costante vigilanza sociale, che permetta di identificare per tempo i potenziali responsabili di errori nell'uso - e nella progettazione - della tecnologia e quindi, allontanandoli dalle loro posizioni, di rimuovere una potenziale causa di danno. (È proprio per questa ragione, per esempio, che, nelle nazioni responsabili, il potere di lanciare un missile nucleare è soggetto a controlli estremamente rigorosi; per lo stesso motivo, desta seria preoccupazione il fatto che tale potere possa essere acquisito da sistemi sociali meno stabili).
Un'ulteriore insidiosa patologia biologica della tecnologia è la disumanizzazione dell'uomo, cui la tecnologia può condurre se gli strumenti e le tecniche diventano un meccanismo di difesa, che ci separa e ci protegge dalla nostra coscienza (v. May, 1975). La difesa contro questa possibilità può soltanto venire dallo sviluppo di una più chiara comprensione della natura di una data tecnologia, ossia delle effettive implicazioni della sostituzione, o del potenziamento, di una certa facoltà umana con una macchina.
Con il rapido aumento delle possibilità di imbrigliare i processi biologici al servizio della tecnologia - si pensi all'ingegneria genetica - le patologie di tali processi stanno acquistando rilevanza per la tecnologia. In effetti, sta oggi nascendo una nuova sfera tecnologica, nella quale le possibilità di fallimento non sono più soltanto quelle tradizionali delle tecnologie inanimate, ma in ugual misura quelle derivanti dalle patologie di quei sistemi viventi che sono, in realtà, gli artefatti della nuova tecnologia. Insieme con le sue immense promesse tecnologiche, dunque, l'ingegneria genetica porta con sé un doppio pericolo tecnologico, contro il quale dovranno essere approntate salvaguardie ben più rigorose di quelle messe in opera in relazione agli artefatti inanimati.
Le patologie dei rapporti tra le varie componenti di un sistema tecnologico. - Molto spesso, la potenza, o la prestazione, di una componente di un sistema tecnologico risulta superiore, o inferiore, alla potenza, o alla prestazione, delle altre componenti. Ciò accade, per esempio, quando un guidatore - a una velocità superiore al proprio tempo di reazione fisiologica - perde il controllo della vettura, o allorché il pilota di un cacciabombardiere perde momentaneamente conoscenza a causa di un'accelerazione che, ben sopportata dal suo apparecchio, eccede invece la sua tolleranza fisiologica. Un altro esempio può essere lo scarto tra l'immensa quantità d'informazione che ci giunge attraverso la radio, la televisione, i libri, i giornali, e la nostra capacità di selezionarla per trarne un'immagine coerente dei fatti. Lo scarto tra la quantità d'informazione e la nostra capacità di assimilarla è ancor più accentuato in certi campi professionali - dalla medicina alla giurisprudenza all'ingegneria - nei quali conduce a una specializzazione insieme sempre più profonda e sempre più angusta, col risultato di rendere impossibile la comprensione di un argomento nella sua totalità.
I rimedi agli scarti tra le varie componenti di un sistema tecnologico stanno evidentemente nel concepire e nell'utilizzare i sistemi tecnologici proprio in quanto sistemi, avendo cura di armonizzare le prestazioni delle varie componenti. In alcuni casi la cosa è agevole, una volta compresa la natura del problema; per esempio, nel caso del bombardiere, bisognerà dotare l'apparecchio di un meccanismo di pilotaggio automatico che sia in grado di sostituirsi al pilota nel momento in cui le sue capacità diventino insufficienti, oppure si dovrà contenere entro limiti fisiologicamente accettabili l'accelerazione in normali condizioni di volo. In altri casi sono invece necessarie concezioni radicalmente nuove che oggi ci sfuggono. Tale è il caso dello scarto tra l'informazione disponibile e la capacità umana di assorbirla, che potrà essere ridotto soltanto rivoluzionando sia i contenuti sia le modalità dell'apprendimento e ristrutturando molti aspetti delle nostre attività.
Illustrare le patologie del biosoma - sia pure schematicamente, come noi abbiamo fatto - è importante, in quanto troppo spesso si tende a vedere nell'artefatto tecnologico - la macchina - l'origine di catastrofi o perturbazioni sociali, che nascono, invece, da una cattiva organizzazione sociale o dalle patologie dell'uomo stesso. Ad esempio, la disoccupazione è spesso imputata alle macchine piuttosto che alle disfunzioni delle organizzazioni sociali e dei sistemi economici. In realtà, perché possa rispondere alle svariate esigenze umane, la sostituzione di funzioni umane con macchine o altri processi tecnologici richiede adeguati investimenti di risorse materiali e intellettuali; se la società - utilizzando la tecnologia - non è disposta a tali investimenti, le promesse della tecnologia possono tramutarsi in amare delusioni.
2. La tecnologia come processo
a) Inputs, outputs e trasformazioni
La tecnologia può essere considerata come un processo razionale che riunisce, organizza e trasforma risorse allo scopo di estendere le nostre facoltà. Tale processo prende forme diverse a seconda della natura dei suoi specifici inputs e outputs e delle attività che trasformano i primi nei secondi. Esso è guidato da un insieme di finalità espresse da una qualche forma di politica tecnologica e deve essere regolato da adeguati meccanismi di controllo.
Gli inputs del processo tecnologico sono costituiti dalle risorse necessarie per la sua attuazione: informazione, capacità umane, macchine, energia e materiali. Gli outputs consistono anch'essi di informazione, capacità, macchine, energia, materiali e risorse naturali, resi accessibili o trasformati mediante il processo tecnologico. Se l'output principale è la produzione di artefatti tangibili - dalle macchine alle case - il processo tecnologico è un processo di fabbricazione o costruzione; se l'output è rappresentato da capacità e conoscenze, è un processo educativo; se l'output consiste di cure mediche, è un processo sanitario e così via. Ciascuna di queste attività opera su aspetti differenti degli elementi basilari della tecnologia: l'energia, i materiali e l'informazione. Per esempio, l'industria chimica, fondamentalmente, trasforma materiali (usando energia); l'industria energetica trasforma l'energia, e l'industria dei calcolatori trasforma l'informazione.
Esiste, per la natura delle cose, una vasta gamma di possibili combinazioni di inputs, cui si può ricorrere per la produzione di un dato output. Ciò permette, per esempio, di sopperire a una scarsità di energia aumentando l'input di informazione, o di accelerare la trasformazione di materiali applicando grandi quantità di energia. Nell'industria biotecnologica l'informazione particolareggiata sulle caratteristiche degli organismi biologici permette di effettuare a temperature molto più basse e con inputs di energia molto minori - utilizzando certi organismi, quali gli enzimi - trasformazioni di materiali che altrimenti richiederebbero grandi quantità di energia e catalizzatori funzionanti a temperature elevate.
C'è una larga possibilità di scelta anche per quanto riguarda le combinazioni di capitale e lavoro che si possono impiegare per ottenere una data trasformazione tecnologica. Un processo può essere caratterizzato da intensità di capitale o da intensità di lavoro, anche se esistono evidentemente dei limiti, dato che nessuna quantità di lavoro con strumenti semplici può sostituire un motore a reazione, un reattore nucleare o un apparecchio per radiografie; inversamente, nessuna macchina può, al momento attuale, sostituire il chirurgo in sala operatoria o prendere importanti decisioni tecnologiche. D'altra parte, i limiti di ciò che può essere fatto dalle macchine si spostano in continuazione e lo sviluppo della tecnologia consiste in realtà, tra l'altro, nello sviluppo di strumenti e processi sempre più sofisticati e ad alta intensità di capitale.
La trasformazione degli inputs negli outputs avviene attraverso un processo organizzato un sistema - nel quale molti elementi diversi devono cooperare per produrre il risultato desiderato. Ciò comporta vari stadi.
Il coordinamento degli inputs. - Tutte le risorse necessane per l'attuazione di un processo incidono sul controllo e sulla conduzione, nonché sulla localizzazione, dell'impresa tecnologica. Per esempio, la fonte e la disponibilità di capitali determineranno sia il grado della propensione dell'impresa al rischio sia il grado dell'intensità di capitale. A sua volta, la disponibilità di lavoro inciderà sulle dimensioni dell'impresa, o sulla sua localizzazione e sul suo grado di automazione. La localizzazione è influenzata pure dalla disponibilità dei trasporti, come anche dalla localizzazione e dalla natura delle fonti di energia e dei materiali.
La canalizzazione e la manipolazione degli inputs. - In un processo parallelo le operazioni necessarie si svolgono simultaneamente e i loro outputs vengono poi associati per ottenere il risultato desiderato. In un processo sequenziale, invece, il prodotto prende forma passando successivamente per una serie di fasi, ciascuna delle quali prevede un piccolo numero di operazioni. Questa concettualizzazione non si applica esclusivamente ai processi produttivi; per fare un esempio, nel campo sanitario lo screening è un processo mediante il quale vengono - in successione - misurati parametri vitali ed eseguiti test diagnostici su un individuo, che passa da un laboratorio all'altro o da uno specialista all'altro.
In realtà, sono pochi i processi di trasformazione tecnologica esclusivamente sequenziali o paralleli. Persino nel paradigma del processo sequenziale, la catena di montaggio di autoveicoli, la produzione di varie sottocatene è sincronizzata con quella della catena principale in vista del risultato finale. La sincronizzazione richiede una pianificazione speciale (con l'uso, per esempio, dei metodi ‛del percorso critico'), che permetta di individuare nel processo i nessi più critici e di assicurare che al momento opportuno vi sia la dovuta convergenza delle operazioni effettuate parallelamente. Anche nel campo sanitario si rende necessaria quella che potremmo definire la gestione del paziente per coordinare i risultati delle analisi specialistiche in un quadro unitario, in vista di un intervento clinico che consideri il paziente nella sua interezza piuttosto che come un insieme di organi separati.
In ciascun caso, il problema fondamentale è assicurare l'utilizzazione ottimale dei vari ingredienti del processo. Ne deriva la necessità di decidere, per esempio, il grado di automazione di un processo o il modo migliore di associare operai e macchine. Dal punto di vista psicologico, le modalità dei processi di trasformazione tecnologica - sia in fabbrica che in ufficio - possono avere un'influenza rilevante sul morale e sull'autostima di quanti vi partecipano. Le catene di montaggio tendono a favorire la disumanizzazione e l'alienazione degli operai a causa della monotonia delle operazioni, mentre tutti i processi nei quali ciascun operaio esegue una molteplicità di operazioni e segue il prodotto dall'inizio alla fine sono molto meno alienanti e danno un senso di partecipazione, ma sono in generale meno efficienti. Le condizioni di lavoro alla catena di montaggio possono essere notevolmente migliorate mediante l'automazione, specialmente con l'uso di robot che sostituiscano gli operai nell'esecuzione di compiti ripetitivi o pericolosi. Senonché, in linea generale, soltanto un'automazione completa risolverà il problema, poiché l'associazione di operai e macchine automatizzate può risultare ancor più alienante ed è, d'altra parte, particolarmente vulnerabile all'assenteismo operaio, quali che ne siano le cause.
Feedback. - Se i suoi outputs non corrispondono agli obiettivi desiderati, il processo deve essere corretto. Il primo passo consiste nel controllare gli outputs, per esempio con procedure di controllo di qualità nell'industria o con esami nel campo della sanità e dell'istruzione. I controlli potranno essere di vario tipo. I controlli delle prestazioni stabiliscono se le prestazioni del prodotto siano conformi alle aspettative (per esempio, se un aeroplano sia effettivamente in grado di volare alla velocità e alla quota desiderata, con un dato carico utile e un dato consumo di carburante); i controlli di qualità stabiliscono se gli elementi di un prodotto siano conformi al progetto (per esempio, se un dato tessuto contenga la percentuale di cotone richiesta). Un controllo di qualità non è da solo sufficiente a garantire le prestazioni: un aeroplano può essere stato costruito con tutte le componenti del tipo e della qualità richiesti, eppure fallire il collaudo. I due tipi di controlli sono, dunque, entrambi necessari.
Oggi un numero sempre crescente di controlli viene effettuato con il metodo della simulazione, costruendo, cioè, modelli matematici, fisici o cibernetici dei processi da controllare. Nel campo medico e farmaceutico si richiedono controlli in vivo. Quando non sia possibile sperimentare direttamente su esseri umani un nuovo farmaco o una nuova tecnica chirurgica, i controlli avvengono per analogia, sperimentando cioè su animali e assumendo che i risultati siano estensibili per analogia all'uomo.
In pratica, comunque, l'estensione e la natura dei controlli dipendono dalla natura e dall'importanza del prodotto, dal costo dei controlli stessi e dalle conseguenze economiche di un eventuale fallimento. La ‛navetta' spaziale (space shuttle) Columbia è un prodotto cosi costoso che si è proceduto - a terra - a controlli estensivi dei suoi motori, della sua struttura, dei calcolatori di bordo e così via, prima di effettuare il volo di collaudo. Le migliaia di missili con testate nucleari oggi in dotazione alle forze armate, invece, non si possono evidentemente sottoporre a controlli di prestazione: gli unici controlli possibili sono quelli basati sulla conformità alle caratteristiche stabilite e sul lancio e sull'esplosione di qualche prototipo. La maggior parte dei prodotti di consumo - dalle automobili ai televisori - è invece suscettibile di controllo delle prestazioni. L'estensione effettiva di tali controlli dipende principalmente dalla strategia di marketing adottata e dai costi - sia in termini economici sia in termini di reputazione - che il produttore dovrebbe affrontare in caso di fallimento. Se i costi sono elevati, può essere opportuno controllare ogni singola unità prodotta; altrimenti, basterà limitarsi a un campione statistico.
Il controllo è solo il primo stadio di un meccanismo di feedback. L'informazione derivante dai controlli deve servire a modificare gli inputs del processo tecnologico o le sue modalità di attuazione: ci può esser bisogno di una quantità maggiore di energia, o di una migliore informazione, o di una manodopera più specializzata, o di una diagnosi più accurata, o di un attrezzo più adatto, o di una più precisa sincronizzazione delle operazioni, e così via. Per essere efficace, il feedback abbisogna della ricettività di tutti gli elementi del processo tecnologico. È sorprendente come questa condizione sia spesso difficile da ottenere a causa delle barriere di natura organizzativa o sociologica che si frappongono, per esempio, tra costruttori e progettisti o tra consumatori e produttori.
Nei processi i cui obiettivi cambiano molto rapidamente, o in quelli in cui è impossibile riparare un errore iniziale, il feedback diviene inadeguato. Un'alternativa sofisticata è il feedforward, ossia la correzione delle prestazioni sulla base di previsioni, senza aspettare il confronto tra output effettivo e obiettivo. Un esempio biologico può essere il meccanismo di controllo che utilizziamo quando saliamo una scala con gradini irregolari: non inciampiamo a ogni scalino, perché prevediamo di quanto dovremo alzare il piede per raggiungere lo scalino successivo.
Il feedforward è essenziale nell'indirizzare lo sviluppo di imprese tecnologiche che hanno vasti effetti biologici o sociali (o lo sviluppo della società tecnologica nel suo insieme), perché la correzione degli errori una volta avvenuti (cioè la correzione attraverso feedback) risulterebbe spesso tragicamente tardiva. Per esempio, dati i tempi lunghi (spesso una decina, o più, di anni) impiegati per la produzione di nuovi sistemi di armamenti, non si può attenderne il controllo effettivo in battaglia per accertare se la risposta del sistema sia ancora adeguata alle nuove tecnologie dell'avversario o alla mutata situazione geopolitica. Bisogna invece progettare il sistema sulla base della capacità di prevedere costantemente i mutamenti tecnologici, e d'altra natura, e di apportare quindi le necessarie modificazioni. Lo stesso si può dire della progettazione di un sistema di servizi pubblici, o della pianificazione di una città.
Per funzionare, il feedforward richiede non solo, come il feedback, un sofisticato modello del sistema sul quale agisce, ma anche un modello delle condizioni ambientali e dei fattori suscettibili di modificare tale sistema. Il feedforward dipende quindi dalla previsione, che ha assunto un'importanza cruciale nella moderna tecnologia. Purtroppo però, dato il gran numero di variabili, non sempre quantificabili o prevedibili, che determinano il futuro di un sistema tecnologico e il suo ambiente, la previsione rimane spesso più un'arte che una scienza esatta.
b) Ricerca e sviluppo; innovazione
Il binomio ricerca e sviluppo è un elemento particolarmente importante del processo di trasformazione tecnologica: la produzione di informazione e di idee creative e la loro incorporazione nei prototipi sperimentali sono infatti fondamentali per lo sviluppo di nuove tecnologie.
La ricerca di base. - Il primo passo, in materia di ricerca e sviluppo, consiste nello scoprire nuovi fenomeni o nel fornire spiegazioni di fenomeni noti del mondo fisico, biologico o sociale. La ricerca di base può essere effettuata per scopi puramente scientifici, senz'alcun proposito di applicazione pratica, oppure può essere intrapresa fin dall'inizio con uno scopo pratico. I due approcci sono inevitabilmente in contrasto tra di loro, ed è compito di una politica efficace in campo scientifico e tecnologico trovare un equilibrio illuminato e produttivo. La ricerca di base è spesso un investimento a lunga scadenza e, specialmente quando non è soggetta a vincoli, possono trascorrere parecchi anni prima che sia riconosciuta la sua rilevanza per un dato sviluppo tecnologico.
Ci sfugge la formula quantitativa della relazione tra sviluppo tecnologico e dimensioni e qualità del pool di cervelli e di idee scientifiche e tecniche su cui lo sviluppo si basa; è tuttavia chiaro che quel pool rappresenta il capitale più prezioso della tecnologia.
In molti paesi - e particolarmente in quelli non totalitari - la maggior parte delle conoscenze derivate dalla ricerca di base è a disposizione di tutti; è questa una situazione che, consentendo ai ricercatori l'accesso a un pool mondiale di risultati della ricerca di base, promuove grandemente il progresso scientifico. Ciò, tuttavia, ha anche permesso a certi paesi, come il Giappone, di sviluppare una forte tecnologia senza corrispondenti investimenti nella ricerca di base. Naturalmente, vi sono situazioni nelle quali, per ragioni militari o commerciali, la ricerca di base viene condotta in condizioni di rigorosa segretezza: si pensi, ad esempio, agli studi sull'energia nucleare durante la seconda guerra mondiale o a certi progressi recenti nel campo dell'ingegneria genetica. In generale, quanto più ci si avvicina all'applicazione pratica e quanto più lo scopo è delimitato, tanto più è facile mantenere la segretezza sulle ricerche; bisogna però dire che, nello sviluppo della ricerca di base, nulla può sostituire un ambiente in cui l'informazione circoli apertamente e agevolmente. Perciò l'università e, in misura minore, gli istituti di ricerca danno tradizionalmente il maggior contributo al pool della ricerca di base, mentre i laboratori industriali sono più produttivi nella ricerca finalizzata. Una caratteristica importante dell'università sta nel fatto che essa raggruppa una vasta gamma di quelle discipline - fisica, chimica, matematica, biologia, ingegneria, scienze mediche - che entrano in gioco in aree di ricerca interfacciale, quali la biochimica, l'ingegneria biomedica e genetica e la psicologia dell'ambiente, che stanno assumendo una importanza crescente per gli sviluppi futuri della tecnologia.
La ricerca applicata. - Dalle questioni di fondo affrontate dalla ricerca di base può scaturire talvolta qualche barlume circa la realizzabilità di nuove idee tecnologiche. Dal canto suo, la ricerca applicata si concentra sulla soluzione di quei problemi - talvolta altrettanto difficili e fondamentali di quelli affrontati dalla ricerca di base - da cui dipende l'applicazione di una nuova idea. Ad esempio, la ricerca di base sottostante all'atterraggio dell'uomo sulla Luna ebbe inizio con gli studi di Copernico, di Galileo e di Newton. La sua applicazione pratica al programma spaziale dipese, però, dall'esistenza dei calcolatori e di molte altre tecnologie, che sono il frutto di un'immensa quantità di ricerca applicata. Lo studio del surriscaldamento aerodinamico che una capsula spaziale subisce al suo rientro nell'atmosfera terrestre e delle proprietà dei differenti materiali atti a contenerlo entro limiti accettabili è un altro esempio di ricerca applicata (a sua volta dipendente dalla precedente ricerca di base in termodinamica). L'atterraggio sulla Luna, inoltre, fu reso possibile da tutta una serie di sviluppi tecnologici anteriori, nella loro forma originaria, a ogni specifica ricerca di base; tale è il caso del motore a razzo che, nella sua forma più primitiva, risale ai razzi utilizzati nei fuochi artificiali. È dunque errato credere che la ricerca applicata si fondi esclusivamente sulla ricerca di base; in misura notevole la prima precede la seconda, cui può anche fornire lo stimolo.
Lo sviluppo. - Quando ha successo, la ricerca applicata rende possibile il passaggio allo stadio successivo, ossia alla elaborazione di progetti, modelli o prototipi che, dopo il controllo delle prestazioni e dei costi, porteranno al prodotto finale. I dettagli di questo processo variano a seconda della natura dell'artefatto da produrre. Un artefatto di ingegneria civile - quale una diga, un'autostrada o una casa - passerà direttamente dal tavolo da disegno alla costruzione, senza passare per un prototipo in grandezza normale, sebbene modelli su scala ridotta possano essere usati per saggiare la resistenza delle strutture o altre caratteristiche. D'altra parte, un artefatto meccanico o elettrico, quale un'automobile, un aeroplano o un calcolatore, sarà prodotto in grandi quantità soltanto dopo controlli estensivi delle sue caratteristiche e del suo potere di penetrazione nel mercato. Prima di iniziare la produzione su larga scala, può esser necessario sottoporre anche gli impianti destinati alla produzione dell'artefatto in questione a ricerche e sperimentazioni con prototipi.
Il cammino dalla ricerca di base a quella applicata e poi alla produzione e alla commercializzazione è accompagnato da spese crescenti. Ad esempio, nel 1978 la spesa totale dell'industria e dell'università per la ricerca applicata ammontò, negli Stati Uniti, a quasi il doppio della spesa per la ricerca di base (7,2 miliardi rispetto a 4 miliardi di dollari), mentre la spesa totale per lo sviluppo ammontò a 26,2 miliardi di dollari (v. National Commission for Research, 1981). Già solo per questa ragione, senza tenere conto di altre considerazioni, le nuove idee tecnologiche che appaiono promettenti dovrebbero, prima di passare alla successiva fase dello sviluppo, essere sottoposte a un vaglio e a una selezione severi. Il prezzo del blocco, in questa fase, di un'idea tecnologica può essere notevole, ma è sempre inferiore a quello del fallimento, una volta avviata la produzione su larga scala. Un'intelligente strategia di ricerca e sviluppo cercherà quindi di produrre inizialmente una gran quantità di idee nuove, per poi ridurne progressivamente il numero, selezionando quelle atte alle successive fasi di sviluppo.
Innovazione. - Il binomio ricerca e sviluppo è solo un aspetto del processo di innovazione, che coinvolge la totalità delle azioni da intraprendere per la creazione di un nuovo prodotto o artefatto. L'innovazione comporta dei rischi, sia economici sia di altra natura, ma, quando ha successo, è altamente remunerativa. Il primo - disastroso - tentativo di aprire il Canale di Panama effettuato alla fine dell'Ottocento da F.-M. de Lesseps è un esempio della molteplicità di problemi che si possono incontrare in una nuova impresa di grandi proporzioni (in questo caso si trattò di difficoltà tecniche impreviste, di risorse finanziarie inadeguate e di tremende condizioni sanitarie). Come esempio della remuneratività di un'invenzione o innovazione fortunata, si può pensare all'aeroplano o alla radio.
L'innovazione nasce o dal desiderio di trovare uno sbocco applicativo a un nuovo concetto o prodotto tecnologico ('spinta tecnologica'), oppure dalla necessità o dalla domanda - sul mercato - di una nuova tecnologia ('spinta di mercato'). Esempi di innovazioni nate dalla spinta tecnologica sono i raggi X e il calcolatore nei suoi primi stadi: entrambe queste potenti tecnologie dovettero crearsi un mercato; il calcolatore nei suoi stadi successivi (e soprattutto il microcalcolatore) nasce invece soprattutto dalla spinta di un mercato, che richiede ormai nuove tecnologie in grado di rispondere a domande ben differenziate.
La diffusione dell'innovazione. - Questa è l'ultima fase, e spesso la più sfuggente, del processo di produzione e di diffusione delle nuove idee. Anch'essa, come l'innovazione, è governata da fattori tecnici, finanziari, politici e sociali. Questi ultimi sono in generale i più difficili da prevedere, poiché poche persone sono in grado di immaginare in maniera realistica gli scenari che possono determinare il ritmo di accettazione di una nuova tecnologia. Sono state suggerite varie teorie sulla diffusione dell'innovazione; ognuna ha i suoi meriti ed è capace di descrivere e di prevedere certi fattori di diffusione, ma nessuna è sufficientemente generale. Per esempio, secondo la teoria della curva logistica, l'accettazione dell'innovazione ha un inizio lento, seguito da uno sviluppo accelerato e quindi da una fase di saturazione; le teorie economiche considerano, invece, il ritmo di adozione di un'innovazione come una funzione della remuneratività, del livello degli investimenti e di altri parametri economici; i modelli di apprendimento suggeriscono infine che, con l'esperienza, lo sforzo necessario per sostenere l'innovazione diminuisce fino a un certo livello lungo una ‛curva di apprendimento'.
In generale, la diffusione delle innovazioni è un processo sequenziale, nel quale si possono distinguere varie fasi (v. Brewer, 1980): la ‛fase iniziale', nella quale l'innovazione viene introdotta; la ‛fase di reazione', nella quale l'innovazione può essere accettata passivamente o con entusiasmo oppure, dato che rimpiazza inevitabilmente qualche altra tecnologia, con ostilità; la ‛fase di assimilazione parziale' della nuova tecnologia da parte di altre tecnologie e della società; infine, la ‛fase di diffusione' vera e propria, nella quale l'innovazione viene largamente accettata dalla società e dal resto del sistema tecnologico.
Le reazioni all'innovazione non sono necessariamente uniformi. Per esempio, agli esordi dell'automobile, alcuni accolsero con entusiasmo la nuova invenzione, mentre altri la guardarono con diffidenza o con avversione; la sostituzione di manodopera con le macchine e l'automazione hanno generalmente evocato tra gli operai lo spauracchio della disoccupazione, ma i nuovi robot industriali sono stati accettati senza grandi agitazioni sindacali. Esistono fattori di carattere psicologico e sociale che influiscono potentemente sulle reazioni al mutamento, come testimonia la resistenza opposta alle innovazioni tecnologiche che attaccano credenze religiose. Nel 1857 ciò fu alla base della feroce ribellione dei sepoys in India, quando fu loro comandato di strappare coi denti le nuove cartucce impregnate di grasso di maiale, cosa ripugnante alla loro fede musulmana. Un esempio più recente e complesso di resistenza religiosa alle innovazioni è rappresentato dall'Iran: il ritmo forzato di industrializzazione perseguito dallo scià venne a cozzare sempre più duramente con le credenze religiose tradizionali e contribuì alla sua caduta nel 1979.
Anche quando i cambiamenti non sono imposti dall'alto, possono comunque incontrare un'opposizione poderosa se cozzano contro l'atteggiamento generale di una società; si è suggerito, per esempio, che ‟alla base della [attuale] crisi industriale in Gran Bretagna ci sia la non accettazione del mutamento" (v. Parker, 1980).
Investimento nell'attività di ricerca e sviluppo. - Dato il ruolo ch'esso svolge nella creazione di nuove tecnologie e di nuovi artefatti tecnologici, quanto dovrebbe investire una nazione o una società nel processo di ricerca e sviluppo? È difficile rispondere, perché non esiste - almeno nel breve periodo - una relazione diretta tra la spesa per l'attività di ricerca e sviluppo e la crescita economica nazionale o il rendimento di un'impresa; tuttavia, nel lungo periodo, gli investimenti nell'attività di ricerca e sviluppo, se accortamente indirizzati, contribuiscono a formare l'atteggiamento di un'impresa o di un paese verso l'innovazione. Inoltre, le imprese che richiedono elevati livelli di investimenti nel processo di ricerca e sviluppo sono in generale - anche se non sempre - imprese ad alto tenore tecnologico. In queste imprese - tipicamente nei campi dell'informazione, dell'energia, della chimica, della biofarmacologia e delle ricerche aerospaziali - un alto grado di know-how è indispensabile non solo per l'invenzione di nuovi prodotti o processi, ma anche per la loro produzione e applicazione. Tali imprese possono investire nell'attività di ricerca e sviluppo una quota relativamente alta delle loro entrate (oggi, in genere, sino al 5% o più); esse sono inoltre generalmente più stabili delle imprese che, nella concorrenza, si affidano al prezzo piuttosto che alla qualità e unicità dei loro prodotti (imprese di questo tipo investono, seppur lo fanno, soltanto una piccola percentuale delle loro entrate nel processo di ricerca e sviluppo a lunga scadenza).
La quantità di ricerca e sviluppo - nell'industria - è tendenzialmente correlata alle dimensioni dell'impresa. Per es., circa il 73% di tutta l'attività di ricerca e sviluppo realizzata dall'industria nel 1975 negli Stati Uniti si concentrò nelle società con più di 25.000 dipendenti (v. Bugliarello, 1980). Ciò non significa, però, che le imprese minori siano irrilevanti ai fini dello sforzo nazionale in materia di ricerca e sviluppo. Al contrario, un'importante caratteristica dell'alta tecnologia è proprio l'elevato grado di inventività delle piccole imprese, che però, difettando spesso - sul piano finanziario, come su quello gestionale - dei requisiti necessari per una forte crescita, tendono a essere assorbite da imprese maggiori, per le quali rappresentano un'importante fonte di innovazioni.
I governi e le economie delle nazioni sviluppate tendono a investire nell'attività di ricerca e sviluppo risorse ingenti, sia in termini assoluti sia in rapporto al prodotto nazionale lordo (PNL). (Negli anni recenti, ad esempio, l'investimento in questione è oscillato in questi paesi tra l'1 e il 3% del PNL, con l'Italia più vicina ai valori inferiori e l'Unione Sovietica e il Giappone più vicini ai valori superiori). Al contrario, i paesi in via di sviluppo investono assai meno in questo campo (nel 1973, per esempio, il Bangla Desh lo o,2% e l'Egitto lo 0,8% del PNL). Dato che la maggior parte dell'attività mondiale di ricerca e sviluppo è effettuata da un ristretto numero di nazioni industrializzate (nel 1980 l'85% di quest'attività fu svolto dagli Stati Uniti, dall'Unione Sovietica, dal Giappone, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Repubblica Federale di Germania), i paesi in via di sviluppo debbono essere molto selettivi - assai più di quanto non sia usualmente opportuno nell'indirizzare la loro attività di ricerca e dovrebbero cercare di unire le loro forze in vista di programmi che abbiano uno specifico interesse regionale.
Poiché l'investimento nell'attività di ricerca e sviluppo è un investimento per il futuro ed è remunerativo solo in tempi relativamente lunghi, può spesso passare un decennio o più prima che una nuova idea tecnologica importante trovi un'applicazione commerciale. Sono perciò continue le pressioni per ridurre o rimandare questo investimento a favore di altri investimenti, che sembrano più urgenti o sono più facili da capire. Sotto pressioni del genere, negli Stati Uniti la percentuale del PNL investita in ricerca e sviluppo è scesa, nel quindicennio 1965-1980, da quasi il 3% a poco più del 2%. Nello stesso periodo, nell'Unione Sovietica, dove le decisioni del governo sono meno influenzate dal mercato e dal responso delle urne, la percentuale è passata da poco più del 2% a più del 3%. Si è avuta una crescita anche nel Giappone e nella Repubblica Federale di Germania (due società assai omogenee e con un grande impegno tecnologico), mentre in Gran Bretagna si è avuto un calo (sempre in rapporto al PNL).
Analogamente, certe società, sotto la pressione dell'inflazione o della necessità di ottenere dagli investimenti alti tassi di rendimento, tendono a diminuire la spesa per l'attività di ricerca e sviluppo. Ne deriva la tendenza a conservare troppo a lungo linee di prodotti ormai maturi, che possono soggiacere a una rapida e drammatica obsolescenza per effetto di nuovi sviluppi tecnologici o di cambiamenti nelle circostanze esterne. È quanto avvenne nell'industria automobilistica americana alla fine degli anni settanta, quando, sotto la pressione dei costi rapidamente crescenti del carburante, la clientela spostò le sue preferenze verso vetture di piccola cilindrata, per le quali mancavano adeguati programmi di ricerca e sviluppo. Il risultato è stato la rapida crescita delle importazioni, soprattutto dal Giappone, di automobili piccole con minori consumi.
Tuttavia, è molto difficile decidere l'adeguatezza dell'attività di ricerca e sviluppo esclusivamente sulla base dei livelli di spesa. In primo luogo, un paese può investire in aree di ricerca e sviluppo - quali l'assistenza sanitaria, il controllo dell'inquinamento o la tecnologia militare - che non contribuiscono direttamente al miglioramento del settore produttivo dell'economia nazionale. Negli anni recenti, assai più della metà della spesa federale per l'attività di ricerca e sviluppo - negli Stati Uniti - è stata destinata a scopi sanitari e militari, anziché commerciali.
