Televisione: sviluppi tecnologici
Il termine televisione designa la trasmissione circolare, da parte di un soggetto emittente, di immagini in movimento ricevibili dagli apparecchi (televisori) dislocati all’interno dell’area di ricezione. Tecnicamente pronta prima della Seconda guerra mondiale, essa si è sviluppata nella seconda metà del Novecento imponendosi rapidamente in oltre il 90% delle famiglie nel mondo sviluppato e, gradualmente, anche nei Paesi in via di sviluppo. La sua collocazione domestica, la fruizione gratuita, il fatto che il tempo a essa dedicato si sovrapponga facilmente alle pratiche e alle conversazioni quotidiane, l’ha resa un dispositivo estremamente popolare di cui non è possibile sottovalutare l’influenza nella sfera pubblica. Se nel primo cinquantennio del Novecento la circolazione delle storie per immagini è intrinsecamente legata al cinema, nella seconda metà del secolo la cultura visiva popolare si divide tra il film e la televisione, con un rilievo crescente di quest’ultima. Verso il 1995 la svolta digitale, l’avvento di Internet, le reti veloci per trasmissione dati e la telefonia cellulare segnano l’inizio di una cultura visiva popolare molto diversa, che stiamo tutt’ora vivendo. Questo cambiamento nasce con la perdita, da parte della TV tradizionale, del monopolio sia della produzione sia della distribuzione video, con la crescente crossmedialità (continua migrazione dei contenuti da un medium all’altro, grazie alla comune natura digitale) e con l’aumento dell’attenzione per l’utente, che può scegliere fra una gamma ampia di piattaforme produttive e distributive e diventare egli stesso, quando lo desidera, sia un produttore sia un distributore.
La televisione rappresenta un’evoluzione della radio. Con essa condivide la caratteristica, unica tra i media del Novecento, di poter trasmettere suoni e immagini contemporanei, e non successivi, al momento in cui sono stati prodotti, mentre gli altri media (libri, giornali, fotografie, cinema) giungono solo posteriormente ai fatti narrati. Ciò ha conferito alla televisione una speciale triplice missione: (a) di natura testimoniale e informativa (grazie in particolare alla diretta); (b) di natura narrativa (ispirandosi al cinema e alla letteratura); (c) di natura conversazionale (ispirandosi alla radio e al telefono).
Nel corso del Novecento la televisione è stata sostanzialmente gratuita. Negli Stati Uniti essa era pagata dalla pubblicità inserita nei programmi; in Europa invece i singoli Stati nazionali hanno sviluppato, sull’esempio inglese, un servizio pubblico d’ispirazione statale con funzioni di elevazione della cultura popolare. Nell’ultimo scorcio del secolo scorso il modello europeo si è largamente intrecciato con quello americano con l’avvento della televisione privata, la cui principale risorsa è la pubblicità. Oggi i contenuti di pregio sono sempre più frequentemente diffusi a pagamento.
Nel prossimo futuro importanti sviluppi tecnologici e sociali investiranno la televisione come: la moltiplicazione dei programmi offerti e delle tecnologie di fruizione, gli schermi molto grandi (home theater e outdoor) o molto piccoli (computer e telefoni cellulari) e la segmentazione del grande pubblico.
Le televisione si colloca alla confluenza di tre dispositivi: (a) un sistema per la generazione di immagini elettroniche; (b) un dispositivo editoriale per la loro presentazione in un flusso di programmi dotati di senso; (c) una rete di diffusione verso l’utenza. Fino al 1990 circa la televisione è un medium elettronico analogico, che genera per scansione 25 immagini elettroniche al secondo attraverso una valvola elettronica () collocata all’interno di una telecamera. Originariamente la TV non può registrare le immagini se non avvalendosi della pellicola cinematografica; verso il 1960 si diffondono i videoregistratori professionali (Ampex dal nome del primo fabbricante) e vent’anni dopo quelli domestici. La televisione ha una netta predilezione per il girato in interni, in appositi studi tecnicamente efficienti, convenientemente illuminati, ben sorvegliati; diversamente dal cinema, non necessita di paesaggi dato che le dimensioni ridotte dei teleschermi non potrebbero valorizzarli.
