Numeri, teoria dei
di Larry Joel Goldstein
SOMMARIO: 1. Introduzione: a) argomenti fondamentali; b) la teoria dei numeri nel XVII e XVIII secolo; c) Gauss. □ 2. Teoria algebrica dei numeri: a) corpi di numeri algebrici; b) il concetto di ideale; c) aritmetica nei corpi di numeri; d) teoria del corpo di classi. □ 3. Teoria analitica dei numeri: a) distribuzione dei primi; b) primi nelle progressioni aritmetiche; c) la funzione zeta di Dedekind; d) progressi nella direzione dell'ipotesi di Riemann. □ 4. La teoria dei numeri irrazionali: a) origini della teoria; b) numeri trascendenti; c) approssimazione dei numeri irrazionali. □ 5. La teoria delle funzioni automorfe: a) funzioni ellittiche modulari; b) applicazioni alla teoria dei numeri; c) moltiplicazione complessa; d) il lavoro di Hecke. □ 6. Applicazioni della geometria algebrica alla teoria dei numeri: a) soluzione di equazioni nei corpi finiti; b) curve ellittiche. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
La teoria dei numeri è il settore della matematica dedicato allo studio delle proprietà degli ‛interi', cioè dell'insieme Z costituito dai numeri:
, −4, −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, 4, ...
La teoria dei numeri si occupa anche delle proprietà dei vari sistemi algebrici che generalizzano gli interi, in particolare degli anelli di interi dei corpi di numeri algebrici. Questi sistemi algebrici emergono in modo naturale nello studio di molti problemi concernenti gli interi.
La teoria dei numeri è il più antico ramo della matematica. Egiziani, Babilonesi, Cinesi e Greci, affrontando i problemi del contare e del calcolare, osservarono delle relazioni empiriche tra i numeri. Queste osservazioni e i successivi tentativi di ridurre le osservazioni a principî matematici segnarono l'inizio della teoria dei numeri.
Nel prossimo paragrafo elencheremo i punti nodali della teoria dei numeri, da cui si sono diramate le moderne linee di ricerca, che illustreremo a partire dal cap. 2.
a) Argomenti fondamentali.
Benché la teoria dei numeri sia attualmente un argomento tanto vasto da toccare quasi tutti gli altri settori della matematica, è possibile enucleare pochi argomenti fondamentali che sono stati i punti focali per le ricerche di teoria dei numeri attraverso i secoli.
1. Equazioni diofantee. - Un'equazione diofantea è una equazione polinomiale in qualsiasi numero di variabili di cui si vogliono determinare le soluzioni intere. Una famosa equazione diofantea è la cosiddetta equazione pitagorica:
x2+y2=z2.
Alcune soluzioni sono (x, y, z)=(3, 4, 5), (5, 12, 13). Risolvere l'equazione pitagorica è equivalente a determinare tutti i triangoli rettangoli aventi lati di lunghezza intera. Determinare le soluzioni intere di un'equazione è molto più sottile che determinarne le soluzioni reali o complesse. Per es., tutte le soluzioni dell'equazione pitagorica sono date da:
x=±2abc, y=±(a2−b2)c, z=±(a2+b2)c,
dove a, b, c sono interi generici ed è permessa ogni combinazione di segni.
Le equazioni diofantee derivano il loro nome da Diofanto di Alessandria (250 a.C.), il cui trattato Arithmetica fu il primo studio sistematico di tali equazioni. In realtà, le equazioni diofantee erano state considerate centinaia di anni prima di Diofanto. Per es., la soluzione dell'equazione diofantea lineare ax+by=c, con a, b, c interi assegnati, è presente negli Elementi di Euclide.
Benché lo studio delle equazioni diofantee sia vecchio di migliaia di anni, rimangono ancora vuoti considerevoli nelle nostre conoscenze. Anche oggi, il problema di risolvere delle equazioni diofantee è uno dei temi centrali della teoria dei numeri.
2. La distribuzione dei primi. - Un primo è un intero maggiore di 1 che non ha altri divisori positivi che 1 e se stesso. I più piccoli primi sono:
2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19, 23, 29, ...
I primi sono distribuiti in maniera molto irregolare. Fin dall'antichità si sono compiuti sforzi per determinare una regolarità nella loro distribuzione. Negli ultimi due secoli, questi sforzi hanno dato frutti originando la branca nota come ‛teoria analitica dei numeri'.
3. Teoria algebriea dei numeri. - Se n è un intero diverso da 0 e ±1, allora n può essere scritto nella forma n=±p1 ... pt, dove p1, ..., pt sono primi. Una cosa meno ovvia, ma ben più importante, è il fatto che i primi p1, ..., pt a meno dell'ordine, sono determinati da n in modo unico. Quest'ultima asserzione è chiamata ‛teorema fondamentale dell'aritmetica' ed è fondamentale nella dimostrazione delle proprietà degli interi. Lo studio di varie equazioni diofantee suggerisce una fattorizzazione simile degli interi anche in sistemi algebrici più generali. In tali casi l'analogo del teorema fondamentale dell'aritmetica può venir meno. Lo studio della mancanza di una fattorizzazione unica porta alla ‛teoria algebrica dei numeri'.
