Tempo libero
Un primo problema che pone lo studio del tempo libero è quello della sua definizione. Sotto il profilo concettuale e terminologico si riscontrano infatti, nella sua storia, usi differenti e progressive modificazioni. In prima approssimazione, possiamo definire il tempo libero come quella quota di tempo che gli individui tendono a riempire con attività scelte liberamente, non soggette a vincoli imposti dall'esterno, non finalizzate a lucro, e ritenute fonte di piacere e/o di riposo. In questa definizione si evidenziano le caratteristiche di autodeterminazione, libertà ed edonismo che fanno del tempo libero, nelle società moderne, un tempo socialmente costruito e un insieme di attività che si contrappongono al tempo lavorativo. In termini di durata il tempo libero si riferisce perlopiù a una quota di tempo quotidiano, ma si può parlare di tempo libero anche in relazione ai giorni festivi (da quelli non lavorativi della settimana a - più impropriamente - quelli di vacanza).
Sotto il profilo più strettamente concettuale, si oscilla tra definizioni puramente contenutistiche, che associano il tempo libero alla presenza di attività specifiche, ad altre più inerenti alla valutazione soggettiva, che lo considerano come il campo dell'agire non solo disinteressato, ma anche finalizzato esclusivamente al piacere e a se stessi. Nel complesso, tuttavia, qualunque sia la sua accezione, il tempo libero si pone in relazione o in contrapposizione con un'altra sfera comportamentale o percettiva, di cui rappresenta la negazione o il contrario. Dal punto di vista linguistico si è ormai affermata l'adozione di alcuni termini - come leisure (per l'area anglofona), loisir (per l'area francofona), ocio (per quella ispanica) - che indicano uno specifico campo di comportamenti e di percezioni e ne sottolineano la non coincidenza con la fascia di tempo al di fuori del lavoro retribuito. Anche nell'etimologia dei termini si evidenzia la polisemia concettuale. Mentre leisure e loisir si possono far risalire a una radice comune, al latino licere, e contengono quindi l'idea di permissione, subordinazione a un volere, a un potere e a una convenienza definiti dall'esterno, ocio si rifà invece direttamente al latino otium, che denota la sospensione dagli affari (negotia) finalizzata non solo al riposo, ma anche e soprattutto alla riflessione e alla cura dello spirito.
Nell'uso italiano per contro manca un termine ad hoc per designare questa specifica area di comportamenti-significati. L'espressione tempo libero può comprendere infatti, piuttosto ambiguamente, tutto il tempo non finalizzato al lavoro retribuito, di cui fanno parte anche tempi destinati ad attività di riproduzione sociale necessaria (dormire, mangiare, ecc.), tempi di spostamento, di cura (dai lavori domestici all'assistenza a bambini, anziani, malati). Per ovviare alle carenze linguistiche, si è fatto spesso ricorso a espressioni che ne sottolineano le diverse dimensioni concettuali, come 'tempo libero' (dal lavoro), 'tempo di non lavoro', 'tempo scelto'. Negli ultimi anni si è affermata anche, specialmente nell'ambito del pensiero femminile, l'espressione 'tempo per sé'.
Questa povertà terminologica si deve ascrivere al mancato sviluppo, in Italia, di un vero e proprio filone di studi sul tempo libero. In ambito accademico, infatti, l'analisi sociale, ripresa dopo l'interruzione del fascismo, ha concentrato l'attenzione più su problemi quali l'industrializzazione e la costituzione delle nuove classi urbane che non su altri di tipo culturale da essi derivati, quali i processi di trasformazione dei consumi e dei comportamenti al di fuori del lavoro. Anche in campo economico e commerciale, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi, non si è sviluppata, in Italia, una tradizione di studi su questi temi, lasciando alla spontaneità del mercato la possibilità di definire i consumi del tempo libero, e in particolare quelli connessi al turismo e alle vacanze.
Il concetto corrente di tempo libero si afferma solo a partire dalla rivoluzione industriale, con la comparsa del lavoro salariato e di fabbrica e con la contrapposizione tra tempo-luogo di lavoro e tempi-luoghi della quotidianità. Già fin dall'epoca antica, tuttavia, è possibile rinvenire la nozione di un tempo 'altro' (che solo per analogia chiameremo, benché impropriamente, tempo libero) rispetto alle incombenze necessarie: nella Grecia classica, la σχολή rappresenta il tempo dedicato alle occupazioni liberali e alla quieta riflessione (Aristotele), così come, nella Roma imperiale, l'otium costituisce la nobile occupazione, il diritto-dovere degli uomini destinati a ricoprire le più alte cariche (Cicerone). Il tempo libero, nell'antichità, è dunque una prerogativa delle classi superiori, che la esercitano in tempo di pace, arricchendo il proprio spirito e immettendo nella comunità i frutti di una più elevata speculazione. Altri criteri di valutazione del tempo libero entrano in uso - soprattutto a partire dalla diffusione dell'epicureismo, da un lato, e dall'opposizione a esso, dall'altro - in relazione ai suoi caratteri di non attività e di edonismo. Per l'epicureismo esso è fonte di piacere e qualifica come superiore l'uomo in grado di perseguirlo. Per le cerchie conservatrici esso è il tempo dell'inazione e dei piaceri sfrenati e caratterizza gli inetti e i depravati. Con tale connotazione negativa, anche attraverso la speculazione cristiana, il termine otium è passato nella nostra lingua come 'ozio'.
Nella cultura cristiana si ritrova l'ambiguità del tempo libero, esaltato o denigrato a seconda che la sua caratteristica di non pragmaticità venga collegata ai piaceri dello spirito o dei sensi. Esso è inteso come valore positivo quando è pratica riflessiva, che porta alla realizzazione di un ordine sovrumano nel ritiro dalle preoccupazioni del mondo (Tommaso d'Aquino) o alla contemplazione e all'ascesi mistica (Agostino), in contrapposizione all'acedia (non attività), fonte di perdizione e di degrado morale.
La condanna dell'ozio (il tempo libero nella sua forma degradata) rimane un tema costante in tutta la tradizione occidentale. La si ritrova in tutte le dottrine e le utopie che, partendo dalla critica alla degenerazione del presente, si propongono la riforma dei costumi o il ripristino dei valori autentici della religione cristiana: da Tommaso Moro a Tommaso Campanella, da San Benedetto a Blaise Pascal, e così via. In tutt'altro spirito, ma con la stessa valutazione, Max Weber sottolinea la negatività dell'ozio, indicando nelle regole di operosità e di morigeratezza dell'etica calvinista il necessario supporto all'affermazione del capitalismo e della borghesia. L'ozio è infatti, per sua stessa natura, in contraddizione non solo con i valori ma anche con le esigenze della nuova classe borghese, che fonda la sua esistenza sulla necessità della crescita economica e della produttività del tempo. Nella condanna dell'ozio, e delle classi che lo praticano (come i grandi dignitari dello Stato, il clero, i nobili che vivono di rendita), si riversa così il bisogno di equità ed efficienza sociale espresso dalla nascente borghesia (Claude-Henri de Saint-Simon).
