Tempo libero
di Luciano Cavalli
SOMMARIO: 1. Introduzione: a) il valore del tempo libero; b) definizione del tempo libero. □ 2. Formazione e distribuzione del tempo libero: a) l'industrialismo moderno; b) gli sviluppi tecnico-economici e le lotte sociali; c) distribuzione sociale del tempo libero. □ 3. Uso e abuso del tempo libero: a) tecnologia e uso del tempo libero; b) la politica del tempo libero; c) mass media e manipolazione; d) organizzazione e manipolazione. □ 4. Società e tempo libero: a) il lavoro; b) le classi sociali; c) la partecipazione sindacale e politica. □ 5. La pianificazione del tempo libero: a) formazione e distribuzione sociale del tempo libero; b) le condizioni e i mezzi del tempo libero. □ Bibliografia.
1. Introduzione
a) Il valore del tempo libero
Affrontando il problema del tempo libero, conviene preliminarmente indicare le due posizioni fondamentali, e tra loro antitetiche, sull'argomento alle quali fanno riferimento le diverse ideologie e filosofie della storia. La prima posizione consiste nell'assegnare al tempo libero un ruolo strumentale rispetto a fini che trascendono l'uomo, un ruolo quindi tendenzialmente subordinato al tempo di lavoro nella scala dei valori. La seconda posizione consiste invece nell'assegnare al tempo libero un ruolo autonomo rispetto al tempo di lavoro. In tutte le società e in tutte le fasi dello sviluppo storico, queste posizioni non si trovano mai allo stato puro, mentre si trovano invece concezioni a esse più o meno vicine. Per esempio Platone può essere considerato più vicino alla prima, Aristotele alla seconda. Nella storia occidentale dopo Cristo, poi, il pensiero cristiano, che ha informato così potentemente di sé la vita dei singoli e delle comunità, si è avvicinato indubbiamente di più alla prima posizione. La grande corrente di pensiero del cristianesimo riformato, cui si lega così strettamente lo sviluppo capitalistico in Occidente e quindi tanto importante per noi, portava all'estremo questa prima tendenza. Come ha messo in chiaro la celebre analisi di Weber e d'altri che lo hanno seguito, il puritano pensava di essere stato creato per contribuire alla costruzione del Regno di Dio sulla terra attraverso il lavoro nella vocazione (Beruf). Il lavoro diventava così la parte essenziale della sua vita. Il tempo libero era da lui temuto come possibilità di ozio e quindi di dannazione; era accettato positivamente solo in quanto consentiva di onorare Dio, o di ricostituire le energie spese per il lavoro. Ma proprio nei paesi protestanti, i più avanzati dell'Occidente, si sviluppò per la prima volta una concezione che rivendicava, a un livello di massa senza alcun riscontro storico precedente, l'autonomia del tempo libero rispetto a ogni fine esterno all'uomo e perfino la sua priorità rispetto al tempo di lavoro nella scala dei valori: si lavora per avere del tempo libero effettivo, ossia per poter perseguire i propri liberi fini nel tempo libero. E, si badi, questa concezione del tempo libero non è certamente limitata da confini di Stato o regime; si diffonde ovunque. Anche nei paesi socialisti quella che potremmo chiamare la spontanea ideologia di massa del tempo libero si diffonde e ispira gli atteggiamenti dei cittadini. La stessa idea centrale marxiana, che l'uomo si realizza nel lavoro, è sempre meno sentita; e in suo luogo si preferisce ricordare l'altra, che dove finisce il lavoro finisce il ‟regno della necessità" e incomincia ‟il regno della libertà". Per questo si potrebbe dire che il valore del tempo libero è un valore tipicamente moderno, come valore universale di massa.
Se ci si domanda come questo sviluppo sia stato possibile e quali fattori o condizioni ne siano stati i principali responsabili, la risposta non può che essere lunga e complessa. La struttura economico-sociale cosiddetta capitalistica, in cui si è dapprima espresso l'industrialismo moderno, ha creato, nella sua evoluzione, una netta dicotomia, specificamente moderna, tra tempo di lavoro e tempo libero. Inoltre, essa ha prodotto occupazioni quanto mai prive di autonomia e di creatività e ha contribuito largamente a farne prendere coscienza; gli uomini, in massa, hanno avvertito quanto fosse illusoria la speranza di trovare nel lavoro una forma di autorealizzazione.
La struttura economico-sociale creava però contemporaneamente le condizioni e i mezzi materiali per occupare effettivamente il tempo libero, offrendo una gamma sempre più ampia di scelte. Ma anche altre condizioni, almeno parzialmente indipendenti, hanno reso possibile questa rivoluzione di valori che è qui al centro dell'attenzione. Per cominciare, la decadenza della bimillenaria religione dell'Occidente, che, come abbiamo visto, orientava gli uomini in tutt'altra direzione. Inoltre, lo sviluppo della scienza e dell'istruzione popolare, che non sono state solo componenti del progresso economico-sociale di cui si è detto, ma hanno anche contribuito a generalizzare la conoscenza delle condizioni più favorevoli per la salute, la longevità e l'equilibrio psicofisico e hanno proposto questi ultimi come fini espliciti per le masse. La democrazia medesima, infine, ha fortemente contribuito a questa rivoluzione di valori, facendo dell'uomo la misura della società, affermando l'eguaglianza di tutti e concedendo a tutti una certa misura di potere con il voto; senza la democrazia, milioni di uomini non avrebbero potuto progettare e imporre la loro crescente partecipazione al tempo libero.
b) Definizione del tempo libero
Prima di passare a esaminare alcuni aspetti di queste connessioni, e soprattutto di quella fondamentale tra tempo libero e struttura socioeconomica e più in generale tra tempo libero e industrialismo, occorre definire meglio il tempo libero. L'opinione comune considera il tempo libero come delimitato dal tempo di lavoro, il quale con il suo carattere di necessità assume un ruolo centrale nella giornata dell'uomo. A una prima riflessione risulta però evidente che la divisione tra tempo di lavoro e tempo libero non è sufficiente; se l'attenzione è rivolta, come accade evidentemente anche nel nostro caso, al tempo effettivamente libero, occorreranno ulteriori distinzioni. E, d'altra parte, se si vuole comprendere la vita di un uomo o d'un gruppo sociale non è possibile considerare astrattamente solo il tempo libero, ma occorre considerarlo nel quadro generale del tempo: occorre avere come riferimento il time budget. Sul primo punto soprattutto si è molto insistito; dal tempo libero dal lavoro (che, in questa accezione amplissima, alcuni propongono di chiamare altrimenti: per esempio, ‛tempo liberato'), occorre sottrarre il tempo che va impiegato per i bisogni fisiologici, e quindi per dormire, mangiare, ecc.; il tempo per la cura della persona e della casa; il tempo per recarsi al lavoro e ritornarne; e forse anche altre, più discutibili frazioni di tempo, come quella per la partecipazione politica. Il tempo che resta così disponibile per scelte effettivamente libere, è il ‛tempo libero' propriamente detto, che forse si potrebbe anche chiamare, come alcuni suggeriscono, con nomi restrittivi come leisure o loisir.