4. Congruenze. - Siano x e y interi, n un intero positivo. Si dice che x è ‛congruo a y modulo n', e si scrive x≡y (mod n), se x−y è divisibile per n. Un certo numero di fatti interessanti concernenti la divisibilità degli interi può essere formulato più chiaramente in termini di congruenze. Per es., sia p un primo, a un intero non divisibile per p. Allora il piccolo teorema di Fermat asserisce che:
ap-1≡1 (mod p);
il teorema di Wilson asserisce che:
1•2•3 ... (p−1)≡−1(mod p).
Le congruenze sono d'importanza centrale nella teoria dei numeri. Questo perché è possibile manipolarle per molti versi come se fossero equazioni. Le congruenze forniscono quindi uno strumento di natura algebrica nello studio delle proprietà di divisibilità degli interi. Uno dei problemi più importanti concernenti le congruenze è quello di determinare le soluzioni di una congruenza polinomiale
f(x)≡0(mod n),
dove f è un polinomio a coefficienti interi, o di un'analoga congruenza in più variabili.
b) La teoria dei numeri nel XVII e XVIII secolo.
Benché molti risultati particolari di teoria dei numeri fossero noti agli antichi, la storia di questa disciplina comincia con il lavoro del matematico francese P. Fermat (1601-1665). Fermat, che era un uomo di legge, s'interessò della teoria dei numeri come hobby. I problemi da lui sollevati erano decisamente moderni per il loro carattere e hanno costituito il punto di partenza per la maggior parte delle ricerche di teoria dei numeri nel corso del XVIII secolo.
Per capire lo sviluppo successivo della teoria dei numeri, è necessario apprezzare i problemi posti da Fermat. Uno di questi era il cosiddetto ‛problema dei due quadrati', che consiste nello stabilire quali interi n possano essere scritti come somma di due quadrati. In altri termini, per quali n è risolubile l'equazione diofantea x2+y2=n? Fermat dette la soluzione seguente.
Teorema 1: un intero positivo n può essere scritto come somma di due quadrati se e solo se n è della forma n=m2p1 ... pt, dove m è un intero e p1, ..., pt sono primi distinti ognuno dei quali è 2 oppure è congruo a 1(mod 4). In particolare i primi che possono essere scritti come somma di due quadrati sono precisamente 2 e i primi congrui a 1(mod 4). Così, per es., 5≡1(mod 4) e quindi 5 è somma di due quadrati e precisamente: 5=22+12; invece 7≡3(mod 4) cosicché 7 non è rappresentabile come somma di due quadrati.
Contrariamente al risultato sulla rappresentabilità come somma di due quadrati, Fermat stabilì il teorema seguente.
Teorema 2: ogni intero positivo è somma di quattro quadrati.
Fermat affermò anche di aver dimostrato che l'equazione diofantea
x2−Dy2=1 (1)
ammette infinite soluzioni, purché D sia un intero che non è un quadrato perfetto.
Senza dubbio l'asserzione più famosa di Fermat è stata la nota contenuta nella sua copia dell'Arithmetica di Diofanto circa il fatto che l'equazione diofantea
xn+yn=zn, n≥3, (2)
non ha soluzioni intere non nulle x, y, z. Fermat sostenne di avere di ciò una meravigliosa dimostrazione che non poteva essere annotata a margine perché troppo lunga. A tutt'oggi non si è in grado di dire se l'affermazione di Fermat, nota come ‛l'ultimo teorema di Fermat', sia vera o falsa. Ma i secoli di sforzi spesi alla ricerca di una prova hanno condotto a molti risultati profondi e affascinanti, la cui importanza certamente sposta in secondo piano la tesi originale di Fermat.
Fermat fece molte delle sue asserzioni in lettere inviate ad alcuni contemporanei come Mersenne e Huygens. Solo raramente egli dava un'indicazione dei suoi metodi di dimostrazione. Un'importante eccezione è costituita dalla dimostrazione del suo ultimo teorema nel caso n=4. In questo caso, Fermat introdusse il suo famoso ‛metodo della discesa', che è risultato una tecnica di dimostrazione estremamente importante. Gran parte della teoria dei numeri sviluppata nel XVIII secolo è costituita dalle dimostrazioni delle tesi di Fermat. La prima dimostrazione del teorema 2 venne data da Lagrange nel 1770, dopo alcuni tentativi infruttuosi di Eulero. Eulero fu il primo a dimostrare che l'equazione diofantea (1) ha infinite soluzioni. Inspiegabilmente Eulero chiamò questa equazione ‛equazione di Pell' e il nome è rimasto.
c) Gauss.
Preminente tra i teorici dei numeri fu K. Fr. Gauss (1777-1855). Il lavoro di Gauss unificò e consolidò i risultati del XVIII secolo e indicò la strada alle ricerche di teoria dei numeri per più di un secolo.