Parallelamente, tuttavia, il filone edonistico che esalta l'ozio come espressione di raffinatezza superiore continua a sussistere, benché, con il tempo, assuma sempre più il carattere di contrapposizione elitaria o di protesta nei confronti della morale vigente: dal Rinascimento, in cui l'ozio appare quale fondamento di una concezione edonistica del vivere (si veda, ad esempio, Giovanni Boccaccio), ai circoli libertini del XVII e XVIII secolo in Francia (si vedano, ad esempio, Donatien-Alphonse de Sade e Giacomo Casanova), che esaltano uno stile di vita fondato sul piacere e sul godimento, fino al XIX secolo, in cui l'ozio diviene il simbolo della contrapposizione alla morale puritana e borghese (come ritengono Charles Fourier e Friedrich Nietzsche). Si è ancora molto lontani, tuttavia, da ciò che oggi evoca l'espressione tempo libero: si tratta, in questi casi, di una temporalità proposta come esemplare ed eccezionale, non estensibile all'esperienza comune.
Più vicino a quello che diventerà per noi il tempo libero - benché non riferito alla pratica quotidiana - si può invece considerare quel tempo riconosciuto come destinato alla trasgressione delle norme vigenti, concesso al popolo in occasione di alcune feste (principalmente il carnevale). Si crea così, benché temporaneamente, un tempo 'altro' (espresso nella pratica del 'mondo alla rovescia'), in opposizione a quello dei potenti, uno spazio sociale in cui diventa lecito ciò che non è mai concesso (la denuncia dei soprusi, il dileggio dei signori) e reale la negazione della realtà (il capovolgimento dei sessi, lo scambio di ruoli con gli animali); con queste caratteristiche esso persiste, fino all'era industriale, come espressione tipica delle classi subalterne, sebbene sia sempre più circoscritto all'ambiente rurale (v. Toschi, 1955).
Si ritrova dunque, in queste tradizioni, un altro filone che confluisce nella formazione del concetto moderno di tempo libero, quello della festa, in cui si traduce socialmente il bisogno di interrompere il trascorrere uniforme della vita quotidiana. Sia la festa di impostazione laica (come le giostre e i tornei in epoca medievale e rinascimentale, ma si potrebbe addirittura risalire alla tradizione dei giochi circensi romani), che realizza la necessità di affermazione dei signori e dei governanti, sia quella di impostazione religiosa (come le processioni, i giubilei), che ribadisce l'autorità e il controllo della Chiesa, costituiscono, per il popolo, momenti di pausa dalle fatiche del lavoro quotidiano e occasioni di incontro, socialità e spensieratezza.
Ma, come si diceva, il significato moderno di tempo libero viene acquisito solo con la rivoluzione industriale. L'affermazione del lavoro di fabbrica comporta infatti, sul piano spaziale, la separazione tra luogo di lavoro, luogo di residenza e luoghi destinati ad altre funzioni, e su quello temporale, la distinzione tra tempo di lavoro e tempo destinato al ripristino delle forze biologiche e psichiche degli individui. Si afferma pertanto una doppia normazione del tempo: da un lato un tempo scientificamente quantificato (l'orologio diventa lo strumento fondamentale della nuova disciplina del lavoro), rigidamente regolamentato e rigorosamente eterodiretto; dall'altro un tempo sottratto a ogni interferenza - libero anche dal potere tradizionalmente esercitato su di esso dalla Chiesa, in quanto dominio di Dio (v. Le Goff, 1960) - e pertanto disponibile per ogni genere di usi e di eccessi, oggetto di rivendicazione e simbolo della liberazione dallo sfruttamento.
Il tempo libero che così si definisce si fonda su regole temporali consone alle nuove caratteristiche della società urbanizzata: i suoi ritmi non seguono più quelli dettati dal lavoro agricolo e artigianale, secondo l'alternanza delle stagioni e del giorno e della notte, ma quelli imposti dall'utilizzazione delle macchine e dalle esigenze della produzione e del mercato, non più connessi con i ritmi della natura (e spesso con quelli biologici, grazie anche alle nuove possibilità di illuminazione che si vanno affermando). Da allora il tempo libero, ormai nel pieno senso moderno del termine, non potrà più essere considerato se non in relazione con il tempo di lavoro e antiteticamente a esso, qualunque significato gli si voglia attribuire.
Quando, nella prima fase dell'industrializzazione, il tempo libero si afferma come tempo socialmente costruito e riconosciuto, la sua gestione assume finalità principalmente etico-sociali e viene spesso assunta da organizzazioni, istituzioni o gruppi, che si vengono così a trovare in competizione con organizzazioni religiose, movimenti a sfondo sociale e organizzazioni dei lavoratori. Solo in epoca recente la gestione del tempo libero - e dell'indotto industriale e commerciale che esso genera (dall'abbigliamento alle attrezzature sportive, alle abitazioni, alle strutture alberghiere, ai viaggi, e così via) - diventa anche un campo di rilevante importanza economica. Nella fase iniziale dell'industrializzazione il grande problema sociale era, invece, da una parte quello di realizzare un rapido adattamento delle classi lavoratrici ai nuovi valori e alle nuove forme di organizzazione quotidiana, e dall'altra quello di orientare il tempo lasciato libero dal lavoro verso pratiche che non turbassero il nascente ordine borghese.