Si noti che anche così si è data una definizione eminentemente residuale, si è delimitato uno spazio vuoto da riempire. Da riempire, in teoria, con libere scelte. Non occorre essere particolarmente pessimisti per riconoscere che in realtà queste scelte possono essere assai meno libere di quanto non sembri forse a prima vista. La società può determinare in molti modi queste scelte: con i suoi valori, con la manipolazione consumistica o ideologico-politica, e con altri mezzi ancora. Forse soprattutto per rispondere al senso di insoddisfazione che lo studioso può provare da questo punto di vista, sono state prospettate altre definizioni più stringenti, elencando quelle che sarebbero le caratteristiche ulteriori del leisure. Ciò facendo, quasi tutti gli studiosi moderni sono però finiti nella via senza sbocco delle ‟definizioni del loisir con attributi soggettivi", come ha osservato M.-F. Lanfant, confrontando le proposte di autori diversi come M. Kaplan, Tomoo Sato, J. Dumazedier, A. Touraine e B. Filipcova. In particolare la Lanfant ha sottoposto a persuasiva critica le varie proposte successive di uno studioso del tempo libero tra i più noti, Dumazedier, per porne in luce il carattere ideologico e, forse esagerando, l'inutilità operativa. La Lanfant ha criticato soprattutto la definizione, proposta da Dumazedier in Loisir et culture, basata su quattro proprietà; secondo tale definizione, il loisir sarebbe liberatorio, disinteressato, edonistico e personale (ossia, rispondente ai bisogni personali dell'individuo). Si tratta di una definizione fondata sui giudizi degli intervistati da Dumazedier durante le sue ricerche. Ma queste basi rappresentano appunto il limite della definizione stessa. In effetti, non tutti sarebbero disposti a considerare tutte le proprietà citate come costitutive del loisir, se non forse in un'accezione così ampia da toglier loro ogni forza caratterizzante. Né si può affermare che Dumazedier abbia superato questi limiti in seguito, ad esempio nella voce Leisure della International encyclopedia of the social sciences; gli si può quindi al massimo riconoscere il merito di aver foggiato e perfezionato una definizione utile per certe indagini di massa nel mondo contemporaneo. Va inoltre osservato che questi tentativi di formulare definizioni muovendo da attributi soggettivi possono facilmente portare a quella che, parafrasando Dahrendort, potremmo chiamare una definizione non solo ideologica ma precettiva o assertoria del tempo libero, ossia una definizione che stabilisce come deve essere impiegato il tempo libero, quali sono i loisirs da adottare e quali no. Attraverso queste strade vengono poste le basi di una manipolazione ideologico-politica altamente pericolosa, di cui non mancano gravi esempi nel corso del XX secolo.
In realtà tutte queste difficoltà vengono a un tempo scontate ed evitate se si stabilisce chiaramente che il tempo libero è il tempo delle scelte individuali (relativamente) libere, compiute dopo il lavoro e dopo aver esaurito gli altri impegni fissi ricordati in precedenza. Ogni ulteriore sforzo definitorio è condannato a priori proprio da ciò, che le scelte possono infinitamente variare in sé e nel loro significato soggettivo. Occorre limitarsi a studiarle, appunto, per il significato o le conseguenze, personali e sociali. Anche codesta decisione è connessa a un elemento di valore, quello della libertà; ma esso è storicamente alla base, come s'è visto, del tempo libero e, soprattutto, non sembra poter compromettere la scientificità della ricerca, né inficiare, in senso antiliberale e antidemocratico, la validità dell'intervento pubblico.
2. Formazione e distribuzione del tempo libero
a) L'industrialismo moderno
Sebbene sia vero che il tempo libero è sempre stato un aspetto dell'esistenza umana in tutte le società storiche, non sembra però inesatto sostenere, a complemento di quanto s'è detto, che esso è - in certo senso - un prodotto dell'industrialismo moderno così come esso si è concretamente sviluppato nel mondo occidentale, ossia come capitalismo. Occorre ricordare che fino al XVIII secolo l'enorme maggioranza della popolazione in tutto il mondo, e anche in Europa, era legata alla terra e alle attività agricole. Quali che fossero le diverse forme di proprietà, è certo comunque che la vita dei contadini non conosceva una netta distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero, in quanto essi non avevano orari definiti per le giornate feriali, né potevano disporre di periodi di vacanze annuali, anche se il gioco delle stagioni poteva produrre periodi di operosità scarsa e perfino nulla. Il calendario registrò a lungo, in Europa, numerosissime festività religiose, oltre alle domeniche. Ma anche quando le esigenze dell'agricoltura permettevano di fruirne effettivamente, le condizioni generali dell'organizzazione sociale e dello sviluppo tecnico-scientifico consentivano solo una gamma ridotta e primitiva di svaghi. Le cerimonie tradizionali, comunitarie e religiose, occupavano larga parte del tempo libero, riducendo ulteriormente lo spazio della libera espressione. Anche nelle città, d'altronde, questo era largamente vero. Le città, in realtà, furono sempre e ovunque i luoghi dove si realizzarono le più ricche forme di libertà dell'uomo e dove vi furono le maggiori possibilità di scelta per il tempo libero. Ma, prima della nostra epoca, ciò fu vero solo in limiti più o meno ristretti e non tali da consentire una netta contrapposizione qualitativa tra lo stato del cittadino e lo stato sopra descritto del contadino, almeno per quanto concerne il problema del tempo libero. Le città orientali, ad es., non erano fondate sul principio della libertà dei cittadini, e quindi non potevano creare condizioni in cui la vita umana fosse in grado di evolvere in tutte le direzioni, come Weber e altri hanno dimostrato in particolare per la Cina. Nelle nostre città medievali, fondate invece su tale libertà, la tradizione religiosa, lo stato della tecnica e altri fattori prevennero gli sviluppi in linea di principio possibili. Anche la più definita distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero a opera delle corporazioni restò per questo rispetto inoperosa. Sicché gli strati popolari della cittadinanza non conobbero il tempo libero in senso moderno - mentre per le ristrette élites aristocratiche il tempo libero non esisteva solo perché, al limite, non esisteva il tempo di lavoro.
Il breve richiamo al mondo di ieri vale a mettere in evidenza la nuova situazione creata dall'industrialismo moderno, come capitalismo, e dall'urbanesimo che lo accompagna. I paesi occidentali più progrediti, e dietro di essi l'intero Occidente, nel XIX secolo e ancor più nel nostro subiscono accelerati processi di trasformazione: la popolazione si sposta dall'agricoltura all'industria, e dalle campagne alle città. Già nel secolo scorso, nel paese della prima rivoluzione industriale, l'Inghilterra, la manodopera addetta all'industria superava quella addetta all'agricoltura; e numerose città si sviluppavano e si trasformavano, diventando, da medievali, moderne. In seguito, questo modello si affermò progressivamente anche negli altri paesi. In questo nuovo tipo di società, una parte crescente e ormai del tutto predominante della popolazione, soprattutto quella che svolge un lavoro dipendente, vede il suo tempo nettamente diviso tra tempo lavorativo e tempo libero: la giornata lavorativa ha un numero fisso di ore, che tende a diminuire; la settimana è divisa tra giorni feriali e giorni festivi, prima uno, e poi anche due; l'anno lavorativo conosce l'interruzione di alcune settimane di vacanza, che tende a crescere, e di alcuni altri brevi periodi che, ancorché tuttora legati a feste tradizionali, occupano soprattutto momenti strategici dell'anno dal punto di vista del far vacanza.
b) Gli sviluppi tecnico-economici e le lotte sociali
Naturalmente la connessione sopra asserita tra industrialismo moderno e tempo libero non implica in modo alcuno che il tempo libero si sia formato, rispetto al tempo di lavoro, per un processo naturale e pacifico, fin dall'inizio evidente.
Al contrario, l'industrialismo moderno portò dapprima, e segnatamente nei paesi ove si sviluppò in forme specifiche e con anticipo rispetto al resto dell'Occidente, come l'Inghilterra, a uno sfruttamento impietoso del lavoro degli uomini, delle donne e dei fanciulli, uno sfruttamento che tra l'altro riduceva il tempo libero dal lavoro al tempo strettamente necessario, e spesso anzi a meno del tempo necessario, per i bisogni fisiologici fondamentali. Queste condizioni originarie sono diventate universalmente note attraverso le inchieste parlamentari e gli studi sociali di uomini benintenzionati. Ma raramente l'umanitarismo, d'altronde in generale limitato a ristretti gruppi, ha provocato effettivamente il miglioramento di queste iniziali condizioni di vita e lavoro. A cosa lo si deve dunque? Il miglioramento è certamente dovuto in larga misura al progresso tecnico-economico e alle esigenze strutturali dello sviluppo; ma forse è dovuto soprattutto alle dure lotte sostenute dai lavoratori stessi, che hanno in buona misura provocato anche la riorganizzazione tecnico-economica alla quale si è appena accennato.
