DELLA CASA, Tedaldo
Nacque nei primi decenni del sec. XIV, probabilmente verso il 1330, nel Mugello, a Pulicciano (frazione di Borgo San Lorenzo in provincia di Firenze) da ser Ottaviano, figlio di Albertino notaio e da Francesca dei Talducci.
Allo stato attuale degli studi non appare provata la parentela, da taluni sostenuta, con quel ramo dei Della Casa donde verrà mons. Giovanni. Dei suoi sette fratelli, abbiamo notizia di Pietro, che fu pievano a Borgo San Lorenzo e poi canonico della metropolitana di Firenze, e di Tino, notaio in Firenze e mallevadore del Comune. Poco sappiamo della sua formazione: possiamo supporre che abbia frequentato in Firenze le scuole dei francescani di S. Croce, ove si impartiva l'insegnamento della grammatica e della lingua latina.
Ancor giovane, il D. entrò nell'Ordine francescano: "blanditiis saeculi huius omissis, iunior claustra subiisti" attesta la bolla con la quale Alessandro V lo nominò, nel 1409, cappellano apostolico. Nell'Ordine si dedicò probabilmente, secondo il normale curriculum di studi, per due o tre anni allo studio della filosofia e per altri quattro, almeno, allo studio della teologia. Oltre a quanto ci è lecito supporre e al poco su cui ci documenta la sopra citata bolla, nulla è possibile conoscere dell'attività del D. sino all'anno 1357, quando trascrisse la prima opera di cui ci sia rimasta traccia.
Si tratta dell'attuale manoscritto X destra 8 della Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze, contenente la Postilla super Ioannem attribuita al francescano Pietro di Giovanni Olivi. Da una nota apprendiamo che il D. terminò la trascrizione il 20 dicembre "in Nemore de Mucello in loco fratrum minorum" e cioè nel convento di Bosco del Mugello. È opportuno sottolineare l'interesse del D. per l'attività e gli scritti dell'Olivi, del quale in seguito trascrisse la postilla In Apocalypsim e possedette, fra l'altro, il testo incompleto del trattato De usu paupere. Questo interesse ci appare ancora più significativo se pensiamo che le opere del maestro francescano, pericolosamente vicino agli ideali gioachimiti, erano state condannate nel capitolo assisiate del 1354.
Negli anni dal 1360 al 1362 il D. frequentò in Firenze le lezioni di greco pubblicamente tenute da Leonzio Pilato, dietro diretto interessamento del Boccaccio.
Se, però, la presenza attiva di Leonzio spinse il D. a desiderare una maggiore conoscenza dell'antichità classica, certamente egli non apprese la lingua greca. Allora il D. si limitò, infatti, alla trascrizione di alcuni brani dell'Odissea tradotti da Leonzio (Laur. XXI sin. 8, cc. 164v-166v). L'interesse per la lingua e la cultura greca verrà poi ravvivato dalla presenza di M. Crisolora a Firenze dal 1397: comunque, nel trascrivere le citazioni greche dei codici boccacceschi, il D. mostra di aver appreso anche dall'insegnamento del Crisolora poco più dell'alfabeto. Mentre nel ricopiare il XVIII capitolo del IV libro delle Genealogiae del Boccaccio la mano del D., come ebbe ad osservare l'Hortis, non riesce a trascrivere una parola greca, nel 1403 trascrive nel codice Laur. XXV sin. 9, l'epistola di Aristea intorno alla versione dei Settanta, non nell'originale, ma nella traduzione fatta dietro sua richiesta da Iacopo Angeli da Scarperia, allievo del Crisolora. Ad ogni modo la dedica con la quale lo Scarperia, di ritorno da Costantinopoli, gli invia la traduzione richiesta, ci testimonia della considerazione che ormai il D. godeva in Firenze nell'ambiente culturale e religioso. Il manoscritto citato documenta ampiamente l'interesse che la cultura greca suscitava nel D.: contiene infatti anche il De tyranno di Senofonte nella traduzione che L. Bruni aveva dedicato a N. Niccoli, la Vita Bruti di Plutarco, tradotta dallo Scarperia e due dialoghi lucianei, il Timon sive Misanthropos ed il Charon sive Contemplantes, privi, questi ultimi, dell'indicazione dei traduttori e dell'esemplare donde il D. li trascrisse.
