tempi composti
I tempi composti sono forme della ➔ coniugazione verbale costituite da un ausiliare + il participio passato del verbo: l’ausiliare contiene le informazioni grammaticali di tempo, ➔ aspetto, modo e ➔ persona e, nei casi opportuni, di ➔ numero, mentre il significato lessicale del verbo è espresso dal ➔ participio passato (➔ tempi semplici).
Questa ripartizione di funzioni morfologiche tra ausiliare e participio differenzia i tempi composti dai ➔ tempi semplici, in cui la morfologia grammaticale viene suffissata direttamente alla base lessicale del verbo.
Nella coniugazione passiva (➔ passiva, costruzione) tutti i tempi si presentano in forma composta, mentre all’attivo si trovano quattro tempi composti dell’➔indicativo (➔ passato prossimo, ➔ trapassato prossimo, ➔ trapassato remoto, ➔ futuro anteriore), due del ➔ congiuntivo (congiuntivo passato e trapassato) e uno del ➔ condizionale (condizionale passato) (➔ modi del verbo). I modi non finiti hanno un tempo composto al ➔ gerundio (gerundio passato) e uno all’➔infinito (infinito passato), mentre non esiste una forma composta del ➔ participio. Il corrispondente passivo di un tempo composto della coniugazione attiva è caratterizzato da un doppio participio passato, come, ad es., nel passato prossimo passivo è stato amato.
Oltre a contenere la morfologia grammaticale, l’ausiliare dei tempi composti ospita anche i pronomi ➔ clitici, che in italiano moderno sono obbligatoriamente collocati prima dell’ausiliare (per es., le ho dato la lettera, le è stata data la lettera). Questa restrizione sulla posizione dei clitici differenzia i tempi composti dalle perifrasi (➔ perifrastiche, strutture) con il gerundio, in cui i pronomi clitici possono anche essere ospitati dal gerundio (per es., lo stavo leggendo o stavo leggendolo).
La struttura morfologica ripartita tra ausiliare e participio permette ai tempi composti un doppio meccanismo di ➔ accordo con i costituenti della frase (Loporcaro 1998). Parallelamente a quanto avviene nei tempi semplici, l’ausiliare esprime l’accordo di persona con il soggetto della frase (per es., tu hai letto, voi avete letto, ecc.). Anche il participio passato è però una forma morfologicamente flessa che nei tempi composti attivi con ausiliare essere richiede l’accordo di genere e numero con il soggetto (per es., la signora è uscita, le signore sono uscite) in base allo stesso meccanismo che regola l’accordo participiale nei tempi del passivo (per es., la signora è [o viene] servita, le signore sono [o vengono] servite). Le forme composte attive richiedono inoltre accordo con un complemento ➔ oggetto espresso da un pronome clitico di terza persona (per es., la cioccolata, l’hanno già servita). Nelle costruzioni transitive con ausiliare essere (per es., si sono serviti la cioccolata) si produce pertanto una competizione tra accordo participiale con il soggetto (per es., se la sono serviti) e accordo con l’oggetto clitico (per es., se la sono servita), che viene di solito preferito. Molto marginale in italiano moderno è l’accordo con l’oggetto in assenza di pronome clitico, che è invece ampiamente documentato in italiano antico (per es., le pietre […] avevano perduta loro virtude, in Novellino, cit. in Salvi 2010: 564).
La morfologia dei tempi composti è anche caratterizzata dalla selezione di ausiliari diversi (essere o venire al passivo, essere o avere all’attivo), la cui alternanza viene regolata in base a un complesso intreccio di fattori di natura molto varia (morfologica, sintattica e semantica) (➔ ausiliari, verbi).
Per quanto riguarda gli ausiliari del passivo, l’alternanza tra essere e venire è sottoposta prima di tutto a una restrizione del paradigma morfologico, che ammette solo essere nelle forme con doppio participio (è stato amato, era stato amato, ecc.). Negli altri tempi del passivo entrambi gli ausiliari sono possibili, ma le forme con essere presentano una duplice interpretazione semantica. Possono infatti indicare non solo un evento (per es., il problema sarà risolto tra poco), ma anche lo stato risultante da un evento (per es., quando arriveremo, il problema sarà già risolto), mentre quelle con venire selezionano soltanto l’interpretazione eventiva (il problema verrà risolto tra poco).