Non è qui il caso di esaminare questa evoluzione, se non per sommi capi. Basterà dunque ricordare che all'inizio del sec. XIX gran parte degli operai, nei paesi più progrediti, lavorava anche 18 ore al giorno. Ben presto le leggi sul lavoro delle donne e dei fanciulli cominciarono a porre un limite a questo sfruttamento; le organizzazioni dei lavoratori dovettero per anni esercitare massicce pressioni prima di ottenere riduzioni generalizzate degli orari di lavoro. In Inghilterra, per esempio, il Ten hours' bill fu approvato nel 1847, dopo epici scioperi. Parallelamente si svolse negli Stati Uniti la lotta per le 10 ore, lotta che si concluse favorevolmente dopo lunghe e alterne vicende. Anche i movimenti dei lavoratori dei paesi europei continentali incontrarono dure resistenze alle loro richieste di riduzione dell'orario, giungendo solo dopo i paesi anglosassoni all'obiettivo delle 10 ore. Il successivo obiettivo delle 8 ore costituì un importante elemento di unificazione delle diverse lotte del mondo del lavoro. Si ricorderà che la grande festa internazionale del 1° maggio ebbe la sua prima celebrazione nel 1890, con uno sciopero generale che aveva appunto come obiettivo la giornata di 8 ore e una legislazione del lavoro. Ma in realtà la giornata di 8 ore fu adottata solo in seguito alla prima guerra mondiale, in un clima di agitazioni e rivoluzioni sociali: in URSS nel 1917, in Francia nel 1919, in Italia nel 1923. E in alcuni paesi, come l'Italia, tale conquista non divenne effettiva che molto più tardi. Così, d'altronde, ogni successiva riduzione è stata in generale il risultato di una lotta dei lavoratori.
Il discorso fatto per le riduzioni della giornata lavorativa vale anche per le riduzioni della settimana lavorativa e per le vacanze annuali pagate, che dagli anni trenta si sono venute generalizzando ed estendendo.
È vero che gli sviluppi tecnico-economici hanno negli ultimi tempi rappresentato un fattore autonomo sempre più rilevante per la formazione del tempo libero, e che tale tendenza sembra in fase di sviluppo; tuttavia, sembra probabile che un'ulteriore riduzione di orari resti ancora legata, almeno in Occidente, alle lotte del lavoro. La pressione da attendersi non può però essere dedotta direttamente dall'alto valore assunto dal tempo libero. Dati di fatto e inchieste d'opinione sembrano infatti dimostrare che la maggioranza dei lavoratori preferisce, in quasi tutti i paesi, lottare per migliorare i salari piuttosto che per riduzioni d'orario. Inoltre, la riduzione non è sempre cercata per il tempo libero. Come è stato talvolta sottolineato con ironia, spesso i lavoratori chiedono delle riduzioni di orario solo per potersi dedicare di più a un secondo lavoro, con una remunerazione indipendente.
c) Distribuzione sociale del tempo libero
Il discorso appena svolto, anche se importante, è tuttavia ben lungi dall'esaurire l'aspetto quantitativo del tempo libero.
Occorre innanzitutto rilevare che certi gruppi di lavoratori non hanno orari, o sono tenuti, da un codice non scritto, a non rispettare quelli in vigore. Così, ad esempio, i liberi professionisti del mondo occidentale non hanno orari vincolanti e molti di loro, avvocati e medici in particolare, lavorano ben al di là degli orari della massa dei lavoratori dipendenti, sia per desiderio di guadagno che per mantenere o migliorare la propria posizione professionale. In tutti i paesi del mondo, poi, e quindi anche in paesi con regimi tra loro opposti (per es., negli Stati Uniti e nell'Unione Sovietica), i dirigenti sono vincolati da regole non scritte a una presenza che oltrepassa spesso i limiti previsti per i comuni dipendenti. Per i professionisti come per i dirigenti, inoltre, non vi è un confine ben definito tra tempo di lavoro e tempo libero quotidiano: mentre un operai o, lasciando la fabbrica, ‛chiude il cassetto' fino al giorno dopo, un medico o un dirigente possono in qualsiasi momento essere raggiunti da una telefonata di lavoro, e possono quindi essere costretti a pensare ai problemi del loro lavoro anche durante le ore teoricamente di tempo libero. È vero che professionisti e dirigenti hanno in generale qualche privilegio rispetto alla qualità delle vacanze annuali e alla gamma delle scelte; e inoltre che per loro ci sono congressi e viaggi d'affari che hanno almeno in parte carattere di vacanza (una vacanza che, soprattutto per i dirigenti, - come notava Mills - è per giunta pagata da altri e rappresenta quasi un premio extra); ma in complesso non è insensata l'affermazione di chi sostiene essere il tempo libero una realtà temporalmente e psicologicamente assai più rilevante per il comune lavoratore dipendente, almeno a un certo livello di reddito, che per il professionista e il dirigente. Per il futuro, poi, le previsioni sono di un'accentuata divaricazione tra questi due settori.
Ma questo non è tutto. Il tempo libero dal lavoro non può essere calcolato, per molti lavoratori dipendenti, attraverso la semplice detrazione del tempo di lavoro dell'attività retribuita primaria dal totale del tempo. A questo proposito è sufficiente ricordare tre categorie di lavoratori dipendenti che possono in concreto presentarsi separate o sovrapposte tra loro.
La prima categoria è strettamente connessa all'urbanesimo, questa tendenza tipica della nostra società, che fa aumentare in modo abnorme e schiacciante certi tempi perduti della condizione comune. Le città e gli agglomerati urbani portano ai cittadini mille vantaggi, ma forse anche più problemi; e tra questi le distanze tra i posti di lavoro e quelli di abitazione, spesso rese più gravi dalla congestione del traffico o dalla carenza dei trasporti. Milioni di lavoratori, a New York come a Tokyo, a Parigi come a Mosca, ma anche a Roma o a Milano, devono perdere ogni giorno ore intere per raggiungere il loro posto di lavoro e poi ritornare a casa. Sono i cosiddetti commuters o pendolari. Date le condizioni generali prevalenti, le ore di trasporto vanno ordinariamente aggiunte a quelle di lavoro, o comunque sottratte a quelle del tempo libero; e analogamente vanno calcolate le energie, soprattutto nervose, che vengono consumate nei treni e nella metropolitana, nelle automobili e negli autobus, andando al lavoro e ritornandone.
La seconda categoria è costituita dai lavoratori dipendenti che, non considerando i propri guadagni sufficienti, almeno rispetto ai modelli di consumo proposti dalla società e da loro accettati, svolgono una seconda attività retribuita nelle ore che dovrebbero costituire il tempo libero. Si tratta di un fenomeno diffuso in tutti i paesi industrializzati, dagli Stati Uniti all'Italia, ma forse più importante per quelli che si collocano in una fase di sviluppo relativamente arretrato, almeno per quanto riguarda il reddito e il livello medio di vita. Queste prestazioni straordinarie si esplicano a volte, come in Italia è largamente accaduto, nella forma di ore di lavoro volontariamente spese presso l'ente ove si svolge l'attività retribuita primaria del dipendente, ma possono anche svolgersi presso altri enti. Inoltre, il lavoratore può esercitare la sua capacità professionale principale, o altra coltivata marginalmente, per ottenere ulteriori guadagni con prestazioni in proprio nel tempo libero. È ciò che, ad esempio, in Italia, in Francia e anche nell'Unione Sovietica, per quanto è dato sapere, si verifica su larga scala. Un operaio elettricista, regolare dipendente di un'azienda operante nel campo elettrico, può utilizzare una parte del suo tempo libero per fornire prestazioni retribuite a una piccola clientela privata, riparando impianti o macchine, ecc.; e analogamente il ragioniere addetto alla contabilità della stessa azienda può impiegare una parte del suo tempo libero come amministratore retribuito di un negozio, di un condominio, ecc. Naturalmente questa attività secondaria può incidere variamente sulla giornata del singolo lavoratore, ma non vi è dubbio che nell'insieme il fenomeno occupi un posto massiccio in varie società, riducendo seriamente le disponibilità effettive di tempo libero.
