TEODOLINDA
Principessa bavara figlia del duca Garibaldo e nipote del re longobardo Wacone per parte di madre (Walderata), discendente dalla stirpe regia dei Letingi, vissuta tra il 6° e il 7° secolo.Nel 588 T. fu promessa sposa al re longobardo Autari (584-590) che poté così rafforzare le proprie pretese di legittimità, nonché rinsaldare i rapporti di alleanza con i Bavari contro i comuni nemici Franchi e diventare cognato del potente duca di Trento, Ewin. L'anno successivo, nel campo di Sardi, nei pressi di Verona, fu celebrato il matrimonio e T. fu incoronata regina (Paolo Diacono, Hist. Lang., III, 30). Nel 590, alla morte improvvisa di Autari, T., che non aveva avuto figli dal matrimonio, aveva già raggiunto una considerevole posizione politica e si era guadagnata il rispetto e l'ammirazione del popolo longobardo. Nello stesso anno T. sposò il turingio Agilulfo (m. nel 615-616 ca.), cognato di Autari e duca di Torino, che nel 591 venne ufficialmente acclamato re a Milano. Decisiva fu l'influenza della regina cattolica sulla politica religiosa condotta dal re. Assistita dall'abate Secondo di Non, suo consigliere spirituale, e in frequente contatto epistolare con il papa Gregorio Magno, T. incentivò un avvicinamento del popolo longobardo, ariano e pagano, alla Chiesa cattolica, in vista di una pacifica convivenza religiosa e politica della popolazione longobarda e di quella italica. Segno tangibile dell'indirizzo religioso intrapreso dalla coppia regia fu il battesimo del figlio Adaloaldo, celebrato nel 603, secondo il rito cattolico, a Monza. Un'ulteriore conferma fu l'appoggio che i regnanti offrirono a Colombano nella sua fervida attività di evangelizzatore svolta anche nella penisola.T. sopravvisse sia ad Agilulfo sia ad Adaloaldo - quest'ultimo associato al trono già nel 604 e deposto nel 625 - che ella aveva affiancati nella loro azione politica, religiosa e culturale in modo incisivo ed energico; il 22 gennaio 627 è la data della sua morte registrata nell'Obituario in uso presso la basilica monzese di S. Giovanni Battista (Monza, Bibl. Capitolare, 7 b 10 h 4).Dell'iconografia della regina non restano sicure testimonianze; una testina, in roccia porfirica verde scuro, venata di quarzo, di provenienza ignota, recentemente trafugata dal Castello Sforzesco di Milano (Civ. Raccolte di Arte Antica), è attribuita agli inizi del sec. 7° ed è considerata un ritratto della regina (Romanini, 1988). Nel blocco rilisciato acquistano risalto e intensità espressiva gli occhi, incorniciati da spesse palpebre, come anche il netto e fondo taglio d'ombra della bocca semiaperta. Il retro presenta i capelli raccolti e girati intorno alla testa in un rotolo trattenuto da una retina incisa su tutta la superficie quasi fosse cesellata, richiamando l'idea dell'impiego di tecniche desunte dall'oreficeria.
Di rilievo fu l'attività di committenza artistica intrapresa da T. e Agilulfo, che inaugurò la ricca tradizione regia longobarda proseguita fino agli ultimi sovrani, Desiderio (756-774) e Adelchi (759-774), che spaziava dall'architettura urbana e suburbana, prevalentemente in pietra, come quella di basiliche, battisteri e palazzi, alla scultura, alla pittura, all'oreficeria.Secondo il racconto di Paolo Diacono (Hist. Lang, IV, 22), a Monza (v.), dove già Teodorico il Grande aveva fatto erigere un palazzo, anche T. fece costruire una reggia, presso la quale fece innalzare una basilica in onore di s. Giovanni Battista, dove avvenne il battesimo di Adaloaldo. L'aspetto planimetrico e monumentale dell'edificio, fase originaria dell'attuale duomo, non è noto, anche se non mancano indizi che lo farebbero ipotizzare cruciforme; del materiale edilizio impiegato sopravvivono invece alcune tegole relative alla copertura del tetto ed elementi del suo arredo decorativo reimpiegati nella facciata trecentesca: un pluteo con croce e cristogramma e una lastra, forse d'altare, con agnelli affrontati alla croce (Monza, Mus. del Duomo). Per le tegole si ricorda tuttavia che una recente analisi paleografica (Natale, in Monza, anno 1300, 1988) ha fornito una datazione all'inizio del sec. 8°, suggerendo la possibilità di un restauro del tetto teodolindeo in quel periodo. Sempre nel Mus. del Duomo di Monza si conservano cimeli dei preziosi donativi, alcuni dei quali frutto della munificenza di Gregorio Magno, offerti alla basilica dai sovrani longobardi: accettando i recenti risultati delle ricerche specialistiche sul nucleo teodolindeo, la copertina dell'Evangeliario di T., la corona votiva e il gruppo della chioccia sarebbero eccellenti manufatti di esecuzione milanese di fine sec. 6°-inizi 7° (Romanini, 1992, p. 59).