Nelle forme composte attive la selezione dell’ausiliare (essere o avere) risente dell’interazione tra fattori sintattici e semantici (Bentley 2006; La Fauci 2009). È totalmente sintattica la regola che in italiano moderno impone l’ausiliare essere nelle costruzioni con la particella di origine pronominale si (per es., Emma si è mangiata il panino o qui si è sempre lavorato molto; ➔ pronominali, verbi). Il fatto che in altre costruzioni gli stessi verbi abbiano l’ausiliare avere (Emma ha mangiato il panino o qui i dipendenti hanno sempre lavorato molto) dimostra che è la struttura sintattica della costruzione con si a richiedere l’ausiliare essere, parallelamente a quanto avviene nelle costruzioni passive, in cui i verbi transitivi si presentano con ausiliare essere (il panino è stato mangiato da Emma).
D’altra parte, nei verbi intransitivi (➔ transitivi e intransitivi, verbi) si osserva l’interazione con fattori semantici connessi con il tipo di azione espressa dal verbo o con il grado di controllo volontario che il soggetto esercita sull’azione. Tra gli intransitivi prendono l’ausiliare essere i predicati che indicano uno stato durativo (per es., è stato a lungo fermo) o un evento momentaneo che provochi cambiamenti di stato o di posizione (è volato via), mentre un processo durativo che non produca cambiamenti di stato richiede l’ausiliare avere (ha volato per tre ore). Come per la morfosintassi dell’accordo, anche nella selezione dell’ausiliare si osserva la competizione tra meccanismi diversi: entrambi gli ausiliari sono, ad es., ammessi per descrivere situazioni che, pur non provocando un cambiamento di stato, non sono controllate volontariamente dal soggetto (per es., il telefono è [o ha] squillato all’improvviso).
I tempi composti della coniugazione attiva dell’indicativo (passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore) e i loro corrispondenti passivi (tempi passivi con doppio participio) sono caratterizzati dalla combinazione del valore aspettuale perfettivo con quello temporale di anteriorità (Bertinetto 1986; ➔ aspetto; ➔ temporalità, espressione della). Denotano infatti situazioni compiute anteriormente a un dato momento di riferimento, la cui collocazione temporale varia a seconda del tempo espresso dall’ausiliare.
Ad es., il trapassato prossimo (1) e il futuro anteriore (2) condividono lo stesso valore aspettuale perfettivo, indicando entrambi situazioni compiute, ma si differenziano in base alla collocazione temporale del momento di riferimento, che si situa rispettivamente nel passato (alle 5 di ieri) e nel futuro (alle 5 di domani). Anche il passato prossimo in (3) indica una situazione già compiuta, il cui momento di riferimento coincide con il momento in cui si parla:
(1) alle 5 di ieri Carlo era già partito
(2) alle 5 di domani Carlo sarà già partito
(3) ormai Carlo è partito
In queste forme le categorie di tempo e aspetto sono codificate separatamente, in due componenti diversi della costruzione: il participio passato esprime il valore aspettuale perfettivo, mentre la collocazione temporale (passato, presente, futuro) è affidata alla morfologia dell’ausiliare. Tale distinzione tra codifica morfologica dell’aspetto e del tempo è una caratteristica di questi tempi composti che viene sfruttata anche nelle varietà di apprendimento di italiano L2 (➔ acquisizione dell’italiano come L2), in cui si trova il participio passato senza ausiliare come mezzo per esprimere aspetto perfettivo. Sopprimendo l’ausiliare si tralascia la codifica del tempo che però può anche essere espressa da mezzi lessicali (ieri, oggi, domani) e che come categoria grammaticale tende a essere appresa più tardi nei processi di acquisizione delle lingue.