In secondo luogo, l'economia di un paese o una industria può non essere in grado di sfruttare i risultati della sua attività di ricerca e sviluppo. Nel 1979 la Gran Bretagna poteva disporre soltanto di due miliardi di sterline per nuovi investimenti di capitale nell'industria, cifra stimata corrispondere alla possibilità di mettere a profitto non più di 400 milioni di sterline investiti in attività di ricerca e sviluppo (più o meno lo 0,24% del PNL), che rappresentavano solo una piccola frazione dei 2,3 miliardi spesi in attività di ricerca e sviluppo dalle industrie britanniche, e rimasti quindi in larga misura inutilizzati per mancanza di capitali (v. Britain's wasted..., 1981). Questa valutazione era basata su una relazione empirica tra ricerca e sviluppo da un lato e investimento di capitale e produzione industriale dall'altro; relazione secondo la quale, in Gran Bretagna, per ogni unità monetaria di produzione annuale addizionale di nuovi prodotti tecnologici si richiedono 1,5 unità di investimenti di capitale e un terzo di unità di ricerca e sviluppo (oltre a due terzi di unità di controlli, ingegneria e marketing). Un'unità monetaria di ricerca e sviluppo, dunque, richiede all'incirca 2 unità di controlli, ingegneria e marketing, più 4,5 unità di investimento di capitali, per produrre tre unità monetarie di produzione annuale addizionale nell'industria. Benché siano estremamente approssimativi e varino da un paese all'altro e da un'industria all'altra, calcoli di questo tipo forniscono tuttavia un'indicazione circa la relazione esistente tra ricerca e sviluppo e gli altri elementi del processo di produzione.
Le valutazioni del contributo dell'innovazione tecnica alla crescita economica sono sempre soggette a una notevole incertezza e a difficoltà metodologiche. Esse tendono tuttavia a mostrare l'importanza crescente dell'innovazione tecnologica e del capitale rispetto al lavoro, come illustra la tab. I, in cui sono indicati i rispettivi contributi della formazione di capitale, dell'innovazione e del lavoro alla crescita annuale del PNL degli Stati Uniti, dovuta a prodotti o metodi di produzione ‛perfezionati' (si tratti o non si tratti di prodotti e metodi di produzione nuovi).
Oltre ai livelli di spesa, e in relazione con essi, un input rilevante del processo di ricerca e sviluppo è dato dal numero e dalla qualità del personale in esso coinvolto. Sotto questo aspetto, la differenza tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati è ancor più accentuata. Il Bangla Desh aveva 2 soli scienziati o ingegneri per 100.000 abitanti nel 1973, mentre l'Argentina ne aveva 31, il Giappone (nel 1976) 354 (v. Talking technology..., 1979), gli Stati Uniti più di 500 e l'Unione Sovietica circa 4.000. Una forte disparità tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo caratterizza anche il numero di tecnici e di operai specializzati, che, per lo sviluppo dell'alta tecnologia, sono altrettanto indispensabili quanto gli scienziati e gli ingegneri.
Alcuni dati, come quelli riguardanti l'Unione Sovietica, vanno presi con cautela, per le diverse definizioni di ‛scienziato' e di ‛ingegnere'. Gli orientamenti qualitativi che emergono rimangono tuttavia significativi, come è significativo il fatto che il Giappone, con una popolazione inferiore della metà a quella degli Stati Uniti, laurea quasi altrettanti ingegneri. Un quadro più diretto degli sforzi fatti nel settore della ricerca e dello sviluppo è offerto dalla tab. II.
c) Finalità, politiche tecnologiche e meccanismi regolatori
Piccolo o grande, un sistema tecnologico, al pari di un sistema biologico, è guidato dalle sue finalità, che si esprimono in un insieme di politiche, esplicite o implicite. Tali politiche a loro volta si esplicano attraverso meccanismi regolatori, che possono essere formali o informali e devono contenere anche dispositivi per il controllo delle prestazioni in vista delle finalità prefissate.
Accade di rado che il processo di individuazione delle finalità sia interno al sistema tecnologico. Esso risulta piuttosto dall'interazione con l'ambiente sociopolitico, istituzionale ed economico nel quale il sistema opera (in verità, se le finalità fossero stabilite dall'interno, il sistema tecnologico diventerebbe autonomo, incontrollabile dal resto della società).
A livello nazionale, l'emergere di politiche tecnologiche esplicite è un fenomeno relativamente recente e, nonostante l'incoraggiamento di organizzazioni quali le Nazioni Unite (v. United Nations..., 1979) e l'OECD (v. OECD, 1968 e 1969), tuttora pochi tra i paesi in via di sviluppo hanno elaborato politiche esplicite circa il ruolo globale della tecnologia nel loro sviluppo o meccanismi efficienti per la realizzazione di tali politiche, una volta definite. Ancor più limitato è, al momento attuale, lo sviluppo di politiche tecnologiche internazionali. Eppure, in un mondo in cui sempre più la tecnologia rappresenta il maggior fattore di mutamento, la delineazione di politiche tecnologiche sia nazionali sia internazionali appare indispensabile.
I metodi con cui uno Stato elabora una politica tecnologica variano evidentemente a seconda della struttura e del funzionamento dello Stato stesso. Da una parte - come in molti paesi socialisti - si possono avere politiche chiaramente formulate, alle quali tutti gli organi dello Stato e le industrie devono rigidamente adeguarsi, mentre dall'altra - come negli Stati Uniti - vi può essere una politica pluralistica, con una varietà di centri decisionali.
Nel formulare una politica tecnologica, il processo tecnologico non deve essere considerato come una trasformazione unidimensionale degli inputs negli outputs; bisogna piuttosto considerarlo come un processo svolgentesi su una varietà di livelli sinergici, ciascuno dei quali ha esigenze e conseguenze proprie. Ad esempio, mentre il personale, l'energia e i materiali sono evidentemente le risorse fisiche fondamentali indispensabili per la realizzazione di un progetto, bisogna però considerare anche altri fattori, quali il fabbisogno di capitali, la loro provenienza, la metodologia per l'allocazione delle risorse, la manutenzione e la sicurezza degli impianti (incluso il rischio di sabotaggio); in certi casi, anche il ruolo che il progetto può svolgere nel raggiungimento di obiettivi militari. Un'altra importante dimensione politica di un progetto tecnologico è la sua eventuale capacità di fornire una base per future tecnologie, di creare cioè know-how e strumenti suscettibili di dar vita ad altri processi tecnologici.
L'efficacia delle politiche tecnologiche dipende da una serie di fattori, quali la volontà di controllare i sistemi tecnologici, la capacità di coordinare i molteplici meccanismi di controllo, le possibilità intrinseche di ciascun meccanismo e la coerenza degli sforzi. Il coordinamento è uno dei problemi di più difficile soluzione, poiché troppo spesso i diversi meccanismi regolatori producono effetti contraddittori, che tendono ad annullarsi vicendevolmente. Un esempio è dato dalle politiche che hanno provocato un indebolimento delle ferrovie americane a vantaggio dei trasporti aerei e su strada. Tali politiche rimasero in vigore anche negli anni settanta e ottanta, allorché l'esigenza di risparmiare energia avrebbe richiesto una politica dei trasporti che favorisse le ferrovie. Un altro esempio americano è costituito dalla regolamentazione dei gas di scarico delle automobili, regolamentazione che, imposta negli anni settanta, va a scapito del risparmio di carburante. Il controllo sui gas di scarico e il risparmio di energia non sono necessariamente in contrasto tra di loro; semplicemente, la regolamentazione fu imposta senza tener conto dei costi dell'energia.
Un aspetto estremamente problematico del coordinamento dei meccanismi regolatori è costituito dall'interfaccia tra il sistema tecnologico e il mondo esterno. Come tutti i sistemi, anche quelli tecnologici tendono a resistere all'imposizione di norme dall'esterno, se queste sembrano indebolire il sistema od ostacolarne il funzionamento. Si pensi per esempio alla resistenza opposta negli Stati Uniti dall'industria dei trasporti su autocarri ai limiti di velocità stabiliti per risparmiare carburante. Sostenendo che tali limiti accrescevano notevolmente i costi di gestione e rendevano meno efficiente l'utilizzazione economica degli autocarri, l'industria dei trasporti si è costantemente opposta all'imposizione di limiti, e si è mostrata incline a ignorarli nella pratica.
Tra gli aspetti principali delle politiche tecnologiche, vanno poi menzionate le politiche degli investimenti, che abbracciano una gamma di scelte: dalla decisione fondamentale se si debba o non si debba investire in un sistema tecnologico, alla scelta del livello e delle scadenze degli investimenti (e della loro fonte), alla selezione dei settori del sistema stesso che andranno sviluppati.
Al suo livello più basilare, la politica degli investimenti a livello nazionale deve decidere se gli obiettivi del paese dovranno essere raggiunti attraverso la tecnologia oppure per altre vie. È però raro che l'alternativa si presenti in termini così semplici; oggi nessun paese può prescindere dalla tecnologia. Il problema è, dunque, piuttosto quello della quota relativa degli investimenti in tecnologia rispetto ad altri settori. È interessante, a questo proposito, rilevare che anche all'interno di un paese tecnologicamente sviluppatissimo, come gli Stati Uniti, ci sono disparità tra i vari Stati quanto all'importanza attribuita alla tecnologia. Per esempio, la California ha dato un forte impulso all'attività di ricerca e sviluppo, in quanto elemento importante dello sviluppo economico dello Stato, tanto che nel 1980 il 22% di tutta l'attività di ricerca e sviluppo con finanziamento federale fu effettuato in Calilomia. Uno Stato come quello di New York ha invece, fino a poco tempo fa, prestato scarsa attenzione al settore della ricerca, col risultato di svolgere meno del 10% dell'attività di ricerca e sviluppo con finanziamento federale (sebbene il suo contributo all'erario federale sia maggiore di quello della California). Tuttavia, la crescente consapevolezza che lo sviluppo dell'alta tecnologia è ecologicamente meno nocivo ed economicamente più remunerativo dell'industria tradizionale sta trasformando la situazione. Cosi, seguendo l'esempio della California - e, sul piano internazionale, del Giappone - i governi di vari Stati e regioni si stanno sempre più adoperando per promuovere la creazione di infrastrutture per l'attività di ricerca e sviluppo - come laboratori, programmi di addestramento e centri di ricerca - e per fornire incentivi all'industria ad alto tenore tecnologico.
Uno dei nodi centrali di una politica degli investimenti è quello del rendimento degli investimenti stessi. Quando un'impresa immette sul mercato un nuovo prodotto, il rendimento è, in genere, piuttosto basso, poiché l'investimento dev'essere ammortizzato e anche perché l'esperienza produttiva - e quindi l'efficienza - sono ancora limitate. Man mano che si prosegue nella produzione, però, l'importanza di tali fattori diminuisce e il rendimento dell'investimento aumenta. Arriva tuttavia il momento in cui entrano nel mercato nuovi prodotti, che si pongono in concorrenza sulla base o di una tecnologia più avanzata o di costi di produzione inferiori. L'impresa può battere la concorrenza soltanto se ha voluto, o potuto, destinare una quota del rendimento dell'investimento a programmi di ricerca e sviluppo miranti a nuovi prodotti o a nuove tecnologie. Ne deriva una continua tensione tra il desiderio di massimizzare il rendimento dell'investimento e la necessità di spendere per l'attività di ricerca e sviluppo al fine di mantenere una posizione tecnologicamente competitiva. Il felice ingresso del Giappone nei mercati internazionali delle automobili e dell'elettronica negli anni settanta e ottanta è dovuto in non piccola misura al fatto che l'industria giapponese ha saputo stornare quote degli utili annuali per obiettivi a lungo termine, mentre i dirigenti europei, e ancora più quelli americani, hanno generalmente cercato di produrre elevati utili annuali. Nei periodi d'inflazione, gli alti tassi di interesse tendono ad accrescere ulteriormente la pressione a favore di obiettivi a breve termine, poiché il rendimento delle imprese tecnologiche deve competere con gli elevati rendimenti che si possono lucrare sui mercati finanziari e con imprese commerciali a turnover rapido.
Le ‛politiche di incentivazione o di disincentivazione' sono rappresentate, all'interno di un sistema tecnologico, dalla stimolazione delle prestazioni per mezzo di aumenti di paga, di mutamenti di status, di promozioni e di altre forme di riconoscimento, la cui influenza può essere talora altrettanto rilevante quanto quella dei compensi materiali. Importanti incentivi non materiali sono la stima e lo status che la società accorda a quanti fanno parte del sistema. Un esempio caratteristico è la stima, generalmente alta, di cui godono gli scienziati, i ricercatori e gli accademici; stima che tende a compensare, entro certi limiti, le retribuzioni non molto elevate, assicurando in tal modo all'insegnamento universitario e alla ricerca l'afflusso di persone dotate.
Le più comuni politiche ‛esterne' di incentivazione o di disincentivazione consistono nello scoraggiare certi prodotti o processi, come le automobili di grandi dimensioni o l'emissione di sostanze inquinanti, o nell'incoraggiarne altri, come il risparmio di energia o la localizzazione di industrie in date aree. Al livello nazionale, le politiche esterne sono spesso protezionistiche; per esempio, nel 1937 il Giappone decise di sviluppare il proprio sistema di telecomunicazioni utilizzando esclusivamente materiali di fabbricazione giapponese (v. Kobayashi, 1978). A loro volta, gli Stati Uniti minacciarono, nel 1981, di limitare le importazioni di automobili giapponesi se il Giappone non avesse accettato un'autolimitazione delle esportazioni. L'Italia ha seguito per anni una politica fortemente protezionistica contro le importazioni di automobili giapponesi.
Mentre - nella loro forma estrema - le politiche di incentivazione o di disincentivazione ricorrono direttamente a misure penali (per esempio in caso di spionaggio industriale o di esportazione illegale di alta tecnologia), in un'economia di mercato i meccanismi regolativi più efficaci sono di natura economica e si basano su ricompense finanziarie e sulla manovra fiscale. Negli ultimi anni, per esempio, il ritmo del mutamento tecnico negli Stati Uniti è stato inversamente proporzionale alle imposte sui redditi delle imprese (v. Jorgenson, 1981).
La politica fiscale può influenzare la nascita e lo sviluppo di nuove tecnologie, agendo su tre aspetti diversi del processo: il livello delle spese per l'attività di ricerca e sviluppo, la remuneratività di tali spese e la rapidità con la quale le innovazioni vengono incorporate in nuovi prodotti (v. Hufbauer, 1981).
Sebbene nessuno dei tre aspetti ora enunciati sia, da solo, sufficiente ad assicurare il raggiungimento dei risultati prefissati, essi sono importanti e vanno tutti presi in considerazione ai fini di una politica fiscale. L'incoraggiamento di livelli elevati di ricerca e sviluppo rimane senza effetto se non è funzionale al raggiungimento di uno scopo preciso e se non incide sul mercato e sugli utenti. Così, una politica fiscale che incoraggi la perforazione di nuovi pozzi petroliferi indipendentemente dal successo è meno efficace di una politica che premi la produzione dei pozzi stessi, per esempio attraverso generosi contributi per lo sfruttamento (v. Hufbauer, 1981). A sua volta, l'incorporazione delle innovazioni nei prodotti di mercato può essere incoraggiata mediante un'intelligente politica fiscale e dei brevetti, che stimoli gli investimenti in nuove tecnologie.
Per aver successo, una politica di incentivazione economica deve essere a lungo termine e coerente, tale cioè che tutti i suoi elementi contribuiscano al raggiungimento della meta globale. Per esempio, sarebbe controproducente incoraggiare i profitti a breve termine a scapito della futura vitalità dell'impresa. Eppure, questa fu la tendenza prevalente nell'industria automobilistica americana negli anni settanta: i maggiori profitti derivanti dalla fabbricazione di automobili di grossa cilindrata - e le relative ricompense a dirigenti e operai - indussero l'industria dell'automobile a persistere nella produzione di vetture grosse, anche quando i prezzi del petrolio esigevano chiaramente automobili piccole, con consumi contenuti. Un altro esempio della necessità di considerare le conseguenze di lungo periodo è dato dalla collocazione di impianti produttivi in regioni nelle quali i costi del lavoro sono minori (sia all'estero sia in aree depresse all'interno). Nel breve periodo ciò è vantaggioso, ma nel lungo periodo i costi del lavoro in tali regioni cresceranno inevitabilmente, con il conseguente aumento dei costi di produzione. Le industrie che hanno seguito una politica di investimenti nell'automazione anziché andare alla ricerca della manodopera più economica vedono diminuire i costi e aumentare la competitività (questo fu un fattore importante, per esempio, nella decadenza di una notevole parte dell'industria dei televisori negli Stati Uniti e dell'ascesa delle importazioni giapponesi.)
Le ‛politiche istituzionali' riguardano i ruoli che i governi, le università e l'industria devono svolgere per il raggiungimento di un dato obiettivo tecnologico. Un problema attinente alle politiche istituzionali è per esempio quello della sede della ricerca di base. Mentre negli Stati Uniti essa viene svolta principalmente nelle università, nell'Unione Sovietica è più direttamente svolta dal governo attraverso accademie, che non hanno funzioni didattiche dirette. Entrambe le soluzioni hanno vantaggi e svantaggi. Lo svolgimento della ricerca di base nelle università permette, in generale, una maggiore flessibilità, in quanto le risorse possono essere più agevolmente spostate da un progetto all'altro e non rimangono confinate allo stesso staff o laboratorio anche dopo l'esaurimento delle idee creative. Nelle università, la ricerca è anche meno incline al conformismo burocratico e gerarchico, ed è generalmente più efficace nell'affrontare problemi che richiedano l'interazione di varie discipline (che sono di solito meglio rappresentate nelle università che in un laboratorio specializzato esterno). D'altra parte, però, la ricerca effettuata nelle università è spesso meno efficiente, dato che i ricercatori devono dedicare una notevole parte del loro tempo ad altre attività, come l'insegnamento, e dato che gli studenti, che svolgono spesso il grosso della ricerca, sono ovviamente dei principianti. Evidentemente, la decisione circa la sede più idonea per la ricerca di base influenza la politica della formazione del personale, come anche il meccanismo e il livello del sostegno da fornire alle università rispetto ai laboratori pubblici o industriali.
Eguale importanza riveste il problema della sede della ricerca applicata. Se l'università si occupa della ricerca applicata, è lecito attendersi che essa prepari - in vista del processo tecnologico - persone abituate sin dall'inizio a ragionare nella prospettiva delle applicazioni pratiche della ricerca; d'altra parte, un'eccessiva attenzione dell'università alla ricerca applicata può indebolire la sua capacità di contribuire alla conoscenza fondamentale, che è il compito cui la sua struttura eminentemente la destina.
Le politiche biologiche, dei materiali, dell'energia e dell'informazione si occupano dei problemi che si presentano in questi settori fondamentali della tecnologia. Mentre nel passato era raro che si formulassero politiche tecnologiche di questa natura, oggi si comincia a scoprire l'importanza di politiche globali, che affrontino tali temi fondamentali, integrando politiche più specifiche. Per esempio, il ruolo fondamentale dell'energia in tutte le attività tecnologiche - industria, agricoltura, trasporti, edilizia e difesa - ha reso indispensabile negli ultimi anni la formulazione di una politica dell'energia. Allo stesso modo, il ruolo onnipresente dell'informazione - con le sue grandi potenzialità positive ma anche negative (per esempio l'invasione della sfera privata e la manipolazione delle notizie) - fa nascere le politiche dell'informazione. Lo sviluppo delle ricerche sulla ricombinazione del DNA richiede una politica biologica; quei paesi la cui economia dipende da risorse fisiche importate dall'estero devono decidere politiche adeguate a questo riguardo. È evidente che tutte queste politiche vengono spesso a interagire le une con le altre: per esempio, l'emanazione di norme sulla qualità e sul prezzo dei materiali da utilizzare nelle costruzioni appartiene sia alla politica dei materiali sia a quella dell'energia, poiché i differenti materiali (cemento o acciaio, per fare un esempio) richiedono quantità assai diverse di energia per la produzione, il trasporto e l'impiego. Allo stesso modo, una politica dell'energia che ponga l'accento sull'energia nucleare piuttosto che sui carburanti fossili - o viceversa - è anche, in certa misura, una politica dei materiali, data la diversità dei materiali richiesti nella costruzione dei vari tipi di centrali.
Pur essendo spesso vantaggioso considerare separatamente la politica della formazione e dell'impiego del personale e quella della ricerca, esse sono però entrambe, in senso lato, politiche dell'informazione - determinano il modo in cui un sistema tecnologico acquisisce informazione - e sono quindi collegate tra loro. Un esempio eloquente a questo proposito è costituito dal Giappone, che ha deciso di incoraggiare l'addestramento del proprio personale anziché l'acquisizione di tecnologie ‛chiavi in mano', e la ricerca applicata anziché quella di base (facendo affidamento, per quest'ultima, sul lavoro fatto all'estero).
I processi e i meccanismi attraverso i quali le politiche tecnologiche vengono formulate e rese operanti variano grandemente a seconda delle dimensioni e della natura del sistema in questione. Su scala nazionale, tali politiche sono generalmente formulate ai livelli più alti dell'apparato statale e realizzate mediante specifici organi pubblici, mentre in un'impresa vengono decise dalla direzione o dagli azionisti, oppure da qualche agenzia esterna. In entrambi i casi è comunque importante rendersi conto dell'influenza che su queste politiche possono esercitare i ‛gruppi di pressione'. All'interno di un sistema tecnologico il gruppo di pressione più cospicuo è costituito dai sindacati dei lavoratori, mentre all'esterno ve ne sono svariati, come quello dei consumatori, quello dei cittadini coinvolti nel sistema, ecc. Una caratteristica della tecnologia nella società moderna è proprio la crescita di gruppi di pressione di ogni tipo e la loro influenza crescente sulle decisioni tecnologiche. Ne sono esempi caratteristici i gruppi di pressione che hanno rallentato l'installazione di centrali nucleari in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone, o la costruzione di alcuni fra i maggiori aeroporti, quali il Narita di Tokyo e il terzo aeroporto di Londra.
Oltre che dai gruppi di pressione organizzati, è poi importante riconoscere che le decisioni di un sistema tecnologico, come di una qualsiasi altra organizzazione sociale, sono influenzate dalla sua dinamica interna: sono frequenti le lotte tra diverse componenti e tendenze interne all'organizzazione; i compromessi necessari all'armonia interna possono essere raggiunti a spese della capacità di conseguire obiettivi esterni; l'organizzazione stessa del sistema, infine, influenza il modo in cui gli obiettivi sono definiti e raggiunti (v. Allison, 1971).
L'organizzazione del sistema tecnologico è un meccanismo regolatore del quale si sottovaluta l'importanza. Come il software dei calcolatori, l'organizzazione è una forma di tecnologia altrettanto importante quanto lo è l'ingegneria per l'hardware. Le caratteristiche e il clima sociale di ogni forma di organizzazione hanno un'influenza diretta sulle prestazioni del sistema. Esse incidono, per esempio, sulla capacità del sistema di produrre innovazioni - requisito essenziale di una impresa ad alta tecnologia o di un laboratorio di ricerca - o di funzionare con le massime garanzie di sicurezza, com'è richiesto dalle centrali nucleari. Nessuna forma di organizzazione dovrebbe restare immutata se non fornisce risultati soddisfacenti dinanzi al mutamento tecnologico e sociale. Purtroppo, l'ingegneria delle organizzazioni - coinvolgendo complessi fattori sociali - non è una disciplina ben definita come le altre forme di ingegneria, e rimane tuttora una materia in larga misura empirica.
Le due forme estreme di organizzazione sono quella puramente gerarchica e quella puramente parallela. Nella prima, il controllo del sistema è a piramide; il numero dei dirigenti diminuisce e corrispondentemente aumenta il loro potere man mano che si sale nella gerarchia. Questa struttura permette, evidentemente, un più elevato grado di controllo centrale, a rischio però di una minor capacità di rispondere al mutamento e di produrre innovazioni, nonché di correggere errori. Tuttavia, una volta che una nuova idea sia stata accettata dal vertice di tali organizzazioni, la sua propagazione interna è generalmente rapida.
In un'organizzazione parallela, invece, il minor numero di livelli gerarchici e il decentramento decisionale producono una flessibilità molto maggiore (specialmente in presenza di un ambiente interno che incoraggi libere comunicazioni tra reparti anche lontani dell'organizzazione). Le organizzazioni di questo tipo costituiscono in generale un miglior terreno di coltura per il mutamento e l'innovazione, e tendono inoltre a ridurre le conseguenze negative di errori e insuccessi. Le nuove tecnologie si trovano però spesso, qui, a dovere ‛nuotare o affogare' unicamente in base a criteri di mercato, senza il sostegno di una disposizione dal vertice; e, anche se accettate, la loro diffusione all'interno dell'organizzazione può essere più lenta. Per di più, le organizzazioni parallele, meno rigide, sono assai più difficili da controllare e meno capaci di rispondere rapidamente alle sollecitazioni e di adeguarsi a direttive uniformi. Perciò le fabbriche e le organizzazioni militari, che abbisognano di una disciplina rigorosa, tendono tradizionalmente a una struttura a piramide, mentre le organizzazioni il cui obiettivo è principalmente l'informazione o la conoscenza, come le università e i laboratori di ricerca, adottano piuttosto una struttura parallela.
Oggi, nuovi prodotti e processi tecnologici vengono creati a un ritmo tale che la capacità di adattamento degli organismi biologici o della società rischia di esserne annientata. Inoltre, essi possono anche cambiare in maniera irreversibile l'ambiente, in alcuni casi con conseguenze imprevedibili sulla vita umana. È dunque indispensabile che le politiche tecnologiche siano guidate da una valutazione delle conseguenze probabili o possibili della tecnologia sul piano sociale, biologico e ambientale. Anche se non vogliamo considerare le conseguenze estreme, l'introduzione di una nuova tecnologia può avere notevoli ripercussioni in molti campi della nostra vita, ripercussioni che vanno comprese e, se necessario, combattute. Quali sono, per esempio, gli effetti che l'introduzione della televisione può avere sullo sfaldamento della vita comunitaria (v. Coates, 1971)? Questa nuova, onnipresente forma di svago dirada le attività sociali fuori di casa, aumenta l'isolamento dai vicini e, sotto la pressione del mondo, spesso irreale, che propone, accresce l'intolleranza reciproca in seno al focolare domestico. Questa situazione può avere come conseguenza un aumento della frequenza dei divorzi e altri fenomeni di malessere sociale (v. Coates, 1971).
A causa dell'interesse crescente suscitato, l'analisi delle conseguenze del genere di quelle accennate è divenuta verso la fine degli anni sessanta un'attività altamente formalizzata, per il cui svolgimento è stata approntata una vasta gamma di metodologie: dalle rassegne delle ripercussioni ai modelli delle interazioni tra sistema tecnologico e ambiente, da previsioni soggettive, analogie storiche, scenari possibili, cataloghi di tutte le possibili conseguenze alle analisi matriciali tendenti a valutare l'influenza relativa e il sinergismo dei singoli fattori. Per assicurare l'obiettività, la valutazione deve essere esterna al sistema tecnologico in questione, sebbene ciò non esima un sistema tecnologico, preoccupato sia della propria vitalità sia delle proprie responsabilità sociali, dal procedere per suo conto alle valutazioni necessarie.
Come esempio di misure esteme, possiamo menzionare il National environmental policy act, promulgato nel 1969 negli Stati Uniti, che prevede la preparazione di Environmental impact statements con lo scopo di valutare le conseguenze di leggi o iniziative federali suscettibili di influire sull'ambiente umano e, eventualmente, di formulare proposte alternative; e il Technology assessment act del 1972, che dette vita al Congressional office of technology assessment, la cui prima relazione ufficiale risale al 1974. Oggi anche molti altri paesi - nonché parecchie delle maggiori organizzazioni industriali nel campo dell'alta tecnologia - si sono dotati di meccanismi appositi per la valutazione delle conseguenze della tecnologia (v. Porter e altri, 1980).
L'ambito di queste valutazioni della tecnologia è potenzialmente vastissimo, abbracciando - se visto in tutta la sua ampiezza - le risposte a questioni fondamentali e immensamente complesse, come le seguenti.
1. Quali sono le ‛caratteristiche intrinseche' della tecnologia che possono influire sull'ambiente fisico, biologico e sociale? Per esempio, il motore a combustione interna fu considerato all'inizio una conveniente fonte di energia, mentre scarsa attenzione fu prestata a fattori che hanno acquisito in seguito grande importanza, come lo scarico di gas nocivi nell'atmosfera, o la dipendenza da una risorsa energetica limitata e inegualmente distribuita, o la sua potenziale capacità di trasformare la struttura urbana.
2. Quali sono le ‛caratteristiche dell'ambiente' che potenzialmente lo espongono all'influsso della tecnologia? Una è la vulnerabilità della vita alle radiazioni, che ha rallentato lo sfruttamento dell'energia nucleare e lo sviluppo delle tecnologie potenzialmente distruttive dello strato di ozono dell'atmosfera, che protegge la Terra dalle radiazioni solari. Nel campo sociale, la crescente prosperità ha fatto dei paesi altamente industrializzati - nel nostro secolo - un terreno fertile per la diffusione dell'automobile e dell'aeroplano.
3. Quali sono le direzioni probabili di sviluppo e diffusione della tecnologia e quali le relative conseguenze? Per esempio, l'ingegneria genetica si svilupperà fino al punto di poter offrire un'alternativa alla riproduzione sessuale o alle maniere tradizionali di progettare e di produrre artefatti? E, se ciò dovesse avvenire, quali ne sarebbero le conseguenze sul nostro modo di vivere, sulla nostra economia e sulla nostra fisiologia?
4. Quali conseguenze potrà avere l'associazione di più tecnologie? È possibile, per esempio, che i progressi nell'automazione, insieme con quelli nell'ingegneria genetica, ci consentano in futuro di progettare nuove specie di organismi biologici in grado di lavorare per noi nelle profondità degli oceani o nello spazio? Oppure, quali potranno essere le conseguenze a lunga scadenza - sul nostro organismo - delle pressioni cumulative esercitate dall'inquinamento atmosferico e acustico, come anche dai conservanti alimentari e dalle sostanze irritanti prodotte dall'alterazione di prodotti organici, gli uni e le altre ormai presenti in tanta parte della nostra alimentazione?
In pratica, le valutazioni possono avere gradi diversi di profondità: si va da un rapido studio sulle conseguenze specifiche di un particolare elemento tecnologico (come le conseguenze - sulla salute - di un nuovo tipo di detersivo), alla valutazione delle conseguenze economiche e militari di un prodotto tecnologico importante (come lo space shuttle), sino alla valutazione globale di una nuova tecnologia fondamentale (come l'ingegneria genetica). Tali valutazioni, e le iniziative che possono discenderne, suscitano inevitabilmente controversie, data la complessità dei fattori coinvolti e data la possibile presenza, nelle congetture sul futuro, di fattori ancora sconosciuti.
Bisogna dunque istituire meccanismi di arbitrato per la composizione delle controversie tra coloro che propugnano una data tecnologia o soluzione tecnologica e coloro che l'avversano perché preoccupati delle sue conseguenze, reali o presunte. L'arbitrato si basa, naturalmente, su una valutazione attendibile delle conseguenze. Ora, il normale iter giudiziario incontra necessariamente difficoltà nel venire a capo di problemi che coinvolgono delicati aspetti scientifici e tecnici, problemi per i quali, d'altra parte, la garanzia offerta dalla procedura è insufficiente. Un errore di giudizio circa la sicurezza di un dato processo tecnologico può avere conseguenze catastrofiche; né è possibile cavarsi d'impaccio, nelle controversie tecnologiche, adottando sistematicamente la scelta conservatrice del minor rischio: spesso si tratta, infatti, di scegliere non tra rischio e non rischio, ma tra due rischi. Ciò che è in discussione non è soltanto la differenza tra percezione soggettiva e realtà in materia di rischio, ma soprattutto la complessa correlazione tra il rischio e lo sviluppo umano attraverso la tecnologia e la questione di quale livello e tipo di rischio siano accettabili (la nostra società, per esempio, è molto più disposta ad accettare alcune decine di migliaia di morti all'anno per incidenti automobilistici che non poche centinaia per incidenti aerei).
Sebbene siano stati proposti per l'arbitrato delle controversie tecnologiche strumenti specifici quali i ‛tribunali scientifici', ci manca tuttora la capacità di dare al problema una soluzione intelligente ed efficace, né probabilmente la situazione cambierà fino a quando il grande pubblico non avrà raggiunto una più profonda comprensione della tecnologia. Molti degli strumenti di arbitrato già esistenti sono costituiti da commissioni o organi di vigilanza (come l'Istituto Superiore di Sanità in Italia e l'U. S. Food and Drug Administration e la Enviromental Protection Agency negli Stati Uniti): tutti enti abbastanza estranei alle pressioni politiche contingenti.
Un notevole esempio storico di istituzione che esercitava sia funzioni tecniche sia un potere di arbitrato (v. Bugliarello, 1978) è quello del magistrato alle acque della Repubblica Veneta: sua era la responsabilità di assicurare, mediante misure sia giuridiche sia tecniche, l'integrità della laguna di Venezia e il suo accesso al mare.