La terza categoria, infine, è costituita dalle donne. L'organizzazione sociale, soprattutto in Occidente, affida alla donna compiti di cura della famiglia e della casa che comportano ore di autentico lavoro che vanno aggiunte a quelle eventualmente trascorse nella fabbrica o nell'ufficio. Si tratta spesso di una somma imponente di ore lavorate. In Francia, ad esempio, si è parlato di circa 70 ore settimanali, sulla base di studi condotti su ampi aggregati della popolazione femminile. Per dedicarsi maggiormente al tradizionale lavoro in casa e in famiglia, la donna si colloca spesso in una classe di lavoratori finora non menzionata, quella che possiamo chiamare dei part timers, di coloro cioè che lavorano in un attività dipendente remunerata soltanto per metà della giornata. Ma anche con un lavoro part time, la donna lavora in generale, in conseguenza dei suoi impegni in famiglia e in casa, più degli uomini stessi. Questa affermazione resta valida anche tenendo conto della tendenza, manifestatasi in primo luogo nei paesi anglosassoni, a far partecipare anche gli uomini ai lavori di casa.
3. Uso e abuso del tempo libero
a) Tecnologia e uso del tempo libero
La costituzione di un margine sufficiente di tempo libero non è che una delle condizioni necessarie, sia pure fondamentale, per l'attuazione di quelle libere scelte personali che sono il vero oggetto del nostro interesse. Perché il tempo libero possa avere un contenuto che gli dia senso, occorre, come si è già detto, che l'uomo possa proporsi delle libere scelte, e occorre poi che siano disponibili i mezzi per la loro attuazione. Per questi rispetti, lo sviluppo tecnico-economico della società moderna svolge un ruolo assolutamente fondamentale. Gli apporti di questo sviluppo si collocano infatti su entrambe le direttrici indicate: da una parte, lo sviluppo tecnico-economico ha reso possibile, e anzi ha in larga misura imposto come suo prerequisito, un'istruzione e un'educazione individuale, sempre crescenti, che consentono al cittadino la formulazione di una gamma assai ricca di scelte possibili (le stesse comunicazioni di massa costituiscono una fonte continua di modelli di comportamento che incidono anche sul tempo libero); dall'altra, come si è già osservato, lo sviluppo tecnico-economico moltiplica anche i mezzi di attuazione delle scelte. A questo proposito, basta considerare come il reddito medio si sia straordinariamente sviluppato in questi anni, soprattutto nei paesi occidentali; e come la produzione di massa dei beni più diversi sia stata solo l'altra faccia della medaglia del consumo di massa.
Entrando nel concreto, è opportuno però insistere soprattutto sugli specifici apporti tecnologici che sono stati e sono di primaria importanza per l'utilizzazione del tempo libero nel XX secolo: i nuovi mezzi di trasporto e i mass media. L'automobile, che era stata inventata alla fine del sec. XIX, divenne un mezzo di trasporto di massa nel XX secolo, negli Stati Uniti d'America. Il famoso studio dei Lynd su Middletown mise in evidenza il ruolo rivoluzionario che l'automobile aveva assunto per la cultura americana in genere e per il tempo libero in particolare. L'auto svincolava l'individuo dalla comunità locale. Ciò significava possibilità di trasferirsi rapidamente e liberamente altrove, godendo di nuovi paesaggi e di nuovi incontri umani, e arricchendo grandemente la propria esperienza. Ciò significava anche libertà dalle forme di controllo tradizionalistico, e quindi nuovi e più liberi costumi. Le conseguenze dell'utilizzazione del tempo libero in automobile si manifestavano, in realtà, direttamente o indirettamente in tutte le istituzioni e in tutte le sfere della vita, come l'analisi dei Lynd ha mostrato mirabilmente. Da allora è passato più di mezzo secolo e l'automobile è penetrata come mezzo di trasporto di massa in tutte le società occidentali e in molte altre; e ovunque ha potentemente contribuito a creare un nuovo tipo di vita, anche, se non soprattutto, per la sua influenza sul tempo libero. I week ends lontani da casa, e generalmente in famiglia o in piccola comitiva, sono uno dei risultati più tipici, sotto questo profilo. Ma mentre l'automobile occupa questa posizione così centrale, in quanto mezzo di trasporto facilmente acquisibile come proprietà individuale o familiare, altri mezzi di trasporto a carattere eminentemente pubblico creano prospettive di tempo libero fino a poco tempo fa impensabili. Si pensi soprattutto all'aeroplano, che offre ormai su scala di massa la possibilità di viaggiare in paesi lontanissimi e diversissimi tra loro, come svago e come eccezionale esperienza culturale e sociale.
Circa i mass media ricorderemo solo, per il momento, che radio e cinema hanno raggiunto un'influenza di massa, tra le due guerre, in quasi tutti i paesi a cominciare dagli Stati Uniti, e che, dopo la seconda guerra mondiale, la televisione è diventata probabilmente il medium più influente tra tutti, con i mezzi riuniti dell'immagine e della voce. È poi rilevante che il medium dominante, la televisione, ordinariamente di proprietà, e quindi di fruizione, familiare, rappresenti un aspetto importante del ruolo di comunità del tempo libero che la famiglia ricopre, tra gli altri ruoli, nella società contemporanea.
b) La politica del tempo libero
L'importanza eccezionale assunta dal tempo libero e dalle tecniche sopra considerate, che a esso si ricollegano, è alla base di interventi, a volte isolati e quasi casuali, ma sempre più spesso inseriti entro piani definiti, che hanno come protagonisti attivi lo Stato e le altre principali forze della società, quelle economiche in primo luogo. Questi interventi possono avere svariatissima natura. Non è neppure detto che abbiano direttamente come oggetto l'uso del tempo libero, come ad es. le disposizioni dirette a distribuire le ferie lungo l'anno, per impedire la concentrazione estiva. Una politica economica che favorisce la produzione e la vendita dell'automobile come mezzo individuale e familiare di trasporto, per esempio, è anche una politica del tempo libero. E lo stesso si può dire per la radio e la televisione. Ma naturalmente vi possono essere e vi sono interventi volti direttamente alla formazione delle scelte di tempo libero. In questa categoria rientra in modo evidente, ad esempio, la pubblicità turistica, diretta a suscitare il desiderio di fare del turismo, approfittando di tutte le motivazioni conosciute come operanti, quali il desiderio di conoscere e quello di prestigio sociale, e a determinare un certo indirizzo turistico, anziché un altro. Ma anche i film e i telefilm, che a prima vista sono dedicati a ben altri temi, possono in realtà contenere degli elementi di motivazione scelti con cura, e non importa quanto efficaci, per influenzare le scelte del tempo libero. Il fatto, ad esempio, che una serie di telefilm mostri noti attori o attrici che dedicano il loro tempo libero a un determinato passatempo, o vanno in vacanza in una certa isola, può contribuire a formare le scelte di vacanza da parte di migliaia e migliaia di comuni telespettatori.
Una speciale attenzione meritano gli interventi che hanno come fine esplicito l'organizzazione del tempo libero dei cittadini. Ciò significa andare oltre le motivazioni e gli orientamenti di cui abbiamo parlato finora, costituendo e gestendo centri tecnicamente attrezzati per uno o più usi del tempo libero e persuadendo, riunendo, addestrando pluralità di persone all'uso del loro tempo libero in codesti centri, sotto la guida di personale specializzato. L'organizzazione del tempo libero si presenta sempre in questi casi come un servizio reso ai membri di una determinata collettività. Talvolta lo Stato può erigersi a organizzatore unico del tempo libero dei cittadini, come è accaduto per esempio nell'Italia e nella Germania totalitarie durante il ventennio compreso tra le due guerre. Anche la comunità locale può farsi organizzatrice del tempo libero; i parchi e i giardini attrezzati per i ragazzi a cura della municipalità, sotto la guida di personale specializzato, sono in vari paesi, come gli Stati Uniti, un esempio di queste possibili funzioni delle comunità locali. È opportuno ricordare anche gli sforzi più intensi di organizzazione del tempo libero compiuti nelle città nuove, o in quartieri nuovi che si vogliono costruire come comunità, secondo certe teorie sociologico-urbanistiche. Le chiese cristiane, e in particolare quella cattolica, sono altri centri di organizzazione del tempo libero. Ma in questa parte del discorso meritano forse particolare attenzione le aziende e i complessi aziendali. Cosi, nei paesi capitalistici occidentali, e soprattutto negli Stati Uniti, come pure nei paesi socialisti orientali, e soprattutto nell'URSS, le aziende e i complessi aziendali svolgono un ruolo importante nell'organizzazione del tempo libero. Offrono club dove si svolgono attività culturali e sociali di ogni sorta, dalla conferenza al ballo; offrono biblioteche; mettono a disposizione impianti e maestri sportivi; organizzano vacanze e gite sociali. Vengono così a determinarsi le condizioni perché un lavoratore dipendente passi tutta la sua vita, non solo il tempo di lavoro, ma anche quello libero, entro la sfera aziendale.