Nel 1799, Gauss completò il suo capolavoro, le Disquisitiones arithmeticae. Questo libro è stato quello che più ha influito sulla teoria dei numeri nel XIX secolo. In esso Gauss ha introdotto la notazione moderna per le congruenze e ha proceduto a uno studio sistematico delle loro proprietà. Uno degli obiettivi di Gauss, solo parzialmente raggiunto, è stato lo studio esauriente della risolubilità della congruenza polinomiale:
anxn+an-1xn-1+...+a0≡0(mod p),
dove p è un primo dispari e a0, ..., an sono interi assegnati. Nel caso n=2 invece egli riportò un successo completo provando la ‛legge di reciprocità quadratica'. Questo risultato si può formulare in modo più facile usando il simbolo di Legendre: sia p un primo e a un intero non divisibile per p. Il simbolo di Legendre (a/p) è definito nel modo seguente:
Se a≡a′(mod p), allora:
Inoltre, se a=±p1 ... pt, dove p1, ..., pt sono primi, allora:
Ne segue che per calcolare (a/p) è sufficiente indicare un metodo per calcolare (−1/p), (2/p) e (q/p), q essendo un primo dispari. Queste ultime tre quantità sono specificate dalla legge di reciprocità quadratica e precisamente:
Le prime due equazioni ci consentono di calcolare (−1/p) e (2/p) direttamente. La terza fornisce (q/p) in termini di (p/q). In pratica tuttavia questo basta a calcolare (q/p). Per es.:
Gauss rimase affascinato dalla legge di reciprocità quadratica e finì col darne sette dimostrazioni diverse. Sulle prime, Gauss non si rese conto che la legge di reciprocità quadratica, in varie forme, era stata già congetturata da Eulero e da Legendre sulla base dell'evidenza numerica. Egli ricostruì tale evidenza, formulò la legge e ne dette una dimostrazione.
Uno degli aspetti sorprendenti della legge di reciprocità quadratica è che essa lega la risolubilità della congruenza x2≡q(mod p) a quella della congruenza x2≡p(mod q).
Una formulazione alternativa, elegante e assai significativa, della legge di reciprocità quadratica è la seguente.
Teorema: siano p e q primi dispari che non dividono a. Se p≡q(mod 4a), allora (a/p)=(a/q). In altre parole, il valore del simbolo di Legendre (a/p) dipende solo dalla progressione aritmetica modulo 4a cui p appartiene.
Usando la legge di reciprocità quadratica di Gauss è possibile determinare se una congruenza della forma
a2x2+a1x+a0≡0(mod p)
è risolubile o meno.
Oltre alla teoria delle congruenze, le Disquisitiones sviluppano una teoria generale delle equazioni diofantee quadratiche della forma:
ax2+bxy+cy2=n. (3)
Un polinomio quadratico omogeneo ax2+bxy+cy2 è chiamato ‛forma quadratica binaria'. La teoria di Gauss delle forme quadratiche binarie affronta due problemi principali: 1) se a, b, c, n sono assegnati, determinare tutte le soluzioni (x, y) dell'equazione diofantea (3); 2) se a, b, c, sono assegnati, determinare tutti gli n per cui la (3) è risolubile. Il primo problema include, come caso speciale, la determinazione di tutte le soluzioni dell'equazione di Pell. Il secondo problema include, come caso speciale, il problema dei due quadrati di Fermat. Gauss ebbe successo pieno con il problema 1, ma solo parziale con il problema 2, che non è stato ancora completamente risolto dopo quasi due secoli.
In aggiunta al suo lavoro sulle congruenze e sulle forme quadratiche, Gauss portò a termine un lavoro fondamentale sulla distribuzione dei primi. Mettendo in mostra un incredibile abilità di calcolo, Gauss, cominciando nel 1792 (all'età di 15 anni), si mise a tabulare il numero di primi nei vari intervalli di lunghezza mille. Alla fine, i suoi calcoli si estesero a tutti i primi fino a tre milioni. Sulla base dell'evidenza numerica, Gauss congetturò che il numero dei primi minori di x, usualmente indicato con π(x), è dato approssimativamente dal cosiddetto ‛logaritmo integrale',
dove l'approssimazione è intesa nel senso che
L'equazione (4) è nota come ‛teorema dei numeri primi'. Benchè Gauss fosse stato il primo a congetturarlo, egli non pubblicò mai le sue ricerche. La prima congettura effettivamente pubblicata è dovuta a Legendre che, nel 1798, formulò il teorema dei numeri primi nella forma equivalente:
Le congetture pubblicate da Legendre andavano più in là di quelle di Gauss e consideravano il problema dei primi nelle progressioni aritmetiche. Più precisamente, siano k e l interi positivi senza fattori comuni maggiori di 1. Legendre congetturò che esistono infiniti primi nella progressione aritmetica
k, k+l, k+2l, k+3l, ... .
Il lavoro di Gauss pose le fondamenta per gran parte della teoria dei numeri del XIX e XX secolo. La legge di reciprocità quadratica precorreva leggi di reciprocità molto più generali, culminanti nella legge di reciprocità di Artin della teoria del corpo di classi. La teoria di Gauss delle forme quadratiche binarie ha condotto alla teoria dei corpi di numeri algebrici. Una parte del lavoro di Gauss sulle congruenze fornisce i primi esempi dell'ipotesi di Riemann per le curve. Il suo lavoro sulla distribuzione dei primi era uno dei primi in teoria analitica dei numeri. Alcuni problemi posti da Gauss per primo sono stati risolti solo di recente, mentre altri sembrano ben oltre la portata dei metodi attuali.
2. Teoria algebrica dei numeri.
Nel XIX secolo si comprese presto che i numeri irrazionali avrebbero potuto essere usati sistematicamente per ottenere dei risultati concernenti gli interi. Per esempio, Gauss notò che la fattorizzazione
x2+y2=(x+√-−--1y) (x−√-−--1y)
collega l'insieme dei numeri complessi della forma
a+b√-−--1, a, b interi, (5)
con il problema dei due quadrati.