3. L'ambiente e l'infrastruttura
Il processo tecnologico ha un'influenza profonda sull'ambiente fisico e sociale, il quale, a sua volta, fornisce le infrastrutture che rendono possibile la tecnologia.
a) Le influenze dell'ambiente
Tutti gli inputs tangibili del processo tecnologico nascono dalla manipolazione di prodotti dell'ambiente, organici o inorganici, animati o inanimati. A loro volta, gli outputs della tecnologia, siano essi automobili, case o microonde, funzionano nell'ambiente, col risultato di riversare in esso sottoprodotti indesiderati, come rumori, calore, radiazioni, rifiuti chimici. Perciò, l'ambiente è inevitabilmente un fattore essenziale che influenza la tecnologia e ne è, al tempo stesso, influenzato. Per esempio, la disponibilità di carbone e di ferro fu decisiva per la rivoluzione industriale in Inghilterra e per la creazione dell'industria pesante nelle regioni della Ruhr e del Volga, con la conseguente trasformazione delle caratteristiche fisiche di tali zone. Allo stesso modo, l'utilizzazione dell'energia idroelettrica fornita dai fiumi che scendono dalle Alpi fu un fattore essenziale nello sviluppo industriale dell'Italia settentrionale. D'altra parte, soltanto l'avvento di trasporti marittimi efficienti ha consentito a un paese povero di risorse come il Giappone di superare le limitazioni del proprio ambiente naturale e sviluppare un'industria siderurgica.
Condizioni climatiche favorevoli incoraggiarono i primi sviluppi della tecnologia nella valle del Nilo, lungo le coste del Mediterraneo e nel Vicino Oriente. Sviluppi ‛tecnologici su vasta scala nelle regioni settentrionali si resero invece possibili solo quando s'imparò a difendersi meglio dai rigori del clima; analogamente, gli sviluppi tecnologici nelle regioni subtropicali, come la California, debbono molto all'aria condizionata.
Le immense quantità di risorse materiali necessarie per produrre e far funzionare gli artefatti, sui quali si basa la vita della nostra società, hanno spinto la tecnologia a uno sfruttamento sempre più risoluto dell'ambiente naturale, sfruttamento che l'ha resa d'altra parte dipendente da risorse disseminate in ogni parte del mondo. Così, la fabbricazione di un aeroplano negli Stati Uniti può richiedere alluminio delle Guyane, cromo e titanio dello Zaire, oro del Sudafrica e materie plastiche derivate dalla trasformazione di idrocarburi del Golfo Persico.
Alcuni tra questi materiali, come il cromo e l'alluminio, possono essere recuperati e riutilizzati (con una certa spesa), una volta che il prodotto viene scartato; altre risorse, e in particolare quelle presenti in piccolissime quantità, non sono facilmente recuperabili e vanno quindi definitivamente perdute per il ciclo produttivo (tale è il caso, per esempio, dei filamenti di tungsteno delle lampadine elettriche). Anche il calore non utilizzato in un processo tecnologico va in genere perduto. Si produce così un'inevitabile accumulazione - nell'ambiente - di rifiuti della tecnologia, i quali influiscono sul ciclo ecologico, innalzando tendenzialmente la temperatura dell'atmosfera, causando concentrazioni pericolose di radiazioni ed esponendo l'umanità a rumori d'intensità eccessiva.
Uno degli esempi più preoccupanti di tali conseguenze è dato dai circa 200 miliardi di tonnellate di anidride carbonica che si stima siano presenti nell'atmosfera e che derivano dalla combustione del carbone, del legno, del gas naturale e di altri materiali organici. L'anidride carbonica accumulata nell'atmosfera agisce come il vetro di una serra, lasciando passare l'energia solare ma impedendo al calore di sfuggire. Nel passato, gli strati superiori dell'atmosfera contenevano anche notevoli quantità di materiali particolati che, facendo apparire più bianca la Terra, favorivano la riflessione della luce solare. Gli sforzi odierni per diminuire l'inquinamento atmosferico hanno sì reso l'aria più pulita, ma hanno anche sortito la conseguenza che la Terra riflette di meno e assorbe di più la luce solare, cosicché l'effetto-serra dell'anidride carbonica ne risulta aggravato (v. Bromley, 1980). Un grande motivo di speranza nella riduzione dell'effetto-serra è dato dal fatto che gli oceani sembrano avere, grazie alla loro circolazione interna, la capacità di assorbire l'anidride carbonica alla superficie e di trasportarla quindi in profondità. Sfortunatamente, al momento attuale non possediamo sufficienti informazioni sulla circolazione oceanica per sapere se potrà effettivamente ridurre l'effetto-serra.
Le scorie nucleari, con il loro prolungato tempo di dimezzamento, sono un ulteriore esempio di gravi problemi ambientali creati dalla tecnologia. Le soluzioni del problema delle scorie nucleari dipendono dall'organizzazione e dalla volontà politica tanto quanto dalla tecnologia. La tecnologia attuale permette di concentrare al massimo le scorie nucleari e di immagazzinarle in contenitori che si potrebbero collocare in luoghi facilmente accessibili, come gallerie ferroviarie abbandonate, dove sarebbe possibile controllare eventuali deterioramenti e perdite (v. Bromley, 1980). Il problema non è, dunque, se ci sia un'adeguata tecnologia, ma piuttosto se ci siano la volontà politica e la fiducia nei meccanismi di controllo a lungo termine, che sono i necessari presupposti di una soluzione del genere.
Poche specie biologiche - certamente non l'uomo - possono adattarsi ai rapidi cambiamenti che la tecnologia ha prodotto nell'ambiente naturale dalla rivoluzione industriale in poi, dato che il tempo necessario per l'adattamento biologico attraverso l'evoluzione è dell'ordine di migliaia e migliaia di generazioni. Una società tecnologica si trova perciò di fronte a una serie di questioni fondamentali, che non hanno ancora trovato una soluzione adeguata. Fino a che punto si può promuovere lo sviluppo della tecnologia a spese dell'ambiente? Dove sta l'equilibrio ottimale? L'ambiente naturale va preservato solo in funzione della sua utilità per l'uomo e per la sua sopravvivenza, oppure l'uomo deve, in virtù della propria intelligenza, addossarsi anche la responsabilità di ogni altra forma di vita? Fino a che punto può una generazione utilizzare o distruggere per i propri fini risorse non rinnovabili, accumulatesi nel corso dell'intera storia della Terra? Fino a che punto possono le generazioni attuali lasciare a quelle future un retaggio di scorie (costituito per esempio dalle scorie radioattive o dall'accresciuto tasso di anidride carbonica nell'atmosfera) suscettibile di dispiegare i suoi effetti per molte generazioni avvenire?
Sebbene certi organismi istituiti negli anni recenti per la valutazione della tecnologia e per lo studio delle conseguenze sull'ambiente naturale stiano oggi affrontando alcuni di tali interrogativi, la maggior parte di essi rimane senza risposta, per mancanza di consenso sociale o politico.
Lo sviluppo di imprese tecnologiche nello spazio, con la possibilità di estrarre minerali dagli asteroidi, di costruire nello spazio centrali per l'energia solare, o di inviare sul Sole le scorie radioattive più pericolose, non è una panacea per la soluzione dei problemi ambientali della Terra; se alcuni problemi potranno essere alleviati, altri potranno aggravarsi, mentre nuovi problemi sorgeranno senza dubbio per quanto riguarda l'ambiente spaziale.
Molti problemi ambientali, inoltre, non possono essere risolti con un'azione unilaterale, ma richiedono una forte cooperazione internazionale. Per esempio, la liberazione nell'atmosfera dei clorofluoroidrocarburi contenuti in certi aerosol minaccia di produrre la deflessione dello strato di ozono nella stratosfera. Ora, l'uso di certi prodotti chimici negli aerosol è bensì stato proibito negli Stati Uniti e in qualche altro paese, ma, se il divieto non è generale, la deflessione dello strato di ozono continuerà, con conseguenze per tutti. Il problema è così grave che, per controllarlo, è necessario andare alle radici, e porre un limite non soltanto agli usi degli aerosol, ma anche alla produzione di clorofluoroidrocarburi.
b) L'infrastruttura fisica
Un elemento essenziale dell'ambiente fisico della tecnologia è l'infrastruttura fisica: l'ambiente artificiale costituito dagli artefatti e dai sistemi tecnologici che rendono possibile un processo tecnologico. Tra gli elementi fondamentali dell'infrastruttura citiamo i seguenti.
1. Il sistema dei trasporti, ossia le strade, le ferrovie, i porti, i trasporti marittimi e aerei, che permettono di neutralizzare gli inconvenienti, o aumentare i vantaggi, della situazione geografica. La creazione di strade ferrate da un capo all'altro dell'Italia o del Giappone corresse gli effetti negativi dovuti alla natura montagnosa di questi paesi, mentre la costruzione di ferrovie attraverso l'America e la Siberia aprì immense regioni allo sviluppo tecnologico. La facilità con cui si poterono costruire ferrovie nella pianura padana e la combinazione di fiumi navigabili e di ferrovie nella valle del Reno costituirono potenti fattori di sviluppo in tali regioni.
2. Le telecomunicazioni, diventate indispensabili per coordinare e controllare il funzionamento di sistemi tecnologici disseminati in aree immense. La possibilità di utilizzare i satelliti ha consentito di superare le barriere geografiche che ostacolavano le telecomunicazioni, permettendo di trasmettere da un capo all'altro del globo enormi quantità di informazioni, senza ricorrere a costose reti terrestri.
3. I sistemi di approvvigionamento idrico, indispensabili non soltanto per il consumo umano, ma anche per il funzionamento di molte industrie che abbisognano di grandi quantità di acqua, come le cartiere e le centrali per la produzione di energia. Come abbiamo già visto, la facilità dell'approvvigionamento energetico è un altro fattore essenziale, cui si deve la concentrazione industriale in regioni quali la Padania e la valle del Reno.
4. La vicinanza e la natura dei centri urbani. La rivoluzione industriale portò all'espansione dei centri urbani allorché la mancanza di adeguati mezzi di trasporto di massa obbligò a impiantare le fabbriche vicino alle abitazioni operaie. Con il miglioramento dei trasporti, l'avvento dell'automobile e la preoccupazione crescente per l'inquinamento industriale, le città hanno perso attrattiva come sedi di impianti industriali. Inoltre, è più facile costruire nuove fabbriche in terreni nuovi piuttosto che entro i confini di un'area urbana densamente popolata, dove lo spazio necessario per impiantare grandi catene di montaggio è scarso e costoso. D'altra parte, le nuove possibilità aperte dai robot e dalla tecnologia dell'informazione permettono di costruire fabbriche per le quali non è necessario seguire il modello ormai classico a un solo piano, nato per le catene di montaggio tradizionali, rendendo i centri urbani nuovamente adatti all'installazione di piccole o medie industrie. In molte aree urbane, gli elevati costi degli alloggi operai sono spesso un ulteriore fattore che distoglie dalle attività industriali; d'altra parte, man mano che si orienta sull'informazione, l'industria è nuovamente attirata dalla grande varietà di opportunità che le città offrono nel campo dell'istruzione.
c) L'infrastruttura sociale
Essendo un'attività sociale, la tecnologia è soggetta all'influenza massiccia, anzi spesso determinante, dell'ambiente sociale. Per esempio, una società pluralistica e decentrata come quella americana tende a incoraggiare un vigoroso atteggiamento imprenditoriale nei confronti della tecnologia, dominata dalle forze del mercato e articolata in una miriade di imprese. I successi della tecnologia americana sono stati anzitutto quelli di un'economia di mercato, mentre i suoi insuccessi si sono generalmente verificati nei campi in cui i meccanismi del mercato rendono non remunerativo, o addirittura impossibile, l'intervento dell'impresa (ad esempio in certi settori dei servizi, come quello ospedaliero o quello scolastico). Al contrario, una società centralizzata, come quella sovietica, ha minore spirito imprenditoriale ed è meno capace di soddisfare in maniera capillare le multiformi esigenze dei consumatori; può però, per sua natura, più facilmente prendere iniziative di lungo respiro, come dimostrano i suoi progressi nel campo spaziale e in quello militare.
Un interessante caso intermedio è costituito dal Giappone, che ha dato vita a imprese capaci di produrre prodotti tecnologici avanzati per i mercati mondiali, dimostrandosi al tempo stesso capace di una visione - in materia di profitti - più lungimirante di quella delle imprese statunitensi. Ciò è in buona misura dovuto a un clima di disciplina sociale e di fedeltà all'impresa (modesti sono i conflitti sindacali e limitata la pressione degli azionisti per profitti immediati), come anche alla stretta collaborazione tra industria, governo e università.
Le istituzioni della tecnologia. - I vari aspetti del processo tecnologico esigono un insieme di organizzazioni e istituzioni particolari. In primo luogo, c'è una varietà di società e di complessi industriali che raccolgono le risorse materiali e umane necessarie per la produzione, si assumono i rischi finanziari, intraprendono il processo materiale della produzione, distribuiscono i prodotti e ne assicurano la manutenzione. La società tecnologica moderna è nata dall'associazione di due elementi distinti: la fabbrica, ossia il luogo materiale e l'organizzazione umana in cui si effettua la produzione, e la società per azioni, ossia l'entità astratta creata nel Rinascimento con lo scopo di raccogliere il capitale necessario per imprese di grandi proporzioni, ripartendo i rischi.
In particolare negli Stati Uniti, che sono l'emblema dell'economia di mercato, le grandi società sono state storicamente la maggior forza propulsiva che ha allontanato il paese dalle sue origini agricole, spingendolo verso le nuove forme di attività economica che permeano ormai la nostra vita quotidiana. Le grandi società sono oggi i principali meccanismi per la produzione, la distribuzione e i servizi, nonché per lo sviluppo e la crescita sia sul piano economico sia su quello sociale (v. Glover, 1980). (Come abbiamo visto, le nuove idee tecnologiche attraversano spesso un periodo di incubazione in piccole società, dalle quali, in caso di successo, germinano imprese di grandi dimensioni).
Nelle economie socializzate le grandi società di proprietà o sotto il controllo statale svolgono in gran parte - sebbene, com'è inevitabile, con minor dinamismo - le stesse funzioni svolte dalle società private nelle economie capitalistiche. Manca però nelle economie socialiste quell'importante ingrediente del successo che è costituito dalle piccole compagnie tecnologicamente avanzate, che si assumono rischi elevati nell'elaborazione di nuove idee tecnologiche.
Un fattore che incomincia a far sentire la sua influenza sullo sviluppo della tecnologia di più alto livello è la difficoltà crescente di reperire le ingenti risorse necessarie per certi sviluppi e di assumere i corrispondenti rischi. Il rimedio consiste nella formazione di consorzi, spesso internazionali, per mettere in comune le risorse e ripartire i rischi. Per esempio, il progetto dell'aeroplano supersonico Concorde fu realizzato da un consorzio internazionale francobritannico, sostenuto dall'impegno dei governi dei due paesi a comprare un certo numero di aeroplani per le rispettive compagnie di bandiera.
Il rovescio della medaglia sta nel fatto che le imprese tecnologiche - siano esse pubbliche o private - in grado di raccogliere grandi risorse acquistano il potere di influenzare fortemente l'ambiente sociale e di eludere i controlli o di opporvisi. Questa situazione ha spinto a sua volta i sindacati, le associazioni di consumatori e altri gruppi di pressione, come anche alcuni governi, a reagire contro il big business e le società multinazionali.
Le imprese dei servizi pubblici, che svolgono un ruolo diretto nel fornire le infrastrutture fisiche per lo sviluppo sociale ed economico di una regione, sono imprese di un tipo particolare. L'evoluzione della loro sfera d'azione ha seguito la successione classica cominciando dai materiali, è passata poi all'energia e quindi all'informazione. Le prime imprese di servizi pubblici si occupavano del trasporto di materiali (la distribuzione dell'acqua); le prime imprese dell'energia, quelle elettriche, vennero in un secondo tempo, e più tardi ancora sorsero le imprese dell'informazione, che si occupavano delle reti telegrafiche e telefoniche. Dagli esordi, i servizi in ciascun settore si sono moltiplicati: per quanto riguarda il trasporto di materiali, abbiamo ferrovie, linee aeree e oleodotti; nel settore dell'energia, società del gas; nel settore dell'informazione, reti di calcolatori, banche di dati e, in tempi ancor più recenti, comunicazioni via satellite.
Un'altra istituzione fondamentale è l'università, con i suoi laboratori e il suo interesse centrale per la preparazione del personale, che è sempre più l'elemento decisivo nello sviluppo tecnologico. Sempre più complesso è il ruolo dell'università in un paese tecnologicamente avanzato, come dimostra, forse con la massima evidenza, il caso degli Stati Uniti, dove le università si sono assunte responsabilità che vanno ben al di là della sfera didattica. Esse svolgono la ricerca di base; diffondono le conoscenze attraverso un'ampia rete capillare di servizi (un grandissimo successo hanno avuto i servizi d'informazione agraria, che hanno permesso praticamente a tutti gli agricoltori di accedere alle nuove tecniche agricole); costituiscono un terreno relativamente neutrale per la discussione di problemi di fondamentale importanza nazionale; infine, attraverso le associazioni degli ex studenti, forniscono a un gran numero di laureati un continuo collegamento con i progressi tecnici e scientifici realizzati nell'università. I politecnici svolgono una funzione particolarmente importante nel favorire lo sviluppo tecnico di un paese; data la loro natura di istituzioni centrate sulle scienze, sulla tecnologia e sulle discipline collegate, sono presenti in quasi tutti i paesi sviluppati.
Nei paesi in via di sviluppo si attende spesso che l'università inneschi il progresso economico e tecnologico. Purtroppo ciò non sempre accade, per tutta una serie di ragioni diverse, tra cui la sottile pressione che la natura internazionale della scienza e della tecnologia esercita sulle facoltà universitarie, spingendole a contribuire alla corrente principale degli studi scientifici e tecnologici, cioè alla soluzione di problemi spesso più importanti per i paesi sviluppati che non per quelli in via di sviluppo.
La terza categoria fondamentale di istituzioni è costituita dagli organi governativi per la pianificazione, l'amministrazione e il controllo della tecnologia, come i ministeri (non soltanto quello dell'Industria, ma anche quello della Difesa, dell'Agricoltura e così via), le commissioni tecniche o i comitati parlamentari. In generale, i governi sono assai lenti nell'affrontare i grandi problemi posti dallo sviluppo tecnologico; ad esempio, ci volle la recente crisi energetica perché negli Stati Uniti si creasse un Ministero dell'energia e tuttora non esiste un ministero dell'informazione. Nei paesi in cui esistono, i ministeri per l'informazione si occupano più spesso di public relations anziché di tecnologia dell'informazione.
Ancora una volta, è paradossale che in un paese come gli Stati Uniti, dove la scienza e la tecnologia svolgono un ruolo così importante, non vi sia alcun valido organo per un coordinamento globale e una guida lungimirante della scienza e della tecnologia. Il consigliere scientifico del presidente - che, nella migliore delle ipotesi, è un ministro senza portafoglio - svolge in parte queste funzioni, ma con influenza e successo variabili (v. Golden, 1980). Anche in Italia manca un organo per il coordinamento globale, ma molte delle funzioni di coordinamento sono svolte dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), oltreché, per quanto riguarda le regioni meridionali, dalla Cassa per il Mezzogiorno.
La sociologia della tecnologia. - Lo status sociale di quanti sono impegnati nella tecnologia è un fattore importante, spesso anzi cruciale, nello sviluppo tecnologico. Nella Gran Bretagna della metà del Novecento lo status relativamente basso di quanti si dedicavano alla tecnologia rispetto a quello degli scienziati puri ha contribuito in misura non piccola all'incapacità britannica di mantenere una posizione fortemente competitiva in campo tecnologico. Tale situazione era aggravata dalla carenza di dirigenti professionalmente preparati; è questa una strozzatura che ha ostacolato lo sviluppo tecnologico in molti altri paesi.
Invece, nell'Unione Sovietica, in Francia (con la tradizione inaugurata alla fine del Settecento dall'École Polytechnique, istituzione fondata per la preparazione di leaders) e in altri paesi europei, oltreché in parecchi paesi in via di sviluppo, lo status sociale degli ingegneri è molto alto, il che facilita la loro ascesa alle più elevate posizioni di comando. Questa situazione, a sua volta, rende generalmente un paese più aperto alla tecnologia, in certi casi persino troppo aperto, nel senso che viene a mancare una sufficiente valutazione critica delle sue conseguenze sociali e ambientali.
Le forze armate sono probabilmente l'ambiente nel quale le conseguenze dello status dei tecnici appaiono con la massima evidenza. L'elevato status della cavalleria fino alla prima guerra mondiale in molti paesi - e in Polonia fino alla seconda - provocò errori tattici e disastri sul campo di battaglia, quando i soldati a cavallo furono lanciati contro mitragliatrici e carri armati. Analogamente, alla vigilia della seconda guerra mondiale, quasi tutti i paesi, tranne la Germania e l'Unione Sovietica, erano riluttanti ad ascoltare una nuova generazione di generali attenti alla tecnologia, che peroravano l'uso dei carri armati sostenuto per la prima volta dal generale de Gaulle nel 1934; la conseguenza fu il crollo di un paese potente come la Francia sotto l'urto di un Blitzkrieg fortemente tecnologico.
Un aspetto importante della questione dello status è la tendenza dei leaders scientifici e tecnici a formare consapevolmente o inconsapevolmente gruppi che esercitano un'influenza notevole sullo sviluppo delle politiche scientifiche e tecnologiche e sull'arbitraggio delle controversie (v. Mazur, 1981). Data la vasta risonanza di cui godono le loro prese di posizione, tali gruppi vanno studiati attentamente.
Legata al problema dello status è l'influenza dei vari riconoscimenti (premi, appartenenza ad accademie e così via) nell'orientare scienziati e tecnologi. È inevitabile che i detentori di uno status elevato in campo tecnologico (i quali generalmente controllano molti dei meccanismi di riconoscimento) tendano a perpetuare quegli indirizzi che li hanno portati al successo. Questa tendenza, insieme alla sicurezza professionale derivante dal lavorare in campi solidamente costituiti, può intralciare gli sviluppi tecnologici e scientifici che coinvolgono vari settori dell'attività tecnologica. Per esempio, ancora oggi si continua a considerare l'ingegneria genetica come una disciplina esclusivamente biologica, anziché una disciplina che deve combinare le conoscenze biologiche dello scienziato che studia la vita con le capacità degli ingegneri in fatto di progettazione.
A un livello immediatamente pragmatico, la negligenza delle connessioni tra elementi diversi del sistema tecnologico è stata causa di svariati gravissimi disastri tecnici. Per esempio, la caduta di un Boeing DC-10 vicino a Parigi nel 1973, in seguito alla chiusura difettosa di un portellone del bagagliaio, fu dovuta bensì a un errore di progettazione, ma avrebbe potuto essere evitata se il personale a terra fosse stato messo in guardia circa una possibile difficoltà a questo proposito (v. Eddy e altri, 1976). Anche l'incidente accaduto a un DC-10 a Chicago nel 1978 (un motore si staccò in volo) fu dovuto a un difetto d'informazione circa le operazioni di manutenzione.
Lo status accordato al tecnologo non è che uno degli aspetti dell'atteggiamento della società nei confronti della tecnologia. Questo atteggiamento, a sua volta, dipende dalla misura in cui la tecnologia è in sintonia con le altre manifestazioni della cultura di una società e viceversa, incluso quanto la gente si sente a suo agio con i congegni tecnologici. La crescita industriale moderna degli Stati Uniti è dovuta in non piccola misura a una tradizione di spirito pratico e di fiducia negli strumenti meccanici, che costituì la precondizione per lo sviluppo della produzione industriale su vasta scala; la nascita dell'industria in Europa e in Giappone fu facilitata da una predisposizione culturale alla precisione e alla disciplina. Un altro fattore importante nello sviluppo industriale degli Stati Uniti fu la grande mobilità della società americana, in un'epoca in cui le barriere di status intralciavano, quasi ovunque nel mondo, il sorgere di uno spirito imprenditoriale innovatore e favorevole alla tecnologia.
Accade però, talvolta, che la tecnologia venga introdotta in una società che le è tendenzialmente ostile. Uno degli esempi più significativi è l'introduzione deliberata, e a tappe forzate, della tecnologia in una società decisamente conservatrice quale era quella russa agli inizi del XVIII secolo, a opera di Pietro il Grande: l'impegno dello zar assicurò il successo. Nel nostro secolo l'introduzidne deliberata della tecnologia si è ripetuta, anche se in condizioni differenti, nell'Unione Sovietica, in Cina e in altri paesi.
L'Occidente è stato tradizionalmente un terreno assai fertile per la crescita della tecnologia moderna. Oggi, esso è però angustiato dal problema delle ‛due culture' (v. Snow, 1959), il problema cioè della separazione tra scienza e tecnologia da un lato e cultura umanistica tradizionale dall'altro. E a poco giova notare come, in realtà, la cultura tecnologica e quella umanistica parlino oggi entrambe lo stesso linguaggio e si siano rafforzate vicendevolmente, o notare che la distruzione delle forme classiche operata da Picasso è contemporanea di quella operata da Einstein, che i flashbacks di Dos Passos sono precedenti alla datazione con il carbonio 14, che il movimento futurista ha preceduto la previsione tecnologica. Fin tanto che le due culture continueranno a essere considerate separate e antitetiche l'una all'altra, le società occidentali manterranno verso la tecnologia un rapporto di amore-odio, che è fonte perdurante di instabilità, di alienazione e di possibili catastrofi.
La tecnologia sociale. - I fondamentali problemi sociali riguardanti la tecnologia vertono su interrogativi come i seguenti: sarà la tecnologia accettata da una data società o da una data cultura? Come la si può rendere accettabile, se è necessaria al futuro di tale cultura? Chi dovrebbe controllarla? Come può la tecnologia promuovere una data finalità sociale anziché ostacolarla? Per esempio, come può la difesa tecnologica aumentare la nostra sicurezza, invece di metterci di fronte a gravi rischi? Che tipo di tecnologia e quale sua organizzazione sono i più adatti a una certa società?
L'analisi di tali questioni è il compito di una disciplina nascente, la tecnologia sociale, che studia le relazioni tra tecnologia e società con lo scopo di fornire una base più razionale e sicura per le decisioni della società riguardanti la tecnologia.
La tecnologia sociale cerca di identificare la natura dei punti di contatto tra tecnologia e altri aspetti della società e in definitiva di aiutare i decision makers - i creatori, i dirigenti, come anche gli utenti della tecnologia - a operare scelte intelligenti in materia tecnologica. Con il crescere delle nostre conoscenze circa le questioni sociotecnologiche, dovremmo riuscire a ottenere un'integrazione più armoniosa della tecnologia nel complesso della società, riducendo le contrapposizioni, reali o immaginarie. Qualche esempio illustrerà alcuni dei fondamentali problemi sociotecnologici che ci stanno dinanzi.
Il problema dei giudizi di valore. Le decisioni tecnologiche sono raramente riducibili a scelte quantitative, come nel caso della scelta tra due tassi di rendimento di un investimento, oppure tra due diversi tracciati per una galleria (in cui siano in gioco soltanto differenze di costo). Ben più spesso, invece, le decisioni tecnologiche - e in particolare quelle che hanno una diretta incidenza sociale o ambientale - comportano un giudizio di valore circa i vantaggi dell'una e dell'altra soluzione. Un esempio è la fondamentale scelta strategica per quanto riguarda l'ambiente. Data la limitatezza delle risorse, dobbiamo investirle per ridurre i rischi privi di conseguenze genetiche, come quelli legati all'inquinamento atmosferico e acustico? Oppure dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi per ridurre i rischi derivanti, per esempio, da scorie radioattive, che hanno conseguenze genetiche e possono, dunque, ripercuotersi anche sulle generazioni future? O ancora, bisogna costruire nuovi aeroporti al fine di dare impulso allo sviluppo economico di una data regione, oppure è meglio astenersene per proteggere l'ambiente evitando l'inquinamento atmosferico e acustico? Infine è meglio modificare un sistema di trasporti di massa per renderlo accessibile agli handicappati, oppure conviene fornire agli handicappati mezzi di trasporto speciali?
Il problema dell'equità distributiva. Le nuove tecnologie comportano molti rischi. Devono essere suddivisi, questi rischi, tra tutta la popolazione, oppure devono essere sopportati in misura più pesante da quanti traggono più diretti benefici dalla tecnologia in questione? La considerazione di questo problema ebbe il suo peso nella decisione degli Stati Uniti di non costruire un aeroplano supersonico per l'aviazione civile. I cittadini non passeggeri, infatti, avrebbero beneficiato soltanto in maniera indiretta dell'elevatissima velocità, mentre sarebbero stati esposti al rischio di fastidi e magari di altri danni psicologici o fisiologici; i passeggeri invece avrebbero tratto grandi vantaggi diretti, senza essere sottoposti a molti di tali rischi. Dello stesso tipo è il problema sempre ricorrente di chi dovrebbe sopportare i rischi legati alla produzione dell'energia nucleare: la popolazione che vive nelle vicinanze delle centrali nucleari è esposta a gravi rischi, ma non beneficia necessariamente dell'energia nucleare.
Il problema della standardizzazione. La standardizzazione (mirante ad assicurare l'intercambiabilità delle parti) e le regolamentazioni che stabiliscono livelli minimi di prestazioni sono stati fra gli ingredienti essenziali nella diffusione della tecnologia moderna. Sia la standardizzazione che le regolamentazioni hanno ormai interamente permeato la nostra società, sia per quanto riguarda prodotti come tubature e automobili, sia per il funzionamento dei sistemi tecnologici complessi, come le linee aeree e le centrali nucleari, sia per garantire, mediante gli esami di abilitazione professionale, la competenza di ingegneri e di altri professionisti.
Una standardizzazione troppo rigida può però ostacolare le innovazioni: per esempio, i programmi per gli ingegneri possono prescrivere le materie da studiare in modo tanto rigido da lasciare poco spazio per discipline suscettibili di acquisire importanza per il futuro della tecnologia (come la biologia), o per l'esplorazione di nuove aree. Allo stesso modo, delle regolamentazioni troppo rigide nel campo dell'edilizia impediscono talvolta l'adozione di nuovi e più economici metodi o materiali di costruzione: in molte città americane si poté introdurre l'uso di tubature di plastica, al posto di quelle più pesanti e costose di ghisa o di rame, soltanto dopo lunghe battaglie per modificare le tradizionali norme in materia edilizia, norme vigorosamente sostenute dai sindacati edili.
Talvolta, i limiti imposti dagli standard e dalle regolamentazioni in vigore sono tali che l'innovazione può imporsi soltanto se il vecchio sistema è puramente e semplicemente sostituito da uno nuovo. Un esempio è l'adozione di binari ferroviari a scartamento allargato in Giappone alla fine degli anni cinquanta per la nuova linea Tokyo-Osaka, adozione che permise di raggiungere agevolmente altissime velocità.
Il ricorso a certi standard può talvolta avere uno scopo difensivo, com'è il caso delle ferrovie a scartamento allargato precocemente adottate dalla Spagna e dalla Russia al fine di ostacolare un'eventuale invasione (la scelta russa si rivelò lungimirante, come risultò in occasione dell'invasione tedesca durante la seconda guerra mondiale). Un altro esempio è fornito dai calcolatori. La posizione di predominio dell'IBM nella produzione dei grandi calcolatori le permise fino a poco tempo fa di utilizzare per i propri prodotti delle componenti diverse da quelle vendute dai concorrenti, anziché adeguarsi ai modelli comuni del mercato, cosicché per usare i calcolatori IBM ci si doveva necessariamente servire di prodotti compatibili con essi. Tuttavia, non è facile stabilire fino a che punto i vantaggi di ‛standard protettivi' superino a lungo andare gli svantaggi. Se, infatti, si rende così più difficile l'invasione - sia militare sia economica (attraverso le importazioni) - del proprio territorio, si riducono però, anche le proprie possibilità di estendersi al di là del proprio territorio e di avvantaggiarsi di altri sistemi.
Il problema dei limiti della crescita. Una delle teorie più controverse della seconda metà del nostro secolo - in un certo senso, un'estensione della teoria malthusiana - è che le risorse specifiche del globo diventeranno presto il fattore limitante nella crescita della tecnologia (v. Meadows e altri, 1972); ciò implica la necessità di limitare la crescita per evitare una catastrofe. Sussistono però notevoli discordanze quanto al settore in cui i limiti delle risorse appariranno per la prima volta e quanto al tempo che occorrerà per arrivarci.