Un aspetto rilevante ma poco conosciuto dell'organizzazione del tempo libero è che essa presuppone la presenza di veri specialisti di questo campo. Come tali possono in effetti essere considerati i social workers di certe categorie (in particolare, community workers), soprattutto negli Stati Uniti. Ma è probabile che queste professioni siano in pochi paesi così sviluppate come lo sono nell'Unione Sovietica. Professionisti di formazione universitaria curano infatti l'insieme e i singoli aspetti dell'organizzazione del tempo libero. Ad esempio, i registi delle manifestazioni di massa curano sapientemente le grandi manifestazioni popolari al parco Gor'kij. Veri e propri centri di direzione metodologica, con i professionisti più scelti, raccolgono o elaborano le esperienze di tempo libero, per fornire poi direttive e supporto tecnico alle case di cultura, ai club, e via dicendo.
c) Mass media e manipolazione
Gli interventi ai quali abbiamo fatto cenno, che configurano almeno in parte, implicitamente o esplicitamente, una politica del tempo libero, hanno sollevato timori e, quindi, dibattiti, che meritano certamente attenzione. I critici hanno spesso affermato, e a volte con grande vigore, che questi interventi possono risolversi, e di fatto spesso si risolvono, in manipolazioni del cittadino e del suo tempo libero.
L'attacco è stato rivolto soprattutto, e con particolare violenza, ai mass media; e su questo punto ci soffermeremo in primo luogo. Non vale probabilmente la pena di esaminare in questa sede la tesi secondo la quale i mass media sarebbero di per sé perniciosi, ad esempio per il ruolo passivo cui costringono lo spettatore. D. Riesman, per esempio, ha messo bene in luce gli effetti educativi positivi della TV, anche così com'è. Crediamo quindi che sia da accettare il punto di vista, espresso efficacemente da G. Friedmann, secondo il quale i mass media sono ricchi di un potenziale positivo e negativo, e moltissimo, se non tutto, dipende dal modo in cui sono usati. Ciò, naturalmente, sposta il discorso della responsabilità soprattutto su coloro che controllano i mass media. In una società in cui la televisione o la radio sono soggette a tutte le pressioni del capitale privato, come avviene in particolare negli Stati Uniti, è inevitabile che esso eserciti larga influenza sulle scelte del tempo libero. Nonostante quindi i buoni argomenti della corrente di pensiero che da vari anni controbatte la vecchia tendenza a esagerare la potenza dei mass media, è difficile non riconoscere che essi si trovano in tali società a esercitare una notevole influenza a favore del ‛sistema'. D'altra parte non si può nemmeno credere che il controllo esclusivo dei mass media da parte dello Stato risolva il problema della manipolazione. I limiti evidenti della libertà d'informazione e di commento televisivi in materia sociale e politica, in tutti i paesi occidentali democratici dove questo mass medium è, o era, controllato dallo Stato, sarebbero sufficienti, da soli, a illustrare questo punto. Ma si potrebbe in proposito citare almeno un altro fenomeno, vale a dire la massiccia presenza, anche in questi paesi, di trasmissioni la cui caratteristica specifica consiste nell'occupare il tempo libero e sulla cui influenza essenzialmente negativa il consenso degli osservatori competenti è generale o quasi: in particolare le trasmissioni imperniate sulle canzoni che offrono prevalentemente stimoli standardizzanti e consumistici.
Il miglioramento complessivo delle trasmissioni televisive nei paesi occidentali, e quindi anche di quelle della televisione ‛pubblica', può avvenire indubbiamente solo in modo graduale e solo partendo realisticamente dal grado di maturazione generale. Ma il miglioramento risulterà certamente più rapido e sostanziale ove i mass media siano posti sotto il controllo di una volontà politica decisamente riformatrice. In particolare, i programmi sociali e politici possono essere rafforzati, resi più liberi, arricchiti di contributi scientifici. Nuove trasmissioni di cultura possono essere inserite. I festival della canzone e altri spettacoli del genere possono essere compressi come spazio, e possono essere presentati in modo molto più spregiudicato e critico, sia dal punto di vista più generale del livello di civiltà che da quello più specifico del valore artistico. È inoltre probabile, per non dire certo, che questi cambiamenti debbano essere preparati, accompagnati e sostenuti da mutamenti nella società. Non sembra però possibile accusare di manipolazione del tempo libero, come spesso è stato fatto, soltanto una forma di società, quella capitalistica, anche se in essa sono evidenti i fattori che operano per il disimpegno sociale ed etico, l'evasione sentimentale, la ricerca del successo. Anche nei paesi socialisti, infatti, è presente in modo massiccio la ricerca delle più diverse forme di evasione. In quei paesi operano, se non gli stessi fattori che operano nelle società capitalistiche, altri fattori che convergono tuttavia nello stesso risultato: una certa organizzazione della manodopera, l'irreggimentazione di massa estesa anche al tempo libero, le restrizioni delle libertà fondamentali, ecc.
d) Organizzazione e manipolazione
La manipolazione del tempo libero, dunque, non viene realizzata solamente attraverso le comunicazioni di massa; anche l'organizzazione del tempo libero, di cui abbiamo precedentemente parlato, offre possibilità non meno cospicue, e spesso sfruttate. In realtà l'organizzazione del tempo libero ha in generale dei secondi fini, che con una certa dose di buona volontà potremmo far rientrare nella categoria dello scambio (ci si attende cioè qualcosa in cambio dei servizi resi). Ad esempio, la chiesa spera di conservare i suoi adepti e di attrarne di nuovi. L'azienda, sia essa americana o sovietica o altro, si preoccupa esplicitamente di ridurre il turnover, promuovere le condizioni psicofisiche dei lavoratori, e quindi anche il rendimento, ecc. Ma accade spesso che, per sovrappiù, chi organizza il tempo libero cerchi di promuovere anche un'influenza ideologica senza contropartita, e spesso inavvertita, a favore di se stesso e del sistema in cui si colloca. Questo vale altrettanto bene, ad esempio, per le aziende americane e per quelle sovietiche, anche se i principi ideologici ultimi sono nei due casi assai diversi. Nel caso delle organizzazioni del tempo libero di certi paesi socialisti, anzi, la propaganda di regime, spesso sottile e veramente scientifica, costituisce non di rado il solo fine chiaramente discernibile di alcune iniziative, quali, ad esempio, le ‛giornate patriottiche'.