Nel 1365 il D. copiò in Firenze la già citata postilla dell'Olivi In Apocalypsim; sei anni dopo era a Pisa, e, nel dicembre del 1371, fra Pisa e Firenze terminò la trascrizione di alcune tragedie di Seneca.
Pisa fu un centro importante nella formazione teologica e letteraria del D., il quale, sempre più manifestamente, ci appare rivolto ai nuovi centri dell'umanesimo, soprattutto Padova e Milano. A Pisa il D. fece capo al convento di S. Francesco, alla cui ricca biblioteca senz'altro attinse per i suoi studi, ed allo "Studium" e particolarmente alla cattedra di grammatica retta da Francesco da Buti. In quello stesso 1371, a Pisa, il D. acquistò le Etymologiae di Isidoro "a quodam saeculari pro pretio sex florenorum". Diversi anni dopo vi premise una sorta di indice dei nomi e delle cose notevoli, com'era uso fare in molti dei suoi codici, secondo un costume erudito che ci illumina sui modi e sulla natura stessa del suo lavoro. I rapporti del D. con la Biblioteca di S. Francesco sembrerebbero altresì documentati da un codice contenente la vita di s. Domenico scritta da fra' Teodorico di Apolda, codice che il D. prestò nel 1396 a tal Bartolomeo pisano, presumibilmente da identificarsi con Bartolomeo da Pisa o da Rinonico, noto autore del De conformitate vitae b. Francisci ad vitam Domini Iesu, cui vien pure attribuito il De laudibus S. Dominici una cum arbore Ordinis Praedicatorum.In quel tempo il D. conobbe altresì Francesco da Buti da poco nominato docente di grammatica, con cui instaurò un rapporto di reciproca amicizia particolarmente fecondo sul piano culturale e destinato ad intensificarsi negli anni. Il Buti donò nel 1395 al D. un codice, l'attuale Ambrosiano E. 3 sup., contenente il suo commento alle Satire di Persio ed all'Arte poetica di Orazio. La dedica a c. 1r, con cui il Buti accompagna il suo dono, nel rammentare la comunione di interessi, loda l'ingegno e la perspicacia del D. e ci testimonia della stima di cui egli godeva presso il maestro.
Nel 1373 il D. terminò la trascrizione di un Dizionario dianonimo. Da una nota a c. 11v apprendiamo che in quell'anno egli ricopriva la carica di "minister Calavoniae"; fu ritenuto dal Mehus e da altri che il D. avesse ricoperto la carica di ministro provinciale dell'Ordine in Slavonia. La cosa trovava poi una qualche conferma nella relazione, documentata dal codice del De casibus virorum illustrium trascritto nel 1393, che il D. ebbe con fra' Tommaso da Segni, superiore di Arbe, una delle quattro custodie comprese nella provincia di Slavonia. La questione è stata riesaminata dal Mattesini, il quale, nel richiamarsi ad una nota inedita del Papini, suggerisce che il D. potrebbe aver ricoperto, per qualche tempo, l'incarico di sacerdote preposto ad una sorta di pia istituzione volgarmente chiamata Quarconia.
Dal novembre 1373 sino al gennaio 1378, nulla ci è dato di conoscere dell'attività del D.: non ci sono infatti pervenuti codici da lui allora trascritti o posseduti, fonte prima per la ricostruzione della sua biografia. Nel 1378 lo troviamo a Padova, probabilmente su suggerimento di Coluccio Salutati, e comunque con pieno consenso da parte dei superiori dell'Ordine.