All'inizio, infatti, la resistenza al lavoro di fabbrica si manifesta, tra i lavoratori, come incapacità di interiorizzare il concetto di accumulazione e quindi di alternanza tra tempo di lavoro e tempo libero, e come abitudine a lavorare preferibilmente sotto la spinta del bisogno e senza regolarità. Ma con la scoperta e l'introduzione della macchina a vapore, a partire dalla metà dell'Ottocento, la necessità di massimizzare l'utilizzazione degli impianti portò a un irrigidimento delle regole e a una dura lotta, da parte padronale, per contrastare ogni forma di sregolatezza che compromettesse lo svolgimento dell'attività lavorativa, come l'abitudine a non presentarsi al lavoro o a rallentare l'attività nei primi giorni della settimana (il san Lunedì), in conseguenza degli eccessi nel gioco, nel bere e nelle competizioni tra persone e con animali che avevano luogo il giorno di festa. La regolamentazione della festa, che, dati i lunghi orari di lavoro (si arrivava alle dodici e anche alle sedici ore giornaliere), era per i lavoratori l'unico spazio di tempo libero, divenne così una necessità per la produzione e al tempo stesso una spinta alla moralizzazione dei costumi. Alcuni esempi, come quelli dell'Inghilterra e dell'Italia, sono significativi per l'analisi dell'organizzazione del tempo libero. In Inghilterra si incrociarono le azioni di associazioni religiose e a sfondo sociale per ricondurre il tempo libero a una gestione 'razionale' e a una caratterizzazione morale: la Chiesa metodista, le scuole domenicali (sunday schools), la LDOS (Lord's Day Observance Society), per fare qualche esempio, ebbero un ruolo importante nell'inculcare nei lavoratori le regole di una precisa organizzazione del proprio tempo, compreso quello libero e festivo, così come il movimento antialcolismo, le associazioni degli owenisti, dei cartisti e dei tradeunionisti contribuirono, su un fronte più laico e orientato alla formazione e all'assistenza, alla trasformazione della pratica del tempo libero e alla sua precisa collocazione e delimitazione tra i vari tempi sociali. In Italia l'organizzazione del tempo libero delle classi popolari si riallacciò fin dall'inizio a due impostazioni ideologiche: da un lato la tradizione laica, che nasceva dalla libera associazione dei lavoratori, dall'altro quella di matrice cattolica, che si rifaceva alla gestione dei religiosi. L'una si affermò a partire dalla prima metà del secolo scorso, in un primo tempo come forma di mutuo sostentamento tra i lavoratori (aveva funzioni di cassa mutua autogestita, in caso di malattia, e di assistenza agli eredi, in caso di morte del titolare), ma ben presto rivolgendo l'attenzione anche alla loro formazione ed educazione, alla socialità e alla ricreazione (società di mutuo soccorso). Di carattere simile, ma esclusivamente orientate alla ricreazione e alla formazione dei lavoratori e dei loro familiari, erano poi le case del popolo, affermatesi soprattutto nelle regioni centrosettentrionali e legate in particolar modo alle organizzazioni operaie di ispirazione socialista e comunista. Questa loro connotazione 'sovversiva' (benché ne esistessero anche di ispirazione cattolica) fece sì che, durante il fascismo, molte fossero perseguitate e distrutte, e altre costrette a entrare nella clandestinità. Il filone cattolico, orientato più alle opere caritatevoli e di redenzione, si affermò, a partire dalla fine dell'Ottocento, nel campo della formazione, soprattutto in seguito all'opera di Giovanni Bosco, che si impegnò particolarmente nell'educazione dei giovani, dando grande importanza anche all'aspetto ricreativo (a lui risale infatti la fondazione degli oratori, destinati specificamente ai giovani). Successivamente la Chiesa continuò e ampliò la sua azione in questo campo, utilizzando la rete delle parrocchie e operando anche attraverso l'organizzazione degli scouts.Per quanto riguarda gli adulti, negli anni successivi alla prima e alla seconda guerra mondiale in Italia - a differenza di quanto avvenne in altri paesi, in cui si moltiplicarono le associazioni e i movimenti finalizzati alla gestione del tempo libero e alla pratica di varie attività culturali e sportive - l'amministrazione del tempo libero continuò a essere sostanzialmente spartita tra organizzazioni padronali e religiose e, quando fu possibile, associazioni dei lavoratori attraverso i partiti e i sindacati. Durante il fascismo venne creata l'Opera Nazionale Dopolavoro, con lo scopo di guidare e controllare il tempo libero dei lavoratori; al suo scioglimento, la gestione organizzata del tempo libero venne assunta dai CRAL aziendali (prima relativamente soggetti all'influenza padronale e poi sempre più autonomi da essa) e ad associazioni vicine a partiti e sindacati.
Lo sviluppo della società industriale si accompagna a una corrispondente affermazione del tempo libero non solo come tempo socialmente definito, ma anche come pratica generalizzata. La diffusione di orari lavorativi regolamentati e rigidi, resi necessari dalla produzione di massa, l'ampio movimento di inurbamento, il miglioramento delle condizioni di vita e l'aumento delle disponibilità economiche per ampi strati di popolazione hanno favorito - già a partire dalla seconda metà degli anni trenta negli Stati Uniti e dal secondo dopoguerra in Europa - la formazione di un modello di organizzazione della vita quotidiana in cui viene riconosciuto al tempo libero uno spazio rilevante e di diritto.La legittimazione e la regolamentazione di questa quota di tempo nella vita dei lavoratori e delle loro famiglie si traducono, così, in modelli di comportamento generalizzati (come, ad esempio, pratiche quali l'andare al cinema, o il ballo, o le attività sportive), in nuove attribuzioni di valore a campi di azione individuale e collettiva (il valore positivo riconosciuto al piacere, al divertimento, al consumo di tempo non finalizzato a scopi etici), nonché in consumi di tipo edonistico e spesso caratterizzati dallo spreco (dalle spese per spettacoli o per spostamenti di piacere a quelle per un abbigliamento adatto alle nuove attività praticate). In altri termini, l'ampliamento, la normazione e la generalizzazione del tempo libero, derivanti dalla modificazione tayloristica dei processi produttivi, innescano profonde trasformazioni in vaste aree dell'organizzazione sociale, in campo economico, culturale, professionale, territoriale. All'esplosione dei consumi a fini ricreativi si accompagna, e da essi non è scindibile, la maturazione di una nuova cultura, caratterizzata dalla secolarizzazione e da un orientamento temporale verso il presente (v. Novotny, 1989), nonché da una maggiore libertà nelle relazioni tra sessi, generazioni, ruoli sociali.
L'allargamento della sfera dei consumi, accompagnato da una maggiore disponibilità di tempo e denaro, contribuisce inoltre a mutare il quadro delle professioni. Nascono e si consolidano le imprese attinenti alla ricreazione, come l'industria cinematografica, quella discografica, quella turistico-alberghiera, le industrie di produzione di beni per lo sport, e così via. L'affermazione del tempo libero come fenomeno sociale che comincia a essere di massa contribuisce inoltre a modificare la morfologia del territorio e delle città. Non solo, come già si era riscontrato nella grande espansione urbana dei primi decenni del secolo negli Stati Uniti (descritta da Richard Park ed Ernest Burgess), con la creazione di aree urbane specializzate nell'offerta di divertimenti e di attrezzature adatte alla loro realizzazione, ma anche con la 'colonizzazione' di vaste zone di territorio extraurbano. L'aumento della disponibilità di tempo non destinato al lavoro, non solo nell'ambito della giornata, ma anche nell'arco della settimana e dell'anno (con la generalizzazione del sabato non lavorativo e delle ferie retribuite), produce una consistente domanda di attrezzature alberghiere e di residenze in località (di villeggiatura, di vacanza) favorite dal clima o dall'ubicazione, stravolgendone spesso, in tempi rapidissimi, la configurazione tradizionale.
Per tracciare un quadro, seppure schematico, dei filoni interpretativi del tempo libero, occorre partire dalla sua definizione come tempo sociale (v. Gurvitch, 1961). Poiché infatti il tempo libero risulta essere un tempo socialmente prodotto e quindi caratterizzato, come si è visto, da uno specifico apparato ideologico e assiologico da un lato, e da un complesso di orientamenti produttivi e di consumi dall'altro, la sua lettura risulta fortemente condizionata dal tipo di analisi adottato nello studio della società globale.In un tentativo di estrema sintesi si può affermare che, nella sociologia, l'interpretazione del tempo libero segue le linee dei due principali paradigmi che attraversano questa disciplina, quello funzionalista e quello marxista. Nel primo si sottolineano, spesso con ottimismo eccessivo, soprattutto gli aspetti di libertà e di benessere insiti nelle società moderne orientate dal mercato, di cui l'esercizio del tempo libero è un importante indicatore; nel secondo, con pessimismo speculare, si evidenziano gli elementi di sfruttamento camuffato che passano proprio attraverso l'ideologia del tempo libero (e dei consumi inerenti a esso) nelle società borghesi. Tuttavia, a questi assi principali di lettura si intrecciano altre presenze concettuali che ne rendono meno netta la contrapposizione. Tra di esse è indubbiamente importante ricordare quelle che, come si è visto in precedenza, possono essere considerate ambivalenze costanti del pensiero occidentale, quali l'antagonismo tra piacere e sacrificio, riconducibile alla contrapposizione tra peccato e grazia, e il conflitto tra vita attiva e vita contemplativa, ovvero tra homo oeconomicus e homo ethicus.