Tale problema è di natura squisitamente sociotecnologica, poiché dipende da fattori che vanno ben oltre la tecnologia: si pensi agli artificiali limiti delle risorse creati mediante l'imposizione di restrizioni ambientali o di prezzi politici (come nel caso dei prezzi petroliferi dell'OPEC). Quale che sia la natura, fisica o politica, dei limiti, ogni società deve oggi fare una scelta strategica fondamentale per quanto riguarda la sua tecnologia e le sue risorse materiali: dovrà rallentare il consumo di risorse e, di conseguenza, anche la crescita economica, in vista del momento in cui sarà vicino il limite della disponibilità di risorse decisive, oppure converrà proseguire nella crescita economica e quindi nell'alto consumo di risorse, sperando che ciò possa facilitare l'invenzione di nuove tecnologie e la scoperta di nuove risorse?
d) L'educazione dei produttori e degli utenti della tecnologia
La tecnologia richiede un addestramento sempre più approfondito di coloro che sono coinvolti nella pianificazione, nella progettazione e nel funzionamento dei sistemi tecnologici, ossia dei produttori della tecnologia. Anche gli utenti, ossia la totalità della popolazione, devono essere educati a un uso intelligente dei sistemi tecnologici.
I produttori. - Nei primi stadi dello sviluppo tecnologico l'addestramento dei produttori avveniva in maniera informale, mediante un tirocinio pratico, ed era spesso determinato da fattori sociali. Per esempio, non era un'educazione destinata all'aristocrazia; nell'antica Roma erano spesso gli schiavi che si occupavano della tecnologia e, nell'Impero ottomano, il grande ingegnere militare e architetto Sinān era un ex giannizzero che, strappato alla sua famiglia cristiana, era stato, come i suoi compagni, arruolato a forza al servizio del sultano.
Man mano che la tecnologia diveniva più complessa, il bisogno di un addestramento sistematico si fece più insistente e al tempo stesso più articolato; il risultato fu la creazione di un sistema sempre più complesso di programmi di addestramento per artigiani specializzati, tecnici e ingegneri. Un impulso fondamentale venne dai bisogni della guerra, che richiedevano un personale specializzato nella programmazione e costruzione di fortificazioni e di opere ossidionali, come anche nell'utilizzazione dell'artiglieria e delle altre macchine belliche. La parola stessa ‛ingegnere' nacque in connessione con funzioni militari verso la fine del Medioevo e continuò ad avere una connotazione militare fino al Seicento, quando l'incipiente applicazione dell'ingegneria alla costruzione di strade, canali, case, fabbriche e altri artefatti per usi civili portò al sorgere di una professione distinta, quella dell'ingegnere civile (per distinguerla da quella dell'ingegnere militare).
I corsi di idraulica furono probabilmente il primo esempio di istruzione tecnologica formale. L'École Polytechnique fondata a Parigi nel 1794-1795 da Napoleone (inizialmente risentì delle origini militari dell'ingegneria) divenne il modello per le future università tecnologiche in vari paesi e dette il suo nome ai politecnici d'Italia, della Svizzera e degli Stati Uniti.
Con gli inizi dell'Ottocento, i corsi formali di ingegneria furono istituiti anche in numerose università tradizionali. La rapida moltiplicazione delle aree di specializzazione tecnologica richiedeva un'incessante diversificazione delle discipline tecnologiche, cosicché ai corsi di laurea - i primi - in ingegneria civile seguirono presto, nella seconda metà dell'Ottocento, corsi di laurea in ingegneria meccanica e ingegneria elettrotecnica. Nella prima metà del nostro secolo sono nate l'ingegneria chimica (inizialmente, un prodotto dell'incontro di chimica e ingegneria meccanica) e l'ingegneria aeronautica; nella seconda metà si sono istituiti i corsi di ingegneria nucleare (quelle da noi menzionate sono solo le principali di una gamma che supera oggi le trenta specializzazioni).
Questi corsi universitari hanno quindi mutato la figura del professionista della tecnologia, che è ormai una persona che ha alle spalle non più un tirocinio pratico ma una formazione accademica. In molti paesi, inoltre, sono stati introdotti ulteriori controlli sull'accesso alla pratica professionale mediante esami di abilitazione, necessari per l'iscrizione agli albi professionali. L'ingegnere è stato poi affiancato da una serie di paraprofessionisti, sempre più specializzati - disegnatori, tecnici, specialisti di laboratorio e così via - che per lo più vengono oggi preparati attraverso addestramento formale in scuole e istituti specializzati.
La crescente diversificazione e specializzazione della tecnologia e della professione d'ingegnere pone alle scuole di ingegneria difficili problemi in materia di copertura di tutte le discipline, di durata degli studi e di equilibrio tra insegnamenti teorici di base e applicazioni. Se, infatti, bisogna mantenere entro limiti ragionevoli la durata dei corsi e non si vuol frammentare la preparazione in un gran numero di specializzazioni senza un nucleo comune, ci si dovrà concentrare sulle conoscenze di base piuttosto che su un know-how suscettibile di applicazione immediata. La concentrazione sulle conoscenze di base è così diventata un tratto essenziale e caratteristico della preparazione universitaria degli ingegneri nell'Occidente, e soprattutto negli Stati Uniti, mentre nell'Unione Sovietica gli studi, che durano più a lungo che nell'Occidente, sono più specializzati e mirano a scopi professionali immediati. Evidentemente, se si dà la priorità alle conoscenze di base, la preparazione degli ingegneri dovrà essere completata da un periodo di apprendistato sul posto di lavoro o, per una più profonda specializzazione, da corsi di perfezionamento.
Parallelamente ai problemi posti da un universo di conoscenze professionali in crescente espansione, le facoltà di ingegneria hanno anche risposto all'esigenza di allargare l'orizzonte intellettuale degli ingegneri cercando di familiarizzarli maggiormente con le discipline umanistiche, aprendoli allo sfondo storico, filosofico e sociale della loro professione e abituandoli infine a valutare le conseguenze biologiche e ambientali della tecnologia. La consapevolezza di questi fattori sta diventando, per la figura dell'ingegnere professionista, un tratto tanto caratteristico e importante quanto la capacità di assumersi la responsabilità di un'adeguata progettazione e di un soddisfacente funzionamento dei sistemi tecnologici.
I corsi di perfezionamento post-laurea completano la formazione degli ingegneri e offrono loro occasioni per un'approfondita specializzazione, per l'addestramento alla ricerca o per la preparazione alle funzioni manageriali. I corsi post-laurea si sono sviluppati specialmente negli Stati Uniti, dove il normale ciclo di studi per gli ingegneri si limita generalmente a quattro anni con un'alta quota di materie non tecniche (tali corsi sono inoltre necessari perché gli studenti americani, rispetto ai colleghi europei, arrivano all'università più presto e con un minor bagaglio culturale in fatto di discipline umanistiche e scienze sociali). Negli Stati Uniti l'istruzione post-laurea si articola in due stadi: il primo porta al conseguimento del titolo di Master of Science e comporta un ulteriore anno di studi e, in alcuni casi, la preparazione di una tesi. Il secondo stadio porta al dottorato (Ph. D.), orientato soprattutto verso la ricerca, e comporta un periodo di studi successivo al Master, il superamento di esami molto severi e lo svolgimento di una ricerca originale culminante in una tesi. Una caratteristica peculiare del sistema americano sta nel fatto che la maggior parte dell'autentica ricerca di base del paese viene effettuata nelle università dagli studenti che si preparano al dottorato sotto la supervisione di un professore. I programmi per il dottorato, sia nelle discipline scientifiche sia in ingegneria, hanno quindi importanza non soltanto per il perfezionamento degli studenti, ma anche come elemento essenziale nel programma di ricerca e sviluppo del paese. (Nel 1977, negli Stati Uniti, circa 17.000 persone hanno conseguito il dottorato in ingegneria e nelle materie scientifiche - inclusa la matematica e le scienze sociali -, delle quali 2.600 in ingegneria e circa 3.000 nelle scienze fisiche. Il numero totale di ingegneri e di scienziati era, in quell'anno, così ripartito in base al diploma posseduto: 1,7 milioni erano in possesso di un Bachelor degree, 650.000 di un Master degree e 285.000 di un dottorato).
L'elaborazione di programmi universitari adeguati è stata accompagnata dall'aumento percentuale degli occupati nelle attività tecnologiche. Naturalmente, quanto maggiore è l'intensità dello sviluppo tecnologico in un paese, tanto più elevata la percentuale (rispetto alla popolazione attiva) degli scienziati, degli ingegneri, dei tecnici e degli insegnanti delle scuole secondarie. Nel 1970 questa percentuale era, negli Stati Uniti, prossima al 5%: cioè circa 4 milioni di persone, delle quali meno della metà scienziati e ingegneri. I dati comparativi di altri paesi (v. sopra, cap. 2, È b) mostrano che la percentuale di scienziati e di ingegneri nei paesi a medio sviluppo tecnologico (come l'Argentina) può essere dieci volte maggiore che nei paesi a basso reddito e a basso livello tecnologico (come il Bangla Desh), e d'altra parte dieci volte inferiore rispetto ai paesi tecnologicamente più avanzati (come gli Stati Uniti e il Giappone), dove esistono fino a cinque ingegneri ogni 1.000 abitanti (e forse anche più nell'Unione Sovietica).
Il grande balzo dello sviluppo tecnologico dopo la seconda guerra mondiale è stato accompagnato da variazioni nell'entità numerica delle differenti branche dell'ingegneria. Prima della guerra, infatti, la branca più affollata era l'ingegneria civile, seguita nell'ordine dall'ingegneria meccanica e dall'ingegneria elettrotecnica; e tale ordine si riscontra ancora oggi in molti paesi in via di sviluppo. Durante gli anni sessanta, però, nei paesi tecnologicamente avanzati la preponderanza passò, come conseguenza delle richieste delle corrispondenti industrie, all'ingegneria meccanica e a quella aerospaziale; alla fine degli anni settanta la rivoluzione nell'elettronica, nei calcolatori e in altri aspetti della tecnologia dell'informazione domina ormai l'ingegneria: una situazione destinata a durare ancora a lungo.
Bisogna, inoltre, considerare che il livello generale di istruzione della popolazione è un fattore importantissimo per lo sviluppo della tecnologia. Una popolazione istruita è infatti, al tempo stesso, una migliore fonte di scienziati e di tecnici e un utente più avveduto dei prodotti tecnologici. La tab. III mostra le fortissime differenze esistenti - sotto l'aspetto dell'istruzione - tra nazioni a basso reddito, nazioni a medio reddito e nazioni ad alto reddito.
Gli utenti. - Gli utenti della tecnologia si trovano spesso di fronte a sistemi che li mettono in gravi difficoltà sia quanto alla loro comprensione sia quanto al loro uso. Eppure, come elettori essi devono prendere decisioni riguardanti la direzione dello sviluppo tecnologico e, come semplici privati, devono decidere se fidarsi o non fidarsi, se usare o non usare un dato prodotto tecnologico - un'automobile, un aeroplano, un calcolatore, un farmaco e cosi via - per soddisfare le proprie esigenze.
Il pubblico abbisogna quindi di un'informazione avveduta sia sui rischi di una data iniziativa tecnologica sia sugli opposti rischi della sua mancata attuazione per esempio, sui rischi della vaccinazione rispetto ai rischi di epidemie; sui rischi di un guasto di una centrale nucleare rispetto ai rischi di una crisi energetica e della conseguente disoccupazione; sui vantaggi di una riduzione delle dimensioni delle automobili per risparmiare carburante rispetto ai maggiori rischi cui automobili più piccole vanno incontro nel caso di collisione con un autocarro.
Il fatto che il pubblico sia ben informato è essenziale al fine di evitare decisioni troppo schematiche o emotive quando si tratta di valutare i costi e i ricavi della scelta di un particolare sviluppo tecnologico (o delle sue dimensioni). Ad esempio, il pubblico deve rendersi conto che, in certe analisi dei costi e dei benefici, il presupposto secondo il quale le lire di benefici e le lire di costi hanno lo stesso valore è valido soltanto a certe condizioni. Così è impossibile mettere sul medesimo piano il valore di una vita salvata - in qualunque modo la si voglia stimare sotto il profilo finanziario - e il costo delle misure necessarie per salvarla è qui in gioco un giudizio di valori. Al contrario, i benefici delle misure per risparmiare carburante sono più facilmente paragonabili con i loro costi, rientrando sia gli uni che gli altri nella medesima sfera.
Anche in questo caso, però, la scelta del risparmio di carburante ha effetti collaterali (positivi, come la diminuzione dell'inquinamento, o negativi, come l'incremento della delinquenza dovuto alla scarsa illuminazione delle strade), che è difficile quantificare.
Un caso tipico in cui l'orientamento del pubblico è influenzato dall'emotività, anziché da una valutazione razionale dei costi, è costituito dal diverso interesse (maggiore nel primo caso) suscitato rispettivamente dagli incidenti mortali sul lavoro e da quelli legati all'uso del tempo libero.
L'istruzione è necessaria anche per dare al pubblico una comprensione più chiara delle conseguenze di una data tecnologia sull'ambiente, sul nostro modo di vivere e sul nostro equilibrio biologico. Per esempio, uno degli effetti più diffusi, ma meno chiaramente compresi, della tecnologia è quello sulla privacy: la concentrazione di informazioni in potenti banche di dati permette di ottenere notizie di carattere assolutamente privato sulla vita dei cittadini. Un pubblico informato può esigere efficaci salvaguardie, di natura sia tecnica che giuridica. La conoscenza delle conseguenze ci dà anche la possibilità di reagire in maniera adeguata in situazioni critiche. Due elementi scoraggianti nell'incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island, negli Stati Uniti, nel 1979, furono i servizi dei mass media, che alimentarono l'emotività e le paure del pubblico, e il fatto che non tutti coloro che decisero di abbandonare le loro case avevano sufficienti cognizioni di meteorologia per evitare la direzione di eventuali radiazioni pericolose emesse dalla centrale danneggiata.
È inoltre particolarmente importante che gli utenti della tecnologia - che siano decisions makers o semplici cittadini - comprendano in qual misura le scelte riguardanti lo sviluppo della tecnologia siano di natura ideologica oltre che pragmatica (per sepolta che l'ideologia possa essere nel nostro subconscio). Persino un atto in apparenza così banale come l'ingestione di una pillola è indice della fiducia deterministica nel rapporto causa-effetto e della credenza che un artefatto, come la pillola, possa modificare un processo naturale. Opinioni del genere creano talvolta problemi in certi paesi in via di sviluppo, nei quali possono cozzare più direttamente contro credenze sociali o religiose ben radicate; ma anche in molti paesi sviluppati la quasi universale e subconscia credenza meccanicistica che è alla base della tecnologia porta a un conflitto con alcune delle radicali condanne della tecnologia apparse in anni recenti.
Le scelte tecnologiche non sono soltanto pubbliche, ma anche private. Perciò i cittadini di una società nella quale la tecnologia svolge un ruolo sempre più importante devono comprendere che le loro scelte di uno stile di vita, di un'automobile, di un particolare prodotto alimentare o di un mezzo di trasporto incidono non solo sulle loro vite private, ma anche, attraverso l'effetto cumulativo di tali scelte, sulla più vasta vita sociale e politica.
L'istruzione degli utenti della tecnologia si svolge in primo luogo nelle scuole, ma dato il rapido ritmo del mutamento tecnologico, deve poi proseguire per l'intero corso della vita adulta con mezzi sia formali sia informali. Nel loro complesso, i mass media familiarizzano con i problemi più di quanto non faccia l'istruzione scolastica formale, poiché i cittadini di una società anche solo moderatamente prospera trascorrono più tempo a leggere i giornali, ad ascoltare la radio e a guardare la televisione di quanto non ne abbiano trascorso a scuola. I mass media hanno dunque un'importanza fondamentale nell'istruzione degli utenti della tecnologia. Purtroppo, nei regimi autoritari la gamma dei problemi che i mass media possono trattare è limitata. Nelle società democratiche altamente sviluppate, d'altra parte, i mass media sono impegnati in un'aspra concorrenza per accaparrarsi l'attenzione del pubblico e, di conseguenza, il tempo per un'informazione approfondita e per l'analisi dei problemi è limitato, per lasciare spazio a programmi a più alto contenuto d'intrattenimento.
4. La tecnologia come strumento sociale
L'intera tecnologia ha una finalità sociale, che può essere indiretta, quando crea posti di lavoro o rende possibili le organizzazioni sociali, oppure diretta, quando viene utilizzata per la fornitura di servizi o deliberatamente come strumento per il progresso economico e sociale di un paese in via di sviluppo. Inoltre, nella misura in cui la guerra è un fenomeno sociale, per quanto tragico, l'uso della tecnologia per scopi militari è anch'esso una manifestazione della tecnologia come strumento sociale.
a) La tecnologia come strumento per i servizi sociali
La crescita economica dei paesi sviluppati, come abbiamo già ricordato, è caratterizzata da uno spostamento nella struttura occupazionale della popolazione attiva dall'industria al settore dei servizi, spostamento analogo a quello, avvenuto in passato, dall'agricoltura all'industria. Man mano che aumentano l'efficienza e l'automazione della produzione, per conseguirla è sufficiente una quota sempre più bassa della popolazione, mentre si moltiplicano le possibilità di lavoro nel settore dei servizi dalla sanità al sistema scolastico, dall'assistenza sociale a ogni sorta di elaborazione dell'informazione. Poiché, però, il settore dei servizi è caratterizzato, rispetto all'industria, da una maggior intensità occupazionale e d'altro canto presenta maggiori ostacoli a incrementi di produttività, esso tende a rallentare il ritmo della crescita economica.
L'introduzione della tecnologia, se effettuata in maniera intelligente e avveduta, può rendere la fornitura dei servizi più efficiente ed efficace. Può, per esempio, estendere il raggio d'azione del personale dei servizi, fornendolo di strumenti potenti per lo svolgimento delle sue mansioni. La radio e la televisione, per esempio, hanno portato la scuola nelle case e hanno messo in guardia la popolazione nel caso di calamità, come inondazioni, incendi ed epidemie. L'automazione dei raggi X e dei procedimenti di laboratorio ha grandemente accresciuto le possibilità di sottoporre a esami medici approfonditi un numero maggiore di pazienti, mentre l'uso dei calcolatori, delle banche di dati e del!e comunicazioni via satellite ha permesso di effettuare transazioni bancarie istantanee da un capo all'altro del globo.
Ogni volta che una tecnologia sostituisce funzioni umane oppure dà grande potere alle burocrazie, si ripresenta l'eterno pericolo della creazione di un sistema disumanizzante e in ultima analisi dell'alienazione dell'intera popolazione. Per di più, la tecnologia può essere così potente da eccedere le capacità del sistema in cui è incorporata. Per esempio, i mezzi tecnologici a nostra disposizione ci permettono oggi di esaminare pressoché tutta la popolazione per la diagnosi di malattie latenti; ma i nostri sistemi sanitari sarebbero incapaci di assistere tutti coloro che potrebbero rivelarsi bisognosi di cure. La realtà è che le attese crescenti, suscitate dalle tecnologie avanzate nella fornitura di servizi, non possono spesso essere soddisfatte per ragioni economiche; per esempio, il rene artificiale portatile ha suscitato le speranze dei sofferenti di disfunzioni renali, ma attualmente - per il suo costo - se lo può permettere soltanto una percentuale minima dei malati che ne avrebbero bisogno.
Nell'applicazione della tecnologia ai servizi sociali s'impone una continua vigilanza in vista di eventuali difetti, che possono provocare disinganni e sofferenze gravi (per esempio, un procedimento automatizzato di laboratorio per la diagnosi di malattie può fallire nel cogliere i sintomi patologici o, peggio ancora, può confondere le diagnosi di due pazienti diversi).
Ciononostante, sia ragioni economiche sia la sua capacità di eseguire compiti difficili rendono la tecnologia sempre più importante per la fornitura di servizi. È dunque essenziale che si dedichi grande attenzione all'interazione tra uomini e tecnologia in tutti i campi dei servizi, dato che la natura di tale interazione ha un'incidenza diretta sulla nostra felicità, sul nostro benessere e sul nostro sentimento di appartenenza a una società che si prende cura dei cittadini. Alcune delle difficoltà incontrate nel campo dell'istruzione, per esempio, nascono dal fatto che la maggior parte della tecnologia usata nell'insegnamento con i film e la televisione è stata sviluppata soprattutto a scopi d'intrattenimento anziché per le esigenze delle scolaresche e del processo educativo. L'incapacità dei sistemi educativi a concordare standard e norme rispondenti ai bisogni educativi ha impedito al settore dell'educazione di impadronirsi di una quota del mercato dei media abbastanza concentrata da indurre i produttori della tecnologia dell'informazione a rispondere con la stessa energia con la quale hanno risposto alle esigenze del mercato dell'intrattenimento (per esempio, v. National Academy of Engineering, 1974).
Perché l'introduzione della tecnologia nella fornitura dei servizi abbia successo, è necessaria anche la disponibilità del personale ad accettarla e a servirsene in maniera intelligente, anziché considerarla come un nemico. È naturale che insegnanti i quali vedano le proprie mansioni minacciate dall'introduzione dei calcolatori e dalle lezioni televisive vi si oppongano, proprio come gli operai delle fabbriche che vedono le loro mansioni minacciate dall'automazione.
La velocità con cui si introduce la tecnologia deve dunque sintonizzarsi con la capacità - sia degli utenti sia dei fornitori di servizi - di adattarsi al mutamento, in modo ch'essi ne traggano un senso di sicurezza e di miglioramento, anziché di alienazione e di paura.
b) La tecnologia come strumento per lo sviluppo
Il netto miglioramento delle condizioni socioeconomiche al quale, per definizione, aspirano tutti i paesi in via di sviluppo richiede necessariamente un impegno decisivo nella tecnologia, intesa come l'insieme delle conoscenze e degli strumenti materiali indispensabili per raggiungere il desiderato moltiplicatore degli sforzi umani. Ciò può provocare profondi conflitti con le credenze religiose o con gli atteggiamenti sociali, che sono spesso in contrasto con i presupposti della tecnologia e con la sua dinamica.
L'influenza radicalmente livellatrice della produzione di massa, l'inflessibile ricerca di ottimizzazione e di economicità e, soprattutto, la razionalità di una scienza sentita come profondamente radicata nella cultura occidentale sottopongono a forti tensioni le culture tradizionali, in particolare quelle non occidentali. Le conseguenze possono essere esplosive, come nel caso dell'Iran. Non sorprende quindi che, all'inizio degli anni ottanta, abbia avuto un certo seguito nel mondo musulmano lo slogan di una ‛scienza islamica', una scienza, cioè, basata sul concetto teologico di verità anziché sul criterio della ripetibilità dei risultati.
Per il fatto di invalidare i presupposti fondamentali della scienza quale noi la conosciamo, una metodologia scientifica tratta da assiomi teologici o da dogmi politici impedirebbe inevitabilmente lo sviluppo tecnologico di quei paesi che l'adottassero. A illustrazione di ciò, valgano i danni prodotti sia alla biologia sia all'agricoltura sovietiche - nel periodo dagli anni trenta alla metà degli anni sessanta - dal predominio della teoria di Lysenko, con la sua difesa dogmatica della superata teoria neolamarckiana di Mičurin (v. Medvedev, 1969; v. Zirkle, 1949). Invece, il concetto di una tecnologia - intesa come estensione delle nostre facoltà biologiche che si basi sull'universalità della scienza odierna, ma sia al tempo stesso guidata dalla cultura e dalle esigenze delle società nelle quali si sviluppa, è insieme valido e auspicabile. Sarebbe dunque molto più logico creare una ‛tecnologia islamica' (o africana, mediterranea, buddista o comunista), anziché una ‛scienza islamica'. Una tecnologia specificamente adeguata a una data cultura potrebbe infatti ridurre i conflitti che, nei paesi in via di sviluppo, si vengono a creare tra tecnologia e tradizione, garantendo il rispetto dei valori e delle usanze sociali del paese. Ne potrebbero derivare, per esempio, nuove concezioni dell'organizzazione dei servizi sanitari (senza, tuttavia, rinunciare all'utilizzazione dei mezzi tecnologici più avanzati) o, nella progettazione di un sistema di trasporti, una nuova considerazione dei rischi accettabili.
Riassumendo, dunque, la strategia per la fioritura della tecnologia in un paese in via di sviluppo deve corrispondere sia alla natura della società in questione sia alle risorse locali. Un paese in via di sviluppo si trova così di fronte a una varietà di scelte, tra le quali deve decidere in base a una valutazione approfondita dei suoi obiettivi e delle sue possibilità.
Una delle scelte più importanti, per un paese in via di sviluppo, riguarda la decisione se dare impulso alla tecnologia agricola piuttosto che a quella industriale o viceversa. Entrambe le strade sono gravide di pericoli, se affrontate in maniera non realistica. Se il paese non è in grado di soddisfare i suoi bisogni alimentari fondamentali, un troppo ambizioso impegno nell'industrializzazione può metterlo in una posizione pericolosa di dipendenza dall'estero. Persino l'Unione Sovietica ha subito periodicamente le conseguenze negative di un'agricoltura trascurata. D'altra parte, però, un forte impegno nel miglioramento dell'agricoltura mediante la tecnologia, con lo scopo di liberare manodopera per scopi industriali, può essere anch'esso controproducente se non ci sono risorse finanziarie e tecniche sufficienti per creare altre forme di occupazione. Sarà quindi prudente formulare una linea di condotta equilibrata, che promuova accortamente lo sviluppo tecnologico sia nell'agricoltura sia nell'industria.
Un'altra scelta fondamentale riguarda la misura in cui utilizzare la tecnologia per la fornitura di servizi in paesi con abbondante manodopera. Se tale manodopera è in gran parte non specializzata, la tecnologia avanzata può essere necessaria per aumentare le capacità dello scarso personale addestrato. Anche in tal caso, dunque, è auspicabile una politica equilibrata, che preveda un ricorso massiccio alla manodopera non specializzata e al tempo stesso introduca tecnologie sofisticate, che accrescano l'efficienza del personale specializzato. Purtroppo, però, una politica di questo tipo, per quanto razionale e necessaria, crea una spiacevole e politicamente pericolosa coesistenza di una tecnologia primitiva e di una tecnologia avanzata - la fabbricazione a mano di mattoni accanto all'utilizzazione dei satelliti artificiali e dei calcolatori - con le relative tensioni dovute a differenze salariali e di status sociale. In realtà, uno dei maggiori dilemmi, per un paese in via di sviluppo, è se seguire una via di media o bassa tecnologia o una via di alta tecnologia (la quale, sia o non sia caratterizzata da alta intensità di capitale, sarà necessariamente caratterizzata da alta intensità di specializzazione e richiederà perciò stretti rapporti con quei paesi in cui vengono sviluppate le specializzazioni in questione). La crisi energetica ha sollevato particolari difficoltà per i paesi che sono passati da una tecnologia elementare a una tecnologia più avanzata attraverso la meccanizzazione, specialmente nell'agricoltura e nei trasporti, e la creazione di industrie chimiche sintetiche. Così facendo, infatti, tali paesi sono spesso divenuti dipendenti dalle importazioni di energia e quindi, date le loro modeste risorse finanziarie, specialmente vulnerabili agli aumenti del prezzo del petrolio. Una gran parte degli aiuti economici che questi paesi ricevono viene oggi utilizzata per pagare le importazioni di energia, il che è un risultato tragicamente ironico per paesi che guardavano alla meccanizzazione come a uno strumento per il miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali. Peggio ancora, nella ricerca di fonti alternative di energia si attaccano le foreste, con possibili esiti di desertificazione.
L'industrializzazione impone anche la scelta se importare prodotti e congegni tecnologici e impianti industriali o intraprendere la via, molto più lunga, della creazione delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo tecnologico, partendo dalla formazione di scienziati, ingegneri e tecnici e dalla creazione di laboratori di ricerca. Il secondo è ovviamente un processo molto più lento, ma può avere il vantaggio di favorire, a lunga scadenza, la nascita di una tecnologia più adatta alle esigenze del paese. Una situazione analoga si riscontra nell'agricoltura. Molti paesi in via di sviluppo, sotto l'influenza delle conoscenze e delle capacità accumulate nei paesi sviluppati riguardo a specifiche colture, hanno abbandonato alcune tra le loro colture indigene per dedicarsi a quelle importate, come la patata o il grano, che non sono necessariamente migliori, ma semplicemente più conosciute. La consapevolezza di ciò sta oggi suscitando un considerevole interesse per le colture indigene, che la ricerca dimostra essere spesso più adatte di quelle importate non soltanto per le necessità dei paesi in via di sviluppo, ma anche per quelle dei paesi sviluppati (v. National Academy of Sciences, 1975). È però estremamente difficile, per un paese che sviluppi la propria tecnologia in modo pienamente autonomo, mantenersi competitivo - sia sul piano commerciale sia su quello militare - con paesi più aperti agli scambi tecnologici e scientifici. La Cina, per esempio, dopo il ritiro dei tecnici sovietici nel 1960, perseguì un isolazionismo tecnologico, con il risultato di trovarsi, dopo dieci anni, superata in molti settori cruciali, da quello dei calcolatori alla scienza dei materiali per l'aviazione. Persino l'Unione Sovietica, pur con il suo assai più solido establishment scientifico e tecnologico, reputa necessario mantenere un programma di importazione di tecnologia avanzata.
Il problema non è dunque tanto se un paese in via di sviluppo possa sviluppare interamente da solo la sua tecnologia, senza importazioni dall'estero, ma piuttosto il problema della politica da seguire per sviluppare la tecnologia con l'assistenza di altri paesi. Fino a che punto, cioè, un paese deve costruire la tecnologia avvalendosi di progetti propri, o adattare ai propri bisogni progetti e tecnologie elaborati all'estero, o ricorrere, dietro autorizzazione, a progetti importati? E in che misura deve assemblare materiali e prodotti fabbricati all'estero, o importare i prodotti finiti? Non esiste un'unica soluzione applicabile a ogni situazione. Per i paesi in via di sviluppo, una politica intelligente consiste in un'equilibrata mescolanza di tutte queste opzioni. Tra quelle elencate, l'ultima, ossia l'importazione di prodotti finiti dall'estero, è spesso la soluzione più attraente, poiché fornisce rapidamente la tecnologia desiderata, ma ha, evidentemente, il difetto di impedire lo sviluppo di capacità tecnologiche locali. Spesso conviene iniziare con un impianto che assembli componenti importate, sfruttando l'occasione per addestrare la manodopera e acquisire esperienza; in seguito, se la domanda potenziale dei prodotti tecnologici lo giustifica, si può sviluppare un processo produttivo più completo. Le possibili scelte variano anche a seconda dei differenti prodotti: mentre, per esempio, la produzione locale di componenti elettriche ed elettroniche è relativamente agevole e viene effettuata in una quantità di paesi - da Singapore a Formosa al Messico - la costruzione di automobili è un'attività ad assai maggiore intensità di capitale, e il miglior modo di avviarla sembra quello di costituire in un primo tempo unicamente impianti di assemblaggio. Per una scelta ponderata, dunque, i fattori decisivi saranno evidentemente le dimensioni del mercato, il livello della tecnologia già presente nel paese, la disponibilità di manodopera e di capitali e, naturalmente, il tasso di rendimento degli investimenti.
Le politiche commerciali sono un correlato delle politiche riguardanti il più appropriato livello di introduzione della tecnologia.
Si può incoraggiare l'importazione di certi prodotti giudicati utili per lo sviluppo di un know-how locale (per esempio, libri tecnici) e si può impedire l'importazione di altri, come i materiali da costruzione, che entrano in concorrenza con quelli dell'industria locale che sta lottando per imporsi. Il successo del Giappone nel costituire la sua solida base tecnologica è dovuto in larga misura alle politiche restrittive che, specialmente nelle fasi iniziali, hanno messo i produttori giapponesi di tecnologia al riparo dalla concorrenza straniera.
Così, ad esempio, verso la fine degli anni settanta del secolo scorso, il Giappone si pose come obiettivo prioritario quello di conseguire la piena padronanza della tecnologia ferroviaria e appena possibile soppiantò le compagnie straniere nella costruzione e nella gestione delle ferrovie (v. United Nations University, 1980). Come abbiamo già ricordato, la stessa vicenda si ripeté alla fine degli anni trenta con la costruzione della rete nazionale di telecomunicazioni (v. Kobayashi, 1978), costruzione alla quale poterono partecipare solo compagnie giapponesi.
Nella seconda metà del nostro secolo, infine, il Giappone ha adottato ancora una volta una politica protezionistica a vantaggio della propria industria dei calcolatori, che doveva in gran parte le sue origini all'industria delle telecomunicazioni.
Le scelte riguardanti la produzione di tecnologia costituiscono un problema particolare, incluso nel problema più generale del trasferimento della tecnologia, ossia di quel processo per mezzo del quale la tecnologia viene diffusa attraverso i confini nazionali (o tra le organizzazioni). Il trasferimento della tecnologia può essere realizzato in una varietà di modi (per esempio, attraverso i prodotti, le tecniche o l'informazione, ma in ultima analisi comporta necessariamente la trasmissione di conoscenze e la loro acquisizione da parte del personale. Dato che l'uomo è per natura sia un indagatore che un imitatore, il trasferimento di tecnologia è un processo inevitabile che ha condotto alla diffusione dell'agricoltura, della ceramica, della scrittura e di innumerevoli altri artefatti umani. Il problema decisionale a questo riguardo sta nell'indirizzare il trasferimento di tecnologia verso obiettivi desiderabili, e nel modo di accelerarlo e controllarlo.