I tempi composti dei modi non finiti (gerundio e infinito) condividono lo stesso valore temporale e aspettuale dei tempi composti dell’indicativo, ma, essendo privi di marche di tempo sull’ausiliare, non hanno restrizioni sulla collocazione temporale del momento di riferimento, che può essere passato, presente o futuro:
(4) essendo già partito, Carlo non si accorse [o accorge o accorgerà] di niente
(5) Carlo disse [o dice o dirà] di essere già partito
I tempi composti degli altri modi, in particolare il congiuntivo trapassato e il condizionale passato ma anche il futuro anteriore quando esprime una congettura modale (per es., a quest’ora sarà già arrivato; ➔ modalità), non si limitano al valore aspettuale perfettivo, ma più genericamente sono stati reinterpretati come marche di tempo passato, anche in riferimento a situazioni imperfettive, delle quali cioè viene focalizzato un singolo istante senza segnalarne i limiti temporali (per es., in quel momento sarà stato in casa).
Le forme composte di cui disponeva già il sistema latino (per es., il perfetto passivo laudatus sum «sono stato lodato (o fui lodato)» o il perfetto dei verbi deponenti profectus sum «sono partito (o partii)», hanno fornito un modello formale per i tempi composti italiani; ma bisogna osservare che, rispetto alle forme composte del passivo latino, l’italiano prevede una diversa interpretazione del valore temporale espresso dall’ausiliare (sono lodato è una forma di presente in italiano, mentre laudatus sum ha valore di passato: «sono stato lodato [o fui lodato]»).
A parte questo precedente strutturale, che riguarda comunque solo le forme con ausiliare essere, gli altri tempi composti si sono formati per graduale ➔ grammaticalizzazione (Ramat 1984) a partire da costruzioni con i verbi avere e venire seguiti da un participio passato, che ha però ancora una funzione sintattica autonoma. Da una costruzione come ho la porta aperta, in cui il participio passato indica il risultato di un evento che costituisce una predicazione separata da quella espressa dal verbo avere (tanto che il soggetto di avere potrebbe non coincidere con l’agente che ha compiuto l’azione di aprire la porta), si passa a un vero e proprio tempo composto (il passato prossimo ho aperto la porta), in cui ausiliare e participio formano un’unica predicazione e condividono obbligatoriamente lo stesso soggetto. Anche il passivo con venire (Squartini 2003) potrebbe trarre origine dalla rianalisi di costruzioni con valore risultativo (a questa temperatura la torta viene [cioè risulta] ben cotta) reinterpretate come un passivo (la torta viene cotta ogni giorno a questa temperatura); ma un altro possibile precursore del passivo potrebbe essere rappresentato da costruzioni con venire già attestate in italiano antico (Bertuccelli Papi 1980) che indicano eventi involontari in cui l’agente viene rimosso dalla funzione di soggetto (mi è venuto detto [o fatto], cioè ho detto [o fatto] involontariamente).
Bentley, Delia (2006), Split intransitivity in Italian, Berlin - New York, Mouton de Gruyter.
Bertinetto, Pier Marco (1986), Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Firenze, Accademia della Crusca.
Bertuccelli Papi, Marcella (1980), Studi sulla diatesi passiva in testi italiani antichi, Pisa, Pacini.
La Fauci, Nunzio (2009), Compendio di sintassi italiana, Bologna, il Mulino.
Loporcaro, Michele (1998), Sintassi comparata dell’accordo participiale romanzo, Torino, Rosenberg & Sellier.
Ramat, Paolo (1984), Linguistica tipologica, Bologna, il Mulino.
Salvi, Giampaolo (2010), L’accordo, in Id. & Renzi, Lorenzo (a cura di), Grammatica dell’italiano antico, Bologna, il Mulino, 2 voll., vol. 1º, pp. 547-568.
Squartini, Mario (2003), La grammaticalizzazione di venire + participio in italiano: anticausativo o risultativo?, in Verbalperiphrasen in den (ibero-)romanischen Sprachen, hrsg. von C.D. Pusch & A. Wesch, Hamburg, Buske, pp. 23-34.