Le sequenze di immagini sono assemblate in una griglia di programmi, generalmente a scadenza settimanale, che in Italia e in altri Paesi prende il nome di palinsesto e che definisce l’identità culturale di una determinata emittente. I palinsesti sono rivolti a un’utenza domestica e familiare; le ore di maggiore ascolto sono quelle serali in cui la famiglia prepara e consuma la cena e si trattiene nei locali comuni prima di ritirarsi nelle stanze.
La rete di diffusione della televisione discende da quella radiofonica, ed è basata sulla generazione di onde elettromagnetiche da parte di un trasmettitore. Le onde vengono captate e amplificate, su diversa frequenza per evitare sovrapposizioni, da impianti ripetitori collocati generalmente in cima ad alture. Nelle famiglie sono istallati ricevitori dotati di un’antenna sul tetto, collegata con un cavo coassiale al televisore. A partire dagli anni Quaranta del Novecento, negli Stati Uniti si è sperimentato il trasporto del segnale televisivo attraverso il cavo telefonico, giungendo fin dentro le abitazioni e permettendo di fatturare, con modalità telefonica, il consumo. Ciò ha favorito la nascita di una televisione con minor carico pubblicitario, pagata dagli utenti in abbonamento. Vent’anni dopo i satelliti per le telecomunicazioni hanno permesso di distribuire il segnale televisivo, anche attraverso gli oceani, ma non direttamente fino alle case degli utenti. In Europa il cavo ha avuto minore diffusione e limitatamente ad alcuni Stati, plurilingui e/o accidentati dal punto di vista orografico.
Negli anni Settanta l’avvento della microelettronica ha consentito di ridurre drasticamente le dimensioni e i costi degli apparati di ripresa e di trasmissioni, consentendo alle telecamere di uscire facilmente dagli studi (ENG, Electronic news gathering), avvalendosi sempre più dei satelliti per i collegamenti. Poiché la ricezione della televisione analogica ha carattere gratuito, la misurazione della sua ricezione è determinante per attribuire un valore di mercato agli inserti pubblicitari. Gli ascolti sono stati misurati fino agli anni Ottanta con telefonate e interviste, successivamente con sistemi di rilevazione automatica in famiglie campione; tecnica molto contestata, ma sostanzialmente efficiente nel misurare l’ascolto. Per massimizzare l’ascolto è necessario che i programmi siano accessibili e graditi a larghe masse. La programmazione deve quindi essere generalista, cioè rivolta a tutti, sia da parte delle reti pubbliche sia di quelle private.
Negli anni Novanta si sono diffusi apparati di ripresa e di diffusione digitale, che hanno vantaggi plurimi: maggiore qualità dell’immagine, facilità nel creare effetti speciali, ma soprattutto possibilità di comprimere il segnale riducendo la porzione dello spettro elettromagnetico (o la sezione di cavo) necessaria a trasmetterlo. Contemporaneamente, dopo molti tentativi infruttuosi, a metà del decennio hanno cominciato a volare satelliti digitali (DBS, Direct broadcasting satellite) in grado di rifornire direttamente le case degli utenti, ricevibili grazie a un’antenna circolare in plastica di modeste dimensioni (60 cm).
Per garantire un pagamento dei contenuti di pregio si è diffuso il criptaggio del segnale, dotando i clienti di un decoder (o set top box). Mentre in ambiente analogico il criptaggio era inefficiente e lasciava spazio alla pirateria, il segnale digitale può essere criptato con livelli di sicurezza assai maggiori. Ciò ha favorito la moltiplicazione dei canali, ciascuno dei quali conta su un ascolto ben più limitato delle reti generaliste.
Sulla base delle ricerche di James C. Maxwell, Heinrich R. Hertz dimostra (1880) la possibilità di generare onde elettromagnetiche. Tra i molti inventori, Guglielmo Marconi riesce a produrre artificialmente queste onde e associa a esse un codice, l’alfabeto telegrafico Morse (1895). Essa è utilizzata prevalentemente in modalità ricetrasmittente nelle comunicazioni transoceaniche e rivolte ai battelli in navigazione. Dal 1906 con l’invenzione del triodo, la prima valvola elettronica, la radio trasmette la voce umana.