La forzosa modernizzazione della Russia a opera di Pietro il Grande attraverso l'introduzione della tecnologia europea - dalla costruzione di navi all'artiglieria, dalle fortificazioni all'architettura - è uno dei maggiori esempi di politica deliberata di trasferimento di tecnologia. Una recente ed eloquente dimostrazione dell'efficacia del trasferimento di tecnologia tramite tecnici è rappresentata dallo sviluppo, negli anni cinquanta e sessanta, del programma missilistico cinese, che fu diretto da uno scienziato cinese ex collaboratore del programma spaziale degli Stati Uniti.
Una tecnica di trasferimento di tecnologia da non trascurare è la raccolta sistematica, sia in modo aperto sia attraverso lo spionaggio, di informazioni scientifiche, industriali e militari (v. Dedijer, 1979; v. Branscomb, 1979). I paesi sviluppati e le organizzazioni tecnologiche avanzate sono perfettamente consapevoli dell'importanza di queste informazioni e sanno bene come usarle per imparare dai concorrenti. D'altra parte, molti paesi in via di sviluppo - e molte organizzazioni di piccole dimensioni - sono, inevitabilmente, scarsamente attrezzati per quest'opera di raccolta d'informazioni (che pure può essere talvolta vitale per il loro progresso).
Gli studi pilota e i progetti dimostrativi sono di grande utilità per un paese in via di sviluppo che deve risolvere i problemi connessi con l'adozione di una data tecnologia, con la sua diffusione e con la valutazione delle sue conseguenze. Tali studi e progetti possono fornire un'indicazione del valore di una tecnologia; una faccenda assai più complicata è la sua diffusione, la quale, perché sia coronata da successo, deve sormontare gli ostacoli rappresentati da pregiudizi locali, da burocrazie ostili e da usanze sociali profondamente radicate.
Talvolta, anche se la popolazione è numerosa, la scarsità di manodopera qualificata può costituire un fattore vincolante per la diffusione della tecnologia. Inoltre, quando un paese si avvia sulla strada dell'industrializzazione, la manodopera agricola può cominciare a scarseggiare, poiché la città industrializzata tende ad attirare le masse contadine alla ricerca, talvolta eccessivamente ottimistica, di un lavoro migliore.
Perciò una politica della popolazione diventa una condizione indispensabile per lo sviluppo tecnologico. Un esempio è dato dalla rigorosa politica adottata dalla Cina negli anni sessanta e settanta per impedire la migrazione della popolazione agricola verso le città e favorire anzi spostamenti dalle città verso le aree rurali allo scopo di fornire all'agricoltura personale più istruito. L'Egitto, invece, si è dimostrato incapace di affrontare questo problema e si trova oggi in una situazione pericolosa: la popolazione urbana cresce a dismisura, mancano risorse sufficienti per darle cibo, alloggio e lavoro, mentre d'altra parte lo sviluppo e la produttività delle campagne risultano danneggiati.
c) La tecnologia al servizio di scopi militari
In un'incessante vicenda di influssi reciproci, l'innovazione tecnologica trasforma continuamente l'arte della guerra, che sprona a sua volta lo sviluppo di nuove tecnologie, alcune delle quali finiscono col trovare applicazioni civili.
L'esempio più drammatico di applicazione militare di un'idea scientifica o tecnologica è la creazione delle armi nucleari durante la seconda guerra mondiale, frutto della ricerca fondamentale effettuata in fisica nucleare nell'anteguerra e nel primo periodo bellico. A sua volta, però, il dominio dell'energia nucleare permise, dopo la fine della guerra, di utilizzarla con successo anche per scopi civili, dalla produzione di energia alla medicina. Un secondo esempio è costituito dall'aviazione, una tecnologia che, creata da tecnici civili all'inizio del nostro secolo, trovò piuttosto presto applicazioni militari a cominciare dalla guerra italo-turca del 1911, in cui gli aerei furono usati per la prima volta sia per attaccare truppe a terra sia per effettuare ricognizioni. Le applicazioni civili, a loro volta, si giovarono degli sviluppi militari dell'aviazione. Per esempio, la necessità di estendere l'autonomia degli aeroplani portò, dopo la seconda guerra mondiale, alla tecnologia che permette il rifornimento di carburante in volo. L'aviocisterna militare creata a tale scopo negli Stati Uniti (il Boeing KC-135) servì, con qualche modifica, da prototipo per il Boeing 707, che divenne il più diffuso mezzo per il trasporto intercontinentale di passeggeri dagli anni sessanta fino all'avvento dei grandi aviogetti degli anni settanta. Anche la progettazione di questi ultimi deve molto all'aviazione militare e in particolare all'esperienza fatta col grande aeroplano strategico subsonico da carico Galaxy C-54, progettato e costruito per l'aviazione militare degli Stati Uniti verso la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta.
Le operazioni militari. - I problemi essenziali che l'arte della guerra pone alla tecnologia sono quelli di sempre: come colpire - rispetto al nemico - più lontano, con maggior potenza, con maggior rapidità e precisione, come difendersi dalle armi del nemico e come sostenere logisticamente le proprie forze. I tentativi di colpire sempre più lontano e sempre più rapidamente hanno portato dal pugno al lancio di pietre, dall'arco e dalle frecce al fucile, dal missile viaggiante fuori dell'atmosfera alle armi orbitali che, lanciate da un satellite, sono capaci di raggiungere in pochi minuti un obiettivo situato alla parte opposta del globo. L'ultimo sviluppo per quanto riguarda la velocità, se non la distanza, è costituito dalle armi a laser, che funzionano alla velocità della luce.
La ricerca di una sempre maggiore potenza distruttiva ha prodotto la polvere da sparo, la dinamite e altri esplosivi ‛convenzionali' e infine la bomba nucleare. Ha anche portato alla costituzione di eserciti sempre più grandi, fino alla mobilitazione totale delle risorse di un paese. Di qui l'esigenza di organizzazioni logistiche sempre più complesse per l'approvvigionamento e il trasporto delle forze armate e per mantenere allo stesso tempo in funzione l'economia del paese. Anche in questo caso, molte innovazioni tecnologiche nate da necessità di natura militare hanno trovato applicazioni in campo civile, spesso con conseguenze di vasta portata. Basti considerare la tecnologia dei cibi in scatola che, introdotta per la prima volta su larga scala nell'esercito britannico durante la guerra contro i Boeri, ha in seguito assunto un'importanza considerevole nello sviluppo dell'economia civile, particolarmente negli Stati Uniti. I cibi in scatola, infatti, danno ai lavoratori la possibilità di nutrirsi senza spendere troppo tempo per l'acquisto, la conservazione e la preparazione dei cibi.
Le capacità belliche sono state potenziate dall'uso dei veicoli, sia come mezzi per il trasporto di truppe sia come piattaforma per le armi (dal cavallo - il cui valore militare fu grandemente accresciuto dall'invenzione della staffa, già usata dai Cinesi circa duemila anni or sono, ma trascurata dai Greci e dai Romani - all'automobile e all'aeroplano).
L'esigenza di precisione nel colpire il nemico a distanza ricevette un contributo essenziale dall'invenzione delle armi da fuoco e in particolare dalla canna rigata, che conferisce alla traiettoria dei proiettili sia una maggiore velocità sia una maggior precisione. La parallela esigenza di migliorare le tecniche di avvistamento del nemico fu dapprima soddisfatta con mezzi ottici: cannocchiali e, per la misurazione delle distanze, telemetri. Oggi è entrata in uso tutta una serie di congegni elettronici che vanno dai sistemi di navigazione inerziale al radar, ai sistemi perfezionati per stabilire la propria posizione geografica rispetto alle stelle o a satelliti artificiali in orbita, oppure rispetto a stazioni radio terrestri. Un ulteriore progresso tecnologico è rappresentato dall'arsenale sempre crescente di armi ‛intelligenti', che possono scegliere o correggere la loro traiettoria sia attraverso segnali emessi dalla base di lancio sia mediante sensori di natura ottica, elettronica (radar) o a ricerca di calore che li guidano sul bersaglio.
La difesa richiede tecnologie altrettanto avanzate quanto quelle necessarie per l'attacco. Anzi, la storia militare registra periodi ricorrenti nei quali la tecnologia difensiva è stata più forte di quella offensiva. Si pensi per esempio alla prima guerra mondiale, durante la quale i vani tentativi di sfondare le difese in trincea provocarono milioni di morti; un altro esempio è il radar che, nella seconda guerra mondiale, dette un vantaggio difensivo essenziale alla Royal Air Force durante la battaglia d'Inghilterra.
Oggi, invece, ci troviamo nuovamente in un'epoca in cui la varietà, il numero, la precisione e la potenza delle armi offensive strategiche (missili balistici intercontinentali, missili lanciati da sottomarini, missili cruise e bombardieri) rendono la difesa pressoché impossibile. L'unico vero deterrente, in una tale situazione, è dato dalla sicurezza della distruzione reciproca. Forse per la prima volta nella storia dell'umanità il pericolo della distruzione totale derivante dalle nuove tecnologie ha sovvertito il tradizionale canone militare della sorpresa. La deterrenza può avere efficacia soltanto nella misura in cui i potenziali avversari sono ben informati ciascuno sulle capacità militari dell'altro e sulla comune intenzione di scatenare una rappresaglia strategica. Un grave pericolo è però rappresentato dalla proliferazione dei paesi in possesso di armi nucleari, non essendovi alcuna garanzia che, una volta iniziato in una qualche parte della Terra, un conflitto nucleare possa essere contenuto. Purtroppo, la diffusione di reattori nucleari nel mondo e la relativa semplicità della tecnologia necessaria per produrre, con il loro aiuto, esplosivi nucleari accrescono grandemente il rischio di un conflitto nucleare incontrollato, a meno e che non si concordi un sistema adeguato di ispezioni internazionali.
Le moderne operazioni militari, spesso effettuate in regioni lontanissime dalla madrepatria e talvolta addirittura in altri continenti, richiedono un sostegno logistico senza precedenti. I trasporti, la conservazione del cibo, la costruzione di rifugi sia al fronte sia in tutto il territorio di operazioni, il rifornimento di carburanti e munizioni, la riparazione di armi e la cura di feriti e malati sono tutte attività che necessitano di un sistema di sostegno estremamente complesso. Per rendersi conto delle dimensioni e dell'importanza di tale sistema, si pensi che per ogni soldato al fronte ve ne sono parecchi non combattenti, addetti a compiti logistici (durante la guerra del Vietnam, per esempio, il rapporto nell'esercito americano era di circa un combattente contro dieci non combattenti). Il sistema di sostegno ai combattenti si estende anche oltre le forze armate e può coinvolgere vasti settori e, nei periodi di guerra totale, pressoché l'intera popolazione di un paese.
La logistica richiede una tecnologia appropriata, cioè una tecnologia che corrisponda alle esigenze specifiche di ogni situazione, anziché fornire soluzioni o troppo generali o troppo parziali. Uno dei punti di forza nella guerra combattuta in Vietnam, prima contro i Francesi e due decenni dopo contro gli Americani e i Vietnamiti del Sud, fu il massiccio ricorso alla bicicletta per il trasporto di rifornimenti alle zone di combattimento. Né lo Stato Maggiore francese né quello americano si erano resi conto dell'efficienza di questo mezzo semplice, e al tempo stesso sofisticato (con un rapporto peso trasportato-energia impiegata più alto di quello di qualsiasi altro mezzo), nel trasportare grandi quantità di materiali attraverso la giungla. Questa sorpresa logistica fu determinante sia nella sconfitta dei Francesi a Dien bien phu nel 1954, sia nel ritiro delle truppe americane nel 1975.
La difficoltà di fornire il necessario sostegno logistico aumenta in proporzione geometrica con la distanza delle basi dal teatro delle operazioni. Ne derivano formidabili sfide tecnologiche, come illustra la progettazione del grande aeroplano americano da trasporto C-5A, che doveva soddisfare i seguenti requisiti: trasportare rapidamente a oltre 4.000 km di distanza un carico utile di 50 t, atterrare su una pista non asfaltata lunga appena 750 m e ritornare alla base senza rifornirsi di carburante.
Esigenze del genere hanno spinto, alla fine degli anni sessanta, la tecnologia aeronautica ai limiti delle sue capacità.
Per quanto riguarda la marina, l'utilizzazione dell'energia nucleare ha permesso di ridurre notevolmente la dipendenza della flotta dal carburante, dipendenza che ne limitava fortemente l'impiego; sono così nati sottomarini e portaerei a propulsione nucleare. Il sottomarino nucleare Nautilus, varato nel 1954, costituì la prima applicazione pratica dell'energia nucleare per la produzione di energia elettrica e dette impulso alla costruzione di centrali nucleari civili: è un ulteriore esempio della funzione di stimolo che le necessità militari esercitano sulla tecnologia, sia militare che civile. Data la sua capacità di rimanere in immersione continua per mesi, di trasportare un gran numero di missili a lunga gittata e di navigare a grandi profondità, il sottomarino nucleare è divenuto un nuovo elemento fondamentale nell'equilibrio strategico delle forze; lo stesso, sempre considerando la sua autonomia, può dirsi della portaerei a propulsione nucleare, sebbene in minor misura a causa della sua costitutiva vulnerabilità. Ci si può attendere che gli usi militari dell'energia nucleare per la propulsione e per la produzione di energia elettrica continueranno a svilupparsi e comporteranno anche applicazioni sulla terraferma.
Il problema del sostegno logistico non si limita esclusivamente al sostegno diretto alle forze sul campo di battaglia, ma abbraccia anche le fondamentali questioni connesse alla mobilitazione e organizzazione delle risorse tecnologiche al fine di fornire sia alle forze armate sia al resto del paese le tecniche e gli strumenti necessari per fare la guerra e sostenere la popolazione. Anche in questo caso è assai evidente l'influsso reciproco tra sfera militare e sfera civile. Per limitarci a un solo esempio, la tecnica della ‛ricerca operativa', elaborata da analisti militari (sebbene di origine civile) durante la seconda guerra mondiale per la ricerca sistematica dei sottomarini nell'Atlantico, divenne nel dopoguerra uno strumento fondamentale a disposizione delle imprese per l'ottimizzazione dell'uso delle risorse.
Le informazioni segrete. - Oltre a svolgere le capitali funzioni di attacco, di difesa e di appoggio logistico, la tecnologia ha rivoluzionato il lavoro di raccolta di informazioni segrete sull'avversario. Questo lavoro consiste, essenzialmente, nel procacciarsi la maggior quantità possibile di informazioni sulle forze e sulle intenzioni del nemico; per esempio tenendo sotto sorveglianza le sue attività e intercettandone e decodificandone le comunicazioni. Gli aerostati usati durante la guerra civile americana e durante l'assedio di Parigi nel 1870 furono il primo mezzo di spionaggio aereo, e quando l'aeroplano fu adottato dai militari, fu adibito dapprima a compiti di osservazione, compiti che l'aviazione svolge ancor oggi dalla ricognizione sul campo di battaglia all'osservazione strategica a grandi distanze dalle proprie basi (vengono usati a questo scopo aeroplani stratosferici, quale l'U-2). La battaglia d'Inghilterra durante la seconda guerra mondiale fu vinta dagli Inglesi principalmente grazie all'invenzione di un sistema molto efficiente di radar che permetteva loro di determinare con precisione la posizione degli aeroplani nemici in arrivo e di dirigere quindi i sistemi di difesa sia terrestri sia aerei. Dopo la guerra, quell'invenzione militare si rivelò preziosissima per lo sviluppo del traffico commerciale aereo ventiquattr'ore su ventiquattro e in qualsiasi condizione meteorologica.
L'osservazione strategica ha ricevuto un contributo notevolissimo da satelliti artificiali dotati di sensori molto potenti - ottici, a raggi infrarossi o di altra natura - che permettono di ottenere informazioni estremamente dettagliate sulle attività nel territorio sul quale orbitano (il potere risolutivo di alcuni sensori è tale da permettere di leggere i titoli di un giornale da un satellite che vola nello spazio a centinaia di chilometri di altezza). Data la rapidità con cui si possono oggi effettuare le azioni militari, le informazioni sul nemico devono essere elaborate il più velocemente possibile, in modo da informare in tempo utile i propri sistemi di difesa. Per esempio, è indispensabile identificare in pochissimi minuti un oggetto lanciato dal territorio nemico, per determinare se sia ‛amico o nemico' e, nel secondo caso, prendere adeguate contromisure (che rappresentano appunto il deterrente nel caso di una guerra nucleare). Questa identificazione costituisce una sfida tecnologica molto complessa, ulteriormente aggravata dalla moltitudine di oggetti che si possono trovare nello spazio o per effetto di azioni intenzionali dell'avversario (falsi bersagli, testate multiple, missili cruise, ecc.) o per altre ragioni. Perciò, le informazioni riguardanti una tale molteplicità di oggetti potenzialmente ostili devono essere selezionate con la maggior rapidità possibile (il che richiede l'uso dei calcolatori più grandi e più veloci), evitando però errori di calcolo, che potrebbero avere terribili conseguenze.
Molte informazioni si possono ottenere intercettando e decodificando le telecomunicazioni del nemico e tenendo sotto controllo i suoi sensori, come i radar. Ciò ha portato alla nascita di un nuovo ramo dello spionaggio militare, lo spionaggio elettronico (electronic intelligence, da cui elint), e all'uso di calcolatori e di tecniche logico-matematiche sempre più potenti per decodificare i messaggi dell'avversario (e codificare i propri).
Nel considerare le applicazioni della tecnologia alle attività di spionaggio è importante non trascurare le limitazioni della tecnologia e non indulgere a un esclusivismo tecnologico a scapito di altre forme di raccolta d'informazioni. Per quanto dettagliato sia il quadro che la tecnologia ci offre della situazione nel territorio nemico, non sempre può fornirci informazioni sulle intenzioni. Per questa ragione, lo spionaggio tecnologico non può essere che una componente del lavoro di raccolta d'informazioni. Ciò divenne assai chiaro, per esempio, negli Stati Uniti alla fine degli anni settanta, quando l'importanza allora attribuita allo spionaggio tecnologico impedì di raggiungere una chiara comprensione degli eventi che stavano maturando nell'Iran.
Se è molto importante raccogliere informazioni sul nemico, lo è altrettanto impedirgli di venire a conoscenza delle proprie forze, attività e intenzioni. La mimetizzazione, a livello sia tattico che strategico, è uno dei mezzi tradizionali usati a tale scopo. Anche la mimetizzazione si è sempre più tecnologizzata venendo a dipendere, per esempio, dalla conoscenza della psicofisiologia dell'occhio umano o dalla capacità di mascherare o modificare le emissioni di calore da parte di fonti di calore, si tratti di macchine o di esseri umani. Un tentativo tecnologicamente molto sofisticato di mimetizzazione è quello di costruire un ‛aeroplano invisibile' che non soltanto offra una ‛sezione d'urto' minima (ossia appaia sugli schermi dei radar come un punto piccolissimo), ma sia anche in grado di elaborare gli impulsi radar in arrivo e di emettere controimpulsi che ne rendano impossibile l'identificazione o localizzazione; inoltre, una configurazione dei motori tale da irradiare calore verso l'alto anziché verso terra rende l'aeroplano più difficilmente identificabile da parte dei sensori di calore situati a terra, e meno vulnerabile a missili a ricerca di calore.
Giochi di guerra e simulazioni. - I moderni giochi di guerra hanno acquistato una nuova importanza e un ruolo particolare grazie alle simulazioni con l'assistenza dei calcolatori. Anche in assenza di ostilità effettive, gli avversari potenziali sono continuamente impegnati nella simulazione di manovre strategiche e azioni tattiche, per saggiare, sulla base delle più attendibili informazioni a disposizione circa le forze dell'avversario, i possibili esiti di un conflitto. Tali simulazioni vengono effettuate con l'aiuto di grandi calcolatori; più grande è il calcolatore, maggiore è la possibilità di prendere in considerazione molti dei fattori variabili - atteggiamenti della popolazione, capacità dell'economia, efficienza di un sistema di armi, ecc. - che determinano la potenza militare e le condizioni di un eventuale scontro.
La validità di una simulazione dipende da quella del modello che si è costruito delle forze e delle intenzioni dell'avversano, nonché delle forze proprie. Un tale modello dipende dai dati, ma anche da assunti riguardanti fattori non materiali, come il morale o la stabilità politica. Perciò, le simulazioni sono più agevoli e più attendibili quando vertono soprattutto su questioni tecniche - come uno scambio di missili con testate nucleari, o le misure antisommergibile - piuttosto che su situazioni nelle quali il fattore umano può diventare preponderante, come nel caso della guerra del Vietnam.
Il difficile equilibrio esistente oggi in Europa tra paesi della NATO e paesi del Patto di Varsavia si mantiene perché le simulazioni indicano costantemente che il costo di un conflitto sarebbe insostenibile e che nessuna delle due parti ha un'evidente superiorità nei confronti dell'altra. Tuttavia, proprio per mantenere tale equilibrio, ciascuno dei due avversari continua a costruire sistemi di armi sempre più grandi e più potenti per paura di rimanere indietro rispetto alla controparte. Sarebbe possibile ottenere una riduzione delle tensioni militari se le simulazioni fossero così sofisticate - mettendo nel calcolo dell'equilibrio non i sistemi di armi esistenti, ma la capacità di costruirli - dal dissuadere le parti dal costruire effettivamente sistemi di armi. Se ciò fosse possibile le spese immense oggi sostenute per la difesa diventerebbero inutili, con evidenti benefici per l'economia mondiale.
Per quanto breve, un'analisi delle relazioni che intercorrono tra tecnologia e forze armate deve però accennare alle possibilità crescenti, anche in questo campo, di scambi tra l'uomo e la macchina. Tali scambi offrono a un esercito la possibilità di risparmiare le vite dei combattenti, allo stesso modo che l'automatizzazione nelle fabbriche può risparmiare all'operaio dei compiti pericolosi o difficili. La creazione di armamenti per la guerra nello spazio, in grado di distruggere satelliti e stazioni spaziali dell'avversario - che servano a scopi di sorveglianza o come base per armi orbitali - è un esempio di tecnologia militare (di grande potenza) che comporta l'impiego, seppur lo comporta, di pochissimi soldati combattenti.
5. Il futuro della tecnologia
Quando si prende in considerazione il futuro della tecnologia, l'interrogativo essenziale è se ci sarà un futuro, ossia se la tecnologia, realizzando al massimo le sue potenzialità, riuscirà a migliorare le nostre condizioni sia biologiche sia sociali; oppure se, sfuggendo al controllo razionale, il suo potere finirà col distruggerci.
Prima del nostro secolo, i maggiori pericoli per la vita umana erano rappresentati, oltre che dalla guerra, dalle catastrofi naturali e soprattutto dalle epidemie che, come la peste nera del Trecento o la grande peste di Londra nel 1655, decimavano intere popolazioni. La tecnologia ha oggi permesso, grazie alle migliori condizioni igieniche e ai vaccini, di ridurre il pericolo di disastri biologici di tale portata e ci aiuta a proteggerci da uragani, inondazioni, terremoti e incendi. Ma nuove minacce ci sovrastano, provenienti - ironia della sorte - dalla tecnologia stessa. Se la più pericolosa è, senza dubbio, la guerra nucleare, non bisogna neppure sottovalutare le potenziali conseguenze di un collasso dei sistemi di erogazione dell'acqua e dell'elettricità o del flusso di rifornimenti dai quali dipende in maniera irreversibile la popolazione dei grandi centri urbani. Altri disastri potrebbero essere causati dall'alterazione su vasta scala dell'ambiente.
La tecnologia e, quindi, l'umanità stessa avranno un futuro soltanto se riusciremo a evitare tali catastrofi e se, inoltre, sapremo usare la tecnologia in maniera intelligente per continuare a migliorare le nostre capacità biologiche e sociali. La tecnologia può metterci in grado di realizzare tutte le potenzialità della nostra umanità, può consentirci cioè un maggior controllo sugli aspetti biologici del nostro mondo (‛volendoli' anziché semplicemente accettandoli), e aiutarci a creare un mondo nel quale ogni abitante abbia condizioni di vita adeguate. In un'epoca assai più lontana e tuttavia cruciale per il ruolo della vita terrena nell'Universo, la tecnologia potrà fornirci i mezzi per svincolarci dal destino del nostro pianeta, prima che esso scompaia, inghiottito dal Sole, tra circa due miliardi di anni.
Il fattore determinante per la conservazione e il miglioramento della nostra umanità per mezzo della tecnologia sarà costituito dall'uso che della tecnologia stessa faranno sia gli Stati sia i singoli individui. Un ruolo molto importante l'avranno anche le arti, la letteratura e la filosofia nel plasmare il nostro atteggiamento nei confronti della tecnologia. È sperabile che all'atteggiamento attuale di protesta e di riflessione critica - per importante che sia nel mettere in questione il ruolo della tecnologia nella nostra vita - succeda a poco a poco una visione della tecnologia non come nemica, ma come strumento per l'estensione delle nostre possibilità biologiche e, in definitiva, come emancipatrice dell'uomo.
Partendo da questa premessa, possiamo arrischiarci a congetturare il probabile emergere, o il più netto delinearsi, di un certo numero di tendenze in campo tecnologico.
Internazionalizzazione e incremento della specializzazione. - La tecnologia, inevitabilmente, si baserà sempre più su idee e prodotti provenienti da ogni parte del mondo, e i suoi mercati oltrepasseranno sempre di più le frontiere nazionali. Gli esempi abbondano già oggi: i grandi aeroplani commerciali sono spesso costruiti con elementi (ali, motori, cucine, sedili e così via) prodotti in vari paesi; i maggiori progetti di ingegneria civile (i progetti di ‛macroingegneria'), come la costruzione di un lungo oleodotto o di una grande diga, coinvolgono sempre più soci di differenti nazioni. In entrambi i casi le ragioni sono le medesime: riuscire a sfruttare competenze specializzate nei diversi settori tecnologici, raccogliere la manodopera e i capitali necessari, condividere il rischio finanziario e, talvolta, placare suscettibilità nazionali.
La concorrenza, insieme con la continua crescita delle conoscenze, incoraggerà una sempre maggior specializzazione, sia al livello professionale che nelle fabbriche. Si accentuerà, per esempio, la tendenza verso fabbriche che producono una componente fondamentale, come un motore o le parti elettroniche, per conto di molti costruttori diversi e in concorrenza tra loro. In un'industria fondamentale come quella automobilistica questa tendenza rinforzerà, a sua volta, la tendenza all'internazionalizzazione, poiché i fornitori secondari, per poter rifornire costruttori che gestiscono impianti in ogni parte del mondo, dovranno produrre secondo standard internazionali e conquistare mercati internazionali in misura maggiore che in passato.
Incremento della tecnologia dell'informazione e dell'automazione. - I calcolatori elettronici, i robot, i sensori automatici e le telecomunicazioni continueranno a trasformare, e a un ritmo accelerato, non soltanto l'industria, ma anche molte delle attività domestiche nonché la fornitura di servizi, dall'istruzione e dall'assistenza sanitaria a ogni tipo di attività commerciale e di ufficio. Per non fare che un solo esempio, si pensi alla gestione delle scorte commerciali e industriali: grazie alla tecnologia dell'informazione, nuovi sistemi di aggiornamento delle scorte permettono di ridurne le dimensioni, con risparmio sia di capitale sia di materiali.
Tutto ciò, a sua volta, inciderà sulla struttura delle nostre città e dei nostri sistemi di trasporto. Sarà possibile, per esempio, decentralizzare fisicamente molte grandi organizzazioni, mettendole in grado di comunicare internamente per mezzo di reti sofisticate di telecomunicazioni e di calcolatori; costruire impianti produttivi automatizzati lontano dai grandi centri abitati, dato il minimo fabbisogno di manodopera; o, ancora, riportare nelle città imprese piccole ma avanzate, basate su una combinazione di robot e di poche persone di talento creativo, quel talento che fiorisce meglio nello stimolante contesto urbano. D'altra parte, non si deve dimenticare che, mentre nel passato le città svolgevano una funzione protettiva, nell'era nucleare sono divenute assai vulnerabili e, in caso di guerra, sono i primi candidati alla distruzione.
L'emergere dell'informazione come motivo conduttore fondamentale della tecnologia renderà indispensabile una radicale revisione delle nostre impostazioni in materia di istruzione e delle nostre strategie occupazionali. Per esempio, il ruolo dell'accumulo e della memorizzazione dell'informazione nel cervello umano è certo destinato a mutare in una società in cui la ricerca automatica dell'informazione, immagazzinata in immense quantità in banche dati di ogni genere, è agevolmente effettuabile sia a casa che sul luogo di lavoro. La società moderna deve dunque essere in grado di fronteggiare l'effetto dell'automazione sul mondo del lavoro. Se molti timori che la crescente automazione conduca a una ‛disoccupazione strutturale' si sono rivelati infondati, in settori specifici possono tuttavia crearsi difficoltà gravi. Per esempio, stiamo diventando sempre piu consapevoli del fatto che l'automazione incide in modo assai pesante sui livelli inferiori dei ‛colletti bianchi' un fenomeno cui si deve porre riparo in economie sempre più orientate ai servizi (v. Drennan, 1982).
La ricerca di nuove fonti di energia e di nuovi materiali. - Indubbiamente, nel prossimo futuro si intensificheranno ulteriormente le ricerche di nuovi metodi per sostituire gli idrocarburi, che costituiscono una risorsa limitata e inegualmente distribuita sulla superficie terrestre. Nonostante l'opposizione popolare incontrata negli anni settanta e ottanta, l'energia nucleare conserverà importanza, anzi, probabilmente, si moltiplicheranno gli sforzi per utilizzare a scopi commerciali il processo di fusione nucleare.
Uno sfruttamento commerciale su larga scala della fusione nucleare non potrà aver luogo prima del prossimo secolo. Il potenziale di questa tecnologia è tuttavia cosi enorme che, nonostante i grandissimi ostacoli tecnici e i costi altissimi, la sperimentazione dovrebbe essere proseguita con energia al fine di accelerare i tempi di applicazione. I reattori a reazione deuterio-deuterio offrono un potenziale totale di fusione che supera di circa 1.000 volte quello di un sistema di reattori normali e autofertilizzanti e di circa 10.000 volte quello delle risorse totali di combustibili fossili sia convenzionali sia non convenzionali (v. McDonald, 1981).
Per la produzione di energia mediante fusione nucleare si tende a ricorrere a grandi impianti centralizzati, che convertono l'energia prodotta in un ‛trasportatore' di elettricità, com'è oggi il caso degli impianti di fusione nucleare e dei grandi impianti a combustibile fossile e idroelettrici. Se l'idrogeno dovesse sostituire l'elettricità come trasportatore di energia, diventerebbe possibile convertire il calore nucleare e solare direttamente in idrogeno. In tal modo si renderebbe più efficiente l'intero ciclo della produzione e utilizzazione dell'energia e si ridurrebbero grandemente le conseguenze sull'ambiente, giacché la combustione dell'idrogeno, attraverso la ricombinazione con l'ossigeno, produce unicamente vapore acqueo.
Gli investimenti richiesti dalla produzione dell'idrogeno e dall'edificazione di una rete di distribuzione potrebbero però rivelarsi altissimi, anche se potessero essere utilizzate le attuali reti di trasporto e distribuzione del gas naturale. Anche in questo caso, dunque, come in ogni altra promettente nuova tecnologia, il fattore determinante diventa la disponibilità di capitali, la quale dipende in ultima analisi dalla produttività di un sistema economico, produttività su cui già gravano, e in misura così pesante, gli investimenti improduttivi negli armamenti.
Senza dubbio, la maggior parte dei paesi proseguirà energicamente gli sforzi per diminuire la dipendenza della produzione industriale dai combustibili strategici e dalle materie prime importate dall'estero. D'altra parte, il timore di una crisi energetica spronerà le iniziative per una maggiore efficienza nell'utilizzazione dell'energia e dei materiali sia nell'industria sia nella vita quotidiana. Inoltre, il bisogno di materiali porterà a un sempre maggiore sfruttamento dei mari per l'estrazione dei minerali necessari. Il mare diventerà sempre più importante anche riguardo all'alimentazione, che continuerà a costituire la preoccupazione più pressante per una vasta porzione dell'umanità. Maggiori opportunità, però, saranno probabilmente offerte, riguardo alla produzione di alimenti, dalla biotecnologia attraverso colture di microrganismi e dall'applicazione della selezione genetica e della manipolazione genetica all'agricoltura.
La biotecnologia. - Questa nuova tecnologia è potenzialmente così rivoluzionaria che merita un'attenzione particolare; ci troviamo qui, infatti, a speculare sul futuro. Ogni decennio della seconda metà del nostro secolo ha visto svilupparsi nuove tecnologie fondamentali: negli anni cinquanta la bomba all'idrogeno e la prima applicazione commerciale dell'energia nucleare per la produzione di energia elettrica; negli anni sessanta fu la volta dei voli spaziali con equipaggi umani e gli anni settanta hanno visto l'avvento delle microchips e dei microcalcolatori. La nuova tecnologia emergente negli anni ottanta è l'ingegneria genetica (la forma più spettacolare della biotecnologia), ossia l'applicazione della tecnologia alla progettazione, alla modificazione e all'utilizzazione di organismi biologici. L'ingegneria genetica è nata dalla biologia molecolare. Per gli scopi del presente articolo, possiamo definirla come l'applicazione delle conoscenze genetiche ai problemi pratici della salute, dell'agricoltura, della produzione industriale, come anche alla promozione dell'evoluzione delle forme viventi. Talune forme di ingegneria genetica sono state praticate per secoli, attraverso la riproduzione selettiva con metodi empinci e, negli ultimi cent'anni, attraverso l'applicazione delle leggi di Mendel. Ma soltanto negli ultimi trent'anni i progressi nella genetica molecolare e nella biologia ci hanno dato una conoscenza dettagliata del gene, e soltanto negli ultimissimi anni abbiamo imparato a manipolare il gene e abbiamo scorto l'effettiva possibilità di progettare forme di vita che rispondano alle nostre esigenze.