I numeri del tipo (5) sono chiamati ‛interi di Gauss'. Poiché la somma, la differenza e il prodotto d'interi di Gauss è di nuovo un intero di Gauss, gli interi di Gauss formano un sistema algebrico molto simile agli interi ordinari. È possibile sviluppare una teoria della fattorizza- zione negli interi di Gauss. Ogni intero di Gauss α≠0 ha per fattori ±1, ±i, ±α, ±iα, dove i=√-−--1. Se questi sono gli unici fattori e α è diverso da ±1, ±i, allora α è chiamato ‛primo di Gauss'. Per gli interi di Gauss vale il seguente analogo del teorema fondamentale dell'aritmetica.
Teorema: sia α≠0, ±1, ±i un intero di Gauss. Allora α può essere scritto nella forma α=π1 ... πt, dove π1, ..., πt sono primi di Gauss. Inoltre, π1, ..., πt sono unicamente determinati da α, a meno dell'ordine e della moltiplicazione per ±1, ±i.
Utilizzando i primi di Gauss è possibile dare una dimostrazione semplice e naturale del teorema dei due quadrati di Fermat.
Dalla fattorizzazione
si vede che la teoria delle forme quadratiche binarie è legata alla teoria dell'aritmetica dei numeri
a+b√-D, a, b interi. (6)
Similmente, se ζ=cos(2π/p)+i sen(2π/p) indica una radice p-esima primitiva dell'unità, allora la fattorizzazione
xp+yp=(x+y)(x+ζy)...(x+ζp-1y) (7)
suggerisce che l'ultimo teorema di Fermat ha a che fare con l'aritmetica dei numeri della forma
a0+a1ζ+...+ap-2ζp-2, ai interi. (8)
Ognuno degli insiemi di numeri (5), (6) e (8) è l'anello degli interi in qualche corpo di numeri algebrici. Così le equazioni diofantee ci conducono in modo naturale allo studio degli interi algebrici.
a) Corpi di numeri algebrici.
e un numero complesso α è una radice di una equazione polinomiale f(α)=0, dove f(x)=xn+a1xn-1+...+an ha coefficienti razionali, allora α è chiamato ‛numero algebrico'. Se, inoltre, tutti gli ai sono interi, allora α è chiamato ‛intero algebrico'. È facile vedere che se α è contemporaneamente razionale e intero algebrico, allora è un intero ordinario. Quindi la nozione d'intero algebrico generalizza il concetto d'intero ordinario.
Supponiamo che α sia un numero algebrico. Allora esiste un unico polinomio f(x)=xn+a1xn-1+...+an a coefficienti razionali irriducibile sui razionali che ha α come zero. L'intero n è detto il ‛grado' di α e f(x) è detto il ‛polinomio minimo' di α. Indichiamo con F l'insieme di tutti i numeri della forma
ϑ=x0+x1α+x2α2+...+xn-1αn-1, xi razionali. (9)
La somma, la differenza, il prodotto e il quoziente di elementi di F appartiene ancora a F, sicché F è un corpo. Un corpo ottenuto in questo modo è chiamato ‛corpo di numeri algebrici'.
Ogni elemento di F può essere scritto in modo unico nella forma (9). L'intero n è detto il ‛grado' di F.
Esempi di corpi di numeri algebrici si possono ottenere nel modo seguente.
1. Corpi quadratici. Sia d un intero non divisibile per il quadrato di qualunque intero maggiore di 1 (per es. d=−1, 5, 15, −21). Allora α=√-d è radice del polinomio irriducibile f(x)=x2−d.
Il corrispondente corpo di numeri algebrici, indicato con ???OUT-Q???(√-d), consiste di tutti i numeri della forma x0+x1√-d, x0, x1 razionali. Il grado di ???OUT-Q???(√-d) è 2.
2. Corpi ciclotomici. Sia p un primo dispari, α=ζ=cos(2π/p)+i sen(2π/p) una radice p-esima primitiva dell'unità. Allora α è una radice del polinomio irriducibile f(x)=xp-1+xp-2+...+x+1. Il corrispondente corpo di numeri algebrici consiste di tutti i numeri della forma
x0+x1ζ+x2ζ2+...+xp-2ζp-2, xi razionali,
ed è indicato con ???OUT-Q???(ζ). Il grado di ???OUT-Q???(ζ) è p−1.
Sia F un corpo di numeri algebrici fissato. L'insieme di tutti gli interi algebrici di F è un anello. In altre parole, la somma, la differenza e il prodotto di interi algebrici di F appartengono ancora a F. Questo anello è chiamato l'‛anello degli interi algebrici' di F ed è indicato con ℴF. L'aritmetica dell'anello ℴF è il principale oggetto di studio nel campo della ‛teoria algebrica dei numeri'.
Se α=1, allora il corrispondente corpo di numeri algebrici è il corpo ???OUT-Q??? dei numeri razionali e l'anello degli interi algebrici è ???OUT-Z???, l'anello degli interi ordinari. Quindi ???OUT-Z??? è un particolare anello d'interi algebrici. Se
F=???OUT-Q???(√-d),
allora ℴF consiste dei numeri
x0+x1√-d, x0, x1 interi, se d≡2 o 3(mod 4),
oppure dei numeri
In particolare, ℴF per il corpo quadratico ???OUT-Q???(√-−--1) è esattamente l'anello degli interi di Gauss (5). Se F= ???OUT-Q???(ζ), allora ℴF consiste precisamente dei numeri (8).
b) Il concetto di ideale.