Dopo la Prima guerra mondiale nasce un nuovo uso della radio: l’originaria simmetria degli apparecchi ricetrasmittenti si sdoppia in una potente stazione emittente e semplici apparecchi solo riceventi. Nasce così il broadcasting, la diffusione circolare da una sola emittente verso molteplici ricevitori, collocati tipicamente nelle abitazioni, che non possono comunicare né con l’emittente né fra loro. Negli Stati Uniti, dove nasce, il broadcasting si finanzia prima con la vendita degli apparecchi, poi con la pubblicità. In Europa si segue il modello dell’inglese BBC: un monopolio statale, finanziato da un canone pagato dagli utenti, che è ritenuto un servizio pubblico e segue nella sua offerta di contenuti i principî etici enunciati dal suo primo direttore generale John Reith: educare, informare, intrattenere. Come il telefono e la posta, la televisione – insieme alla radio – deve costituire un servizio universale; è considerato segno di civiltà che essa raggiunga anche le valli più sperdute, indipendentemente dal costo che ciò rappresenta per la collettività. Negli anni Trenta, anche di fronte alla concorrenza del cinema sonoro, molteplici esperimenti hanno luogo per dotare la radio delle immagini. Il principio fondamentale è la scansione (scanning); ogni immagine viene scomposta in linee e ciascuna di esse viene letta come una successione di punti trasformati in impulsi elettrici. L’apparecchio ricevente deve essere capace di ricostruire ciascuna immagine, un punto dopo l’altro, una riga per volta. Più elevato è il numero delle linee di scansione (definizione), migliore è la qualità dell’immagine. La scansione può avvenire attraverso un disco perforato (disco di Nipkow) in forma elettromeccanica, come negli esperimenti dello scozzese John Logie Baird, o attraverso un pennello elettronico all’interno di una valvola (iconoscopio), come inventa l’americano di origine russa Wladimir Zworykin. Prevarrà largamente la soluzione interamente elettronica, perché molto più veloce nel trattare la grande quantità di informazioni necessarie alla trasmissione di un’immagine animata, e dunque capace di una definizione molto più alta (più di 400 linee).
Nella telecamera elettronica di ripresa, l’immagine captata dall’obiettivo colpisce una tavoletta ricoperta di materiale sensibile alla luce; la scansione viene compiuta dal pennello elettronico (un fascio di elettroni) che, punto per punto, registra le differenze di luminosità e le trasforma in impulsi elettrici da trasmettere. Nell’apparecchio ricevente il pezzo più importante è il tubo catodico, uno strumento elettronico noto dalla fine dell’Ottocento in cui un altro pennello illumina dal dietro uno schermo di vetro ricoperto di una sostanza fosforescente. Fino all’avvento degli schermi piatti (1990) il tubo catodico rimane essenzialmente uguale nel tempo: pesante, fragile e di notevole profondità, proporzionale alla grandezza dello schermo. La televisione a colori è nota dagli anni Cinquanta negli Stati Uniti, dove viene applicato lo standard NTSC (National television system committee) e vent’anni dopo giunge in Europa dove si adotta invece il PAL (Phase alternated lines).
Con queste premesse tecnologiche il broadcasting si presenta come un’attività prevalentemente nazionale in Europa, mentre negli Stati Uniti risulta da una combinazione di stazioni locali e network nazionali. Esso è fondamentale per la virtualizzazione dei contenuti culturali e la loro fruizione nelle case e sempre meno in luoghi pubblici (cinema, teatri, ritrovi). Il modello del consumo domiciliare, più adatto a culture metropolitane, viene adottato progressivamente dal cinema con la diffusione dei suoi titoli prima in videocassetta e poi in DVD: un mercato che copre ormai oltre la metà del consumo cinematografico, riducendo a una minoranza la fruizione theatrical in cinema e multiplex, in attesa del prossimo arrivo di un’efficiente e legale forma di acquisto e scarico via Internet, come già avviene con la musica registrata (il cui mercato on line vale, dal 2006, più del commercio di supporti preregistrati, CD).