Ma prima di entrare nel merito dei due principali filoni concettuali, conviene esporre brevemente gli approcci che, nell'analisi di quelli che potremmo definire i precursori di una moderna sociologia del tempo libero, pongono le basi per le successive riflessioni.
Benché si sia soliti far risalire al celebre lavoro di Thorstein Veblen, The theory of the leisure class (1899), l'inizio degli studi sul tempo libero, ci sembra che l'opera di questo autore sia piuttosto da considerare non tanto una vera e propria disamina del tempo libero, quanto una prima messa a punto di quelli che diverranno in seguito temi centrali in questo tipo di studi. Veblen, concentrando la propria attenzione sulla funzione parassitaria dei ricchi, sottolinea soprattutto il carattere improduttivo del consumo di tempo, ambito di consumi esibizionistici, finalizzati al rafforzamento del prestigio. La sua è pertanto una requisitoria nei confronti dei consumi vistosi e delle classi sociali che li adottano.
Nella teoria marxista il tempo libero si definisce in rapporto alla teoria del valore-lavoro e dei bisogni: tutto il sistema capitalistico si fonda infatti sull'erogazione di pluslavoro fornito dall'operaio, al di là del lavoro socialmente necessario, senza ottenere in cambio salario; tale erogazione diviene così la base per l'accumulazione capitalistica. Il tempo libero ha dunque una doppia natura, essendo da un lato valore d'uso, in quanto tempo necessario alla ricostituzione della forza lavoro, e dall'altro valore di scambio, come pluslavoro di cui si accaparra la classe dei capitalisti sotto forma di consumi improduttivi, atti a soddisfare bisogni di oggetti di lusso indotti dalla superproduzione; in quanto espressione di bisogni contrastanti, esso diventa pertanto terreno di conflitto tra le classi. Per questi motivi, secondo Paul Lafargue (v., 1883), la classe operaia dovrà mirare all'ampliamento illimitato del proprio tempo libero e giungere addirittura alla proclamazione del proprio diritto all'ozio.
La vera e propria nascita degli studi sul tempo libero può essere fatta risalire agli anni venti, con lo sviluppo negli Stati Uniti delle prime indagini sociologiche. In esse il tempo libero diviene un campo di osservazione privilegiato dei comportamenti e dei consumi che caratterizzano il nuovo ceto medio, assunto ad archetipo della nuova società americana. Il suo impiego viene descritto con metodi quasi etnografici (v. Lynd e Lynd, 1929), i consumi di tempo libero vengono indicati come un fattore di distinzione sociale (v. Warner, 1949), e la presenza di momenti di tempo libero, anche all'interno del luogo di lavoro, viene indicata come un fattore importante di equilibrio, in grado di migliorare le relazioni umane e il rendimento operaio (v. Mayo, 1933). Il grande entusiasmo che, fino alla prima metà del secolo, si sviluppò negli Stati Uniti per questo tipo di studi (nel 1955 David Riesman giunse a creare a Chicago un importante centro di ricerca sul tempo libero) era alimentato inoltre dalla convinzione che, con l'intensificarsi dell'automazione, si sarebbe verificato un ampliamento pressoché illimitato del tempo libero.Tra l'abbondante produzione di quel periodo - caratterizzata, in verità, più da ardore per la rilevazione empirica che da una profonda elaborazione concettuale - possiamo evidenziare alcuni temi. Uno, che costituisce un po' il Leitmotiv di tutta questa letteratura, si riferisce alla relazione tempo libero/consumi. Nella transizione verso l'affermazione di una società dei consumi, in cui il tipo modale diventa un individuo eterodiretto, il tempo libero diviene espressione dei consumi imposti e costituisce quella fonte di appagamento non più rappresentata dal lavoro (v. Riesman, 1950). Altri temi sono quello della funzione appagante esercitata dal tempo libero, che permette la realizzazione delle relazioni familiari e di hobbies personali (v. Mead, 1957), e quello della nascita di una moralità 'lieve' (fun morality), in cui il piacere diventa pratica quasi obbligatoria di vita quotidiana (v. Mead e Löwenstein, 1955).
Nell'ambito del pensiero occidentale di ispirazione marxista, tra gli anni cinquanta e settanta, le opere che prendono in considerazione il tempo libero - o, come viene in esse più generalmente definito, il tempo non impiegato nel lavoro alienato - non possono considerarsi veri e propri studi specifici sull'argomento, ma analisi globali della società contemporanea in cui la disamina del tempo libero occupa uno spazio non trascurabile, data la sua funzione ritenuta perlopiù alienante. Rifacendosi soprattutto alle opere giovanili e filosofiche di Marx e alle teorie psicanalitiche di Wilhelm Reich e di Erich Fromm, Herbert Marcuse (v., 1964) considera il tempo libero come parte integrante del sistema repressivo fondato sul lavoro, che ha come scopo l'esaltazione della produttività. Esso può procurare sollievo dalla fatica, ma, come parte costitutiva della società, partecipa della sua stessa natura alienante supportata in forma ideologica dai mezzi di comunicazione di massa. Anche Henry Lefebvre (v., 1958) insiste sul carattere fittizio del tempo libero, esempio dell'inautenticità della vita quotidiana, effetto dell'alienazione che caratterizza la società borghese e della frammentazione del lavoro. Un secondo tipo di approccio, pur nell'ambito del paradigma marxista, è incentrato invece sulla relazione tra il tempo libero e la formazione del plusvalore. L'analisi di Pierre Naville (v., 1967) può considerarsi emblematica di un modo di affrontare il tempo libero all'interno dell'analisi scientifica del lavoro (significativo è il titolo della sua opera: De l'aliénation à la jouissance). L'antitesi tra lavoro e non lavoro rimane infatti, per Naville, la contraddizione fondamentale della società capitalistica; ma anche il tempo libero, come il lavoro, concorre alla formazione del plusvalore: esso accresce la produttività, in quanto non solo ripristina la forza lavoro, ma alimenta il consumo. Anche l'alto grado di penetrazione tecnologica che caratterizza il lavoro delle società moderne e ne aumenta l'alienazione può indurre alla fuga nel tempo libero come soluzione compensatoria (v. Friedmann, 1950). Soltanto la radicale riduzione del lavoro e il recupero del piacere (v. Naville, 1967), o la gestione del tempo libero da parte di uno Stato non totalitario (v. Friedmann, 1950) potrebbero aumentare i gradi di libertà.