La connessione tra corpi di numeri algebrici ed equazioni diofantee costituisce un forte incentivo per lo sviluppo di una teoria della fattorizzazione per l'anello degli interi algebrici di un arbitrario corpo algebrico. Sfortunata- mente, per quanto riguarda la fattorizzazione in un anello d'interi algebrici, le cose vanno in maniera assai più complicata che per gli interi ordinari.
Un'unità di ℴF è un elemento ε di ℴF tale che ε-1 appartiene a ℴF. Per es., le unità di ???OUT-Z??? sono ±1. Le unità degli interi di Gauss sono ±1, ±i. Le unità di ℴF per F=???OUT-Q???(√-2) sono ±(1+√-2)n, n intero generico. Se α∈ℴF ha una fattorizzazione α=βγ, allora, per ogni unità ε, è possibile fattorizzare α come (βε)(γε-1). Così, le unità di ℴF creano una certa ineliminabile quantità di non unicità nella fattorizzazione. Un elemento α di ℴF è detto ‛irriducibile' se non è né zero né un'unità e i soli fattori di α sono della forma ε o εα, e unità di ℴF. Per es., gli elementi irriducibili di ???OUT-Z??? sono quelli della forma ±p, p primo; gli elementi irriducibili degli interi di Gauss sono i primi di Gauss. È facile vedere che ogni α in ℴF che non è né zero né un'unità può essere scritto come prodotto di elementi irriducibili, α=π1, ... πt. Si dice che ℴF è un dominio a fattorizzazione unica se π1, ... πt sono determinati in modo unico da α, a meno dell'ordine e della moltiplicazione per un'unità.
Kummer, nel 1837, scoprì quella che sembrava essere una dimostrazione dell'ultimo teorema di Fermat. Il suo procedimento usava la fattorizzazione (7) e l'aritmetica dell'anello degli interi algebrici di un corpo ciclotomico. Dirichlet fece rilevare a Kummer che il suo procedimento presupponeva che gli anelli d'interi algebrici considerati fossero domini a fattorizzazione unica.
Dirichlet osservò che, invece, non tutti gli anelli d'interi algebrici sono in effetti domini a fattorizzazione unica. Egli indicò come controesempio ℴF, dove F=???OUT-Q???(√-−--5). In questo caso ℴF consiste dei numeri
x+y√-−--5, x, y interi.
Inoltre in ℴF esistono due fattorizzazioni di 9 in prodotto di elementi irriducibili:
9=(2+√-−--5)(2−√-−--5)=3•3.
Queste due fattorizzazioni non differiscono l'una dall'altra per delle unità, per cui ℴF, in questo caso, non è un dominio a fattorizzazione unica.
Il controesempio di Dirichlet distrusse la dimostrazione fornita da Kummer dell'ultimo teorema di Fermat, ma condusse anche Kummer a cercare una spiegazione della mancanza di fattorizzazione unica. Kummer trovò che è possibile ristabilire la fattorizzazione unica, almeno fino a un certo punto, introducendo certi numeri ideali che giocano il ruolo di massimi comun divisori degli interi algebrici. Per spiegare la teoria di Kummer, conviene adottare il punto di vista del suo successore Dedekind e introdurre il concetto d'ideale.
Un ideale di ℴF è una collezione I di elementi di ℴF tale che: a) I contiene almeno un elemento non nullo; b) se α, β appartengono a I, anche α±β appartengono a I; c) se α appartiene a I e β appartiene a ℴF, allora αβ appartiene a I. Se α è un elemento non nullo di ℴF, allora l'insieme (α) costituito dai numeri αβ, con β in ℴF, è un ideale. Un ideale siffatto è chiamato ‛ideale principale'. Ogni ideale di ???OUT-Z??? è un ideale principale, sicché gli ideali possono essere visti, essenzialmente, come la stessa cosa dei numeri in ???OUT-Z???. Tuttavia, non tutti gli ideali di ℴF sono necessariamente principali. In questo caso, gli ideali sono una specie di numeri addizionali associati a ℴF, che compensano la non unicità nella fattorizzazione degli elementi di ℴF. Infatti si può dimostrare il risultato seguente.
Teorema: ℴF è un dominio a fattorizzazione unica se e solo se ogni ideale di ℴF è principale.
L'idea basilare della teoria degli ideali è di sostituire l'aritmetica degli elementi di ℴF con l'aritmetica degli ideali di ℴF. È possibile definire il prodotto I1•I2 d'ideali I1, I2 in modo tale che il prodotto di due ideali principali (α) e (β) sia esattamente (αβ). Quindi la moltiplicazione d'ideali estende la nozione di moltiplicazione di numeri. Si possono fattorizzare gli ideali in maniera del tutto analoga ai numeri. Un ideale P di ℴF viene detto ‛ideale primo' se ogni fattorizzazione di P è banale, cioè se P=I1I2 implica che o I1=P, I2=ℴF oppure I2=P, I1=ℴF. Benché ℴF sia solo raramente un dominio a fattorizzazione unica, gli ideali di ℴF si fattorizzano in modo unico. Precisamente vale il risultato seguente.
Teorema fondamentale della teoria degli ideali : sia A un ideale di ℴF. Allora A può essere scritto nella forma P1 ... Pt, dove P1, ..., Pt sono ideali primi. Inoltre P1, ..., Pt sono unicamente determinati da A, a meno dell'ordine.