La televisione intrattiene il suo pubblico con una miscela di contenuti che assolvono in parte a funzioni narrative, di storytelling, in parte testimoniali e narrative (telegiornali), in parte conversazionale (talk show). La possibilità di trasmettere in diretta, e quindi di conoscere gli eventi mentre si verificano, aggiunge credibilità o verosimiglianza alla programmazione televisiva, anche se in effetti l’uso della diretta è limitato; ciò rende la televisione altamente competitiva con altri media (giornali, cinema, radio) sia in termini di resa pubblicitaria sia di funzione sociale svolta. Essa è infatti contemporaneamente una forma estetica della vita quotidiana (reality show) sia una proiezione della vita pubblica, sia progressivamente dalle istituzioni formali (Parlamento, congressi, comizi elettorali) si sposta nell’arena televisiva, determinante per raggiungere contemporaneamente e in tempo reale tutto il Paese. L’offerta viene a coincidere con le ventiquattro ore del giorno e, per evitare fughe del pubblico su altri canali, la programmazione è sempre più predisposta come un flusso (flow) unico, di cui i vari programmi sono soltanto articolazioni. Ciò, insieme al prevalere dell’intrattenimento e all’esagerata fruizione della TV da parte dei minori, ha condotto a crescenti preoccupazioni sulla qualità dei programmi e ha creato lo spazio per un’offerta TV di fascia alta.
La prima forma di questa fascia alta è la pay TV. Grazie all’apporto di reti di distribuzione diverse dalle onde elettromagnetiche (cavo e satellite) CATV, negli Stati Uniti, al broadcasting si è progressivamente aggiunta la diffusione di pacchetti CATV (Cable television) da parte di provider locali, dietro pagamento di un abbonamento. I provider, generalmente uno per ogni area, vengono riforniti di contenuti via satellite e distribuiscono – oltre ai canali broadcasting dei network – canali tematici dedicati al cinema, allo sport, a hobby e passatempi, religiosi, educational, di informazione e altri. La loro programmazione non è generalista e non richiede di riunire grandi masse davanti allo schermo, ma soltanto un numero di famiglie disposte a pagare non per un unico canale ma per l’intero pacchetto (bouquet).
In Europa ciò avviene limitatamente, e solo in alcuni Paesi, per la posizione centrale nella sfera pubblica delle aziende radiotelevisive di servizio pubblico: dagli anni Settanta il modello americano e quello europeo si riavvicinano per l’avvento in tutta Europa di un’emittenza privata, in parte locale, resa possibile dall’allargamento del mercato e dalla microelettronica. Si creano così, in tutti i Paesi d’Europa pur con significative differenze, sistemi misti in cui accanto alle televisioni pubbliche compaiono quelle private, nazionali e locali, e successivamente anche la televisione a pagamento. Essa tuttavia per essere efficiente richiede un grande numero di canali; lo spettro elettromagnetico è stato ed è tuttora una risorsa scarsa, mentre le varie forme di diffusione digitale utilizzano porzioni minori della risorsa trasmissiva. La spinta più forte verso la digitalizzazione del sistema televisivo viene dalle televisioni a pagamento.
La digitalizzazione delle immagini è usata nella televisione generalista per la realizzazione di effetti speciali nell’ambito di segmenti ad alto pregio, come le sigle, i videoclip e la pubblicità, o che hanno tempi di lavorazione strettissimi, come i notiziari, ma senza giungere alla digitalizzazione totale del ciclo di produzione, compresa la messa in onda e la ricezione da parte del telespettatore. Una prima scadenza per il passaggio alla digitalizzazione integrale (), fissata da molti Paesi per il 2006, ma prima dell’11 settembre, è stata progressivamente spostata in avanti e non è ancora del tutto certa (2012 ca.). Le ragioni di questo ritardo sono dovute in parte ai rinvii nella costruzione di reti di comunicazione di nuova generazione e alle persistenti incertezze su standard e protocolli, ma anche interne al sistema televisivo generalista. La televisione a colori analogica dispone di una tecnologia ormai collaudata e affidabile e ha temuto a lungo (fino alla recente diffusione di schermi piatti dai costi non più proibitivi) di dover imporre alla clientela il passaggio a nuovi televisori senza vantaggi apprezzabili (come avvenne nel passaggio dalla televisione in bianco e nero a quella a colori).