A prescindere dalla manipolazione psicologica, l'organizzazione del tempo libero porta in moltissimi casi a una deformazione delle tendenze spontanee degli uomini, restringendo e indirizzando artificialmente le scelte di tempo libero per alcuni aspetti importanti; inoltre, essa ostacola esperienze che arricchirebbero maggiormente chi le compie. Ad esempio, l'organizzazione del tempo libero sulla base della comunità locale, new town o quartiere residenziale che sia, fondata su certe discusse teorie sociologiche e urbanistiche, contrasta con la diffusa tendenza moderna a sfuggire i propri vicini e scegliere liberamente amici e attività nel seno ricchissimo della grande città. Analogamente sono criticabili le gigantesche reti di organizzazione del tempo libero su base aziendale, che, come abbiamo visto, si estendono nelle diverse parti del mondo, a prescindere dalle differenze di regime. È possibile che sia veramente gradito e utile alla maggior parte degli uomini andare a nuotare e a ballare, ai dibattiti e alle gite, sempre con i colleghi di lavoro e sotto l'occhio, benevolo fin che si vuole, della propria direzione aziendale? In questo modo l'arco delle esperienze sociali si restringe di molto; e cosi, soprattutto, si riducono le possibilità di scelta, d'iniziativa e di libera espressione, che pure sembrano costituire la struttura essenziale del tempo libero propriamente inteso. Naturalmente si può ribattere che il tempo libero organizzato non esaurisce ordinariamente il tempo libero di nessuno. Ma non va dimenticato che la sovrapposizione è spesso assai vasta; soprattutto dove l'organizzazione del tempo libero su base aziendale non è solo molto articolata, ma corrisponde a un'organizzazione della vita dei lavoratori anche in altri settori: dove, ad esempio, il lavoratore riceve dall'azienda anche la casa. In questo caso il lavoratore si trova in realtà chiuso in una gabbia, quale che sia l'etichetta del regime in cui egli vive. Ciò è particolarmente vero, tuttavia, nei paesi socialisti, dove l'assenza di libere alternative rende tanto più obbligatoria, per il singolo, la via della vita organizzata su base corporativa.
Naturalmente bisogna sforzarsi di evitare l'errore di vedere solo il lato negativo delle cose, o di esagerarne l'importanza, e di voler vedere a ogni costo nell'organizzazione del tempo libero l'intento manipolativo o di esagerarne comunque la portata. È giusto quindi aggiungere che, se non ci fossero le aziende con la loro organizzazione del tempo libero, o anche le chiese e altre istituzioni, milioni di uomini avrebbero avuto e avrebbero molte meno occasioni di praticare sport, di accostarsi alla cultura e di viaggiare. Questi uomini, e quindi popoli interi, sarebbero gravemente impoveriti se queste occasioni organizzate venissero meno; e ciò è tanto più vero nel caso dei paesi socialisti, proprio perché in tali casi le possibilità alternative sono assai scarse, quando non addirittura inesistenti. Inoltre, spesso si fa quel che si può per ovviare ai danni sopra indicati dell'organizzazione del tempo libero, chiamando i lavoratori dipendenti - in Occidente come in Oriente - a partecipare direttamente alla conduzione dell'organizzazione nel suo insieme e delle sue singole iniziative.
4. Società e tempo libero
a) Il lavoro
Il discorso ha messo più volte in luce le connessioni tra lavoro svolto e tempo libero: la relazione tra industrialismo e tempo libero, lotte sindacali e tempo libero, l'incidenza del commuting e di un eventuale secondo lavoro sul tempo libero e, infine, l'organizzazione del tempo libero nell'azienda. Ma qualche parola deve essere spesa sulla relazione più diretta di tutte, ossia sulle conseguenze che il lavoro stesso ha sul modo di trascorrere il tempo libero. Molto è stato detto e scritto sull'argomento, con particolare riferimento al lavoro dell'operaio industriale. Vari autori, e tra essi alcuni indubbiamente autorevoli, hanno nel nostro tempo sviluppato l'ipotesi che le caratteristiche del lavoro (della situazione e dell'ambiente di lavoro) abbiano una profonda influenza sul tempo libero.
In particolare, Friedmann e altri ritengono che la fatica, soprattutto psichica, del lavoro en miettes abbia non di rado come conseguenza l'incapacità di riempire il proprio tempo libero, se non con un inerte riposo o con attività di pochissimo impegno. Altri ancora suggeriscono che anche condizioni sociali sfavorevoli, ad esempio una situazione di conflitto in fabbrica, possano contribuire non poco a determinare siffatte scelte nel campo del tempo libero. Certamente varie ricerche mostrano operai che esperiscono in fabbrica condizioni di lavoro e d'ambiente sociale gravemente frustranti, che dopo il lavoro si ritirano in casa e in famiglia disponibili solo per il riposo più completo, o per qualche lavoro di casa, qualche gioco con i ragazzi, il giardinaggio, ecc. Pur ammettendo che possano intervenire anche altri fattori (ad esempio nel caso del giardinaggio), l'ipotesi di una relazione causale tra questi comportamenti e le condizioni di lavoro e d'ambiente sociale di fabbrica appare comunque abbastanza solida. Anche la funzione di tali modi di ‛spendere' il tempo libero diventa più comprensibile, nel quadro del time budget individuale, alla luce di quest'ipotesi. Non c'è bisogno di spendere una parola sul riposo assoluto; ma il giardinaggio, ad esempio, offre evidentemente una possibilità di recupero d'energie all'aria pura, per il riequilibrio psicofisico, ecc., dopo una giornata di lavoro en miettes, di conflitti e incomprensioni. Occorre anche rilevare che la corsa degli operai verso questi modi di spendere il tempo, che caratterizzano anche i paesi socialisti, è un buon argomento per ritenere che certe condizioni di lavoro e d'ambiente sociale nel lavoro siano una conseguenza dello sviluppo tecnico-economico moderno, indipendentemente dal regime sociale.
Diventa ragionevole pensare, a questo punto, che certi problemi del tempo libero si possano risolvere solo nel tempo non libero, o, se si vuole, considerando il tempo nella sua reale unità, come time budget. Ad esempio, il ricongiungimento delle mansioni in unità provviste di senso, o la partecipazione dei lavoratori alla formazione delle decisioni aziendali, sono già provvedimenti che vanno in questa direzione: ed è interessante e significativo che vengano studiati e attuati tanto nei paesi capitalistici quanto in quelli socialisti più avanzati. In questo modo, in realtà, si persegue anche il vecchio obiettivo umanistico, sempre attuale anche se forse utopistico, di rompere la barriera tra lavoro e tempo libero, rendendo libero e creativo il lavoro.
b) Le classi sociali
In diverse forme storiche di società le classi superiori sono vissute nell'ozio o nel loisir, mentre le classi inferiori hanno dovuto sopportare condizioni di lavoro assai dure. Anche nella società capitalistica si è verificato qualcosa di simile; si può dire che solo con la riorganizzazione neocapitalistica dell'economia, e quindi del lavoro, si siano progressivamente imposti modelli unitari di tempo libero, già previsti da alcuni studiosi come Th. Veblen. Gli incrementi massicci della produzione e dei consumi, ai quali abbiamo già accennato, sono chiaramente e strettamente legati a questi più recenti processi.
Con questo non s'intende dire naturalmente che le differenze siano del tutto scomparse; ci sono, soprattutto in certe regioni meno progredite del mondo capitalistico, delle differenze nell'‛uso' del tempo libero che discendono prevalentemente dalle differenze di reddito e dal grado di organizzazione sociale, ma anche, sia pure in misura minore, dai diversi modelli socioculturali adottati. Diverse inchieste italiane degli anni cinquanta e, in misura minore, degli anni sessanta mostravano, ad esempio, una percentuale ancora elevata di operai che non trascorrevano le vacanze lontano da casa, come facevano in generale coloro che appartenevano ai diversi strati della borghesia. Le vacanze erano quasi del tutto ignote, d'altra parte, ai contadini, che rappresentavano una percentuale ancora rilevante, e nell'insieme povera e arretrata, della popolazione attiva italiana.