Ma, oltre i due filoni sopra menzionati, si può indicare un terzo approccio, che si riallaccia alla tradizione francese di studi sul tempo e sui tempi sociali (che ha come principali esponenti Marcel Mauss, Maurice Halbwachs e Georges Gurvitch). Il tempo, secondo questa concezione, non è un'unità indifferenziata e omogenea, ma un insieme complesso che comprende discontinuità e pluralità, un alternarsi e spesso un sovrapporsi di dimensioni che si riferiscono a profondità diverse e si estendono secondo differenti regole di durata. In questa pluralità di tempi, affermano Daniel Mercure, Gilles Pronovost e Nicole Samuel, il tempo libero costituisce una delle forme in cui si costruisce il tempo sociale e, in quanto tale, deve essere considerato in relazione con gli altri (tempo di lavoro, tempo di riproduzione, ecc.), attraverso cui si realizzano le esperienze individuali. Questa concezione, che potremmo definire relativistica, rappresenta di fatto il punto terminale a cui approda la sociologia del tempo libero. L'analisi del tempo libero, al pari di quella del tempo in generale, viene assorbita così nell'analisi della strutturazione spazio-temporale della modernità (v. Giddens, 1984).
Queste conclusioni, a cui giungono soprattutto gli studiosi di area francofona, rappresentano dunque di fatto l'esaurimento dell'impostazione data in Francia a tali studi a partire dagli anni cinquanta da Joffre Dumazedier (v., 1962 e 1974), al quale spetta peraltro il merito di aver elaborato la definizione concettuale più rigorosa di tempo libero e la distinzione tra tempo libero (temps libre) e loisir.
La letteratura di carattere empirico sul tempo libero è, soprattutto al di fuori dell'Italia, particolarmente nutrita, ma si presenta perlopiù debole sotto il profilo concettuale. Ciò è dovuto in larga misura al fatto che molti lavori si propongono fini descrittivi e prevedono spesso immediate utilizzazioni commerciali o comunque solo di tipo applicativo.
Nel complesso, dal punto di vista metodologico, gli studi empirici seguono tre tipi di impostazione: quella basata su dati secondari, quella soggettiva e quella oggettiva. Nella prima, che rappresenta la forma più immediata e abbastanza diffusa di documentazione, si ricostruiscono stili collettivi di comportamento attraverso la rilevazione della quantità di presenze in strutture, organizzazioni, manifestazioni che hanno scopo ricreativo (cinematografi, teatri, concerti, manifestazioni sportive, ecc.). Le altre due hanno invece più marcate caratteristiche sociologiche. Di esse, l'una propone la ricostruzione dei comportamenti e degli atteggiamenti relativi al tempo libero attraverso le descrizioni fornite dai soggetti intervistati, e segue le regole della survey research tradizionale; l'altra, invece, mira a delineare schemi di comportamento attraverso la rilevazione del tempo impiegato dai soggetti nelle diverse attività, sulla linea della tradizione delle indagini di bilancio-tempo (le rilevazioni sull'uso del tempo quotidiano).
Ciascuno dei due approcci indicati presenta limiti e potenzialità. Soltanto la correttezza nell'interpretazione dei risultati ottenuti con i differenti metodi è in grado di assicurare il reale interesse della ricerca. In altre parole, le indagini condotte attraverso il metodo della survey sono in grado di evidenziare soprattutto aspetti legati alla percezione del tempo libero, e quindi i problemi connessi ai vissuti temporali, quali le sensazioni di scarsità e di insoddisfazione, le proiezioni soggettive, e così via, senza dare indicazioni oggettivamente attendibili sull'effettiva disponibilità di tempo libero, mentre le rilevazioni attraverso bilanci-tempo rispondono bene all'esigenza di individuare le dimensioni quantitative di accessibilità, per le varie categorie di soggetti, ai differenti tempi sociali, senza entrare nel merito del valore soggettivamente attribuito a essi.
Poiché riteniamo che questo sia un nodo sempre più centrale nel dibattito moderno sul tempo libero, vorremmo spendere su di esso, sebbene in modo sintetico, alcune parole. Fermo restando che i due metodi prospettati non si pongono necessariamente come alternativi, tanto che, attualmente, le indagini più interessanti si fondano su una loro contaminazione, si devono sottolineare soprattutto i campi di riferimento concettuale che si collegano a essi.
Negli studi di tipo soggettivo - almeno nei migliori di essi - vengono ripresi e rielaborati i risultati delle analisi del tempo e della spazio-temporalità come chiavi di lettura dei processi di adattamento che i soggetti sociali devono affrontare nell'attuale fase di transizione alla modernità avanzata. In questi termini, la sfera del tempo libero risulta particolarmente indicativa dell'auto/etero-strutturazione e della strutturazione/destrutturazione temporale per quei gruppi sociali, come i giovani, che dispongono di maggiori quantità di tempo non costretto (v. Cavalli, 1985).
Gli studi di tipo oggettivo si riallacciano invece alla tradizione delle rilevazioni di uso del tempo elaborate, nei primi decenni del Novecento, in Unione Sovietica (v. Strumilin, in Szalai, 1972) e negli Stati Uniti (v. Bevans, 1913; v. Lundberg e altri, 1934; v. Sorokin e Berger, 1939). Senza dimenticare il valore euristico che tale procedimento descrittivo può avere, vorremmo sottolineare come studi di questo tipo contribuiscano a documentare la molteplicità delle differenze esistenti all'interno delle società sviluppate. Se il tempo libero infatti può essere assunto come indicatore di autodeterminazione all'interno del sistema di azione adottato dagli attori sociali, la sua consistenza e i suoi contenuti denotano il tipo e il grado dell'integrazione sociale: la scarsa disponibilità di tempo libero, ad esempio, contraddistingue sia i livelli molto alti della stratificazione professionale (managers, professionisti), sia i ceti più tradizionali (commercianti, artigiani), sia la popolazione femminile, in modo trasversale alla sua collocazione di classe (v. Belloni, 1984).
Ma il problema di più difficile soluzione in tali indagini oggettive è dato dalla schematicità (e quindi dalla sostanziale arbitrarietà) della delimitazione dell'area del tempo libero. La prassi adottata si limita infatti, per necessità, a scegliere aprioristicamente categorie di attività a cui si attribuisce la valenza di tempo libero, lasciando ovviamente irrisolte almeno due grandi aree di incertezza epistemologica, l'effettiva corrispondenza tra la categoria 'oggettivamente' rilevabile e l'attribuzione di significato da parte del soggetto, e la variabilità - in senso sincronico tra culture, e diacronico tra epoche e periodi diversi - del valore attribuito dal ricercatore alle categorie così definite di tempo libero.
L'aspetto più interessante, in alcune indagini attuali sul tempo libero, è il fatto che esso viene considerato un terreno in cui si manifestano con particolare evidenza le trasformazioni della modernità. Per tale motivo il tempo libero appare come un fenomeno complesso, non univocamente definibile, nel quale si possono evidenziare molteplici dimensioni di analisi. Non potendo, per ovvi motivi di spazio, trattarle esaustivamente, indicheremo almeno alcune tematiche di rilievo che si presentano in questo campo di studi.