La digitalizzazione è invece una necessità vitale per la televisione a pagamento, in modo da valorizzare al massimo la sua moderna connotazione di pay per view: che il cliente non paga più in abbonamento, ma a consumo. I sistemi moderni dispongono tutti di varie proposte di abbonamento (da quelli basic a quelli completi di tutti i canali) ma il vero valore aggiunto è riuscire a far pagare spettacoli in più ai propri abbonati basic. Ciò richiede forme di prenotazione dello spettacolo e di abilitazione alla visione molto complesse, attuabili solo con l’uso del computer e con una linea di ritorno che permette al singolo utente di comunicare con l’emittente per le sue ordinazioni. Questa forma moderna di TV (definita in opposizione al broadcasting, enfatizzando il suo pubblico, somma di nicchie ristrette – narrow – e non audience plebiscitaria – broad) è scarsamente compatibile sia con una distribuzione tramite le onde elettromagnetiche sia attraverso il cavo tradizionale: è difficile trovare spazio su onde e cavi sovraffollati per irradiare i molti programmi simultanei, necessari per costituire un’offerta apprezzabile; l’utente inoltre deve prenotare lo spettacolo in anticipo, per telefono, con procedure lontane dalla naturalezza e convivialità della scelta televisiva familiare.
Per un efficiente funzionamento del sistema è necessario un cavo interamente a larga banda, che permetta il passaggio di immagini in movimento e, nell’altro senso, degli ordinativi dei clienti; oppure un satellite DBS che invii a domicilio una quantità molto ampia di segnali diversi, purché nell’abitazione vi sia, oltre al decoder, anche una linea telefonica per trasmettere gli ordini. Poiché le reti hanno la capacità di traffico della loro sezione più stretta, e gran parte delle loro architetture sono state pensate per la trasmissione vocale, non delle immense quantità di dati richieste dalle immagini in movimento, la soluzione che si è affermata prima è stata l’antenna satellitare, mentre cresce gradualmente il collegamento in rete a larga banda.
L’ordine del cliente viene effettuato con un’interfaccia sullo schermo televisivo, gestita dal telecomando; inviata all’emittente viene trattata in modo informatico, caricando lo spettacolo prescelto sulla prossima fattura e inviando al decoder domestico l’algoritmo necessario alla sua decodifica. Queste soluzioni consentono oggi a una quota crescente delle famiglie (dal 20 al 70% a seconda dei Paesi d’Europa), di disporre di una larga tipologia di canali: (a) vi sono le reti generaliste nazionali e quelle regionali o locali dell’area; (b) vi sono reti accessibili in abbonamento da un provider, altre di cui è possibile usufruire in modalità pay per view, a cui si aggiungono altre reti disponibili sui vari satelliti; (c) reti nazionali dei Paesi più svariati, emittenti locali di altre aree, canali dedicati a confessioni religiose o servizi particolari (come le corse dei cavalli per le scommesse) usufruibili gratuitamente per la loro utilità marginale. Esistono antenne motorizzate, ormai a prezzi contenuti, che possono ricevere alternativamente satelliti posti in posizioni orbitali diverse.
Anche se fra questi canali ve ne sono di scarsamente utili, approssimativi, dai contenuti non raccomandabili, è indubbio che la pay per view consente una scelta televisiva maggiormente qualitativa e ampiamente personalizzata. Produzioni televisive di qualità, che nella tele-visione generalista sarebbero escluse, trasmesse in orari inaccessibili o alternate con la pubblicità, possono trovare nella pay per view un’efficiente catena del valore, soprattutto se tali contenuti sono gestiti pensando a un mercato globale (in cui anche piccole nicchie, sommate, diventano significative) e non solo ai confini nazionali e linguistici.
A loro volta i provider hanno interesse a una gestione diversificata della risorsa trasmissiva: gestiscono in proprio una parte dei canali, ne affittano altri a produttori intenzionati a creare propri bouquet, e rilasciano gli altri (canali replicanti) a emittenti desiderose di avere una copertura superiore a quella loro consentita dalla diffusione via etere, e fuori della zona di ricezione, oppure a grandi organizzazioni e aziende per la loro comunicazione di servizio. Le imprese audiovisive proprietarie di un vasto magazzino (library) di titoli cinematografici e non puntano a migliorare il loro sfruttamento avvicinandosi alla pay per view che, per la varietà dell’offerta, assomiglia sempre più al video on demand e near video on demand (espressioni che indicano un uso ancora più flessibile e un’offerta di programmi più larga dei servizi pay per view).