In molti problemi di teoria dei numeri, la fattorizzazione unica degli ideali può sostituire utilmente la fattorizzazione unica dei numeri.
c) Aritmetica nei corpi di numeri
1. Decomposizione dei primi. - Sia F un corpo di numeri algebrici e sia p un primo ordinario. Allora pℴF è un ideale di ℴF e pertanto, in virtù del teorema fondamentale,
pℴF=P1e1 ... Ptet, (10)
dove P1, ..., Pt sono ideali primi distinti ed e1, ..., et sono interi positivi. Uno degli obiettivi principali della teoria algebrica dei numeri consiste nel fornire un procedimento che consenta di calcolare esplicitamente la fattorizzazione (10). Questo procedimento è chiamato ‛legge di reciprocità', poiché, nel caso di un corpo quadratico ???OUT-Q???(√-d), tale procedimento è fornito dalla legge di reciprocità quadratica.
In generale è possibile mostrare che il numero di fattori t è al più il grado di F. Più precisamente, se il grado di F è n e se il gruppo quoziente ℴF/pi ha fi elementi, allora:
e1f1+e2f2+...+etft=n.
Nel caso che F sia un'estensione di Galois del corpo razionale, allora:
e1=e2=...=et e f1=f2=...=ft.
2. Teoria della ramificazione. - Se qualche ei è maggiore di 1, allora si dice che il primo p si ramifica in F. Ci sono solo un numero finito dì primi ramificati e sono precisamente i primi che dividono un certo intero Δ=ΔF, chiamato il ‛discriminante' di F. Inoltre, se F è diverso da ???OUT-Q???, allora qualche primo deve ramificarsi in F.
3. Le unità di ℴF. - Sia F=???OUT-Q???(δ) dove δ è una radice dell'equazione polinomiale irriducibile f(x)=0. Supponiamo che f abbia r1 radici reali ed r2 coppie di radici complesse. Allora le unità di ℴF sono descritte dal risultato seguente.
Teorema sulle unità di Dirichlet-Minkowski: esistono una radice k-esima primitiva dell'unità ζ e s=r1+r2−1 unità ε1, ..., εs tali che ogni unità ε di ℴF può essere scritta in modo unico nella forma:
ε=ζr ε1a1ε2a2...εpap,
dove r, a1, a2, ..., ap sono interi, 0≤r〈k.
4. Il numero di classi. - Si dice che due ideali A e B appartengono alla stessa classe di ideali se esistono degli ideali principali (α) e (β) tali che (α)A=(β)B. Indichiamo con hF il numero di classi di ideali. Allora hF è chiamato il ‛numero di classi' di F.
Teorema: hF è finito.
Il numero di classi è uno dei più importanti e meno compresi invarianti di un corpo di numeri algebrici. La connessione fra il numero di classi e l'aritmetica è illustrata dal risultato seguente.
Teorema: hF=1 se e solo se ℴF è un dominio a fattorizzazione unica.
Ci sono molti problemi aperti concernenti il numero di classi e alcuni problemi di questo tipo sono stati risolti solo di recente, come vedremo in seguito.
5. Corpi quadratici. - I più semplici corpi di numeri algebrici sono i corpi quadratici F=???OUT-Q???(√-d). Se d>0, F è chiamato ‛corpo quadratico reale', mentre, se d〈0, F è chiamato ‛corpo quadratico immaginario'. Nell'ultimo caso ℴF ha soltanto un numero finito di unità, precisamente {±1}, se d≠−1, −3, {±1, ±i}, se d=−1, e {±1, (±1±√-−--3)/2}, se d=−3. Le unità di un corpo quadratico reale sono tutte della forma ±ε0n, n intero, essendo ε0 la cosiddetta ‛unità fondamentale'. Se d≡2 o 3(mod 4), allora ε=x+y√-d è un'unità di ℴF se e solo se x2−dy2=±1. Così, essenzialmente, le unità sono determinate dalle soluzioni dell'equazione di Pell.
Sono state fatte numerose ricerche sul numero di classi dei corpi quadratici. Nelle sue Disquisitiones Gauss osservò che sembrava esserci solo un numero finito di corpi quadratici immaginari aventi un dato numero di classi. Questo è vero e segue dal teorema seguente.
Teorema di Siegel: sia δ>0 fissato; allora esiste un numero positivo c=c(δ) tale che:
hF>c(δ)∣d∣1/2-δ, F=???OUT-Q???(√-d), d〈0.
Nessuno è ancora riuscito a calcolare esplicitamente la costante c(δ) che compare nel teorema di Siegel, pertanto il risultato è di uso limitato nei calcoli. Il problema di determinare un elenco esplicito dei corpi quadratici immaginari aventi un dato numero di classi risale a Gauss che iniziò le ricerche per il numero di classi 1. Il problema riguardante il numero di classi 1 è stato risolto contemporaneamente nel 1966 da A. Baker e H. Stark, i quali dimostrarono il seguente teorema: esistono esattamente nove corpi quadratici immaginari con numero di classi 1 e sono precisamente quelli corrispondenti a d=−1, −2, −3, −7, −11, −19, −43, −67, −163.
Nel 1970, Baker e Stark determinarono i corpi quadratici immaginari aventi numero di classi 2. Ma, sino a oggi, si è ben lontani dal sapere come proseguire in questa direzione.
Le questioni riguardanti i numeri di classi dei corpi quadratici reali sono molto più oscure di quelle relative ai corpi quadratici immaginari. Gauss congetturò che esistono infiniti corpi quadratici reali aventi numero di classi 1, ma questa congettura appare inattaccabile con i metodi attuali. Ciononostante, il lavoro empirico di Kuroda, che si è servito di un calcolatore ad alta velocità, mostra che all'incirca l'80% dei primi due milioni di corpi quadratici reali hanno effettivamente numero di classi 1.