A Padova il D. attese all'opera sua di trascrizione più importante. Autografo di questo periodo è il codice Laur. XXVI sin. 4, contenente l'Africa di Petrarca ed il Somnium Scipionis di Cicerone. Oltre all'accuratissima copia dell'Africa, il frate trascrisse, durante il suo soggiorno padovano, i Rerum memorandarum accompagnandoli con una "tabula super libris domini Francisci Petrarcae de Rebus memorandis" e, nello stesso codice Laur. XXVI 9 sin., trascrisse anche l'Itinerarium domini Francisci Petrarcae de Ianua usque in Ierusalem et Alexandriam (meglio noto con il nome di Itinerarium Syriacum), una scelta delle Epistole metricae, il Liber de ignorantia sui et aliorum, il De secreto conflictu curarum mearum, le Sine nomine ed infine l'Epistola quae intitulatur invectivarium contra Gallicum.
Tornato a Firenze, il D., nel riferire a Coluccio Salutati della propria attività, lo informava che Lombardo Della Seta non era più disposto ad inviargli la copia da tempo promessa del De viris illustribus.
In una sua epistola del 13 luglio 1379 il Salutati riferisce al Della Seta del colloquio avuto con il D. e lo prega comunque che gli sia inviata copia dei Rerum memorandarum. Sebbene il Salutati mostri di preferire l'edizione dei Rerum memorandarum curata da Lombardo Della Seta alla trascrizione fatta dal D., Vespasiano da Bisticci si baserà, e non casualmente, proprio su quest'ultima, per prepararne la propria edizione manoscritta. Le trascrizioni petrarchesche eseguite dal D. appaiono, infatti, particolarmente curate, talvolta arricchite anche da indicazioni degli autori cui il poeta aveva attinto, e da frequenti annotazioni sugli usi degli antichi. A Firenze, fra il 6 ottobre ed il 29 dic. 1379, il D. trascrisse la raccolta petrarchesca attualmente conservata nel codice Laur. XXVI sin. 8; questo codice ci fornisce testimonianza dell'intensità di rapporti culturali che legò il D. all'amico, ex professore dello Studio fiorentino, Lapo da Castiglionchio, esule a Padova dal 1378. Un'amicizia, quella fra Lapo ed il D., nata nell'ambito del circolo culturale di S. Croce e rinsaldatasi durante il soggiorno del D. a Padova. Lapo, appunto, era stato l'ispiratore della miscellanea petrarchesca conservata oggi nel codice Vat. lat. 4518. Alcuni dei testi raccolti da Lapo furono infatti trascritti anche dal D.: il De vita solitaria e le Invectivae contra medicum, precedute dalla lettera con cui il Petrarca le aveva inviate al Boccaccio, e due delle Senili al Boccaccio. Entrambi, Lapo da Castiglionchio ed il D., vengono costituendo i loro codici attingendo ai testi della silloge di scritti petrarcheschi riunita dal Boccaccio.
Nel 1381 il D. fu a Borgo San Donnino, dove trascrisse il commento di Benvenuto da Imola al Purgatorio; l'anno dopo, a Firenze, attendeva alla trascrizione delle Epistolae metricae.
In quegli anni il D. ricevette dal cardinale Tommaso da Frignano la delega ad indagare sull'operato di fra' Ludovico Nerli, sospettato di eresia. L'iniziativa era partita da papa Urbano VI, preoccupato per l'ortodossia dello stesso generale dell'Ordine minoritico Leonardo Griffoni, il quale non nascondeva la propria simpatia per l'antipapa Clemente VII. Ed era stato appunto il pontefice ad incaricare il Frignano affinché, "per te vel alium seu alios", indagasse con discrezione sull'attività di alcuni confratelli "in reprobum sensum dati". Quello che ad alcuni era parso vero e proprio incarico di inquisitore, si rivela essere una indagine limitata su una ben nota persona. Nel 1382 il D. iniziò una trascrizione del commento di Nicola da Lira sul Vecchio Testamento, che terminò quattro anni dopo. Fu in questo periodo, forse, che egli ricevette in dono da Filippo Villani alcuni codici, segno di stima ed affetto: i Sermones di Innocenzo III, le Omeliae di s. Bruno di Segni e la Divina Commedia autografa del Villani stesso (Laur. XXVIsin. 1). Il 12 marzo 1394 il D. inviò a fra' Tommaso da Segni, custode d'Arbe, la trascrizione, ultimata l'anno prima, del De casibus virorum illustrium del Boccaccio. L'anno successivo il Comune fiorentino propose a papa Bonifacio IX il D. quale ministro provinciale della Toscana. La proposta, che pure non ebbe seguito, è comunque indice della stima di cui il D. ormai godeva presso i suoi concittadini.