Il punto focale dell'ingegneria genetica è il gene - un lungo filamento di una speciale sostanza chimica, il DNA - che scrive le istruzioni per mezzo di un alfabeto di quattro lettere. Le lettere compongono sia prescrizioni delle sostanze necessarie all'organismo vivente, sia istruzioni sul quando tali sostanze devono o non devono essere prodotte. Essendo il DNA chimicamente pressappoco eguale in tutte le forme viventi, il carattere rivoluzionario dell'ingegneria genetica nasce dalla scoperta che è possibile combinare DNA di specie diverse - compresi esseri umani e Batteri - per creare delle nuove specie. La tecnica dello splicing permette, infatti, di introdurre nell'informazione ereditaria di una specie sequenze utili del codice genetico di altre specie, dando così effettivamente luogo a una nuova specie. Ciò che prima era frutto esclusivamente del caso - cioè di mutazioni spontanee - è dunque diventato un processo sistematicamente guidato.
I risultati di tale processo hanno implicazioni di vasta portata sia per la tecnologia che per la società in genere. Per quanto riguarda la tecnologia, essi permettono di creare forme di vita che forniscano prodotti o svolgano funzioni utili per la tecnica. Diventa così possibile creare organismi viventi che crescano più rapidamente, o che abbiano un maggior contenuto di proteine, oppure che distruggano i prodotti inquinanti. Se consideriamo un processo vivente come un processo chimico - che ora, mediante l'ingegneria genetica, può essere progettato in modo da rispondere a norme sempre più esigenti - notiamo che spesso la sua chimica è assai più efficiente della chimica tradizionale, di cui ci serviamo per trasformare il mondo inanimato. Un organismo vivente può, infatti, compiere trasformazioni chimiche a) con bassi inputs di energia (funziona a temperature normali, anziché alle temperature elevate necessarie per la catalisi chimica); b) con minori conseguenze ambientali (in genere, sia i rifiuti delle trasformazioni sia gli organismi stessi sono biodegradabili, mentre i prodotti dei processi chimici tradizionali spesso non lo sono); c) a costi minori, il che è altrettanto importante ed è in parte dovuto alle caratteristiche appena accennate.
L'ingegnena genetica può dunque offrire delle alternative ai nostri metodi per la produzione e il montaggio di materiali e al nostro approccio riguardo ai problemi dell'energia e dell'inquinamento. Basti pensare che, tradizionalmente, produciamo strutture o materiali partendo da un substrato, cui diamo la forma o la composizione desiderata mediante un grosso input di energia dall'esterno (per esempio, sotto forma di pressione, di calore o di corrente elettrica). Jnoltre, tutte le istruzioni per il processo provengono dall'esterno. Invece, gli organismi viventi acquistano la loro forma e composizione oltremodo complesse attraverso istruzioni provenienti dall'interno e con un limitatissimo input di energia. Si può perciò prevedere la possibilità di sviluppare, per mezzo dell'ingegneria genetica, nuovi modi di formare materiali complessi o di costruire strutture.
Di capitale importanza saranno gli effetti dell'ingegneria genetica anche nel campo sanitario e non solo attraverso nuove concezioni farmacologiche, ma anche intervenendo sulle basi genetiche di molte malattie. Le malformazioni genetiche, in linea di principio, possono infatti essere corrette impartendo le necessarie istruzioni alle cellule di un organismo vivente, come è possibile modificare la trasmissione ereditaria di informazioni non desiderabili agendo sui geni delle cellule riproduttive. Per quanto riguarda l'agricoltura, infine, l'ingegneria genetica offre la possibilità di migliorare il rendimento di una data specie e di creare nuove specie con opportune caratteristiche utili per l'uomo.
In tutte queste attività, la tecnologia dovrà svolgere due ruoli fondamentali. Il primo consiste nel promuovere lo sfruttamento, nella progettazione di organismi biologici, del patrimonio di conoscenze acquisito in materia di progettazione e ottimizzazione, trattando i processi inanimati che, intrinsecamente più semplici, sono stati il campo tradizionale della tecnologia; il secondo consiste nel fornire il know-how necessario per trasformare le ricerche di laboratorio del biologo molecolare in processi su larga scala - come la fermentazione continua - che sono richiesti perché l'applicazione industriale dell'ingegneria genetica diventi economicamente possibile. Benché oggi una simile utilizzazione dell'ingegneria genetica sia ancora in uno stadio embrionale, ci si può attendere ch'essa diventi nei prossimi decenni, per lo sviluppo tecnologico, un terreno altrettanto fertile quanto lo è stato nel decennio scorso l'elettronica.
Bisogna tuttavia notare come la creazione di nuove specie a scopo agricolo richieda che si presti molta attenzione alle conseguenze ecologiche e come l'alterazione dei processi genetici naturali dell'uomo - e del resto anche di altre specie - sollevi fondamentali interrogativi di natura sociale, filosofica e religiosa, come quello della natura e dei fini dell'uomo. Ciò rivela ancora una volta il grave scarto tra le nostre capacità, sia tecnologiche sia scientifiche, e la nostra attuale possibilità di afferrarne le implicazioni. In realtà, l'ingegneria genetica e, più in generale, la biotecnologia sono attività di natura, potremmo dire, ‛metabiologica'. Esse oltrepassano infatti la biologia e rappresentano una svolta fondamentale nello sviluppo sia degli organismi viventi sia della tecnologia (v. Bugliarello, 1980). Con questa svolta, l'evoluzione di un dato organismo non deve più essere governata soltanto dalle proprietà dell'organismo stesso e dalla sua eredità genetica, ma può essere modificata da interventi intenzionali dall'esterno, ossia dalla volontà e dalle capacità dell'uomo. È anche con questa svolta che la tecnologia comincia ad applicare ai sistemi viventi, in misura sempre più incisiva, la sua essenziale funzione progettante.
Il ruolo della tecnologia è sempre stato, principalmente, quello di espandere la nostra posizione nell'Universo mediante artefatti che estendano le nostre facoltà fisiche. A questo scopo, la tecnologia deve risolvere due tipi diversi di problemi: problemi tecnici, riguardanti l'invenzione e l'utilizzazione degli artefatti, e problemi di valore (dei quali la scienza pura non ha bisogno di occuparsi), riguardanti ciò che è o non è desiderabile. Finora, la tecnologia ha affrontato tali problemi senza una precisa comprensione - sia sotto il profilo pragmatico sia sotto quello filosofico - delle loro implicazioni biologiche. La metabiologia ci costringe a ravvicinare la biologia e la tecnologia l'una all'altra e ad approfondire la nostra comprensione dei loro influssi reciproci. Si aprono così alla tecnologia nuove importanti dimensioni, come la tecnologizzazione delle funzioni biologiche e la sintesi ‛bio-macchina'. Per effetto della prima - definita dalle domande ‟come svolge un organismo biologico una data funzione?" e ‟come potrebbe svolgerla una macchina?" - può delinearsi un'esplicita tendenza a elaborare progetti ispirati alla biologia, senza tener conto di possibili applicazioni mediche o biologiche (si parla a questo proposito di biomimesi v. McCulloch, 1962). Per fare qualche esempio ricordiamo le pompe peristaltiche, o lo sviluppo di una macchina da trasporto dotata di membra articolate, o infine - meta più ambiziosa e ancora lontana - la creazione di macchine auto-organizzantisi: artefatti costruiti partendo da un insieme centralizzato di istruzioni contenute in un nucleo che organizza i materiali circostanti.
Lo sviluppo delle conoscenze metabiologiche ci permette di immaginare combinazioni di macchine e componenti biologiche: la sintesi ‛bio-macchina'. Man mano che si impara a coltivare tessuti in vitro e si approfondisce la comprensione delle interfacce tra elementi meccanici ed elementi viventi, si può immaginare la creazione di combinazioni molto strette di elementi meccanici e di elementi biologici che sfruttino i vantaggi dell'una e dell'altra sfera per scopi specifici. Possiamo, per esempio, immaginare calcolatori che combinino elementi biologici ed elementi artificiali (neuroni e chips di silicio), condotti rivestiti di ciglia naturali per il trasporto di fluidi, o reattori chimici le cui pareti interne siano formate da tessuti glandolari che secernano ormoni. Si può anche pensare di impiantare organi o sensori artificiali in piante o animali per stimolare la crescita di attributi utili per noi. Nel campo medico si è cominciato a immaginare organi ‛ibridi' (formati, cioè, da componenti sia artificiali che biologiche), per esempio nei casi in cui il trapianto di un organo biologico si riveli tecnicamente troppo difficile o un organo interamente artificiale ecceda le possibilità della tecnologia attuale. La gamma di possibilità è illimitata e richiede lo sviluppo di una nuova dimensione della progettazione tecnologica.
Nella misura in cui un organo o una funzione o un gruppo di organi vengono modificati o sostituiti attraverso interventi dall'esterno, un organismo vivente si trasforma sempre di più in ciò che potremmo definire una ‛bio-macchina', ossia in una combinazione così intima dell'elemento biologico e di quello meccanico che diventa difficile stabilire se essa partecipi piuttosto dei principî di un organismo vivente o di quelli di una macchina.
Sono ancora biologici tali organismi? Potremmo assumere la posizione estrema, secondo la quale un organismo modificato o creato da un intervento esterno rimane biologico semplicemente perché è un prodotto della biologia, cioè perché è creato dall'uomo, che è un organismo biologico. Si tratterebbe però di una generalizzazione eccessiva, che ci impedirebbe di distinguere un siffatto organismo da una macchina vera e propria, che è anch'essa creata dall'uomo. È invece più utile considerare biologico un organismo in quanto - non influenzato da interventi esterni - conservi nella sua interezza o almeno in alcuni dei suoi organi le caratteristiche fondamentali degli organismi viventi. Bisogna però tener presente che la presenza soltanto di alcune caratteristiche fondamentali degli organismi viventi - quindi non di tutte - non è sufficiente perché si possa dichiarare l'esistenza della vita; per esempio, l'autoriproduzione è ottenibile in certa misura anche negli automi (v. Foerster, 1962).
La tecnologia dello spazio. - Non possiamo concludere questa breve rassegna senza accennare all'utilizzazione tecnologica dello spazio. Lo Sputnik inaugurò l'epoca spaziale nel 1957; l'atterraggio sulla Luna, nel 1969, costituì la prima esplorazione diretta di un corpo celeste; il volo dello space shuttle Columbia nel 1981 rese relativamente semplice ed economico il trasporto di materiali dalla Terra allo spazio e viceversa.
Il primo sfruttamento commerciale dello spazio si è avuto nel campo delle telecomunicazioni. È prevedibile, per il futuro, un sempre maggior uso dei satelliti artificiali sia in questo campo sia come ausilio per la navigazione (permettono di fissare con grande precisione le posizioni sulla superficie della Terra). Si farà, infine, sempre più largo ricorso ai satelliti per controllare attività sulla superficie del nostro pianeta come anche per scopi topografici e meteorologici. La grande utilità dei satelliti consiste nella capacità di abbracciare, con i loro sofisticatissimi sensori, aree molto vaste della Terra e di fornire quindi una visione complessiva di fenomeni di grande estensione, di identificare siccità gravi o malattie delle piante e, naturalmente, di permettere l'accesso a regioni che altrimenti sarebbero difficili da raggiungere.
Anche l'effettuazione di operazioni industriali potrà avvantaggiarsi del controllo dello spazio. L'assenza di gravità - negli impianti industriali orbitanti - e il vuoto diffuso favoriscono i processi produttivi specializzati che necessitino di tali caratteristiche; inoltre, lo spazio consente l'effettuazione di esperimenti biologici in un ambiente che costituisce un'efficacissima barriera contro la propagazione di organismi biologici potenzialmente nocivi. Un'altra interessante possibilità è lo sfruttamento dello spazio per la produzione di energia, mediante satelliti che potrebbero o funzionare come impianti industriali nello spazio o convogliare verso la Terra l'energia solare, sia semplicemente mediante riflessione sia sotto forma di microonde (v. Glaser, 1979).
La possibilità di estrarre materiali minerali da corpi celesti, come la Luna o gli asteroidi, metterebbe a disposizione della tecnologia spaziale risorse che altrimenti dovrebbero essere trasportate dalla Terra con ingenti spese. Non siamo però ancora abbastanza informati circa l'accessibilità di risorse minerali spaziali per fare fondate previsioni al riguardo.
Come abbiamo già notato, le operazioni militari nello spazio sono destinate a rivestire un'importanza sempre maggiore per tutta una serie di attività: osservazione delle attività di un potenziale nemico mediante tecniche sempre più potenti per la rappresentazione e il riconoscimento delle forme (pattern recognition); localizzazione di posizioni sulla superficie terrestre come ausilio sia per la navigazione sia per il puntamento di armi offensive; sganciamento di bombe da un ordigno orbitante in modo da eludere le difese costituite dai radar e dai sistemi antimissile, che hanno di mira le minacce sull'orizzonte o al di sotto di esso; distruzione di strutture spaziali economicamente importanti (dagli impianti industriali ai satelliti artificiali per l'energia solare); infine la distruzione di armi nemiche nello spazio. Una guerra nello spazio avrebbe costi elevati, ma offrirebbe la possibilità - da non trascurare ad onta della sua tenuità - di risparmiare vite sulla Terra.
Infine, venendo sempre di più utilizzato per attività sia commerciali sia militari, lo spazio diventerà anche l'habitat per le persone che saranno necessarie per lo svolgimento di tali attività. L'esperienza attuale dimostra che, per ora, non esiste un sostituto alla presenza dell'uomo nel funzionamento della tecnologia spaziale, e la chiave per un'utilizzazione efficiente dello spazio consiste nella riduzione del costo della messa in orbita di persone e materiali. L'idea dello space shuttle ridurrà in misura decisiva tale costo. La fabbricazione nello spazio sarà probabilmente il prossimo passo importante in avanti sulla via della riduzione dei costi. La costruzione nello spazio di strutture estese ma leggerissime (grazie all'assenza di gravità) mediante l'uso di macchine che effettuino l'estrusione e il montaggio di materiali messi in orbita da Terra potrà ridurre le dimensioni delle componenti da trasportare dal nostro pianeta. Ulteriori riduzioni, in questo senso, saranno possibili se si potrà procedere all'estrazione di minerali da corpi celesti.
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Tecnologia e società di Luciano Gallino
sommario: 1. Per una concezione evolutiva della tecnologia. 2. L'idea di ‛conseguenze sociali' della tecnologia: un errore di prospettiva. 3. La coevoluzione di popolazioni umane, sistemi tecnologici e sistemi socioculturali. 4. Tra sistemi tecnologici e reificazioni culturali: l'individuo come decisore. 5. Tecnologia, sopravvivenza e riproduzione di sé e degli affini biologici. 6. Tecnologia, sopravvivenza e riproduzione degli affini culturali. 7. Tecnologia, sopravvivenza e riproduzione dell'identità personale. 8. L'evoluzione della tecnologia da mezzo a sistema autotelico. □ Bibliografia.
1. Per una concezione evolutiva della tecnologia
Nell'esplorare schematicamente i rapporti tra la tecnologia e alcuni settori della vita sociale, verrà qui utilizzato il concetto di tecnologia come popolazione di sistemi materiali (tipo un calcolatore) e non materiali (tipo i programmi di un calcolatore), derivanti dall'impiego razionale delle conoscenze scientifiche d'una data epoca al fine di risolvere con la maggior efficienza relativa problemi pratici di produzione, di trasporto, di comunicazione, di cura della persona, di deposito di risorse, di attacco e difesa, di protezione dall'ambiente e dell'ambiente. Questo modo di concepire la tecnologia, mentre aderisce alla tradizione classica del termine - sin dall'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert si è inteso per tecnologia il miglioramento razionale di tutte le ‛arti' mediante lo studio scientifico dei loro fondamenti e dei loro risultati -, si oppone sia all'uso corrente tra gli etnologi, che sussumono sotto il medesimo termine l'insieme delle tecniche materiali per produrre e cacciare, cucinare e coltivare, costruire abitazioni e fabbricare utensili presenti in una data società, quale che sia il livello scientifico di tali tecniche; sia all'inclinazione contemporanea a estendere il significato del termine fino a includervi anche le strutture sociali e culturali che la tecnologia sorregge o rende possibili, quale un'organizzazione complessa.
La caratteristica preminente del concetto di tecnologia qui adottato consiste tuttavia nell'essere un concetto esplicitamente neodarwiniano, strutturato in maniera omologa alla teoria dell'evoluzione dei sistemi viventi per selezione naturale, nella sua versione post-Sintesi Moderna, che combina l'idea di gradualità con l'idea di discontinuità dell'evoluzione. La tecnologia appare singolarmente ben qualificata per applicazioni di tale teoria al di là del suo contesto originario. Infatti, un sistema tecnologico è un complesso di organi, e più analiticamente di tratti, proprietà o caratteri, soggetti a continue variazioni che sono accettate e trasmesse in modo differenziale da popolazioni umane. Ciascun sistema - o più precisamente le successive repliche di un sistema appartenente a una data popolazione tecnologica - si modifica gradualmente nel tempo, di modo che al tempo t1 la popolazione presenterà una distribuzione di varianti diversa che al tempo t0 ciò che Darwin appunto intendeva per evoluzione, e che nella Sintesi Moderna si preferisce chiamare microevoluzione. Ma talvolta avviene che un sistema venga completamente ristrutturato, ovvero si formino sistemi i quali rappresentano un piano organizzativo di funzioni e di processi interamente nuovi (la radio di fronte al telegrafo, l'elaboratore elettronico di fronte alla calcolatrice elettromeccanica): è l'equivalente dei salti tipologici del vivente che si definisce macroevoluzione, e che vi sono buone ragioni di credere non derivabile dalla microevoluzione. Se viene accolto, ovvero si diffonde tra popolazioni umane, il nuovo tipo di sistema scaccerà i precedenti, ma non di rado conviverà con essi, in nicchie separate ma complementari.
Quantunque il ricorso a modelli evolutivi, darwiniani e neodarwiniani, per l'analisi di fenomeni non biologici possa contare autonomamente su solide giustificazioni metodologiche (v. Toulmin, 1972, cap. 5), non si vuol qui compiere un mero esercizio in tal senso. La tecnologia forma da sempre un anello essenziale dell'evoluzione della specie umana, sotto il profilo biologico non meno che sotto il profilo sociale e culturale, e con i suoi più recenti sviluppi è divenuta un anello dell'evoluzione dell'intero pianeta: in sintesi, della coevoluzione di biologia e cultura. Allo scopo di comprendere i rapporti a due vie tra la tecnologia e i processi sociali e culturali è necessario approfondire tale prospettiva. Ma prima bisogna sbarazzarsi d'una prospettiva diversa, che da decenni falsa gli studi sulla tecnologia.
2. L'idea di ‛conseguenze sociali' della tecnologia: un errore di prospettiva
La letteratura sociologica del Novecento include migliaia di titoli che si riferiscono agli ‛effetti' o ‛conseguenze sociali' della tecnologia. Col progresso tecnologico è mutato, comprensibilmente, l'oggetto assunto come causa. Mentre al volgere del secolo ci si preoccupava delle nuove forme di criminalità indotte dalla diffusione della bicicletta, verso il 1910 A. Loria già discuteva delle influenze sociali dell'aviazione; l'uso della radio da parte dei regimi totalitari monopolizzò l'attenzione degli anni quaranta; e con gli anni sessanta si apriva il dibattito - tuttora vivo - sugli effetti sociali dell'automazione nelle fabbriche e dell'informatica negli uffici. A onta di questi aggiustamenti l'insieme di tale letteratura sembra configurare la tecnologia come un'entità autonoma, che nasce da processi ancora mal noti di invenzione e innovazione, si diffonde soprattutto per ragioni economiche o politiche, dopo di che produce effetti sociali. Per fini di senso comune, a costo di isolare un singolo sistema tecnologico e qualche fenomeno sociale a esso correlabile da ogni relazione causale e temporale con altri sistemi, un simile modo di collegare tecnologia e società può aver qualche giustificazione. Non si vorrà contestare, ad esempio, che lo sviluppo della tecnologia aeronautica abbia portato a ridurre il costo per passeggero-chilometro dei viaggi aerei, cui è seguita la crescita del turismo di massa. Ma per un'analisi che voglia estendersi al maggior numero di relazioni significative intercorrenti tra i sistemi osservati, quest'idea risulta invece affatto inadeguata.
Altre idee possono competere efficacemente con l'idea di effetti sociali della tecnologia per organizzare l'analisi dei rapporti tra tecnologia e società. Una è l'idea di variabile cenetica. Una variabile qualsiasi è detta cenetica rispetto ad altre variabili quando provoca in queste ultime variazioni correlate, in modo che all'osservatore esse appaiono convergere verso un obiettivo comune, pur essendo tra loro reciprocamente indipendenti (v. Sommerhoff, 1968). Se ci si chiede quale variabile cenetica possa aver influito congiuntamente sia sullo sviluppo della tecnologia moderna nelle società occidentali, sia sui fenomeni sociali il cui sviluppo una prospettiva monca imputa direttamente alla prima, è agevole additare il capitalismo. Favorendo lo sviluppo di rapporti sociali orientati al diritto sistematico, alla calcolabilità di ogni costo e beneficio, alla razionalità rispetto al fine, il capitalismo ha prodotto in codeste società un ambiente sociale ideale per la diffusione di sistemi tecnologici incorporanti simili principî. Ciò risulta specialmente evidente nel campo della organizzazione del lavoro. La tecnologia della fabbrica moderna ha prodotto ogni sorta di sistemi, dalla catena di montaggio alle macchine specializzate o monovalenti, dallo studio dei movimenti e dei tempi a certi automatismi di processo, le cui conseguenze più dirette sembrano essere la scomparsa dei mestieri qualificati, la radicale separazione del lavoro esecutivo dal lavoro ideativo e la frammentazione del primo in una miriade di mansioni parcellari.
A guardar meglio, queste ‛conseguenze' della tecnologia erano però interamente prefigurate da un principio che sin dalle origini parve fondamentale per l'organizzazione dell'impresa capitalistica, il cosiddetto principio di Babbage; la tecnologia è stata solamente il mezzo, indispensabile ma a esso subordinato, per concretarlo. Formulato nei primi decenni dell'Ottocento da un tecnico che si occupò pure con successo di calcolo automatico, il principio di Babbage dice che l'imprenditore capitalistico ha un interesse intrinseco a suddividere il lavoro da eseguire nel maggior numero di operazioni differenti, poiché in tal modo egli può acquistare dal singolo lavoratore esattamente la quantità di abilità o di forza necessaria per ogni operazione; laddove, se il lavoro da eseguire è indiviso, egli dovrà assumere lavoratori che posseggano al tempo stesso l'abilità necessaria per le operazioni più complesse e la forza occorrente per le operazioni più faticose: abilità e forza che saranno in grande misura inutilizzate per il resto delle operazioni. Una tecnologia incorporante un principio diverso avrebbe sicuramente non diremo prodotto, poiché non in essa deve cercarsi la causa, quanto piuttosto trasmesso effetti sociali differenti da quelli sopra ricordati.
L'idea di variabile cenetica può venire utilmente integrata con quella di retroazione amplificatrice, in quanto distinta dalla retroazione riduttrice di oscillazioni (v. Maruyama, 1963). Con tale integrazione, capitalismo e tecnologia si porrebbero come due macrosistemi collegati da un circuito di retroazione, in forza del quale i rispettivi domini d'azione si amplificano a vicenda. Da due secoli il capitalismo, che in parallelo continua a produrre e riprodurre rapporti sociali a sé congruenti, potenzia lo sviluppo della tecnologia, che a sua volta rafforza e diffonde i rapporti capitalistici di produzione. Gli effetti sociali del capitalismo, che una prospettiva ristretta annovera tra gli effetti della tecnologia, sono invece collegati con esso da un circuito di retroazione riduttrice: essi generano cioè controspinte sociali e culturali che tendono a smorzare, piuttosto che ad amplificare, la diffusione del capitalismo.
Peraltro un tal modo di collegare tecnologia e società, per quanto fosse approfondito, risulterebbe pur sempre eccessivamente aggregato. I fenomeni sociali macrostrutturali sono il prodotto di flussi di microdecisioni individuali che si compongono in sistemi complessi seguendo leggi che non si possono ricavare isolando i due livelli, né ciò che avviene a un livello può essere spiegato derivandolo pari pari dall'altro. L'idea di coevoluzione di vari ordini di popolazioni permette di superare queste difficoltà.
3. La coevoluzione di popolazioni umane, sistemi tecnologici e sistemi socioculturali
Tutti gli individui viventi tra cento anni discenderanno sicuramente da individui che vivono oggi; ma non tutti gli individui oggi viventi saranno antenati di quei discendenti. Per qualcuno di questi si può stabilire sin da ora che non avrà discendenti, perché ha già superato l'età riproduttiva senza aver figli; per altri la linea della discendenza si interromperà a livello dei figli o dei nipoti. Se a ciascun membro della popolazione presente si potesse attribuire - tra cento anni! - un punteggio variabile a seconda del contributo nullo, medio o alto che ha fornito alla formazione della futura popolazione, tale punteggio rappresenterebbe una misura della sua ‛idoneità' biologica (v. Medawar, 19742). Ovviamente, nulla vieta di misurare l'idoneità dei membri d'una popolazione in tempi più brevi, ad esempio da una generazione all'altra, oppure in tempi assai più lunghi: la logica non muta. Al fine di conseguire una idoneità non nulla, un individuo deve sopravvivere fino a raggiungere l'età riproduttiva, e quindi procedere effettivamente a riprodursi. Quanto più a lungo sopravvive, maggiore è la probabilità di conseguire un'idoneità elevata, poiché, oltre a un periodo più ampio di potenzialità riproduttiva, egli potrà aiutare i figli a sopravvivere e a riprodursi a loro volta. Pertanto l'idoneità è una funzione combinata della sopravvivenza individuale e della numerosità della progenie. Qualsiasi tratto funzionale, morfologico o comportamentale che accresca l'idoneità d'un individuo o, in media, d'una popolazione, è detto ‛adattamento'. In funzione del suo valore adattativo, ciascun tratto variante, presente in una certa proporzione entro una data popolazione, può venire trasmesso alla popolazione dei discendenti in proporzioni maggiori o minori, oppure andare perduto; inoltre, tratti del tutto nuovi penetrano a volte nella popolazione successiva. Una popolazione che esibisca una distribuzione di tratti varianti significativamente differente a paragone della popolazione da cui discende avrà subito un'evoluzione.
Una logica analoga opera sui sistemi tecnologici e sui sistemi socioculturali, includendo tra questi sia i sistemi di comportamento transindividuali strutturati per realizzare uno scopo collettivo, sia i sistemi di valori, di simboli e di norme atti a in-formare tali strutturazioni di comportamenti individuali e collettivi. Per quanto straordinarie possano sembrare le innovazioni tecnologiche della nostra epoca, e quelle prevedibili per i prossimi decenni, non v'è dubbio che i sistemi tecnologici di cui disponiamo al presente discendono da quelli disponibili cinquanta o cento anni addietro, così come i futuri sistemi discenderanno dagli attuali. Né si può negare che i nostri sistemi linguistici, i modelli concettuali, le strutture dell'argomentazione che usiamo al presente, al pari del nostro sistema politico o del sistema scolastico, discendano da ascendenti ben individuabili e siano destinati in misura variabile a lasciare una discendenza. Certi sistemi tecnologici, e certi sistemi socioculturali, contribuiranno in misura maggiore di altri alle future popolazioni tecnologiche e socioculturali; anche a essi è quindi applicabile il concetto di idoneità.
Nell'evoluzione della nostra specie interagiscono dunque tre ordini di popolazioni: organismi umani, sistemi tecnologici e sistemi socioculturali. Il loro stato attuale è il risultato di milioni di anni di evoluzione congiunta, durante la quale ogni tipo di popolazione ha condizionato, in un intricato circuito di retroazioni amplificatrici e riduttrici, e di proazioni (feedforwards), la morfologia, le strutture interne, il comportamento, la densità e la distribuzione degli altri due. L'elevatissima velocità di evoluzione fatta registrare dai sistemi tecnologici da due o tre secoli a questa parte, in cui vari osservatori scorgono l'indice di una loro totale separazione dall'evoluzione biologica, non deve indurre a sottovalutare il fatto che per milioni di anni l'evoluzione degli organismi umani, misurata dalla variazione sistemicamente correlata di centinaia di tratti morfologici e strutturali, fu molto più rapida dell'evoluzione tecnologica, misurata con criteri affini; né che, al presente, non siamo per nulla in grado di valutare la velocità attuale di evoluzione delle popolazioni umane, nessun dato escludendo ch'essa possa un giorno risultare, in retrospettiva, sorprendentemente elevata. Le dinamiche dei tre ordini di popolazioni rimangono così strettamente intrecciate, in un circuito coevolutivo che di per sé non presenta punti di ingresso preferenziali, né un senso rotatorio predeterminato. Però di tale circuito interessa qui soltanto un particolare percorso quello che vede le popolazioni umane, destreggiantisi per accrescere la propria idoneità e quella dei sistemi socioculturali che ne strutturano simbolicamente e praticamente la vita sociale, influire sull'idoneità, e perciò sull'evoluzione, dei sistemi tecnologici, e attraverso questi sull'evoluzione biologica non meno che sull'evoluzione socioculturale. Il problema può venire così riformulato: organismi del primo ordine (esseri umani) utilizzano selettivamente organismi del secondo ordine (sistemi tecnologici) per riprodurre sia se stessi che organismi del terzo ordine (sistemi socioculturali) indispensabili alla loro esistenza quali in-formatori del comportamento individuale e collettivo; agendo in tal modo, accelerano l'evoluzione dei sistemi tecnologici, e la loro dipendenza da questi, con effetti a lungo termine sulla propria probabilità di sopravvivenza collettiva. Tale circuito non è stato finora il prodotto di un disegno intenzionale, né sussistono segni che lo stia diventando; è piuttosto il prodotto emergente di innumerevoli sequenze di scelte individuali. Attraverso le sue scelte tecnologiche, ciascun individuo concorre a determinare il futuro della sua specie.
4. Tra sistemi tecnologici e reificazioni culturali: l'individuo come decisore
Sopravvivere e riprodursi sono i maggiori interessi di ogni essere umano; ne è un indizio la drammaticità con cui è vissuta soggettivamente e socialmente l'eventuale decisione d'uno di loro di non sopravvivere o di non riprodursi. Non furono gli dei né la sorte a dotare gli umani di tali interessi e delle capacità d'azione atte a perseguirli con successo. Più semplicemente, gli organismi che seppero sopravvivere e riprodursi con maggior successo di altri, e trasmettere tale capacità ai loro discendenti, divennero via via proporzionalmente più numerosi, sino a comporre la totalità delle popolazioni umane. Dopotutto, se autore e lettore possono incontrarsi su questa pagina, lo debbono ciascuno a una lunga ma definita sequenza di individui - preominidi, ominidi, protoumani, umani in senso stretto - che, sotto la pressione dell'ambiente fisico, della biosfera e dei conspecifici, trovarono modo di sopravvivere e riprodursi.
L'interesse per la propria sopravvivenza e la propria riproduzione si prolunga nell'interesse per la sopravvivenza e la riproduzione dei propri affini biologici, tutti coloro con cui si ha in comune una frazione degli stessi geni, siano essi discendenti, ascendenti o collaterali. L'interesse per il singolo affine biologico decresce con la diminuzione della frazione che ego (l'individuo cui ci si riferisce) ha in comune con lui, ed è quindi minore per un nipote (25% dei geni di ego) rispetto a un figlio o un fratello (50% dei geni di ego). Tuttavia, qualora ego debba compiere scelte che influiscono sulle sorti - ovvero sull'idoneità biologica d'un congruo numero di affini, la sua decisione sarà influenzata dalla somma dei coefficienti di affinità genica che essi rappresentano; ove questa sia elevata, ego tenderà a decidere come se fosse in presenza d'un singolo affine genicamente più prossimo. Anche in questo caso non si tratta di un'abilità intenzionalmente acquisita o conferita da agenti esterni, quanto d'una capacità sviluppatasi a causa della selezione positiva operante sugli organismi dimostratisi meglio atti a propagare i loro geni.