Gruppi e popolazioni. - Come nell'analisi di altri fenomeni sociali, la scomposizione della popolazione in classi sociali o in strati professionali non è più sufficiente a rendere ragione dei comportamenti di tempo libero e dei valori a esso attribuiti. Altre variabili possono infatti ritenersi fondamentali per la comprensione delle scelte effettuate. Tra di esse spiccano indubbiamente l'età (meglio ancora se considerata in termini di coorte, ossia di fasce di popolazione che hanno vissuto, in una fase della loro vita, determinati eventi) e il genere (maschile o femminile). Queste ultime dimensioni, soprattutto se usate in modo combinato, sono in grado di mettere in luce profonde trasformazioni culturali in atto, che vanno ben al di là dell'adozione di stili di comportamento in alcune parti della giornata o della settimana, ma investono visioni del mondo sostenute da valori specifici. I giovani e le donne rappresentano dunque, sotto questo profilo, gruppi di particolare interesse.
Territorio. - La tipologia del territorio in cui si realizzano i comportamenti di tempo libero costituisce, anche nelle società industriali, un possibile principio di differenziazione. La città - e in particolare la grande città e la città metropolitana - rappresenta infatti un contesto particolare, a causa della maggiore diversificazione della popolazione presente, dell'alta incidenza di relazioni di tipo strumentale e caratterizzate da impersonalità, della più ampia offerta di attività ricreative e culturali, connessa alla concentrazione di risorse economiche e di strutture, e così via. D'altra parte non si può trascurare il fatto che, attualmente, nella diffusione di modelli di comportamento e culturali (in cui viene maggiormente coinvolta la sfera del tempo libero), la territorialità si combina in forme complesse e pervasive con processi di globalizzazione, grazie alla rilevanza assunta da connessioni istantanee, di tipo visivo o telematico. Nelle realtà in trasformazione - il cui esempio estremo è rappresentato dai paesi in via di sviluppo - l'intreccio di persistenze localistiche e di spinte globali dà luogo pertanto a comportamenti di tempo libero ibridi e di particolare interesse per lo studio.
Accessibilità. - Nell'attuale fase di trasformazione dei processi lavorativi, l'attenzione alla quantità di tempo libero disponibile per i soggetti si deve accompagnare all'analisi degli aspetti distributivi a essa connessi, in relazione cioè sia alla popolazione sia alla collocazione del tempo libero all'interno della temporalità personale. Da un lato infatti, se è vero che le società industriali avanzate hanno visto diminuire la quota di tempo lavorativo collettivo, è innegabile che non sempre ciò si traduce in un effettivo allargamento del tempo libero individuale. Mentre per alcuni gruppi si verifica infatti un sovraccarico temporale derivante dalla sovrapposizione dei ruoli (è il caso di molte donne presenti anche sul mercato del lavoro) o dall'espansione dei compiti burocratici e organizzativi richiesti soprattutto dalla condizione urbana, per altri (ad esempio anziani, giovani inoccupati) si riscontra un'eccedenza di tempo disponibile. Nel primo caso si genera il fenomeno conosciuto come scarsità di tempo (v. Luhmann, 1971), che corrisponde non solo a uno stato di carenza effettiva di tempo libero, ma anche alla sensazione di inadeguatezza rispetto alla pressione temporale. Nel secondo si realizza il cosiddetto tempo vuoto, ossia un ammontare di tempo che, mancando di riscontri costrittivi, non può essere percepito come tempo libero. Un problema tipico delle società contemporanee e che tende ad accentuarsi con la progressiva affermazione di organizzazioni flessibili, a partire dalla sfera lavorativa, è inoltre quello della desincronizzazione (v. Chiesi, 1989) del tempo libero tra fasce diverse di popolazione - come avviene, ad esempio, per i lavoratori notturni o nelle nuove sperimentazioni di lavoro industriale concentrato in pochi giorni, nel week end o su moduli a base non settimanale -, che pone seri problemi di relazionalità spesso anche all'interno della stessa famiglia.
Interiorizzazione. - Problemi quali quelli sopra esposti permettono forse di comprendere meglio come la sensibilità (e la rivendicazione) nei confronti del tempo libero si stia gradualmente spostando da un piano meramente quantitativo a uno qualitativo, dando luogo a una sostanziale dissoluzione dello stesso concetto di tempo libero. Il pensiero femminile, in particolare, ha concentrato l'attenzione sul significato che assumono le pratiche temporali quotidiane. Esso rivendica, infatti, più ancora che una quota di tempo socialmente riconosciuta sulla base di attività a cui viene attribuito lo statuto di tempo libero, la disponibilità di un tempo scelto, un tempo cioè a cui assegnare valenza positiva in quanto tempo per sé (v. Balbo, 1991; v. Leccardi, 1994).
Nei paesi occidentali industrializzati la disponibilità e i consumi di tempo libero rispondono a un modello comune, pur esistendo declinazioni specifiche che rispecchiano gli stili di vita, le tradizioni culturali, i livelli di benessere presenti nelle diverse realtà nazionali. Affermatosi in modo stabile quello che viene considerato l'ammontare fisiologico di tempo necessario alla riproduzione psicofisica degli individui (sonno, alimentazione, cura della propria persona occupano, in tutte le realtà e per tutti i tipi di soggetti sociali adulti, attorno alle dieci ore della giornata), il tempo libero rappresenta ormai, anch'esso stabilmente, una quota di tempo costitutiva dell'organizzazione quotidiana, e si attesta mediamente attorno alle quattro-cinque ore (in un giorno feriale, per una popolazione adulta), come emerge dalle ricerche comparative disponibili (v. Szalai, 1972; v. Gershuny, 1989). Uno dei meriti delle indagini di bilancio-tempo è dunque proprio quello di aver mostrato come, all'interno di una struttura dell'organizzazione del tempo quotidiano comune alle società industriali urbane, il tempo libero risulti una realtà ineliminabile, una quota di tempo socialmente riconosciuta e relativamente stabile, indipendentemente dalle percezioni di carenza espresse dai soggetti.
Altri aspetti di questo modello di tempo libero comune a tutti i paesi industrializzati sono il suo diverso ammontare a seconda delle fasce d'età e del genere, nonché la tipologia delle attività presenti. Riguardo al primo punto, poiché l'impiego di tempo libero ha caratteristiche di elasticità (si definisce cioè in subordine ad altre pratiche temporali, come ad esempio il lavoro, che sono anelastiche), la quantità disponibile risulta minima in alcune condizioni specifiche, come la fase adulta della vita e l'appartenenza al genere femminile, che comporta l'assommarsi di una pluralità di ruoli e di impegni. Presente in tutti i paesi è infatti lo 'svantaggio di genere' per le donne, ossia la minore disponibilità di tempo libero, a parità di condizione occupazionale e professionale.
Se si considera l'evoluzione quantitativa di questa quota di tempo, la tendenza rilevata nel periodo compreso tra l'inizio-metà degli anni settanta e la metà degli anni ottanta (come si può osservare dalla ricostruzione di serie storiche di bilanci-tempo, non disponibili purtroppo per l'Italia) mette in luce un generale aumento del tempo libero, correlato del resto positivamente alla ricchezza del paese (più è alto il reddito pro capite, più diminuisce il tempo complessivo di lavoro e aumenta il tempo libero). In quest'arco di tempo, inoltre, vi è una tendenza generalizzata a una lieve ma progressiva riduzione dello svantaggio femminile sopra citato.