Nominato visitatore della Congregazione delle pinzochere il 19 febbr. 1400, il D. donò nel 1406 tutta la sua raccolta libraria alla Biblioteca del convento di S. Croce, che venne così ad arricchirsi di un cospicuo fondo "umanistico".
Nel 1409 abbiamo l'ultimo dato sicuro della vita del D.: il 4 ottobre di quell'anno, Alessandro V, con bolla, lo nominò cappellano apostolico di S. Romana Chiesa. Non si hanno di lui altre notizie, onde è lecito supporre che sia morto poco dopo.
Fonti e Bibl.: Notizie sul D., si ricavano da N. Papini, Index onomasticus script. universae franciscanae familiae ... ab origine usque ad annum MDCL, manoscritto conservato alla Bibl. naz. di Firenze, Sez. manoscritti, II, II, 181, sub voce; un albero genealogico della famiglia dei Della Casa si trova nelle Carte Passerini, conservate anch'esse alla Bibl. naz. di Firenze, n. 197, 3. Primo a fornirci cospicue notizie è L. Mehus, Vita Ambrosii Traversarii generalis Camaldulensium, Florentiae 1759, pp. 128, 154, 212, 217, 219, 234 ss., 241, 252, 255, 334 ss.; cfr., inoltre, C. Salutati, Epistol., a cura di F. Novati, I, Roma 1891, pp. 155, 242 s., 330; III, ibid. 1896, p. 328; A. M. Bandini, Catalogus codicum Latinorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae ..., IV, Florentiae 1777; G. Tiraboschi, Storia d. letter. ital., V, Roma 1783, pp. 93, 406; A. Hortis, Studi sulle opere latine del Boccaccio, Trieste 1879, pp. 223, 338 n. 1; F. Sarri, Frate T. D. e le sue trascrizioni petrarchesche, in Annali della cattedra petrarchesca, II (1931), Suppl., pp. 40-79; F. Petrarca, Le Familiari, a cura di V. Rossi, I, Firenze 1933, p. XXI; Id., Rerum memorandarum libri, a cura di G. Billanovich, Firenze 1943, pp. XII ss.; G. Billanovich, Petrarca letterato, I, Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947, pp. XXI, 343; R. Weiss, Lo studio di Plutarco nel Trecento, in La Parola del passato, VIII (1953), p. 338; Id., Notes on Petrarch and Homer, in Rinascimento, IV (1953), p. 270; F. Mattesini, La biblioteca francescana di S. Croce e fra T. D., in Studi francescani, LVII (1960), pp. 254-316; A. Pertusi, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio, Venezia-Roma 1964, pp. 99, 144 e n. 2, 157 s., 164, 559; A. Mazza, L'inventario della "Parva libraria" di S. Spirito e la biblioteca del Boccaccio, in Italia medioev. e umanistica, IX (1966), pp. 38 ss., 45, 69; G. Mancini, Vita di L. B. Alberti, Roma 1971, p. 30; C. Piana, La facoltà teol. dell'università di Firenze nel '400-'500, Grottaferrata 1977, pp. 79, 108 s., 213; C. Paolazzi, Letture dantesche di Benvenuto da Imola, in Italia medioev. e umanistica, XXII (1979), p. 348.