Mentre l'evoluzione biologica ha dato molto agli esseri umani, in termini di capacità di sopravvivenza e riproduzione, essa ha pure sottratto loro, ai medesimi fini, capacità essenziali. Massimamente rilevanti sono state la perdita della capacità di interpretare in modo a sé utile, per mezzo di dispositivi sensoriali innati, i segnali provenienti dall'ambiente biofisico, e di variare automaticamente il proprio metabolismo o la morfologia per neutralizzare le modalità nocive che molte variabili ambientali possono assumere, per cause stagionali, meteorologiche o accidentali. Tra gli animali, quello dal doppio predicato sapiens sapiens è forse l'unico a non saper distinguere istintivamente tra alimenti naturali tossici e non; né ritrovare senza complicati segnali artificiali e strumenti tecnici la via del ritorno alla dimora; né proteggere i processi di sintesi proteica del suo corpo con adattamenti metabolici e morfologici dinanzi a variazioni anche minime della temperatura ambiente; né individuare i periodi in cui la disponibilità dei due sessi alla fecondazione è massima o minima; né comunicare con precisione coi conspecifici mediante messaggeri chimici. La lista delle incapacità umane a paragone di altri animali, indotte dall'evoluzione, forse con ripetute mutazioni massive e riarrangiamenti dell'intero genoma, è invero preoccupante. Per poter ovviare a tali incapacità e orientare il suo comportamento nei modi efficaci al fine di sopravvivere e riprodursi, che la perduta memoria endosomatica più non suggerisce, l'uomo necessita di una memoria esosomatica, il sedimento segnico esteriore delle esperienze della specie: la cultura.
La capacità di cultura ha pur essa fondamenti biologici, evolutivamente consolidatisi, nel duplice senso di poter venire localizzata in specifici tratti funzionali e strutturali - quali la presenza d'una corteccia associativa, d'una laringe perfezionata, di sofisticati sistemi di trasduzione e decodificazione delle microonde di pressione atmosferica e delle onde elettromagnetiche d'una determinata banda - e di indurre nel cervello di chi acquisisce cultura modificazioni permanenti, d'ordine biochimico e fisiologico, ad esempio sotto forma di stabilizzazione di sinapsi e di tracciamento di circuiti preferenziali tra varie zone dell'encefalo e relative proiezioni. Da siffatte condizioni e processi risulta che non soltanto il sistema organismo chiede di sopravvivere e riprodursi, emettendo messaggi di bisogno, ma altrettanto fanno i sistemi culturali depositati sotto forma di circuiti di tracce mnestiche nel cervello. In senso stretto essi sono diventati oggetti ‛del' cervello; questo appunto va inteso per reificazione.
Insieme con l'indispensabilità dell'orientamento comportamentale fornito dalla cultura, senza il quale il sistema organismo non sarebbe letteralmente in grado di funzionare pur a livello minimo nel più ospitale degli ambienti, i fondamenti biologici della capacità culturale concorrono a far sì che i tratti di cultura memorizzati siano investiti di interessi omologhi a quelli che l'organismo investe in se stesso e nei suoi affini biologici. Per tal via l'individuo sviluppa altri tipi di interesse primario: verso la sopravvivenza e la riproduzione dei tratti e dei sistemi culturali che ego condivide con altri, i suoi affini culturali, come pure verso la sopravvivenza e la riproduzione dei tratti e dei sistemi grazie ai quali ego si distingue da ogni alter, ossia definisce per sé e per gli altri la propria identità, che vuol dire differenza rispetto a uno sfondo culturalmente omogeneo. Il gioco dell'affinità e della differenza è il gioco primordiale su cui si è innestato l'intero corso dell'evoluzione organica; la dialettica di affinità e differenze di ordine culturale è la continuazione di tale gioco a livello metaumano (v. Eigen e Winkler, 19814).
Ove si applicasse alla lettera il concetto sociologico e antropologico di cultura, i sistemi tecnologici dovrebbero naturalmente rientrare in essa. Ma, rispetto agli altri sistemi culturali, questi differiscono per la loro scoperta natura di mezzi di sopravvivenza e di riproduzione degli organismi umani come degli oggetti mentali acquisiti che ne governano in profondità l'orientamento, assegnando dall'interno un senso agli oggetti del mondo esterno. Le differenze che stabiliscono l'identità di ego, come le affinità che gli consentono di identificarsi con altri, sono generate da sistemi culturali in cui prevale la componente simbolica, cioè la capacità di racchiudere in un segno una stratificata varietà di significati, attivanti rappresentazioni strettamente ravvolte in emozioni, come tipicamente avviene coi linguaggi naturali. Per quanto complessi, nei sistemi tecnologici prevale invece la componente segnale, la calcolata univocità del messaggio: una sola istruzione ambigua può bloccare un programma applicativo, nel campo dell'EDP, formato da mezzo milione di righe. In essi, inoltre, il veicolo materiale è parte inscindibile del sistema, poiché senza strutture materiali non è possibile intervenire sullo stato di variabili fisiche, sia questa la sua finalità primaria, com'è il caso delle macchine operatrici, o la condizione necessaria per elaborare informazioni, come nel caso degli impianti hi-fi o, ancora, del calcolatore. Perciò i sistemi tecnologici formano una popolazione a sé stante, che si inserisce sempre più numerosa tra le popolazioni umane, il loro ambiente biofisico e i sistemi simbolici che ne orientano e organizzano l'azione.
Avvolto nei suoi molteplici interessi primari - sopravvivere e riprodursi, far sopravvivere e riprodurre i suoi affini biologici e culturali e la propria identità culturalmente definita - l'individuo è in stato di perenne tensione. Non gli è possibile massimizzare simultaneamente tutti i diversi interessi; glielo vieta, se non altro, la finitezza delle risorse di cui dispone, a partire dal tempo. La sopravvivenza e la riproduzione di sistemi biologici come di sistemi culturali richiede attenzione selettiva e destinazione differenziale dell'energia e dell'informazione disponibili. Se pensa a riprodursi, sottrae inevitabilmente una quota del suo tempo, della sua energia e delle sue risorse materiali comunque accumulate sia ai suoi affini biologici che agli affini culturali. Se spende la vita nel far proseliti - il modo più comune di riprodurre affini culturali - gli mancheranno le risorse per riprodursi. In media, l'individuo non tende quindi ad agire come un decisore massimizzante, bensì come un ottimizzatore di variabili inversamente correlate: rinuncia a dosi limitate di sopravvivenza e di riproduzione su questo o quel quadrante, per acquisire maggiori dosi - stante la sua situazione del momento - di sopravvivenza e riproduzione negli altri tre. All'interno stesso di ogni quadrante vi sono poi ricorrenti possibilità di conflitto, come sanno le donne che debbono scegliere tra rischiare la vita e avere un figlio.
In quanto gli consentono di sfruttare fonti di energia non umana, e di concentrare quantità sovraumane di informazioni memorizzate sulla soluzione d'un singolo problema, i sistemi tecnologici offrono all'individuo il mezzo per espandere l'area complessiva del suo successo riproduttivo bioculturale, come mostra il successo d'una specie giunta a dominare il pianeta. Ciascun sistema e le possibili varianti d'un dato sistema vengono preferiti ad altri sulla base d'una valutazione che l'individuo compie - in modo sostanzialmente razionale ma non necessariamente calcolato o cosciente - del contributo che il sistema stesso appare suscettibile di dare all'incremento dell'una o dell'altra misura della propria idoneità biologica o culturale, di sé o dei propri affini. Ogni valutazione è complicata dal fatto che il sistema tecnologico utile per massimizzare l'idoneità biologica può essere diverso dal sistema che permetterebbe invece a ego di massimizzare la sua idoneità culturale; in breve, il contributo che le sue idee - originali oppure condivise con altri - forniranno a una futura popolazione di idee. Siano S1, S2, S3, ..., Sn i sistemi tecnologici fra cui un individuo può scegliere. S1 massimizza l'idoneità biologica di ego; S3 massimizza la sua idoneità culturale; S2 promette risultati mediocri in termini sia di idoneità biologica che di idoneità culturale, ma non così negativi come S1 per l'idoneità culturale, né come S3 per l'idoneità biologica. La scelta di ego sarà influenzata dai suoi precedenti investimenti; da riuscite e sconfitte già registrate nei vari quadranti del successo riproduttivo bioculturale; dallo stato attuale delle sue risorse; dal particolare problema di sopravvivenza o riproduzione, biologica o culturale, che deve risolvere. È comunque più probabile, in media, che scelga S2, oppure che si impegni nella ricerca di un Sj tra S3 ed Sn atto a produrre migliori effetti congiunti, in termini di idoneità e biologica e culturale, che non S2. Infatti, popolazioni umane che avessero ripetutamente scelto sistemi tecnologici massimizzanti l'idoneità culturale a scapito di quella biologica si sarebbero da tempo estinte; mentre popolazioni che avessero scelto soprattutto sistemi massimizzanti l'idoneità biologica si sarebbero culturalmente dissolte in altre, ossia non avrebbero trasmesso popolazioni culturali distinte, ch'è il contrario di ciò che si osserva. Pur con tale tendenza evolutiva verso una scelta intermedia - appunto globalmente ottimizzante anziché separatamente massimizzante - lo scarto tra idoneità biologica e idoneità culturale può risultare elevato.
Come popolazione di secondo ordine, inoltre, i sistemi tecnologici sono via via meno neutrali come mezzi del conflitto (anche se finora contenuto, poiché per eoni l'una si trasmutò continuamente nell'altra) tra biologia e cultura, o meglio tra idoneità biologica e idoneità culturale. Di solito l'orizzonte temporale in cui ego valuta le conseguenze delle sue scelte tecnologiche è limitato; perciò un evidente vantaggio per la sua idoneità biologica a breve termine (breve per i tempi dell'evoluzione, siano pure alcune generazioni) può comportare, a opera dello stesso sistema operante per tempi lunghi, o della sua diffusione in repliche identiche, seri svantaggi per la sua idoneità in un futuro meno prossimo. Le caratteristiche e la densità che i sistemi tecnologici vanno assumendo lasciano anzi intravvedere la possibilità che essi abbiano interesse - al di fuori d'ogni concezione antropomorfizzante della tecnologia - a massimizzare anzitutto la ‛loro' idoneità, più che quella degli esseri umani o dei sistemi culturali d'ordine simbolico. Per comprendere come ciò possa avvenire, occorre esaminare dapprima le ragioni per cui gli individui scelgono di adottare, acquisire, utilizzare certi sistemi tecnologici, e certe loro varianti, al posto di altri, ovunque essi abbiano la possibilità di effettuare scelte pur limitate. Le popolazioni tecnologiche che circolano fra noi sono il prodotto evolutivo di simili scelte. Quelle che circoleranno fra i nostri discendenti - se le nostre scelte ci consentiranno di avere una discendenza - saranno il prodotto delle scelte che noi in questo momento compiamo. Il rapporto tra tecnologia e società transita per stati di equilibrio intermittente, dall'esito ignoto, tra popolazioni umane e metaumane, irraggiantisi sul pianeta come espressione della coevoluzione di biologia e cultura.
5. Tecnologia, sopravvivenza e riproduzione di sé e degli affini biologici
Sebbene gli esseri umani tendano a mediare tra idoneità biologica e idoneità culturale, la razionalità con cui essi scelgono di utilizzare determinati sistemi tecnologici o loro varianti al fine di accrescere la probabilità di sopravvivere e riprodursi fisicamente, sia essa o meno il portato di un calcolo cosciente, è sovente sottovalutata. Afferma un esperto di ‛politica della sopravvivenza': ‟L'interazione tra ‛propositi' umani (o ‛utilità' soggettive) e le funzioni di sopravvivenza è complessa e sovente indiretta. Un processo o un artefatto avente valore adattativo non appare, con elevata frequenza, consapevolmente ‛inteso' a servire bisogni di sopravvivenza. D'altra parte vi sono propositi umani che, anche quando sono intesi a soddisfare bisogni di sopravvivenza, possono condurre a esiti maladattativi" (v. Corning, 1976, p. 131). In simili affermazioni si opera in modo caratteristico uno scambio tra il produttore e l'utente di un artefatto, qual è un sistema tecnologico. Si può in verità ammettere che il produttore non proponga al mercato, nella maggior parte dei casi, un sistema che egli intende esplicitamente porre al servizio dei bisogni di sopravvivenza (un'eccezione sono forse i costruttori di rifugi antiatomici). Ma si deve anche ammettere che l'utente pare capace di distinguere piuttosto bene, tra i sistemi tecnologici che gli sono proposti, quelli che in qualche misura accrescono le sue probabilità di sopravvivenza e riproduzione da quelli che allo stesso fine sono invece neutrali o svantaggiosi; tanto che - sul piano mondiale - esso risulta dirigere metodicamente le sue preferenze verso i primi, ovunque gli sia possibile esprimere una preferenza. Evidenza indiretta ma probante di simile capacità sono l'allungamento della vita media in tutte le società umane e l'aumento della popolazione mondiale, ambedue eccezionalmente elevati nell'ultimo secolo. Sono questi stessi dati a spostare verso il futuro l'ipotesi che propositi umani intesi a soddisfare bisogni di sopravvivenza possano condurre a esiti maladattativi per la specie umana; di certo, sino alla nostra epoca, il fine raggiunto è stato congruente con l'intenzione. È possibile che l'idoneità biologica non sia stata affatto massimizzata dalle popolazioni umane, ma certo il concomitante perseguimento dell'idoneità culturale non ha impedito loro di accrescere notevolmente la prima.
Più ancora che dall'allungamento della vita media, il successo delle strategie di sopravvivenza dei nostri vicini ascendenti è icasticamente misurabile dai dati relativi all'età mediana dei morti. In Italia, verso il 1880, essa era pari a 6,5 anni (maschi più femmine); ciò significa che metà dei morti in un dato anno faceva registrare un'età compresa tra 0 (esclusi i nati morti) e 6,5 anni. A cavallo degli anni venti del Novecento l'età mediana dei morti raggiunse i 40 anni; negli anni sessanta sono stati superati i 70 anni (67 per i maschi, 71,5 per le femmine). In tutte le società industriali si registrano dati consimili. Essi sono il risultato dell'acquisizione selettiva, da parte di singoli individui, di beni e servizi derivanti da sistemi tecnologici che sono stati riprodotti e diffusi in misura differenziale - ovvero si sono evoluti - sotto la pressione della selezione esercitata istante per istante da quei medesimi individui posti in condizione di scegliere tra due o più sistemi, o varianti di un sistema, attraverso i beni e i servizi erogati da questi o per loro mezzo. I tipi di sistemi coinvolti sono decine. Infatti, al prolungamento della vita, all'aumento delle probabilità di sopravvivenza di ognuno contribuiscono congiuntamente e sinergicamente beni e servizi acquisibili in dosi variabili da sistemi tecnologici dedicati alla produzione, alla conservazione e alla distribuzione degli alimenti; alla costruzione di mezzi di trasporto terrestri, navali e aerei, e relative infrastrutture; al miglioramento degli ambienti di lavoro; all'automazione dei processi produttivi nell'industria; all'assistenza medica generica; all'assistenza medica specialistica alle gestanti; alle pratiche di controllo delle nascite; all'approvvigionamento idrico; al miglioramento degli standard igienici delle abitazioni; alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti organici. L'elenco potrebbe essere agevolmente prolungato.
Le dosi di tecnologia relativamente avanzata rispetto al luogo e all'epoca acquisite dall'individuo nelle suddette aree equivalgono a porre una quantità di energia assai più elevata, sotto diverse forme, a disposizione d'ogni individuo. Peraltro, agli effetti d'una più lunga sopravvivenza non è la maggior disponibilità di energia pro capite il fattore principale, quanto il fatto che, sia dal lato della domanda che dal lato dell'offerta, questo riduce la tendenza a sfruttare l'energia corporea, di sé e del prossimo. Sopravvivere comporta mantenere momento per momento un equilibrio dinamico tra l'energia immessa e l'energia emessa dal corpo, non solo sotto forma di cibo da un lato e lavoro dall'altro, ma pure, ad esempio, come radiazione calorica. Sfruttato è colui il cui bilancio energetico è per lunghi periodi spezzato a favore di terzi i quali, utilizzando la sua energia in cambio di altra energia quantitativamente e qualitativamente insufficiente, migliorano in tal modo il proprio. I tassi medi di sopravvivenza delle classi dominanti di tutte le società ed epoche, assai più alti di quelli delle classi dei lavoratori manuali, riflettono precisamente tale squilibrio. I sistemi tecnologici, evolutisi sotto la pressione dell'accettazione selettiva di cui sono stati oggetto da parte delle popolazioni umane, riducono sia l'interesse che l'opportunità di sfruttare l'energia fisica di altri, facilitando in tal modo la loro sopravvivenza.
Dato che gli individui sopravvivono in media molto più a lungo, il loro numero totale aumenta anche se generano meno figli per coppia in età feconda. Riduzione progressiva dei tassi medi di natalità contro una riduzione molto più drastica dei tassi di mortalità sono, come noto, le lame della forbice che spiega l'aumento esplosivo della popolazione mondiale meno di 1 miliardo nel 1800; 2 miliardi nel 1930; 4 miliardi nel 1975; quasi certamente 8 miliardi poco dopo il 2000, con un tempo di raddoppiamento sceso da 130 a 40 anni in meno di due secoli, che induce a stimare non lontano il momento zero - la data in cui la popolazione mondiale, la biomassa umana, diventerà infinitamente grande (v. Taagepera, 1976, p. 138). Un tale successo nel sopravvivere e riprodursi tramite popolazioni tecnologiche sta provocando d'altra parte mutamenti del comportamento sociale - in questo particolare quadrante della matrice che confronta ogni decisore umano - atti a retroagire in modo controintuitivo sulla struttura della popolazione. Essi appaiono in luce più chiara quando si disaggregano su base locale i dati demografici.
Grazie alla dose complessiva di tecnologia razionalmente utilizzata - nel quadro della razionalità limitata entro cui tipicamente effettua scelte il decisore umano - ogni individuo vive mediamente più a lungo, ma, sempre in media, esso non è in grado di acquisire con il suo lavoro molto più di un ristretto multiplo di tale dose, sufficiente per assicurare a sé e a un piccolo numero di affini biologici, incluso tra questi (non del tutto propriamente) quel complemento biologico che è il partner eterosessuale, la speranza di vita che sembra naturale nella sua società. Utilizzare sistemi tecnologici costa molto anzitutto in termini di tempo, a partire da quello che occorre investire in istruzione. Essendo diventato molto più difficile sfruttare l'energia o il tempo di altri, ego deve limitare il numero degli affini biologici a suo carico al livello compatibile con la sua capacità di acquisire dosi di tecnologià che consentano loro di sopravvivere quanto basta per utilizzare alla lor volta dosi uguali o superiori di tecnologia. Accrescere il numero degli affini biologici a carico, in primo luogo della progenie, richiederebbe compiere maggiori sforzi, o assumersi più rischi - ciò che significa ridurre le proprie probabilità di sopravvivenza, e forse anche quelle della progenie.
Il conflitto tra l'interesse a sopravvivere e l'interesse a riprodursi che in tal modo si delinea è acuito dalla scoperta che sopravvivere a lungo in buone condizioni psicofisiche può essere straordinariamente gradevole. Quale esperienza di massa, essa è un fatto recentissimo, come attestano i dati sopra riportati circa l'età media dei morti. Al tempo stesso, è diminuito l'interesse a generare figli per sfruttarne la forza lavoro ai fini della propria sopravvivenza - uno dei maggiori fattori degli alti tassi di natalità delle società premoderne. Negli anni giovanili i figli devono ora impegnarsi ad acquisire la capacità di interagire con i sistemi tecnologici, e subito dopo i sistemi tecnologici li rendono autonomi rispetto alla famiglia; la possibilità di sfruttarli per accrescere la propria idoneità è minima. L'insieme di questi fattori interrelati lascia prevedere che nelle società dove i sistemi tecnologici sono più avanzati e capillarmente diffusi i tassi medi di sopravvivenza siano molto più elevati che nel resto del mondo, e i tassi di riproduzione molto più bassi, con popolazioni che hanno raggiunto o sono prossime alla crescita zero. Nelle stesse società v'è inoltre da attendersi - per la prima volta nella storia - vasti movimenti sociali che richiedono e legittimano il controllo delle nascite, anche con mezzi drastici come l'aborto. Sembra superfluo aggiungere, essendo i fatti e le cifre risaputi, che ciò è precisamente quanto si è verificato nelle società tecnologicamente progredite nel volgere di pochi decenni, variamente distribuiti, secondo i tempi storici locali, nell'arco del Novecento.
Altri mutamenti, conseguenti al successo nel sopravvivere e riprodursi ottenuto con la ritenzione selettiva dei sistemi tecnologici mediamente più atti allo scopo, stanno emergendo nel più antico e resiliente dei raggruppamenù di affini biologici che si conoscano, la famiglia. Dato che non soltanto ego ma anche i suoi affini biologici vivono più a lungo, la motivazione a compensare con nuove nascite le morti inattese o premature è attivata meno di frequente. Oltre a ridurre ulteriormente l'interesse per la riproduzione biologica, questo fattore concorre a elevare l'età media degli affini conviventi. Di conseguenza la famiglia modale, ch'era una coppia di giovani adulti conviventi con figli bambini o fanciulli, si va trasformando in una coppia di adulti cronologicamente quasi anziani, ma in buone condizioni psicofisiche, conviventi con figli sub-adulti o adulti. La struttura organizzativa, economica, politica e affettiva della famiglia ne risulta profondamente modificata (v. Gallino, 1978). Non meno rilevante dell'innalzamento dell'età media, che di per sé tende a mutare i modelli d'interazione tra i conviventi, è il forte allungamento del periodo in cui le due generazioni sono compresenti, quand'anche a un certo momento non convivano nello stesso nucleo domestico. Con le normali oscillazioni locali, talora assai ampie, si stima che in una media società europea l'età in cui un individuo ha il 5o% di probabilità di avere ancora ambedue i genitori viventi fosse circa 20 anni all'inizio del secolo, ma sia salita a ben 50 anni ai nostri giorni. Due generazioni adulte si trovano così a competere per un periodo di decenni intorno alle risorse familiari, che lo stesso prolungamento della vita tende a far accumulare in maggior misura. Il conflitto genitori-figli ne risulta marcatamente inasprito. Non è questo l'ultimo dei fattori da inserire in un modello volto a spiegare la novità e la durezza dei movimenti giovanili degli anni sessanta e settanta del Novecento.
La persistente e dettagliata ritenzione selettiva di sistemi tecnologici atti ad accrescere la probabilità individuale di sopravvivere e riprodursi, operata quotidianamente da milioni di individui ogni volta che han potuto compiere scelte pur minime tra sistemi concorrenti, ha ormai inserito tra le popolazioni umane e la natura una nuova densa popolazione, formata da organismi del secondo ordine. Un esito imprevisto dell'aver riempito con una popolazione artificiale la nicchia che evidentemente esisteva tra gli esseri umani e la natura è che gli organismi del primo ordine, pur essendo naturali, hanno quasi completamente perso o vanno perdendo, in vastissime aree del mondo, la capacità di accedere direttamente alla natura per poter sopravvivere. Ormai non solamente nelle metropoli, ma perfino in aggregati residenziali di medie o piccole dimensioni, l'individuo non è in grado di procurarsi nemmeno le risorse naturali più semplici, come l'acqua o cibi grezzi, senza la mediazione di numerosi sistemi tecnologici più o meno avanzati. Ogni possibilità di sopravvivenza è stata consegnata a questa popolazione di intermediari. L'imperativo ‛sopravvivere' mediato dall'evoluzione si dilata allora nell'imperativo di far sopravvivere i sistemi tecnologici da cui le popolazioni umane dipendono. Il comportamento sociale si modifica in tal senso. Ad onta dei tanti episodi locali di segno contrario, le piccole minoranze che propongono modelli di vita atti a recuperare l'indipendenza perduta nei confronti dei sistemi tecnologici sono globalmente sconfitte in partenza dalla maggioranza che chiede di reprimere ogni forma di devianza sociale capace di turbare la popolazione dei sistemi tecnologici; e ciò non perché le minoranze non possono che cedere alla ragione dei più, ma perché la coevoluzione delle popolazioni del primo e del secondo ordine ha già condotto gli esseri umani a superare la soglia di densità sul territorio che ammetteva se non l'indipendenza, quanto meno una dipendenza limitata da tecnologie primitive, agevolmente sostituibili con maggior forza-lavoro, ovvero con una contenuta riduzione dell'idoneità biologica.
Le esigenze dell'esposizione lineare, un limite caratteristico della capacità di elaborazione dati degli organismi di primo ordine, obbligano qui a esaminare uno alla volta i quadranti della matrice del decisore umano, che in realtà tende sempre a decidere tenendo simultaneamente presenti, e bilanciando, interessi molteplici a sopravvivere e riprodursi come organismo ma anche come entità culturale, e a far sopravvivere e riprodurre sia i suoi affini biologici che gli affini culturali. Gli sviluppi intervenuti nei due quadranti biologici, sopra discussi, influiscono ovviamente su quel che avviene nei quadranti culturali della matrice, di cui si parlerà ora, benché questi ultimi presentino in rapporto alla tecnologia una dinamica loro propria.
6. Tecnologia, sopravvivenza e riproduzione degli affini culturali
‛Noi' e ‛loro' la solidarietà incipiente che nasce dal riconoscersi parte di un gruppo di simili e il conflitto potenziale insediantesi sulla definizione di altri come diversi. La capacità di tracciare mentalmente un cerchio che delimita e abbraccia gli affini, e al tempo stesso stabilisce la differenza categorica di chi ne sta fuori, appare talmente radicata nella specie umana da avere quasi sicuramente origini filogenetiche. Sotto il profilo della selezione naturale fece presumibilmente premio evitare di confondere gli appartenenti ad altre specie, all'apparenza simili, con i conspecifici; mentre all'interno della medesima specie distinguere tra chi apparteneva alla minima unità riproduttiva autosufficiente, un deme, e chi no, facilitò forse lo sviluppo dell'organizzazione sociale. Poiché è parte della biologia umana, non meno di quanto questa sia parte di essa, la cultura ha amplificato e approfondito tali disposizioni acquisite per via filogenetica. Per suo mezzo gli esseri umani, pur appartenendo a un'unica specie, appaiono impegnati in una incessante attività di speciazione vicaria, che impegna il meglio e il peggio delle loro emozioni non meno della loro intelligenza.
Il cerchio caldo da cui l'individuo si sente racchiuso quando si riferisce, in certe situazioni, a uno dei tanti noi stratificati nel suo sistema psichico - il noi nazione, il noi classe, il noi religione, il noi ideologia, e a seconda delle culture il noi forze armate, il noi partito... - è un potente fattore motivazionale non di rado sufficiente a fargli posporre la propria speranza di vita e di riproduzione alla speranza di contribuire alla sopravvivenza e alla riproduzione delle idee - del sistema socioculturale - la cui reificazione stabilisce la realtà indistanziabile di tale cerchio. Da sempre, popolazioni di sistemi culturali contendono alle popolazioni umane le risorse necessarie per difendere o accrescere le rispettive idoneità. La disponibilità di una popolazione di sistemi tecnologici, e anzi l'invasione da parte di questi della nicchia che esisteva tra i primi e le seconde, modifica gli orizzonti, lo svolgimento e i possibili esiti della contesa: purtuttavia, sino all'epoca attuale, soltanto relativa, poiché nell'insieme i sistemi socioculturali hanno mediamente accresciuto, piuttosto che diminuito, l'idoneità delle popolazioni umane.
‟Le persone si riconoscono tra loro mediante il riconoscimento di simboli che non hanno altra funzione o realtà se non quella di esprimere la realtà delle relazioni umane e che vengono normalizzate grazie alla loro trasformazione in un universo simbolico, che è sempre stato caratterizzato dal fatto che ciascuno se ne appropria in modo simile" (v. Ellul, 1978, p. 211). Se questo è stato vero in ogni tempo nelle sfere simboliche della religione e della nazione, è meno vero per la sfera della politica, dove si elaborano, si adottano e si combattono tra loro sistemi socioculturali intesi a strutturare, controllare e regolare il complesso dell'organizzazione sociale. È soltanto in epoca moderna che ciascuno - o almeno la gran maggioranza - acquisisce la libertà, le risorse e la competenza comunicativa per potersi appropriare in modo simile a ogni altro dell'universo simbolico della politica. Effetto indubbio del successo ottenuto dai movimenti sociali dell'Ottocento e del Novecento con le loro richieste di emancipazione politica, questo sviluppo si fonda anche sulla diffusione di sistemi tecnologici via via più avanzati. Senza le attuali tecnologie della comunicazione e dei trasporti, l'organizzazione e l'attività di un moderno partito politico sarebbero impensabili. Queste presuppongono sia la possibilità di trasmettere messaggi pressoché istantanei alla quasi totalità di coloro che si identificano con il partito, sia un gruppo di dirigenti e di quadri estremamente mobili, capaci di essere presenti quasi dovunque di persona per rafforzare l'identità politica dei membri, convincere i simpatizzanti a un maggiore sforzo di identificazione, captare e integrare la domanda politica, ridefinire continuamente la linea simbolica che - stabilendo la loro differenza rispetto ad altri gruppi politici - consente agli affini di riconoscersi. Presuppongono altresì imponenti risorse economiche, quali possono derivare solamente da un elevato surplus collettivo e individuale prodotto diretto della diffusione di sistemi tecnologici di crescente efficienza in tutti i settori dell'economia.
Ma laddove il ricorso intensivo a sistemi tecnologici avanzati permette di accrescere, a parità di costo per il decisore, le probabilità di far sopravvivere e riprodurre i suoi affini culturali - foss'anche solo in veste di elettori - gli effetti di composizione di tante scelte consimili vanno in altra direzione. Diffuse senza tregua su aree vastissime dai mezzi di comunicazione di massa, idee e immagini si logorano con altrettanta rapidità e debbono venire incessantemente sostituite con altre, che la mancanza di tempo impedisce però siano elaborate in modo approfondito. Perdendo di originalità e di dettaglio, messaggi provenienti da fonti politiche diverse tendono a diventare più simili, eppur ambiguamente suscettibili di interpretazioni contrastanti. Imposto dall'intensità del loro consumo, il ricorso a messaggi ambigui è altresì incentivato dall'operare della cosiddetta legge di Hotelling, i cui effetti i mass media tendono ad amplificare. Essa dice che un partito che si sposta verso sinistra tenderà a perdere aderenti sulla destra in misura più che proporzionale a mano a mano che si avvicina all'estrema; l'inverso avviene se si sposta verso destra. Poiché la riproduzione di affini culturali può avvenire solamente se non ci si rivolge unicamente agli affini, ma non è conveniente se nel corso di essa si perdono più affini preesistenti di quanti se ne producano di nuovi, bisogna che il messaggio diffuso dai media, in quanto rivolto a un pubblico nel quale una quota di affini si somma a una quota di non affini, convinca i primi che il partito è rimasto fermo sulle posizioni con cui essi si identificano, e i secondi che esso si è spostato nella loro direzione
La necessità di tracciare una linea netta tra ‛noi' e ‛loro' peraltro rimane; senza tale linea non può esistere alcun noi, e ove esista gli affini si disperdono. Per ristabilire il confine tra affinità e differenza, che la mediazione della tecnologia tende continuamente a elidere, si opera allora una regressione verso strati simbolici più profondi. Vari gruppi politici perseguono scopi analoghi con mezzi analoghi, ma legittimano lo scopo e i mezzi mediante un riferimento a valori radicalmente differenti. Una comune razionalità rispetto allo scopo viene paradossalmente legittimata dal richiamo reiterato alla razionalità rispetto a valori opposti. Discende da ciò quella tal patina vagamente allucinatoria della vita politica che alcuni osservatori imputano alla doppiezza dei politici, i quali userebbero il linguaggio degli oggetti nel rivolgersi ai membri della stessa professione, e il linguaggio delle astrazioni per il pubblico - sebbene i media diano del processo un'immagine specularmente invertita. Ma l'imputazione è affatto impropria. Il trasduttore costituito dalla popolazione dei sistemi tecnologici, che i soggetti politici hanno deliberatamente inserito tra sé e i sistemi culturali che intendono far sopravvivere e riprodurre, non è neutrale nemmeno sotto il profilo politico. Risponde a regole sue proprie, che tendono a smussare le varianti delle idee politiche e a favorire la ritenzione selettiva e la trasmissione di un nucleo relativamente omogeneo di esse. In termini darwiniani, la tecnologia opera sui sistemi socioculturali che strutturano il campo della politica come un fattore di evoluzione convergente. A una pressione selettiva così diretta possono sfuggire solamente i grandi sistemi simbolici autolegittimantisi, di natura essenzialmente religiosa quand'anche si professino laici, che, pur agendo come sistemi d'orientamento alla base della politica, non ne fanno propriamente parte: sono come le zolle su cui i continenti si muovono, laddove la politica tratta semmai dei fenomeni locali d'orogenesi e dei suoi effetti. Codesti sistemi si trasmettono da una generazione all'altra per canali ancora largamente non tecnologici; i mass media non sono quindi atti a riprodurli, ma solo a eccitarne l'attivazione nel sistema psichico degli affini. A questo livello profondo, ‛loro' rimangono radicalmente contrapposti a ‛noi', quali che siano le convergenze a livello di comportamento manifesto; e di tanto è accresciuta la presa avvolgente del ‛noi'.