L'iscrizione apposta sulla coperta di evangeliario - che non c'è ragione di considerare aggiunta in un secondo momento - attesta che si tratta di un dono fatto eseguire appositamente dalla regina per la basilica e non va invece identificato con la theca persica compresa fra i preziosi regali che il papa Gregorio Magno inviò a Monza e che, come suggerisce il termine persica, doveva essere una rilegatura in cuoio dipinto e dorato e non in metallo (Frazer, 1988). I due splendidi pannelli in oro dell'evangeliario sono decorati con cloisonnés di granati, gemme, perle, vetro e un filo perlinato: una croce gemmata ripartisce le due copertine in quattro campi, che accolgono quattro fasce a forma di L e tre cammei romani di reimpiego; le due pietre di diaspro verde raffiguranti Cristo e la Vergine vennero invece aggiunte nel 1773. La decorazione, regolata da un rigido principio di simmetria, è racchiusa da una cornice continua con la ripetizione di semplici motivi geometrici eseguiti a cloisonné, il cui fondo sapientemente zigrinato accentua la luminosità degli almandini rossi.
Delle quattro corone gemmate che la tradizione, recepita anche nella celebre lunetta del portale del duomo monzese (sec. 14°), attribuisce all'offerta della regina, due sono tuttora esistenti: la corona ferrea e la c.d. corona di T.; altre due, la celebre corona con l'iscrizione di Agilulfo e una quarta priva di indicazioni, sono andate disperse in seguito al furto del 1804 al Cab. Méd. della Bibliothèque Nationale di Parigi e sono note solo da antichi disegni. La corona votiva, tradizionalmente attribuita a T. (recentemente è stata però suggerita l'ipotesi di una originaria appartenenza alla regina ostrogota Amalasunta: Wolfs, 1996), è costituita da una spessa fascia d'oro bordata da due sottili fili perlinati e impreziosita da cinque ordini sovrapposti di gemme. Il margine superiore del prezioso gioiello reca tre forellini, nei quali dovevano passare le catenelle destinate alla sospensione della corona; quello inferiore ne presenta dodici, ai quali erano appesi altrettanti pendilia, forse con le lettere del suo nome, sul modello della celebre corona di Agilulfo. Il confronto più eloquente per ricostruire l'aspetto originario della corona votiva di T. è dato dalle corone visigote provenienti da Guarrazar (Madrid, Mus. Arqueológico Nac.), che conservano tutti i pendilia e le croci. A Monza (Mus. del Duomo) si conserva anche la croce detta di Agilulfo, in oro, vetri, acquemarine, perle e smeraldi, che si riteneva pertinente alla corona del sovrano ma che recentemente è stata attribuita alla corona della regina: il Mus. del Duomo di Monza conserverebbe in questo caso l'unico gruppo superstite completo di corona e croce proveniente dai regalia originari di Agilulfo e di T. (Frazer, 1988). È plausibile che le quattro corone, di chiara matrice tardoantica, possano aver fatto parte dell'offerta della sovrana alla basilica monzese, ma non si hanno prove che siano tutte il frutto di una commessa regia longobarda. Almeno per la corona ferrea infatti, recenti studi suggeriscono una datazione più antica e un collegamento con Teodorico (Lusuardi Siena, 1998).
Alla committenza teodolindea è pure attribuito il gruppo della chioccia con i sette pulcini nell'atto di beccare semi dal suolo, anch'esso raffigurato nella lunetta del duomo monzese. Opera tanto celebre quanto enigmatica, è eseguita in lamina d'argento dorato su anima di legno, con gemme, vetri e intaglio in sardonica. Le figure furono create a sbalzo e rifinite a bulino e a punzone, ciascuna da un'unica lamina; solo la cresta fu fissata attraverso una fessura e le zampe modellate a parte. Varie le interpretazioni proposte circa il significato della rappresentazione: la Chiesa che protegge i fedeli, un auspicio di fecondità per la regina oppure il simbolo della continuità della vita deposto nella tomba di Teodolinda. Il gruppo, che trova vari riscontri iconografici in ambito paleocristiano e altomedievale, non sarebbe un unicum; interessante appare, in particolare, la notizia che anche Begga, madre di Pipino (m. nel 714) e capostipite della dinastia carolingia, abbia commissionato una chioccia con sei pulcini (Frazer, 1988).I calici rappresentati nella lunetta testimoniano che la regina dotò la basilica anche di suppellettili liturgiche; una tazza tardoromana di vetro blu zaffiro conservata a Monza e dotata di una montatura gotica è stata identificata con uno dei calici della lunetta, rappresentato però con la sua montatura medievale (Frazer, 1988; Roffia, 1995).