La legge di decomposizione dei primi può essere data esplicitamente nel caso dei corpi quadratici. Sia F=???OUT-Q???(√-d) e sia p un primo. Allora ci sono tre possibilità per pℴF: o pℴF=P2 (p si ramifica), o pℴF=P1•P2 (p si decompone), oppure pℴF=P (p è stabile). I p ramificati sono esattamente quelli che dividono il discriminante Δ, che in questo caso è uguale a d se d≡1(mod 4) e a 4d se d≡2 o 3(mod 4). Negli altri due casi vale il seguente risultato.
Teorema: sia p un primo dispari che non divide Δ. Allora p si decompone se e solo se
Quindi, per la legge di reciprocità quadratica, se q≡p(mod Δ), p, q primi dispari che non dividono Δ, allora o p e q si decompongono entrambi oppure sono entrambi stabili.
Quest'ultimo risultato mostra che i primi appartenenti alla stessa progressione aritmetica modulo ∣Δ∣ si decompongono nello stesso modo in ???OUT-Q???(√-d).
Una spiegazione completa delle connessioni tra la teoria degli ideali di un corpo quadratico e le forme quadratiche binarie è al di là degli scopi di questo articolo. Basterà dire che esiste una corrispondenza tra gli ideali di F e le forme quadratiche binarie. In questa corrispondenza gli ideali appartenenti alla stessa classe sono associati a forme quadratiche binarie che possono essere trasformate l'una nell'altra con un cambiamento lineare di variabili avente determinante 1. La corrispondenza fra ideali e forme quadratiche binarie fornisce un dizionario col quale è possibile tradurre i problemi concernenti le forme quadratiche binarie in problemi di teoria degli ideali e viceversa.
6. Corpi ciclotomici. - Benché lo studio iniziale dell'aritmetica dei corpi ciclotomici fosse stato motivato dall'interesse per l'ultimo teorema di Fermat, si è poi compreso che i corpi ciclotomici giocano un ruolo ben più intrinseco e fondamentale di quanto ci si sarebbe aspettati in un primo momento.
Il solo primo ramificato in F=???OUT-Q???(ζ), ζ=cos(2π/p)+i sen (2π/p), è p. Infatti, pℴF=Pp-1. Una legge esplicita di decomposizione dei primi è data nel modo seguente: se f è il più piccolo intero positivo tale che qf≡1(mod p), dove q è un primo non divisibile per p, allora:
qℴF=P1 ... Pg, g=(p−1)/f.
In particolare, se q e q′ sono due primi tali che q≡q′(mod p), allora q e q′ si fattorizzano nello stesso modo in ℴF. Così, come nel caso dei corpi quadratici, tutti i primi che stanno nella stessa progressione aritmetica (in questo caso modulo p) si fattorizzano nello stesso modo.
I numeri di classi dei corpi ciclotomici sono stati considerati per la prima volta da Kummer nel suo lavoro sull'ultimo teorema di Fermat. L'argomento di Kummer dimostra che xp+yp=zp non ha soluzioni intere non nulle purché hF non sia divisibile per p. Tali primi p sono chiamati ‛regolari' . Kummer congetturò l'esistenza d'infiniti primi regolari, cosa che non è stata ancora dimostrata. D'altra parte è noto che esistono infiniti primi irregolari. In base ad argomenti probabilistici e dati empirici, si è congetturato che una percentuale e-1/2 di primi è regolare, ma questi argomenti rimangono a livello euristico.
Usando vari test di regolarità, come quelli dovuti a E. Kummer, D. H. Lehmer e H. Vandiver, è stato possibile verificare l'ultimo teorema di Fermat per molti valori speciali di n; a tutt'oggi è noto che esso vale per n≤125.000.
Sia F0=???OUT-Q???(ζ+ζ-1). Allora il numero di classi h0 di F0 divide hF, sicché h1=hF/h0 è un intero. I numeri h1 e h0 sono chiamati, rispettivamente, il ‛primo fattore' e il ‛secondo fattore' del numero di classi hF. Un primo p è regolare se e solo se p non divide h0. Si sa interpretare meglio il secondo fattore che il primo fattore. Per es., è noto che h1 tende rapidamente all'infinito con p. Quindi esistono solo un numero finito di corpi ciclotomici aventi numero di classi assegnato. Un recente risultato di H. Montgomery e J. Masley afferma che se p>19 risulta h1>1.
d) Teoria del corpo di classi.
Uno dei più significativi problemi non risolti della teoria algebrica dei numeri è quello di determinare una legge di reciprocità che descriva come un primo p si decomponga in un arbitrario corpo di numeri algebrici F. Uno dei maggiori risultati della teoria dei numeri in questo secolo è stato lo sviluppo della ‛teoria del corpo di classi', che fornisce una legge di reciprocità nel caso in cui F sia una estensione di Galois abeliana del corpo razionale ???OUT-Q???.
1. Teoria del corpo di classi su ???OUT-Q???. - Le estensioni di Galois abeliane di ???OUT-Q??? sono descritte dal teorema di Kronecker-Weber: ogni estensione di Galois abeliana F di ???OUT-Q??? è contenuta in un corpo ciclotomico
Se il più piccolo corpo ciclotomico contenente F è
γ è chiamato il ‛conduttore' di F.