Processi analoghi possono contribuire a spiegare la vigorosa reviviscenza di tanti movimenti nazionalistici e religiosi - talora simbioticamente collegati - che sta caratterizzando l'ultimo terzo del Novecento. Ci si chiede come queste forme arcaiche di comportamento collettivo possano sussistere e anzi prorompere ex novo nell'età della tecnolologia, in un mondo che sta diventando sempre più omogeneo e razionale. L'interrogativo va rovesciato. Se è vero che i sistemi tecnologici agiscono come fattori di omogenizzazione non solo delle idee politiche, ma anche delle manifestazioni della religiosità, del linguaggio, del costume, del panorama urbano e non urbano, degli spazi abitativi, dello spettacolo e, in misura ancora maggiore, del lavoro, la crescente omogeneità di tutte le sfere di esperienza riduce drasticamente gli spazi ancora aperti a quella esperienza fondamentale - per una efficace strutturazione e funzionamento del sistema psichico - che consiste nel sentirsi parte di un ‛noi'. Essa deriva dalla percezione di una differenza categoriale, quindi presuppone necessariamente un ‛loro'. Se mai tutte le popolazioni umane si integrassero in un'unica popolazione culturalmente omogenea, la sopravvivenza di forme di identificazione collettiva sarebbe affidata alla presenza di un'altra specie di alieni. Poiché al momento questi mancano, il noi nazione e il noi religione offrono il mezzo più efficace per ritrovare forme categoriali di identificazione/opposizione, atte a sfuggire all'omogenizzazione operata dai sistemi tecnologici. Nazionalismi e movimenti religiosi sopravvivono e si riproducono non a onta della tecnologia, bensì tramite le pulsioni motivazionali che la diffusione de-differenziante della tecnologia non consente più di incanalare verso altre differenze d'ordine culturale, base di ogni affinità metabiologica.
A livello dei rapporti tra gli Stati, è la tecnologia delle armi che modifica - in presenza del circuito di retroazione amplificante che la connette alla tecnologia dei media - le strategie di sopravvivenza e riproduzione degli affini culturali, della propria comunità simbolica, e la loro relazione con la pura idoneità biologica. In dimensioni enormemente più grandi, la nuova tecnologia delle armi concorre a ristabilire una situazione analoga a quella che si verificò per gran parte della storia e della protostoria umana. Fino a un interludio di pochi secoli tra l'età moderna e l'età contemporanea, una sconfitta militare significava un catastrofico azzeramento dell'idoneità biologica e culturale d'una popolazione sconfitta. Provvedevano ad azzerare la prima il massacro dei vinti, il saccheggio delle scorte, la distruzione di città, il ratto delle donne; alla seconda, quando non bastava la prima, la deportazione, la dispersione dei giovani tra la popolazione vincitrice, il divieto di usare lingua, religione e costumi dei vinti, la sovrapposizione a questi d'una nuova classe di governanti. La frequente determinazione di non sopravvivere a una sconfitta rifletteva la certezza che comunque non si sarebbe sopravvissuti, né come entità biologica, nè come entità culturale.
Dopo Hiroshima una situazione simile si è riprodotta sul piano continentale. Le élites politiche che dominano i grandi Stati contemporanei si trovano a dover compiere un'ardua mediazione tra le pressioni di settori della popolazione che sceglierebbero l'olocausto nucleare piuttosto che rinunciare ai loro modelli socioculturali (‟meglio morti che rossi") e le pressioni di altri settori che preferirebbero invece l'estinzione culturale, se questo è il prezzo per sopravvivere biologicamente (‟meglio rossi che morti"). Esse sanno meglio di chiunque altro che la tecnologia del conflitto atomico ha soppresso in ovo ogni alternativa del genere. Di nuovo, ma in scala planetaria, estinzione biologica ed estinzione culturale non sono in alcun modo interscambiabili; sono contenute l'una nell'altra, quale che sia quella a cui si volesse attribuire la priorità nell'attacco e nella difesa, e quale che possa essere il numero dei sopravvissuti al primo colpo. D'altra parte, il livello dell'angoscia può venir tollerato da una popolazione solamente se viene minacciato l'uno o l'altro tipo di estinzione la prospettiva di entrambi non è sopportabile.
Date queste condizioni, ci si poteva attendere che le élites dominanti scegliessero la via del disarmo, anche unilaterale, oppure si adoperassero per la costituzione di un governo mondiale abbastanza forte da risolvere pacificamente i conflitti tra gli Stati, o si impegnassero in strategie intese ad assicurare comunque la pace. Sin dagli anni cinquanta esse hanno scelto invece la via della corsa agli armamenti. Annoverare tra le cause di simile scelta l'attività dei gruppi di pressione economici e militari che a Est come a Ovest influenzano le azioni delle élites locali, o il fatto che l'industria degli armamenti è diventata in molti paesi, dopo la seconda guerra mondiale, il principale fattore di sviluppo economico e di stabilità dell'occupazione su alti livelli, è necessario ma non sufficiente. Nessuna élite può reggersi al potere per decenni e generazioni se almeno nelle sue decisioni critiche non sa captare le correnti profonde del consenso. Dinanzi al rischio nucleare, il disarmo accresce evidentemente l'idoneità biologica di una popolazione, ossia aumenta la probabilità media per i suoi membri di sopravvivere e riprodursi. Però, a meno che sia contemporaneo e generalizzato per tutte le parti in conflitto, esso appare anche diminuire la sua idoneità culturale - la probabilità che i sistemi socioculturali che orientano la sua esistenza possano sopravvivere e riprodursi come strutture informazionali che definiscono un centro o un insieme di centri di decisione autonomi. La tecnologia nucleare stabilisce infatti un tale differenziale di potenza tra chi la possiede, e promette di farne uso se costrettovi, e chi non la possiede, da rendere assolutamente evidente a quest'ultimo di trovarsi in una situazione di ‛vitalità condizionale insicura': esposto al rischio, in altri termini, di essere in qualsiasi momento assorbito o soggiogato dalla nazione avversaria (v. Boulding, 1962, capp. IV e XII). Non v'è minaccia più grande per questo tipo di identificazione culturale, il senso del noi nazione integrato col senso del noi ideologico. Decidere di armarsi quanto e più dell'avversario diventa allora, per le élites dominanti, la scelta che esse propongono alle loro popolazioni perché atta a compensare il crescere della minaccia alla loro idoneità biologica - che questa stessa scelta amplifica - con una possibile riduzione della minaccia alla loro idoneità culturale, o meglio col suo differimento, ottenuto prospettando all'avversario la medesima sorte. In apparenza è la tecnologia della guerra a generare simili aberrazioni della razionalità; ma è stata la razionalità del decisore umano a far evolvere quella tecnologia, interponendola fra sé e i suoi simboli reificati come mezzo efficiente per una duplice sopravvivenza e riproduzione, del noi biologico e del noi culturale, necessariamente campita contro lo sfondo del ‛loro', i differenti.
7. Tecnologia, sopravvivenza e riproduzione dell'identità personale
L'esistenza del sistema psichico come entità funzionale, centro di controllo e regolazione agente quale mediatore tra bisogni dell'organismo e bisogni del gruppo (la pluralità degli altri), comporta una netta delimitazione del sistema verso l'esterno, un senso di separatezza e al tempo stesso di continuità. La identità, letteralmente il persistere nell'essere lo stesso, è il confine che impedisce la (con)fusione degli elementi del sistema nell'ambiente, formato dagli affini biologici e dagli affini culturali, e assicura la loro coerente coesione nel tempo. Ogni organismo è in sé geneticamente e biologicamente unico, ma l'evoluzione del cervello e del sistema psichico che s'inserisce in esso nel corso dell'ontogenesi ha trasformato la natura di tale confine, facendone una struttura in cui tratti culturali amplificano, interpretano, sovrastano i tratti biologici. Costruirsi un'identità tra innumeri affini culturali; conservarla in presenza di continue variazioni nel gioco delle differenze e delle affinità, ovvero sopravvivere come sé autonomamente delimitato; trasmetterla ad altri, riprodurre in loro la propria unicità; prolungarla cosi nel tempo, anche oltre la morte: un altro essenziale interesse umano, che la tecnologia, utilizzata per perseguirlo in forme nuove, continuamente ri-forma.
Promuovere lo sviluppo e la diffusione di sistemi tecnologici complessi quali mezzi efficaci per accrescere le probabilità di sopravvivenza e di riproduzione bio-culturale, di individui e di gruppi, stabilisce un circuito di retroazione amplificatrice tra la differenziazione dei sistemi stessi - la moltiplicazione intenzionale delle loro varianti, o la formazione di nuove specie che si staccano dal tronco originario - e la differenziazione dei ruoli professionali correlati alla produzione e all'uso di essi. Il perfezionamento d'una tecnologia produce una gemmazione incessante di nuovi rami specifici, che attingono rapidamente dimensioni e forme tali da richiedere ruoli professionali specializzati; l'avvento di specialisti accelera il perfezionamento e l'ulteriore differenziazione della tecnologia: paradigmatici i casi delle tecnologie della medicina e dell'informatica.
In campo medico, lo sviluppo delle tecnologie utilizzate per la prevenzione, le diagnosi, i trattamenti di emergenza, gli interventi chirurgici, le cure intensive e di lunga durata, il progetto e l'impianto di protesi, il controllo del dolore - tecnologie differenziate altresì per natura delle affezioni, per sesso, per età, per organi cui si applicano - ha corrisposto alla differenziazione del ruolo del medico in centinaia di ruoli specialistici, assistiti direttamente o indirettamente da altre centinaia di ruoli addetti alla progettazione, alla costruzione e alla manutenzione dei sistemi tecnologici inseriti tra medico e paziente. Da un lato, la frammentazione della malattia, ch'è pur sempre l'attributo d'un individuo, tra esperti di semeiotica medica e istologi, radiologi e chirurghi, anestesisti, clinici a decine secondo l'organo e il tipo di malattia, ortopedici, odontoiatri, oncologi, pediatri e geriatri; dall'altro, tecnici di laboratorio, esperti di computerizzazione dell'immagine radiologica, specialisti di gas e di impianti di monitorizzazione, microscopisti e progettisti di meccanismi di biofeedback. A causa della mediazione operata dai sistemi tecnologici, non soltanto un medico, ma nemmeno il malato può più pensare alla malattia come a un fenomeno unitario. Per l'uno come per l'altro, essa risulta dilatata in una gamma di differenze, ciascuna delle quali è un appiglio per l'identità del primo, ma un'erosione dell'identità del secondo.
Nel campo dell'informatica, più ancora che lo sviluppo dello hardware, delle macchine, è stato lo sviluppo del software, dei linguaggi e dei programmi, a far registrare il massimo di differenziazione della tecnologia come dei suoi addetti. In poco più di trent'anni, quella che ai tempi dei primi calcolatori, tipo lo Eniac (1944), era una modesta attività collaterale al lavoro del progettista - programmare significava allora poco più che decidere quali interruttori dovevano essere aperti, e quali chiusi, per ottenere dalla macchina una determinata prestazione, intervenendo eventualmente sugli schemi di cablaggio: materia da perito elettrotecnico - ha generato un ramificatissimo albero di specialisti, virtualmente digiuni di elettronica, ognuno dotato di competenze esclusive. Vi sono i produttori dei linguaggi di programmazione d'alto livello, i più vicini all'universo di significati dell'utente, tipo il Fortran, l'Algol, il Cobol, il Basic, il PL/l, l'Ada, ecc., ciascuno elaborato in innumerevoli varianti. V'è chi si dedica ai programmi ‛origine', adeguati per strutturare un problema così come lo concepisce l'amministratore o lo scienziato; chi ai programmi ‛oggetto', adeguati alle esigenze d'un dato tipo di macchina; chi infine si specializza in programmi di tipo ‛assemblatore' o ‛compilatore', intesi a convertire un programma origine in un programma oggetto, sovente con un procedimento automatizzato. Coloro che si intendono di programmi ‛applicativi' utilizzabili per la ricerca scientifica, la direzione di aziende, la gestione di archivi - un settore di per sé sterminato, dove l'esperto di sistemi informativi. non sa più nemmeno che sia, ad esempio, l'‛intelligenza artificiale', contraccambiato dall'esperto di questa - lasciano in genere ad altri lo sviluppo di programmi ‛di supporto', rivolti a razionalizzare la produzione sempre più onerosa di programmi applicativi complessi; né gli uni o gli altri si occupano di programmi ‛operativi', diretti a ottimizzare l'impiego di macchine, memorie e programmi in un centro di elaborazione. L'onerosità della produzione di programmi applicativi - che già all'inizio degli anni ottanta potevano rappresentare fino al 90% del costo totale di un lavoro di elaborazione - ha favorito la formazione di specialisti in metodi sistematici di disegno, come il Disegno Strutturato, il metodo Jackson, la Costruzione Logica dei Programmi. Analisti di sistemi e programmatori, le due figure più spesso citate tra i professionisti del software, sono ormai etichette ricoprenti decine di ruoli differenziati lungo un arco amplissimo di scopi, di metodi, di mezzi tecnici utilizzati.
La differenziazione d'un ruolo professionale equivale a guardare un medesimo oggetto con una lente sempre più potente, pervenendo così a scoprire nell'omogeneo microcosmo iniziale una quasi inarrestabile pluralità di mondi, ciascuno dei quali appare sufficientemente grande e delimitabile sullo sfondo dei mondi vicini da poter sorreggere l'identità di una persona che si applichi alla sua esplorazione esclusiva. Nel compiere siffatta esplorazione ciascuno può recare inoltre elementi personali di ingegnosità, ardire o stile. Tra esperti di software che fanno un lavoro affine, ci si distingue per la capacità di inventare una nuova architettura di programma, per la bellezza e originalità di particolari passi, per la capacità di inserire un maggior numero di istruzioni nello stesso spazio di memoria. Da questo punto di vista la tecnologia contemporanea soddisfa in elevata misura il bisogno diffuso di possedere, percepire in sé e segnalare agli affini una identità definita, quale soprattutto il lavoro che si cumula su se stesso in nuovi sistemi può fornire; e soddisfa tale bisogno più di quanto non facesse il lavoro di un tempo, non mediato da sistemi tecnologici, e non cumulabile in essi.
Ma il dinamismo impresso allo sviluppo e alla diffusione dei sistemi tecnologici tende a erodere le stesse identità che via via si producono per loro mezzo. Al fine di sopravvivere, un'identità personale, gradiente d'una differenza, ha bisogno di uno sfondo di affini, ovvero d'una comunanza di oggetto con altri individui da cui ci si distingue per la parte che di esso si esplora. La specializzazione che alimenta i sistemi tecnologici, da cui è alimentata, tende ad assottigliare tale comunanza, sino a spezzarla. Lo specialista d'un dato tipo di sistema che ha perso, procedendo lungo i rami sempre più sottili della sua specializzazione, non solo la capacità di collaborare con lo specialista d'un sistema di tipo diverso, ma perfino quella di colloquiare con lui, sebbene i due sistemi discendano da una medesima specie o famiglia tecnologica, vede sgradevolmente ristretto il gruppo di affini culturali rispetto ai quali egli può definire, con un particolare modo di svolgere il suo ruolo professionale, la sua identità. Col distacco dall'oggetto originario è anche l'affinità simbolica che si interrompe, lo sfondo indispensabile per sentirsi - e oggettivamente apparire - una persona differente perchè caratterizzata da alcuni, seppur pochi e limitati, tratti unici.
A danno della possibilità di formarsi e conservare una identità, per mezzo del dominio individuale di sistemi tecnologici, opera anche un processo inverso. Quando un sistema è comparso da poco tempo, è sufficiente un limitato dominio di esso per distinguersi nettamente dalla popolazione di coloro che utilizzano le prestazioni di quello stesso tipo di sistema, ma hanno su di esso un dominio minore. A mano a mano che il sistema si diffonde nella sua nicchia, come una popolazione in presenza di abbondanti risorse, molti individui si appropriano dello stesso tipo di sistema e lo dominano sempre meglio, erodendo il monopolio dei pionieri. Per conservare la loro identità questi debbono accrescere a dismisura il loro dominio sul sistema - ovvero saper trarre di continuo da esso prestazioni originali - o elaborare varianti del sistema stesso. La rincorsa tra l'innovatore e la popolazione dei secondi arrivati diventa assillante, e per chiunque lo sforzo occorrente per distinguersi dai ranghi tende a salire con progressione geometrica. Ciò è avvenuto ripetute volte con le tecnologie diffusesi negli ultimi decenni con l'informatica, dove una competenza sufficiente pochi lustri addietro per distinguersi da ogni altro è oggi posseduta da masse di studenti; con la fotografia, un settore dove la competizione di massa relega oggi nello sfondo amorfo dei dilettanti capacità che un Cartier-Bresson non possedeva; con l'alta fedeltà, la televisione, la cinematografia, e prima ancora con l'automobile. Avvenne, un tempo, con la scrittura.
Se si allarga il campo visivo da coloro che progettano e sviluppano sistemi tecnologici a tutti coloro che di questi sono gli utenti più o meno passivi, si scopre un quadro asimmetrico. Soprattutto nella produzione di sistemi originali o di loro significative varianti, i primi trovano nel rapporto con la tecnologia una fonte a volte transitoria, e però continuamente rinnovantesi, di forme di identità. Ma i medesimi sistemi che essi hanno prodotto operano come fattori di de-differenziazione, di omogenizzazione, e quindi di erosione dell'identità, a carico degli utenti; specialmente, ma non solo, nel mondo del lavoro. Il fenomeno discende da un meccanismo inesorabile. Lo scopo principale per cui si producono, riproducono e fanno evolvere sistemi tecnologici via via più sofisticati, consiste nel trasferire informazioni dall'uomo alla macchina. Per poter asservire puntualmente l'energia della macchina, è necessario che i segni della memoria umana divengano segni in una memoria meccanica o elettronica. Concentrate in misura crescente nei sistemi tecnologici, le informazioni sono sottratte nella stessa esatta misura ai ruoli che dianzi le erogavano come processo distintivo d'una professione. Ad esempio, la memoria e il programma d'una macchina a controllo numerico contengono quasi tutte le informazioni che costituivano l'identità d'un complesso mestiere, l'aggiustatore meccanico, il cui successore - non l'individuo stesso, che sopravviverà forse come entità professionale finché troverà macchine che ancora accettino la ‛sua' memoria - sarà ridotto a semplice alimentatore della macchina, una sua appendice. Nel progettare quel programma si sono investiti capitali di creatività la cui funzione primaria risiede nel sopprimere la creatività dell'operatore umano. Analoghi trasferimenti di informazione dall'uomo alla tecnologia sono avvenuti o sono in corso nei più diversi settori della produzione e dell'amministrazione aziendale.
In tal modo i sistemi tecnologici paiono comportarsi come una gigantesca pompa entropica, la quale immette quantità crescenti di novità autoorganizzantisi - quanto a dire informazione - in una parte minoritaria delle popolazioni umane, sottraendo informazione all'altra parte, entro la quale si diffonde invece una prevedibilità disciplinata di comportamenti non suscettibili di evoluzione. Da un lato sussiste un continuo apprendimento individuale e collettivo, dove l'interazione tra popolazioni umane e popolazioni tecnologiche apre senza posa alle prime nuovi universi simbolici, nuovi giochi di affinità e differenze, nei quali ciascuno può trovar modo di radicare una qualche identità personale; dall'altro lato, si osserva la stasi regressiva propria dei sistemi che, dopo essersi evoluti per continuare a evolversi - come il cervello che si autorganizza tramite sistemi culturali, o i sistemi culturali che si autorganizzano tramite cervelli -, sono andati coagulandosi in comportamenti fissi ricorrenti, non classificabili per differenze, a causa della sottrazione di informazione che hanno subito. In tal modo, a seconda della faccia con cui si interagisce, quella interna della produzione o quella esterna dell'uso, un medesimo sistema tecnologico è adatto a riprodurre oppure a cancellare identità umane.
8. L'evoluzione della tecnologia da mezzo a sistema autotelico
Forse mai i sistemi tecnologici marceranno tra noi esprimendo una coscienza e una volontà loro proprie. Ma fin da ora paiono in certi casi riprodursi ed evolversi come se, anziché mezzi per aiutare la nostra sopravvivenza e riproduzione, o quella dei sistemi socioculturali che a queste danno un senso pur quando ne alterano la probabilità, essi badassero anzitutto ai ‛loro' interessi riproduttivi. Sebbene i decisori siano pur sempre appartenenti a popolazioni umane, non è l'idoneità di queste, né quella dei loro sistemi socioculturali, che certe loro decisioni massimizzano, ovvero ottimizzano mediando tra l'una e l'altra; bensì quella di determinati sistemi tecnologici. In parte ciò è dovuto al fatto che la dipendenza delle popolazioni umane dalla tecnologia è divenuta così immediata e visibile da assegnare una priorità assoluta al mantenimento delle condizioni di sopravvivenza dei sistemi tecnologici. Questo può richiedere l'imposizione a individui e gruppi di comportamenti che diminuiscono la loro idoneità biologica e culturale, ma accrescono quella di tali sistemi; col risultato che almeno quegli specifici individui e gruppi scambiano con la tecnologia il posto nella gerarchia da mezzo a fine.
A rendere autotelica la tecnologia concorrono però altri processi. Il più efficace - dal punto di vista dei sistemi tecnologici - è il circuito che si instaura tra mobilizzazione finalizzata dell'energia e funzioni di controllo e regolazione mediante flussi di informazione, avendo al centro una pluralità di decisori umani le cui decisioni individuali si compongono a vari livelli e producono effetti da loro non previsti né voluti. Per costruire e utilizzare sistemi tecnologici, occorre ovviamente spendere energia in direzioni e in momenti specifici. Occorre energia per scavare o sintetizzare i materiali di cui è fatto un aereo; per imprimere loro una forma - una struttura informazionale - appropriata; per far volare carichi di passeggeri e merci; per costruire piste, capannoni e aerostazioni; per far muovere a terra passeggeri, merci e bagagli. Il totale dell'energia necessaria per produrre o utilizzare un sistema tecnologico, misurato in kilocalorie, costituisce il Bilancio Energetico Globale (BEG) di quel sistema. Ad esempio, il BEG per la sola costruzione di un aereo, variabile in funzione delle sue dimensioni e complessità, può variare da alcune centinaia di milioni di kilocalorie ad alcuni miliardi. Per contro, il BEG di un'automobile varia, a seconda del suo peso e cilindrata, tra i 10 e i 30-35 milioni di kilocalorie, tenuto conto dei ritmi (tanto più rapida la cadenza produttiva, tanto più alto il BEG). Anche l'uso individuale dei sistemi tecnologici moderni è misurabile in termini di BEG, che in questo caso saranno kilocalorie consumate in media al giorno per individuo: in questo scorcio del Novecento, circa 250.000 per uno statunitense; oltre 100.000 per un europeo; meno di 10.000 per un indiano.
L'accrescimento del BEG individuale medio significa che, con le sue scelte, un individuo è capace di mobilizzare ogni giorno quantità sempre più grandi di energia su distanze sempre maggiori e di concentrarle in spazi sempre più ristretti in tempi sempre minori. Ciò richiede quantità più che proporzionali di informazione per il controllo e la regolazione dei maggiori flussi di energia mobilizzati. Ma al fine di essere rilevata, elaborata, trasportata, memorizzata in tempi utili, l'informazione regolatrice richiederà a sua volta energia, spazio, e altra informazione. Se il numero degli individui che considerano l'aereo un mezzo di trasporto sicuro ed economicamente accessibile raddoppia o triplica, non basta aumentare il numero degli aerei, o la loro capienza, o l'ampiezza delle piste. Per riuscire a controllare e regolare il maggior traffico a livelli di rischio tollerabili occorre immettere sul terreno e nell'aria - usando quindi spazio ed energia - una maggior dose di informazioni: svincoli delle piste più complessi, aerostazioni integrate su diversi livelli, impianti di assistenza al volo più potenti e sofisticati. Una nuova popolazione di sistemi tecnologici viene così generata per controllare e regolare l'azione d'una precedente popolazione, e quanto prima darà origine ad altri sistemi ancora, capaci di assicurarne il controllo e la regolazione. Tuttavia, ad onta della sua efficacia nel combattere l'entropia dei sistemi, l'informazione può differire, ma non sopprimere gli effetti della legge dei rendimenti decrescenti: quella che ognuno riscopre allorché nota che, viaggiando su autostrada a una velocità superiore del 20% alla velocità solita, il consumo di carburante aumenta, per e es., del 50%. Il limite oltre il quale la tecnologia appare diventare fine a se stessa, sino a sopravvivere e riprodursi indipendentemente dal servizio che può rendere a popolazioni umane, è raggiunto quando ogni successivo sviluppo di sistemi intesi a facilitare l'esistenza di altri sistemi tecnologici, ovvero difenderne l'idoneità, non aggiunge più nulla all'idoneità biologica e culturale di quelle, e anzi comincia a ridurla.
Tale limite è stato forse già superato in due casi esemplari: il trasporto di persone nelle aree urbane e le grandi organizzazioni. Si stima che il cittadino della Roma di Augusto - una metropoli d'un milione di abitanti - si muovesse ‛da porta a porta', su base annua e mediando tra percorsi a piedi (4-5 km/h) e a cavallo (15-18 km/h), a una velocità di 8-10 km/h. Duemila anni dopo, il cittadino romano - mediando tra percorsi a piedi, attese, e percorsi su mezzi di trasporto pubblico e privato - si muove a una velocità ‛porta a porta' di 8-10 km/h. La popolazione è aumentata di tre volte, ma il BEG individuale per il solo trasporto di persone è passato da 4-5.000 kilocalorie al giorno per il romano antico ad almeno dieci volte tanto per il romano contemporaneo; nel BEG si deve infatti includere non soltanto l'energia consumata per muoversi, ma anche quella per produrre i veicoli e le infrastrutture necessarie per muoversi. Valori di velocità ‛porta a porta' del movimento di persone analoghi a quelli di Roma sono stati osservati sia nelle principali metropoli del mondo, sia in aree urbane minori, in città di provincia (v. Robert, 1980, cap. III). Automobili perfezionatissime, autobus e metropolitane, impianti semaforici computerizzati, autostrade urbane una popolazione sterminata di sistemi tecnologici avanzati, del costo di almeno 50.000 kilocalorie pro capite al giorno, grazie alla quale ci si sposta nelle città alla velocità di duemila anni prima. Se ci si chiede quali sono i vantaggi per l'idoneità biologica, i soli, quelli derivati dalla minor esposizione alle intemperie e dalla minor fatica sono bilanciati negativamente dalla mancanza di esercizio fisico, dall'inquinamento atmosferico e dallo stress della circolazione. Né è corretto comparare i tragitti tra ieri e oggi, decidendo che è meglio percorrere 10 chilometri su un mezzo pubblico affollato e semifermo piuttosto che a piedi, poiché è precisamente la tecnologia dei trasporti - le sue successive generazioni di sistemi intesi a favorire la sopravvivenza e la riproduzione di precedenti sistemi in difficoltà - ad aver generato un disegno delle città che obbliga una percentuale molto alta di popolazione a spostarsi quotidianamente su lunghi percorsi.
Il rendimento delle organizzazioni (in ordinata) in funzione delle loro dimensioni (in ascissa) è descritto da una curva a S con l'estremità superiore che dopo un certo tratto si abbassa notevolmente. Dunque, fino a una certa grandezza - che varia col tipo di bene e servizio prodotto e con la tecnologia utilizzata - il rendimento d'una organizzazione in termini di rapporto risorse consumate/risorse prodotte cresce molto con ogni successivo aumento di dimensioni misurate dal numero degli addetti; poi prende a crescere meno, sinché diminuisce con l'ulteriore aumento delle dimensioni. Sebbene i processi che inducono una riduzione del rendimento con l'incremento delle dimensioni siano numerosi quanto complicati, in sintesi essi derivano dal fatto che, al di sopra d'una certa soglia, l'arrivo di un nuovo addetto obbliga ogni altro addetto a destinare in media una maggior quota di energia e informazione, cioè forza lavoro, a far funzionare l'organizzazione piuttosto che a produrre ed erogare i beni o i servizi che ne giustificano l'esistenza. Anche qui la tecnologia, in primo luogo la tecnologia dell'informatica, è atta a spostare verso maggiori dimensioni il punto in cui i rendimenti iniziano a decrescere, ma non a consentire la formazione di organizzazioni infinitamente grandi. Ciononostante, per tutto il corso del secolo si è osservato nell'intero mondo industriale la proliferazione di organizzazioni sempre più grandi, con decine e centinaia di migliaia di addetti ciascuna.
Tra le aziende industriali, v'è certo un fattore di superiorità della grande rispetto alla piccola: quantunque il plusvalore prodotto per addetto prenda a diminuire col numero degli addetti, il maggior numero di questi permette di accumulare, e destinare a investimenti, ricerche o canali distributivi, un maggior volume globale di plusvalore. Però tale fattore non sussiste nel caso delle aziende di pura erogazione di servizi, che pure inclinano quanto mai al gigantismo. In queste opera semmai l'interesse, da parte dei centri del potere politico, a ingrandire le organizzazioni pubbliche per farne più possenti strumenti di potere. Ma in ambedue i casi non si deve sottovalutare il ruolo della moderna tecnologia organizzativa, il complesso dei sistemi - in senso lato hardware più software, ma non solo quello degli elaboratori adibiti a costituire, programmare, controllare e regolare (o ‛gestire') un'organizzazione. Per poter controllare efficacemente un sistema produttivo - cioè farlo progredire in modo programmato verso scopi prestabiliti - è necessario costruire e collegare a esso numerosi altri sistemi, dedicati a rilevare dall'ambiente le informazioni relative a eventi capaci di disturbare il sistema oggetto, 0vvero di farlo scostare dai suoi obiettivi; a elaborarle il più rapidamente possibile; a trasmetterle per canali appropriati e al momento giusto al sistema oggetto; a rilevare da questo le informazioni di ritorno e compararle con gli eventi dell'ambiente. La tecnologia delle grandi organizzazioni è costituita essenzialmente da tali sistemi, che si esprimeranno caso per caso in previsioni di mercato, piani operativi, programmi di produzione, sistemi di costi standard, bilanci consolidati, e altri innumeri strumenti di gestione. Ciascuno di simili sistemi di controllo e di regolazione viene oggi spesso assistito da sistemi informativi in tempo reale, che consentono anche di simulare gli effetti che potrebbe avere su questo o quel sistema di controllo, o sul sistema oggetto, una data decisione. Il decisore si trova quindi a interagire anzitutto con un sistema informativo, che gli fornisce un modello di un dato sistema di controllo, il quale modellizza vari aspetti dell'ambiente e di un sistema oggetto: un settore dell'amministrazione, uno stabilimento, una filiale, un flusso produttivo o contabile. Quanto più le dimensioni dell'organizzazione aumentano, tanto più astratto e mediato diventa il modello della situazione reale in base al quale il decisore agisce; ma quanto più astratto e mediato è il modello, tanto maggiore il bisogno di immettere altra forza-lavoro nell'organizzazione, sia per ristabilire l'aderenza di esso alle molteplici realtà locali, sia per rimediare agli scostamenti dalla realtà prodotti dalla sua astrattezza. Al di là d'una soglia critica, l'interfecondazione dei sistemi dedicati a elaborare strati su strati di modelli dell'organizzazione, dei suoi flussi e delle sue parti diventa incontrollabile; il circuito di retroazione che li collega tra loro e col sistema oggetto, costruito inizialmente per operare in modo negativo o riduttore degli scostamenti dagli obiettivi, si trasforma in positivo o amplificante. La sopravvivenza d'ogni sistema necessita vieppiù della sopravvivenza e riproduzione di tutti gli altri; la stessa volontà del decisore di controllare questa proliferante popolazione di sistemi di controllo lo porta a inventare o acquisire nuovi sistemi che concentrino le informazioni non più assimilabili che da essa vengono riversate senza tregua sui centri di governo dell'organizzazione. Né il circuito può mai interrompersi - salvo una drastica riduzione delle dimensioni dell'organizzazione - perché il processo è diventato ricorsivo, un iperciclo autocatalitico dove ogni sistema produce il sostrato che riproduce gli altri sistemi, dal cui sostrato è riprodotto.
In questo scorcio del Novecento, dirigenti e studiosi han cominciato a chiedersi quali siano le cause dell'evidente degrado delle grandi organizzazioni, dal governo delle metropoli all'assistenza sanitaria, dai trasporti pubblici alle megacorporations dell'industria e della distribuzione. Tra le risposte possibili occorre includere quella che rimanda a una tecnologia che il decisore umano ha reso capace di anteporre la propria idoneità alla sua, e a quella dei suoi sistemi culturali. La coevoluzione di biologia e cultura - le cui limitate oscillazioni in direzione della massima idoneità biologica o della massima idoneità culturale hanno finora strutturato la morfologia e la dinamica delle società umane, con i sistemi tecnologici che operavano prevalentemente come mezzi asservibili all'uno o all'altro fine, e con maggior frequenza a una combinazione sub-massimizzante dei due - viene d'ora innanzi resa più complicata e incerta dall'emancipazione di nuove popolazioni di sistemi tecnologici. Limitarsi a etichettarle come un mero artefatto umano, che uomini hanno generato e altri uomini possono disfare, non basterà per renderle di nuovo servilmente neutrali.
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