Nel Mus. del Duomo monzese restano infine, a testimonianza della fede religiosa della sovrana, sedici ampolle in piombo fuso con stagno che contenevano olio prelevato dalle lampade dei luoghi santi della Palestina, oltre a tre medaglioni commemorativi e a tre capselle in piombo. La collezione di ampolle monzesi, che riproducono immagini dei principali luoghi di culto della Palestina e varie scene istoriate, e quelle conservate a Bobbio (Mus. dell'Abbazia di S. Colombano) sono le più importanti note: si ritiene che esse siano pervenute a Monza su richiesta di T., che poi ne inviò una parte al monastero di Colombano, sorto in seguito a interventi edilizi e donazioni dei sovrani. Furono invece doni del papa Gregorio Magno a T. (Registrum epistolarum, XIV, 12) un lezionario del Vangelo con una copertina detta persica, tre anelli con pietre preziose, perduti, destinati a Gundeberga, figlia della regina, e un phylacterium contenente un frammento della Vera Croce per Adaloaldo, che potrebbe corrispondere, ma l'identificazione non è affatto provata, con il reliquiario della Vera Croce di Adaloaldo, in oro e niello (Monza, Mus. del Duomo). Se il cristallo di copertura è un'aggiunta posteriore, la lastra con rilievi vegetali e soprattutto la placca con l'immagine della Crocifissione e l'iscrizione a niello in greco possono risalire ai secc. 6°-7° e provenire da opifici orientali.Quanto al palatium di Monza, che l'iscrizione sull'evangeliario definisce vicino alla basilica di S. Giovanni, esso si trovava forse in contrada Lambro, nell'area adiacente all'od. duomo, e ne sopravviverebbe solo parte di una torre (Merati, 1962). Circa l'entità dell'iniziativa di T. la critica non è concorde: taluni propendono per l'edificazione di un nuovo complesso, altri sostengono che potrebbe aver riadattato la residenza eretta in precedenza da Teodorico. Recenti indagini archeologiche condotte nell'area immediatamente a S-E del duomo - purtroppo quando buona parte del deposito archeologico era già stata asportata - hanno rivelato un edificio tardoromano a pianta rettangolare, biabsidato sul lato sud, scandito internamente in due vani quasi quadrati preceduti da un ambiente rettangolare: una planimetria piuttosto articolata che richiama architetture auliche tardoantiche e che pare compatibile con un complesso palaziale. Le absidi furono rinforzate da un secondo muro, e ciò testimonia rifacimenti, avvenuti in un'epoca non ben precisabile; tracce di vita all'interno di questi locali in età altomedievale precedono l'abbandono e il crollo delle strutture. Che il palatium fosse nuovo o frutto di un riadattamento, fu comunque dovuta alla diretta committenza di T. la realizzazione di un ciclo di affreschi celebranti i Gesta Langobardorum, nei quali grande risalto veniva dato al costume nazionale, come sottolinea Paolo Diacono (Hist. Lang., IV, 21-22): esplicita conferma sia della volontà di riprendere e perpetuare la grande tradizione imperiale romana, in particolare di Milano, sia di una vera e propria autoconsapevolezza di stirpe. Tale duplice tendenza in un'attività qualificata e di ampio respiro quale fu quella di T. richiama fortemente l'esperienza teodoriciana, anch'essa tesa a conciliare tradizioni e culture differenti come quella romana e quella germanica, e quella di altre illustri regine merovinge convertite, impegnate a emulare i modelli rappresentati dall'aristocrazia cattolica di origine romana.Del merito di aver promosso una produzione che spaziava dall'architettura all'oreficeria e che si serviva di botteghe di altissimo livello e di averla organizzata in un programma organico T. forse ebbe consapevolezza, e ciò potrebbe spiegare la presenza nel sarcofago della regina di un tubulo fittile, materiale da costruzione largamente impiegato in età tardoantica e altomedievale e a più riprese rinvenuto anche nell'area del duomo monzese: si tratterebbe di un elemento carico di valenza simbolica, utile a richiamare l'attività di committente della regina.L'originaria deposizione di T., in terra sepulta - come precisa l'Obituario -, avvenne nella basilica monzese, ma si ignorano la precisa collocazione e le caratteristiche della tomba; nel 1308 la sepoltura della regina e forse anche quelle di Agilulfo e di Adaloaldo furono scoperte durante i lavori di ampliamento del duomo e i resti dei corpi furono traslati nel sarcofago marmoreo su colonne attualmente visibile nella cappella di