Il vero punto della questione, tuttavia, è l'adozione, da parte dell'enorme maggioranza della popolazione dei paesi occidentali più avanzati, e presto, forse, di tutti, dei medesimi modelli di tempo libero. Le comunicazioni estremamente facili del nostro tempo, ormai, propongono simultaneamente all'intera popolazione questi modelli di tempo libero, mentre sono a disposizione di tutti, o almeno della grande maggioranza, le condizioni materiali per l'attuazione di tali modelli. Naturalmente anche nei paesi più progrediti sussistono delle differenze rispetto a queste possibilità; tuttavia tali differenze possono essere definite secondarie in questa linea di discorso. Certamente i ‟ricchissimi" (come li chiamava Ch. W. Mills) possono, per restare ancora al punto delle vacanze, avere vacanze più lunghe e più variate degli altri; possono usufruire esclusivamente o quasi di certe località di villeggiatura, o di settori riservati al loro interno, ecc.; ma il turismo mondiale e le vacanze, sia estive che invernali, e anche il modo di passarle, sono diventati fenomeni prevalentemente uniformi e di universale diffusione, o lo stanno rapidamente diventando. La stessa tendenza si afferma progressivamente nella pratica sportiva, anche per le discipline fino a ieri più aristocratiche.
Da un altro punto di vista va anche notato che l'adozione di modelli uniformi di tempo libero e l'abbondanza di contatti egalitari, che essa indubbiamente comporta, contribuiscono a indebolire la cultura e la coscienza di classe del movimento operaio, ove esse esistono, e, in concomitanza con gli sviluppi economici per i quali le società più avanzate tendono a essere caratterizzate dal settore terziario d'attività, preparano anch'esse la grande società delle classi medie di cui gli Stati Uniti hanno già fornito il primo modello.
Nei paesi socialisti si afferma comunemente che non esistono più le classi nell'accezione corrente del termine. Vi sono tuttavia molti segni che inducono a ritenere che ristrette élites, espressioni del partito dominante e dell'alta burocrazia, godano di privilegi qualitativi analoghi a quelli accennati per i ‟ricchissimi". La maggioranza della popolazione, soprattutto in un paese sviluppato come l'Unione Sovietica, gode tuttavia anch'essa delle possibilità che l'epoca moderna offre per il tempo libero, sia pure con le limitazioni e con tutti gli inconvenienti caratteristici di un tempo libero pianificato, specialmente su base corporativa. La situazione dei paesi del Terzo Mondo, infine, è assai varia, in relazione sia alle caratteristiche e alla distribuzione della ricchezza nazionale, sia all'influenza occidentale e ad altri fattori ancora. Vale la pena di ricordare come spesso in questi paesi ristrette élites, simili a quelle dei paesi socialisti, o ristretti gruppi di alta borghesia godano di privilegi eccezionali anche per il tempo libero. Di fronte a queste minoranze privilegiate si trovano - per esempio in alcuni paesi mediterranei dell'Africa - masse di popolazione contadina e urbana disoccupata o sottoccupata, comunque con redditi bassissimi, per le quali praticamente non esiste il tempo libero in senso moderno: esiste, se mai, il tempo vuoto, il tempo inutilizzato. In questi paesi, il problema principale è in realtà quello di dare lavoro a tutti, per lo sviluppo del reddito e della società.
c) La partecipazione sindacale e politica
Tra le speranze che sostenevano coloro che, alla testa del movimento dei lavoratori, hanno combattuto per una giornata lavorativa più breve c'era quella di una maggior partecipazione popolare alle attività sociopolitiche. Engels e Lenin legavano esplicitamente alle attese di incremento del tempo libero la teoria marxista del deperimento dello Stato, con l'avvento finale di una società senza potere politico, nella quale tutti avrebbero partecipato a turno all'amministrazione delle attività d'interesse pubblico. Tale teoria non può certo essere dichiarata infondata sulla base delle realizzazioni negative per ora riscontrate in taluni paesi; tuttavia non è possibile non registrare il fatto che le speranze di una crescente partecipazione, come conseguenza dell'aumento di tempo libero, sono andate in complesso deluse. Tendenzialmente, i lavoratori dedicano le ore di tempo liberate ad altre attività piuttosto che alla partecipazione sindacale o politica. L'affermazione vale per tutti i paesi, indipendentemente dal loro regime sociopolitico, e appare più evidente se non ci si ferma ai dati più generali e ci si attiene rigorosamente a una definizione di partecipazione limitata alla formazione e all'esecuzione libera di decisioni in campo sindacale e politico. Infatti i dati relativi a taluni paesi non occidentali risultano falsati, talora, in quanto si riferiscono anche alla partecipazione a iniziative di carattere cerimoniale e celebrativo, che non hanno alcun valore di partecipazione politica nel senso sopra definito, e che a volte costituiscono addirittura momenti di coercizione e di manipolazione per i cittadini che vengono di volta in volta mobilitati. D'altra parte, anche la ‛fuga nel privato' registrata dalle ricerche nei più diversi paesi occidentali si inserisce in questo quadro: dimostra, cioè, che anche nel mondo occidentale altre cose vengono prima della partecipazione.
5. La pianificazione del tempo libero
a) Formazione e distribuzione sociale del tempo libero
Ciò che precede è forse servito a evidenziare l'importanza molteplice del tempo libero nella società contemporanea, e la necessità per lo Stato e le forze sociopolitiche dominanti di predisporre un'organica politica del tempo libero.
Il presupposto fondamentale di una tale politica, secondo il suggerimento di tutta l'analisi precedente, dev'essere che il tempo libero, almeno attualmente, costituisce la parte più importante della vita al fine di una libera autorealizzazione, aperta verso tutte le possibili direzioni, in una società che, almeno a parole, ha accettato di definire la propria ragion d'essere in funzione di questo fine. Ciò significa che la società deve rispettare, promuovere e garantire questa libertà, come libertà effettiva. Di qui il dovere per chi governa di fare ogni sforzo affinché i cittadini dispongano di una quantità sempre maggiore di tempo libero. Di qui il dovere anche di predisporre tutte le condizioni che possano consentire ai cittadini di attuare la più ampia gamma di scelte possibili conformi a quel fine (condizioni d'informazione, di mezzi, di addestramento, ecc.) e di combattere ogni tendenza costrittiva o manipolativa, per quanto ben intenzionata. Di fronte al ‛pianificatore' del tempo libero si trovano alcune scelte impegnative e alcune difficoltà a esse connesse. Per quanto concerne il rapporto quantitativo globale tra lavoro e tempo libero, a livello nazionale la scelta appare in buona misura condizionata da progetti e situazioni che cadono sia nell'ambito della politica interna sia in quello della politica internazionale. Entro il primo ambito, il livello di sviluppo economico-sociale raggiunto e programmato determina in modo evidente questo rapporto. È il caso soprattutto di quei paesi arretrati che cercano di elevare il reddito nazionale e il tenore medio di vita; o di quei paesi che si propongono importanti riforme, come l'espansione del sistema scolastico e sanitario pubblico. Nel secondo ambito, basti ricordare che il pericolo di una guerra e l'amicizia per un paese in guerra possono obbligare un popolo a lavorare di più, per sopportare, ad esempio, pesanti spese militari.
In secondo luogo il pianificatore deve affrontare il problema della distribuzione sociale del tempo libero. E spesso si trova di fronte a esigenze economiche e sociali non univoche, quando non contraddittorie, e a scelte quindi assai problematiche. Ad esempio, il tasso di sviluppo previsto per il paese può essere in contrasto con la contemporanea richiesta di prolungamento della scolarità e di anticipazione del pensionamento. È chiaro, infatti, che chi lavora, lavora anche per chi studia. Oggi, per esempio, la scelta tende a favorire i giovani; scelta peraltro già parzialmente contraddetta da un'altra richiesta socioeconomica: che i lavoratori siano più istruiti e preparati. Ma è poi giusta questa scelta? Dato il rapido invecchiare della cultura per la vita e per il lavoro, nel nostro tempo, non sarebbe più saggio se - stato dell'occupazione permettendo - ci orientassimo non verso un continuo prolungamento della scolarità e un correlativo ritardo dell'età d'inizio del lavoro, come si sta facendo, ma verso la distribuzione di periodi opportunamente disposti di recyclage lungo l'intera carriera del lavoratore?