Anche per quanto riguarda le attività, alcuni aspetti sono comuni a tutti i paesi. Si può rinvenire infatti un duplice addensamento attorno ad attività di tipo 'ricettivo' e a localizzazione domestica (tra cui prevale l'ascolto televisivo), che sono preponderanti, e ad altre a carattere relazionale e a localizzazione esterna (tra cui si possono collocare anche attività di tipo culturale, come cinema, teatro, ecc.). Trovano invece minore spazio altre pratiche di tempo libero a connotazione maggiormente 'attiva' e creativa, quali, ad esempio, gli sport e gli hobbies.
Vediamo ora come si presenta la situazione italiana facendo riferimento alle rilevazioni campionarie dell'ISTAT (sviluppatesi, in modo sistematico, soprattutto nell'ultimo decennio), che rappresentano le fonti principali e più complete di documentazione 'oggettiva' su scala nazionale, sia sotto forma di rilevazione dell'uso del tempo, sia come indagini ad hoc su lettura, mass media, consumi culturali, pratica sportiva. Ferma restando la rispondenza del modello italiano a quello generale, possiamo indicarne molto brevemente alcuni aspetti significativi. L'ascolto televisivo rappresenta, anche nel nostro paese, la pratica di tempo libero più diffusa: il 97% della popolazione pratica questo tipo di intrattenimento, e un terzo circa per oltre tre ore al giorno. Il consumo televisivo è tuttavia differenziato nel suo uso: per le fasce più qualificate di popolazione (maschi in età centrale e con livello di istruzione medio-alto) esso è di durata contenuta ed è finalizzato prevalentemente all'informazione. Nel complesso, l'esposizione al mezzo televisivo, come pratica di tempo libero, si caratterizza come consumo 'povero' e di ripiego, in assenza di altre offerte e in mancanza di capacità o possibilità di accedere ad altre forme ricreative. Esso infatti è alto nell'età infantile e cresce progressivamente nell'età anziana (il 48% degli ultrasettantacinquenni vede la televisione per più di tre ore al giorno), è più intenso al Sud che al Nord, tra chi ha un basso livello di istruzione, chi è privo di occupazione e infine tra le casalinghe.
La situazione si ribalta, ovviamente, per i consumi più qualificati, assai poco diffusi, peraltro, nel nostro paese. È noto come la lettura sia poco praticata: poco più di un terzo degli italiani legge libri e meno della metà legge il quotidiano almeno cinque giorni alla settimana. Ma, se è ovvio che l'abitudine alla lettura sia positivamente correlata ai più alti livelli di istruzione, è forse meno scontato il fatto che le preferenze si diversifichino tra donne e uomini. La lettura come evasione-formazione sembra una caratteristica femminile, quella come informazione-attualità piuttosto maschile. Sono infatti le donne le più assidue lettrici di libri (mediamente il 43%, ma oltre il 60% sono quelle più giovani), mentre sono gli uomini i più affezionati lettori di quotidiani (72% i maschi e 53% le femmine).
Anche per altri consumi di tempo libero 'qualificati' ed esterni all'abitazione si rilevano partecipazioni piuttosto basse, benché in lieve ma costante aumento negli ultimi anni. Il cinema rimane l'intrattenimento che interessa più ampie fasce di popolazione (42% nel 1994), mentre la partecipazione ai concerti di musica classica o operistica e agli spettacoli teatrali rimane piuttosto ridotta (7% e 14% rispettivamente); forme ricreative più 'leggere', come le discoteche o le sale da ballo e gli spettacoli sportivi, attirano invece, rispettivamente, circa un quarto della popolazione. I consumi sono tuttavia assai diversificati per età, sesso, livello di istruzione dei partecipanti e per aree geografiche. In genere, la partecipazione a questi intrattenimenti fuori casa risulta una pratica di tempo libero più maschile che non femminile.
Un'ultima considerazione riguarda l'attività fisico-sportiva. Più della metà della popolazione oltre i 27 anni non svolge alcuna attività di questo tipo (se invece si considera chi pratica sport regolarmente, almeno una volta la settimana, la partecipazione scende al 21%) e si toccano punte dell'80% tra i sessantenni (e più alte, ovviamente, a età ancora più avanzate). La pratica sportiva risulta dunque un'attività sostanzialmente giovanile e non regolare. Anche in questo caso, inoltre, la minore diffusione dell'attività corrisponde alle situazioni più deboli: sono le donne, fin dalla più giovane età (le ragazze diciottenni che hanno svolto sport in un anno sono poco meno del 43% contro oltre il 65% dei loro coetanei), a essere maggiormente escluse, così come lo sono le regioni meno sviluppate del Sud (nelle regioni del Nordovest oltre il 43% della popolazione svolge attività sportiva, mentre al Sud poco più del 25%).
I pochi dati riportati non sono ovviamente sufficienti a fornire un quadro analitico del tempo libero nel nostro paese, ma permettono almeno di evidenziarne alcune caratteristiche interessanti. Tra queste fa riflettere la permanenza di elementi di arretratezza riscontrabili nella pratica e nella diffusione delle attività di tempo libero, di cui sono indicatori i forti squilibri territoriali, la condizione 'in subordine' della popolazione femminile (meno attività esterne, siano esse sportive o culturali e di evasione, minore quantità di tempo libero disponibile), la limitata presenza di attività intenzionali, relazionali e formative, siano esse orientate al benessere psichico o a quello fisico.
È innegabile che in questi ultimi anni, nella società cosiddetta postindustriale, le linee di definizione e di analisi del tempo libero affermatesi in epoca taylorista e fordista siano entrate in crisi e necessitino di essere rimesse in discussione. Caduti ormai l'ottimismo e l'entusiasmo per le possibilità aperte dalle innovazioni tecnologiche, che sembravano poter dilatare oltremodo la sfera del tempo libero, questo diventa sempre più sfuggente e indefinibile e sembra addirittura ridursi. Si ritiene che mai, come in questi anni, la società americana sia stata oppressa da un tale eccesso di lavoro e da un tale sentimento di saturazione del proprio tempo (v. Schor,1992). Se l'orario di lavoro ufficiale diminuisce, aumenta infatti la tendenza a svolgere un secondo lavoro per far fronte ai bisogni di consumo che la società impone, mentre la mutata condizione della donna nella famiglia e nel mercato del lavoro contribuisce a dilatare, piuttosto che a ridurre, l'ansia derivante dall'attivismo.
Il tempo libero - come sfera della vita quotidiana e campo delle azioni che si definiscono in rapporto al lavoro - tende dunque a modificarsi, seguendo le grandi trasformazioni della modernità avanzata. Alcuni aspetti, che possiamo citare a titolo di esempio, sono particolarmente significativi.