Teodolinda. Il recente rinvenimento di tombe, internamente intonacate e dipinte nonché riconducibili all'età carolingia, al di sotto della pavimentazione della chiesa testimonia la continuità della consuetudine di collocare sepolture privilegiate all'interno dell'edificio di culto, seguendo evidentemente gli illustri esempi dei sovrani fondatori.Non è noto se in occasione della riesumazione trecentesca, o a causa di una violazione già avvenuta in antico, furono dispersi gli accessori dell'abbigliamento e il ricco corredo funebre che dovevano accompagnare l'inumata. Nella ricognizione effettuata nel 1941 infatti furono recuperati solo piccoli chiodi ed elementi decorativi in oro, niello e almandini, relativi forse alle guarnizioni di un prezioso fodero di coltellino, fili del broccato e una punta di lancia in ferro; questa testimonierebbe anche la presenza di almeno una deposizione maschile: Agilulfo o, stando anche alle analisi del dente rinvenuto, il più giovane Adaloaldo, oppure entrambi.Non si può escludere che anche il raro ventaglio iscritto e il prezioso pettine (la cui montatura sembra però risalire a un'epoca più tarda), appartenenti anch'essi al più antico nucleo del Mus. del Duomo monzese, possano provenire dalla tomba regia. Il flabello, di incerta datazione, è in pergamena colorata di porpora, recante un motivo vegetale dipinto con inchiostro d'oro e d'argento e un'iscrizione in lettere capitali d'oro (Varisco, 1904-1905). La pergamena pieghettata era inserita in una custodia di legno rivestita in argento sbalzato con tracce di doratura. Per i caratteri, l'iscrizione è avvicinata a originali del sec. 5°; per la realizzazione della custodia è stata anche supposta l'età carolingia (Caramel, 1976).Le numerose e radicate tradizioni lombarde che, in città come in ambito rurale, legano chiese, strade e luoghi alla volontà edificatrice e all'azione missionaria di T. sembrano perpetuare e amplificare il ricordo di iniziative regie. Di interventi di T. nel territorio non si hanno purtroppo prove materiali; tuttavia in alcuni luoghi, come a Trezzo sull'Adda (prov. Milano), dove si tramanda la memoria di interventi della sovrana, scavi recenti hanno confermato la presenza di nuclei longobardi anche di alto rango. Il rinvenimento di un pluteo (Milano, depositi della Soprintendenza Archeologica della Lombardia) nella chiesa di S. Maria la Rossa presso Milano, stilisticamente correlabile alla lastra di Monza e relativo alla fase longobarda dell'edificio, datata alla fine del sec. 6°-inizi 7°, potrebbe far sospettare un intervento della sovrana longobarda nella chiesa, nota nel Medioevo come S. Maria ad fonticulum (Lusuardi Siena, 1989).Inoltre, sono stati attribuiti a T. alcuni laterizi di Palazzo Pignano (prov. Cremona; Crema, Mus. Civico) recanti un bollo in forma di monogramma sciolto come "TEOD" (Verga Bandirali, Pandini, 1993). L'importante località della campagna cremasca ha restituito chiare tracce di un imponente complesso palaziale tardoantico, dotato di un edificio di culto a pianta centrale con annesso battistero, che divenne in età longobarda curtis regia o almeno sede di qualche alto funzionario direttamente dipendente dal re, come prova un anello-sigillo aureo ivi rinvenuto, di cui si conserva solo il calco (Milano, Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della Lombardia). Se un intervento della monarchia longobarda è dunque plausibile, l'attribuzione del monogramma a T. resta incerta. D'altra parte, agli inizi del sec. 7°, l'attenzione dei sovrani longobardi per la produzione laterizia, anche in funzione del restauro di complessi edilizi più antichi, è provata dal tegolone bollato (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica) con i nomi di Agilulfo e Adaloaldo rinvenuto a S. Simpliciano a Milano.Nel corso del Medioevo, si mantennero vive la memoria e la devozione popolare per la regina longobarda, ma è soprattutto agli inizi del Trecento che la tradizione teodolindea riprese vigore a Monza attraverso una nutrita serie di raffigurazioni. La regina è rappresentata nella già citata lunetta scolpita del portale centrale del duomo; è dipinta - come santa - in un affresco già nella distrutta chiesa di S. Michele (od. Monza, Mus. del Duomo) e infine conosce una singolare apoteosi iconografica, alla metà del secolo successivo, nel grande ciclo degli Zavattari.
Bibl.:
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