In altri casi, il pianificatore può non aver dubbi sul fine da proporsi, ma le difficoltà d'attuazione possono essere molte e ardue. Vi è una categoria che ha indubbiamente un carico di ore nettamente maggiore, rispetto alle altre: vale a dire quella, già ricordata, delle donne che lavorano. Per giunta, sono ore di lavoro generalmente non riconosciute per il salario e per la pensione. Il pianificatore può dunque facilmente convenire sulla doverosità di interventi equilibratori a favore della donna che lavora, per darle il tempo libero di cui anch'essa ha bisogno per realizzarsi. Tuttavia, è difficilissimo trovare e attuare misure davvero efficaci. La tradizione e l'organizzazione sociale ostacolano quasi ovunque in modo fortissimo ogni tentativo di modificare con ragionevole rapidità, per mezzo della legislazione e della propaganda, i ruoli familiari. D'altra parte anche la riduzione per legge della giornata lavorativa della donna o una politica di sviluppo del lavoro part time a favore delle donne comportano numerosi problemi, soprattutto in un'economia libera. La riduzione dell'orario a parità di stipendio, proposta da taluni, comporta certamente un costo notevole per la comunità. Il lavoro part time, d'altra parte, tende a essere un lavoro marginale gravemente frustrante per chi lo compie, anche quando sia sottratto allo sfruttamento che oggi lo accompagna in vari paesi, sia rispetto al mancato pagamento degli oneri sociali che ad altri punti.
Un'altra categoria di lavoratori, che come già ricordato, è in crescente sviluppo e andrebbe favorita dal punto di vista del tempo libero, è certamente quella dei commuters. Ma come si può favorirla concretamente? Anche in questo caso pare azzardata l'idea di risolvere tutto con una legge che disponga una riduzione di orario, lasciando invariato il salario; sembrano invece più realizzabili altri provvedimenti per attenuare gli attuali inconvenienti: per esempio, provvedimenti di decentramento e di organizzazione razionale del territorio, e provvedimenti sui trasporti, per renderli più numerosi, rapidi e gradevoli. La recente progettazione di treni speciali per commuters, che offrono la possibilità di spendere utilmente il tempo di viaggio (leggendo, guardando uno spettacolo, ecc.) costituisce un buon esempio al riguardo.
Un altro caso importante concerne quanti svolgono lavori socialmente necessari che presentano tuttavia degli aspetti negativi, per esempio lavori meno sani o meno puliti. In questo caso il pianificatore non può far altro che seguire l'esempio dei paesi più avanzati: migliorare i salari, limitare gli orari e proteggere il lavoro sotto il profilo igienico-sanitario. Sembra tuttavia poco realistica la speranza di quanti, per questa via o altre analoghe, ritengono che si possano in un prossimo futuro portare i mestieri più sfortunati alla pari con quelli più fortunati. Soprattutto è certamente lontana la possibilità di far cadere la dicotomia ultima tra i mestieri e le professioni ricche di creatività, e quindi contigui per questo aspetto al tempo libero, e i mestieri e le professioni in cui la creatività è quasi del tutto assente. Al limite, tra il mestiere dell'artista e quello dell'operaio alla catena di montaggio.
Concludendo, è opportuno soffermarsi un momento su un problema già precedentemente accennato. Già oggi, in certi paesi, sindacalisti e attivisti a essi comparabili possono svolgere queste loro attività durante il tempo di lavoro. Pensando certo a situazioni di questo tipo Dumazedier e altri pongono questo interrogativo: la partecipazione sindacale, politica e associativa in genere, è in gran parte del mondo alquanto bassa, e questa situazione è certamente una causa di instabilità democratica; perché non incoraggiare e premiare con ore libere tutti coloro che partecipano? È una proposta interessante, qualora sia possibile contenere il costo economico entro limiti ragionevoli e, soprattutto, qualora sia accertato che la misura rafforzerà la democrazia nel suo complesso, e non un partito o un gruppo di partiti: ché allora ci troveremmo di fronte proprio a uno dei casi, che abbiamo criticato, in cui la politica del tempo libero si trasforma in manipolazione del tempo libero per fini politici di parte. Vale però la pena di notare che in questo modo viene, in realtà, sollevato un problema più generale ancora: quello di dare ‛più' tempo libero a coloro che lo usano per attività fondamentali per la comunità. In questa classe rientrano certamente, ad esempio, tutte le persone che, pur restando vincolate a un'attività non creativa per ragioni di sostentamento, stanno sviluppando e dimostrando applicazione e anche capacità creativa nel pensiero, nell'arte o nella scienza che coltivano come amatori nel tempo libero. La proposta di dar loro sempre più tempo libero è qui giustificata non solo dall'argomento del loro apporto creativo allo sviluppo comunitario (un argomento di gusto squisitamente mannheimiano, come la proposta), ma anche dalla considerazione che si assicurerebbe così una mobilità sociale continua per un settore certamente fondamentale all'equilibrio e al mutamento regolato di ogni società.
b) Le condizioni e i mezzi del tempo libero
Non cercheremo di dire quanti e quali problemi incontri il pianificatore che vuole fornire a tutti i cittadini le condizioni e i mezzi per un'ampia gamma di scelte nel tempo libero: condizioni d'informazione e motivazione, strumenti e organizzazione, addestramento, ecc. Si tratta di un impegno enorme, prima di tutto dal punto di vista finanziario, ma è un impegno spesso inderogabile. Vi sono paesi, anche occidentali avanzati, ove vi è una carenza paurosa di strutture e di attività del tempo libero per le masse popolari. Qui è da ritenere che la pressione stessa delle masse finirà coll'imporre un vasto intervento pubblico, sovrapponendosi vigorosamente alle ragioni di principio.
Ma vi sono anche altre circostanze, rilevanti soprattutto per il futuro, su cui J. Fourastié ha più di ogni altro richiamato l'attenzione e che conviene tenere presenti. Una, decisiva, può essere così sintetizzata: coloro i quali svolgono oggi le più apprezzate attività di tempo libero possono farlo solo perché una grande quantità di cittadini, impediti da difficoltà economiche, motivazioni insufficienti, ecc., non fa loro concorrenza. Ma non ci si può né attendere né augurare che ciò continui. Anzi, tutti gli elementi di previsione disponibili inducono a credere che negli anni futuri tale concorrenza si svilupperà in pieno. Con l'aumento della popolazione, della ricchezza e del tempo libero, e con la diffusione ulteriore dei valori del tempo libero, il numero dei partecipanti crescerà grandemente. Nei paesi più progrediti d'Europa si suole parlare dei pochi centimetri di spiaggia già oggi teoricamente disponibili per i bagnanti, e degli scampoli di neve (insicura) per gli sciatori. Ma che succederà tra vent'anni, e anche meno, quando bagnanti e sciatori saranno grandemente aumentati di numero? La stessa crisi si può d'altronde prevedere per ogni attività del tempo libero. Si consideri, in particolare, come le megalopoli e altri elementi caratteristici di questo nostro tempo siano destinati a far crescere ancora negli uomini, sempre più numerosi, coscienti e ricchi (nonostante il rallentamento dello sviluppo), il bisogno della seconda casa, del giardinaggio, del campeggio, della solitudine in natura - mentre la natura è assaltata e contaminata da ogni parte. Come non credere che questo rapporto con la natura diventerà un bene raro, un privilegio conteso e contestato, fino a comportare di necessità profonde riorganizzazioni sociali, a partire dallo stesso diritto di proprietà del suolo? Più in generale, si può prevedere che anche in questi settori si determinerà un forte impulso alla pianificazione sociale e, purtroppo, anche al razionamento dei beni del tempo libero. Ma tra tutti gli elementi operanti per un grande e pianificato intervento pubblico, a molti sembra rilevante soprattutto la crescita continua di tempo libero per le masse, interpretata come un fenomeno capace di rendere problematico l'ordine sociale. E a sostegno di questa teoria si cita lo sviluppo di comportamenti devianti soprattutto tra i giovani, attratti, al limite, dalla droga e dalla violenza. Ma il segno più importante di crisi è rappresentato forse dalla tendenza, riscontrata in strati non insignificanti delle ultime generazioni, a conferire al loisir un valore assoluto, rifiutando radicalmente il lavoro cioè il fondamento stesso di ogni società. (V. anche comunicazioni di massa, lavoro, partecipazione, tecnica, tecnologia).
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