Nel campo pubblico e dell'organizzazione sociale l'estensione della disoccupazione, legata all'aumento della produttività, crea, per la prima volta nella storia, una vasta area di eccedenza di tempo (che interessa in particolare la popolazione giovanile), non definibile tout court secondo i parametri tradizionali del tempo libero. La desincronizzazione dei ritmi e degli orari lavorativi, la frammentazione e il rapido avvicendamento dei tempi sociali rendono spesso problematica la fruizione del tempo libero. La flessibilizzazione introdotta nei processi produttivi induce bisogni di analoga flessibilizzazione dei tempi di vita e una generalizzata aspirazione al 'tempo scelto' (v. Échange et projets, 1980), che diventa ancora più appetibile di quanto non sia la generica disponibilità di tempo libero.
Sul piano più strettamente culturale, poi, si è venuta affermando una profonda modificazione degli interessi e dei gusti nell'impiego del tempo libero (dalla maggiore attenzione prestata al corpo a quella per l'ambiente, e così via), e si è realizzata una rapida diffusione dei nuovi modelli di comportamento, grazie alla globalizzazione in atto e all'alta mobilità dei soggetti. Si sono infatti affermati, in tempi rapidissimi, radicali cambiamenti nella morale, nei costumi, nelle pratiche sociali, e tali trasformazioni si dimostrano esse stesse in stato di perenne instabilità. Anche le trasformazioni demografiche, che modificano gli equilibri tra le generazioni, così come la diversa collocazione delle donne nella società e nel mercato del lavoro, che contribuisce a cambiare la coscienza femminile e i rapporti all'interno del nucleo familiare, pongono in una luce differente la presenza del tempo libero nell'organizzazione quotidiana della vita.
Come vengono affrontate, nelle analisi attuali, le nuove problematiche del tempo libero all'interno di queste profonde ridefinizioni della modernità avanzata? La sociologia del tempo libero - che, seppure per un periodo relativamente breve, era riuscita a proporre una delimitazione concettuale e a elaborare protocolli di ricerca standardizzati - sembra trovarsi oggi in grave difficoltà. Da un lato, infatti, essa continua a percorrere le vie tradizionali, dando per scontato un oggetto di ricerca che spesso non corrisponde più alla realtà, attingendo a un repertorio di attività predefinite (guardare la televisione, fare sport, andare al cinema, ecc.) che rientrano invece in un complessivo processo di trasformazione dell'attribuzione di senso da parte dei soggetti. D'altro canto, l'analisi del tempo libero tende sempre più a dissolversi in una riflessione filosofico-politico-culturale sulle idee, senza fornire concrete indicazioni per la ricerca empirica. Il disagio e il senso di inadeguatezza che circolano anche tra i più convinti studiosi contemporanei del tempo libero si fondano pertanto sul riconoscimento che la ricerca, nell'ultimo decennio, ha mostrato scarsa capacità di realizzare: a) un adeguato progresso nell'individuare la consistenza del tempo libero (ammontare, opportunità, usi); b) una soddisfacente elaborazione teorica (sono cadute le vecchie teorie basate sulla centralità del tempo libero senza essere state sostituite da altre); c) una reale metabolizzazione di analisi parallele ma non specifiche (analisi dei consumi, della cultura, della vita quotidiana); d) una risposta accettabile alle vecchie domande in nuove situazioni (trasformazione dei paesi socialisti, dei ruoli di genere, della durata del lavoro; v. Roberts, 1997).
Sembra dunque che lo studio del tempo libero possa essere più proficuamente sussunto sotto filoni di ricerca più ampi, ove questo campo di organizzazione sociale, in cui confluiscono comportamenti e scelte, valori e pratiche di relazione, non venga affrontato in modo separato. Indichiamo, senza pretesa di esaustività, tre stili di analisi che, nel panorama contemporaneo, affrontano problematiche relative al tempo libero e possono essere indicati come emblematici della trasformazione dell'approccio a esse.
Un primo approccio è quello che potremmo denominare economicistico-temporalista ed è ben esemplificato da Jonathan Gershuny (v., 1983) che, in polemica con le critiche nei confronti del continuo incremento dei consumi, suggerisce di considerare il tempo libero all'interno di una generale modificazione della catena dei bisogni, connessa all'ampio processo di innovazione tecnologica in atto. Il riconoscimento dell'importanza del tempo libero come fattore di riequilibrio economico e occupazionale nasce, in questo tipo di ragionamento, da considerazioni relative all'organizzazione produttiva e dei tempi sociali. Nelle società moderne si crea infatti, grazie al progresso tecnologico, un aumento dell'efficienza sociale totale che porta alla riduzione del tempo di lavoro retribuito, trasferendo alcuni costi sul consumatore sotto forma di impiego di tempo (si pensi, ad esempio, al sistema di distribuzione attraverso i grandi centri commerciali collocati esternamente alle città, in cui i costi di trasporto e di servizio sono a carico del cliente). Ora, proprio la necessità di recuperare il tempo liberato dal lavoro (e riempito dal lavoro sociale non retribuito) può portare all'acquisto di beni di servizio, creando così l'apparente paradosso che l'aumento del tempo libero darebbe luogo all'incremento del lavoro e dell'occupazione.
Un altro tipo di approccio è quello culturalista di Chris Rojek (v., 1995), il quale ingloba il tempo libero nel profondo processo di trasformazione che ha investito la società nel passaggio dal capitalismo alla modernità avanzata e alla postmodernità. Rojek non fa una disamina del tempo libero come categoria specifica dell'esperienza, ma lo considera come uno dei valori che caratterizzano le diverse epoche e uno dei meccanismi di regolazione della prima modernità o, al contrario, uno degli elementi coinvolti nel disordine caotico della contemporaneità. Supporto alle sue affermazioni non è tanto la rilevazione empirica, che costituisce la base tradizionale degli studi sul tempo libero, quanto la riflessione sviluppatasi negli ultimi anni sui mutamenti sociali, sulle categorie di analisi utilizzabili per decodificare l'apparente incomprensibilità dei comportamenti. Il concetto di tempo libero viene così radicalmente ridefinito rispetto al suo significato originario di fuga, scelta, libertà, e viene invece considerato come parte integrante della frammentazione e della discontinuità dell'esperienza, espressione della spinta al rischio e all'autoaffermazione, effetto dell'incremento di velocità, realizzazione del bisogno di rifiuto e di dissacrazione.
Un ultimo tipo di approccio che intendiamo indicare è definibile come catartico, e parte dalla considerazione dell'inautenticità, della mancanza di senso e della pericolosità, per l'equilibrio umano e ambientale, dell'attuale configurazione del tempo libero. Juliet Schor (v., 1992), ispirandosi a posizioni anche di derivazione ecologista, propone una radicale trasformazione del tempo libero attraverso l'acquisizione di nuove pratiche, quali la meditazione, l'introspezione, il rallentamento dei ritmi sociali, l'adesione alla natura, la riscoperta dei bioritmi. Il disagio che deriva, nelle società contemporanee, dall'uso delle forme diffuse di impiego del tempo libero potrebbe dunque rappresentare il raggiungimento consapevole di un punto di frattura con il passato e dar luogo a possibili spinte verso profonde trasformazioni dei comportamenti.
(V. anche Cinema; Classi e stratificazione sociale; Comunicazioni di massa; Sport; Teatro e società; Televisione; Turismo).
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