La propagazione della televisione digitale si è intrecciata con la diffusione degli schermi piatti, che superano il tubo catodico, il suo ingombro, l’impossibilità pratica di superare i 30 pollici di diagonale, utilizzando due tecnologie concorrenti: il plasma (PDP, Plasma display panel) e i cristalli liquidi (LCD, Liquid crystal display). Con i prezzi in discesa e l’attenuarsi delle discussioni sul dissiparsi delle controversie sugli standard (come la predisposizione alle varie forme di TV migliorata ad alta definizione, HD ready), lo schermo piatto ad alta definizione è divenuto uno status symbol e ha permesso la trasformazione di molti salotti domestici in home theaters in cui usufruire in una visione televisiva potenziata, di dimensioni non lontane da quelle cinematografiche, e con un’acustica hi-fi. In questi centri di intrattenimento domestico la pay per view si intreccia alla fruizione di contenuti acquistati o noleggiati in DVD, o al videogioco. Gli schermi piatti, digitali, stanno modificando in profondità, e in modo indolore, il parco televisori: la costruzione di apparecchi analogici a tubo catodico rappresenta ormai un’attività in declino, di cui appare prossima la cancellazione.
Il digitale terrestre rappresenta invece la conversione del segnale della televisione attuale da analogico a digitale e la sua trasmissione attraverso le reti terrestri, cioè le stesse frequenze su cui viene distribuito oggi; l’uso di un decoder da parte delle famiglie ne consente la fruizione su televisori tradizionali. Introdotto in vari Paesi con successo alterno e anche in Italia nel 2004, non senza polemiche, esso rappresenta tuttavia un’evoluzione necessaria che ha risvolti assai interessanti sulla produzione televisiva. Per l’emittenza locale e per le organizzazioni no profit, penalizzate dalla penuria di frequenze, la trasmissione in digitale terrestre è un’occasione preziosa, anche per la possibilità di introdurre servizi e contenuti interattivi di pubblica utilità. La più incisiva applicazione del digitale terrestre è stata però la pay per view di eventi sportivi con tessere prepagate. Mentre nella TV tradizionale i broadcaster generalmente pensano sia alla produzione dei contenuti sia alla loro messa in onda, con il digitale terrestre si distingue fra fornitori di contenuti (gli editori dei canali televisivi) e gli operatori di rete, ossia coloro che installano gli impianti necessari alla trasmissione dei canali televisivi in tecnica digitale. Gli operatori di rete allestiscono i multiplex, nei quali possono trovare posto circa sei diversi canali televisivi.
La televisione, come la conosciamo ancora oggi, appare per vari aspetti lontana dallo spirito del tempo e dalle inclinazioni delle generazioni più giovani. È scarsamente interattiva, rispetto ai livelli a cui ci ha abituato il computer. Non è ipertestuale, non dispone quindi di un sistema di organizzazione dei dati che permette all’utilizzatore di raccogliere un insieme di informazioni aggiuntive a sua scelta quando e come lo desidera. Non ha una struttura a mosaico: non divide infatti nella sua forma tipica lo schermo televisivo in vari riquadri, in cui appaiono contemporaneamente diversi canali o differenti angoli visuali dello stesso evento da cui è possibile scegliere. Per questi suoi limiti, pur essendo molto piacevole come erogatrice d’intrattenimento, informazione e cultura, la TV non ha nel suo televisore un’interfaccia, cioè il luogo dove avviene lo scambio informativo fra la persona (non più soltanto uno spettatore) e la macchina televisiva (non più soltanto un riproduttore di immagini).
La televisione generalista perde la sua centralità con l’avvento della pay per view digitale, mentre si affermano altre piattaforme produttive e distributive di contenuti audiovisivi. Internet trova la sua legittimazione popolare e, dal 1997, è possibile diffondere ed eseguire contenuti video in (esecuzione in tempo quasi reale di file audio o video da Internet, prima che siano scaricati completamente). Un computer dotato di una connessione sufficientemente veloce può visualizzare una trasmissione televisiva emessa su protocollo IP, via Internet. Fare TV sul web ha una soglia d’accesso molto bassa, costa poco, ed è molto adatta a una comunicazione non convenzionale. La TV a larga banda (IPTV) è invece un servizio televisivo su protocollo IP, via Internet, visibile preferibilmente sul televisore e fornita dagli operatori che offrono connessione a larga banda in una filosofia triple pay (connessione Internet, telefono, TV).
