teleologia
Composto del gr. τέλος τέλεος «fine» e di λόγος «discorso». Termine con cui si indica una concezione secondo la quale gli eventi, anche quelli non legati all’azione volontaria e consapevole propria degli uomini, avvengono in funzione di un fine o scopo. Sebbene il termine sia piuttosto recente (sembra infatti sia stato introdotto da Wolff nella sua Philosophia rationalis sive logica, 1728, per definire «quella parte della filosofia naturale che spiega i fini delle cose»), il concetto da esso indicato è assai più antico e si ritrova già nel Fedone (➔) di Platone, dove si espone una spiegazione della realtà naturale basata sul principio del «meglio», e dove dunque alla conoscenza della causa meccanica si contrappone e antepone quella del «fine» che coglie la più intima natura delle cose. Alla visione teleologica della realtà aderirono in sostanza quasi tutti i filosofi dell’antichità, da Aristotele, agli stoici, ai neoplatonici. A essa si opposero invece gli atomisti, che concepirono gli eventi naturali come espressione di un sistema di rapporti causali al di fuori di qualsivoglia intervento ordinatore da parte della divinità, esistente ma indifferente agli accadimenti mondani. Il cristianesimo, ma anche le religioni ebraica e musulmana, e, nel complesso, la filosofia medievale, presentano un’impostazione nettamente teleologica nell’interpretazione dei vari problemi filosofici, ma, pur nella comune adesione a una visione finalistica, è dato distinguere posizioni diverse: in alcuni casi, come in quello esemplare di Tommaso d’Aquino, si tenta di dimostrare il carattere teleologico della realtà per via puramente naturale e razionale; in altri, come nel caso altrettanto indicativo di Guglielmo di Occam, si nega tale possibilità, anzi, si sottolinea il carattere «afinalistico» del mondo considerato dal punto di vista della ragione naturale, anche se si afferma comunque la necessità di ammettere il finalismo per fede e sul fondamento della rivelazione. Non molto più che una «verità di fede» si presenta ormai la concezione teleologica agli occhi degli artefici della rivoluzione scientifica: la ricerca delle cause finali viene bandita dalla scienza. F. Bacone, Descartes, Spinoza e Hobbes hanno a disposizione strumenti metodologici che consentono una spiegazione dei fenomeni naturali in base a leggi meccaniche di valore universale e necessario, e il ricorso alla spiegazione finalistica viene giustificato soltanto in relazione a problemi di carattere religioso e morale. Già in Leibniz si avverte però la tendenza a riaffermare il valore della spiegazione teleologica e a subordinare a essa la stessa spiegazione meccanicistica che dalla prima riceverebbe il suo significato e la sua stessa ragion d’essere. Ma soprattutto importante, quale sbocco della complessa problematica che si sviluppa sul tema dei rapporti fra finalismo e meccanicismo, è la soluzione offerta da Kant, soprattutto nella Critica del giudizio (➔) (1790), introducendo il giudizio teleologico, ossia il giudizio secondo il quale l’ordine naturale è pensato in accordo con le esigenze della vita morale, e cioè come determinato dal concetto di fine. Con ciò non si attribuisce al finalismo alcuna validità sul piano conoscitivo e scientifico, ma si considera la spiegazione teleologica solo dotata di alta probabilità per quanto riguarda i fenomeni della «vita» e in quelli di natura estetica. Nell’ambito della filosofia della scienza contemporanea è stato più volte riproposto il problema della spiegazione teleologica intesa come spiegazione della esistenza di un organismo, di un sistema, ecc. in funzione di stati, condizioni, risultati che esso realizza e della sua legittimità scientifica. Da un lato infatti questo genere di spiegazione sembrava porsi in aperto contrasto con le spiegazioni di tipo deterministico-causale (la causa «finale» è posteriore al suo effetto), ampiamente applicate nelle scienze naturali, dall’altro serviva ad avventurose ipotesi metafisiche, sanzionando una diversità essenziale dei fenomeni cui veniva applicata da quelli considerati dalla fisica e dalla chimica. Valga per tutti l’esempio dei fenomeni biologici e il sopravvivere per lungo tempo delle teorie vitalistiche. Il problema della riducibilità della spiegazione teleologica a quella nomologica (sussunzione di fenomeni sotto leggi e teorie di tipo causale) e il connesso e più generale problema della riducibilità dei fenomeni biologici ai fenomeni fisico-chimici sono stati i temi d’indagine più rilevanti nell’analisi filosofico-scientifica contemporanea. Così Nagel ha proposto un’analisi non-teleologica dei sistemi biologici in termini di autoregolazione e di meccanismi di retroazione; sostanzialmente sulle stesse posizioni (con alcune differenze d’accento) si sono posti sia Braithwaite, sia Hempel. Prescindendo dalla tematica della riducibilità, hanno affrontato i problemi della spiegazione teleologica nell’ambito delle scienze umane (azione, motivazione, intenzione) Ch. Taylor e soprattutto G.H. von Wright, analizzandone la logica e rivendicandone la legittimità d’uso. Ulteriori aspetti della spiegazione teleologica sono stati oggetto di dibattito da parte di altri autori (tra cui Hempel, sulla base di suggerimenti di R.K. Merton), specie in rapporto alla sua connessione con la spiegazione in termini di funzioni in biologia e in sociologia.