Internet rappresenta il futuro della televisione anche grazie ai popolari siti di archiviazione foto (Flickr) e video (YouTube) e ai social networks come Facebook, MySpace, Second Life, che in forme diverse consentono la costruzione di relazioni sociali, ma anche di produrre e mettere in vetrina i propri contenuti. Compaiono così gli user generated contents, i prodotti degli utenti della rete, diventati , cioè un misto di produttori e consumatori, secondo una fortunata espressione di Alvin Toffler.
Intanto la terza generazione dei cellulari, l’Umts (Universal mobile telecommunications system) grazie allo standard DVB-H (Digital video broadcasting handled, cioè letteralmente tenuto in mano) permette di usufruire della TV sul telefono cellulare, oltre alla videotelefonata e a un’efficiente connessione a Internet. Con questo standard il telefono portatile diventa pienamente uno strumento personale e mobile di produzione, conservazione e diffusione di testi audiovisivi. Tra il 1995 e il nostro futuro prossimo sono state messe in campo tre consistenti alternative potenziali alla televisione generalista: la TV digitale, la telefonia cellulare, Internet.
Progressivamente l’accento è spostato sulle reti di nuova generazione, in parte senza fili (Wi-Fi, WiMax), di tipo (che, senza cucitura, fanno transitare i dati e i contenuti da un segmento in fibra ottica a uno cellulare, da uno satellitare a uno wireless). Lo sviluppo di strumenti personali di conservazione ed esecuzione di contenuti audiovisivi dotati di grande capacità, come l’iPod, rientra nella costruzione di reti personali e mobili di fruizione audiovisiva e multimediale.
Contemporaneamente sono modificate in modo drastico le condizioni di fruizione. La TV diventa outdoor: proposta in stazioni della metropolitana, uffici, aeroporti, centri commerciali, università. Ai grandi schermi piatti si aggiungono quelli molto piccoli: il computer portatile, il sedile dell’aereo, il display del telefonino. Computer e telefonini consentono la fruizione in mobilità, mentre consentono di portare con sé quantità di dati prima impensabili. La fruizione televisiva ha smesso dunque di essere soltanto domestica per diventare pubblica da un lato, personale e mobile dall’altro. Si è enormemente accresciuta la capacità di dilettanti non professionali di allestire testi audiovisivi, inoltre, un mutamento nei canoni estetici fa apparire accettabile e perfino desiderabile una qualità incerta, collegata a un giudizio di verità dei contenuti. I dispositivi cellulari e i computer, comprese le webcam, oltre a una moltiplicazione di telecamere (amatoriali, di sorveglianza), generano grandi quantità di contenuti, comprimendo il monopolio e il diritto di veto degli enti televisivi e portandosi dietro l’attenzione dei pubblicitari.
Non si tratta però soltanto di produrre contenuti, ma anche di distribuirli. Negli stessi anni sono apparse nuove piattaforme distributive: la TV digitale, Internet, la telefonia cellulare, il digitale terrestre. Esse sono seamless: il contenuto diventa necessariamente multipiattaforma, deve circolare da una all’altra, in un gioco continuo di rimandi e citazioni che determina la consistenza sociale di un prodotto. Almeno due di queste piattaforme distributive sono disponibili anche per un ragazzino di dodici anni: il cellulare e Internet, ed entrambe sono insieme produttive e distributive.
Creare un palinsesto televisivo ovviamente è cosadiversa dalla capacità di creare un coerente prodottoaudiovisivo: proporre una selezione di contenuti e non altri, formattandoli in modo che fra loro vi sia un nesso coerente. La televisione è una forma di mediazione sociale mentre il video è una realizzazione personale, che trova oggi forme digitali di distribuzione; ma la TV non può più farne a meno, perché Internet ha generato attenzione attorno a temi o prodotti, che non possono essere ignorati, ma anche perché è attirata da una creatività spontanea, fuori dai circuiti e a buon mercato.
Queste nuove espressioni fanno ormai massa critica, aggiungendosi alla pay per view; si riduce lo spazio brodcast, che si frammenta in nicchie comunicative, si dirama per percorsi personalizzati multitask e multipiattaforma, in una civiltà che appare sempre più segnata dalla visione.
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