Teorema: i primi che dividono il conduttore γ sono esattamente i primi che si ramificano in F.
Quanto alla fattorizzazione dei primi in F, supponiamo che p sia un primo non ramificato. Allora è possibile costruire un elemento [(F/???OUT-Q???/p] del gruppo di Galois di F su ???OUT-Q??? con la seguente proprietà: se pℴF=P1 ... Pg e f1=...=fg=f, allora [(F/???OUT-Q???/p] ha ordine f. [(F/???OUT-Q???/p] è chiamato ‛simbolo di Artin' (o ‛automorfismo di Frobenius'). La conoscenza dell'ordine del simbolo di Artin ci consente di dire come p si decompone in F. Nel caso particolare F=???OUT-Q???(√-d), il simbolo di Artin [(F/???OUT-Q???/p] si può identificare in modo naturale col simbolo di Legendre.
Il teorema fondamentale sul simbolo di Artin è la seguente lungimirante generalizzazione della legge di reciprocità quadratica.
Legge di reciprocità di Artin: il simbolo di Artin dipende solo dalla progressione aritmetica modulo γ cui p appartiene. In altre parole, due primi che appartengono alla stessa progressione aritmetica modulo il conduttore si decompongono nello stesso modo in F.
2. Teoria del corpo di classi su un corpo arbitrario. - Partendo da un arbitrario corpo di numeri algebrici F0, è possibile costruire una descrizione esplicita delle sue estensioni di Galois abeliane. Esiste cioè una corrispondenza biunivoca tra certi sottogruppi del cosiddetto ‛gruppo idele' di F0 e le estensioni di Galois abeliane. Inoltre esiste una corrispondenza naturale tra l'aritmetica di una estensione abeliana e le proprietà algebriche del sottogruppo corrispondente. In particolare è possibile descrivere il gruppo di Galois dell'estensione in termini del sottogruppo corrispondente in modo tale che, nel caso F0 =???OUT-Q???, il risultato è essenzialmente la legge di reciprocità di Artin descritta sopra.
Una recente conquista della teoria del corpo di classi è la soluzione negativa del problema di Hilbert sulla torre del corpo di classi da parte dei matematici russi E. S. Golod e I. Shafarevich nel 1964. Per gran parte del XX secolo si è sospettato che ogni corpo di numeri algebrici sia contenuto in un corpo di numeri algebrici avente numero di classi 1. A dispetto di considerevoli indicazioni nella direzione della tesi suddetta, Golod e Shafarevich hanno fornito un procedimento generale per le costruzioni di controesempi. Uno di essi è ???OUT-Q???(√-−-3-0-0-3-0).
Un altro classico problema nella cui soluzione sono stati compiuti recenti progressi è il seguente: sia G un gruppo finito assegnato. Esiste un corpo di numeri algebrici F, estensione di Galois di ???OUT-Q???, tale che il suo gruppo di Galois sia G? Se G è abeliano, la risposta è positiva ed è facile dimostrarlo. Shafarevich, nel 1954, ha mostrato che la risposta è ugualmente affermativa nel caso in cui G sia un gruppo risolubile. Il problema, nel caso generale, è tuttora aperto.
3. Teoria analitica dei numeri.
a) Distribuzione dei primi.
L'esistenza di infiniti primi era già nota agli antichi Greci e una corretta dimostrazione di questo fatto si trova negli Elementi di Euclide. Tuttavia, la teoria moderna ha inizio con la dimostrazione di Eulero che è la seguente: supponiamo che esista solo un numero finito di primi p1, ..., pN. Formiamo il prodotto
Per il teorema fondamentale dell'aritmetica, lo sviluppo del prodotto a destra contiene tutte le frazioni 1/n una e una sola volta. Ne segue che
il che è impossibile, in quanto la serie a secondo membro diverge. Pertanto esistono infiniti primi.
L'argomento di Eulero suggerisce una connessione tra la teoria della distribuzione dei primi e il comportamento della funzione
per s=1. Questa osservazione è il punto di partenza della teoria analitica dei numeri. La serie che definisce ζ(s) converge assolutamente per tutti gli s complessi aventi parte reale >1 ed è analitica per tali s. Con un ragionamento simile a quello di Eulero si può mostrare che:
dove il prodotto è esteso a tutti i primi. La funzione ζ(s) è chiamata ‛funzione zeta di Riemann' e la rappresentazione (12) è chiamata ‛rappresentazione tramite il prodotto euleriano'.
Le proprietà analitiche di ζ(s), come le connessioni profonde con la teoria della distribuzione dei primi, furono esplorate dal matematico tedesco B. Riemann nel 1859. Riemann dimostrò che ζ(s) può essere prolungata analiticamente all'intero piano complesso come funzione meromorfa tale che ζ(s)−1/(s−1) è intera. Inoltre, se R(s)=π-s/2Γ(s/2)ζ(s), Γ(s)=funzione gamma, R(s) ha poli solo per s=0, 1 e
R(s)=R(1−s). (13)
L'equazione (13) è nota come l'‛equazione funzionale' di ζ(s). Essa implica molte delle più profonde proprietà della funzione zeta.
Dalla rappresentazione mediante il prodotto euleriano segue che ζ(s)≠0 per Re(s)>1. Da questo fatto, dall'equazione funzionale e dal fatto che Γ(s) ha poli semplici per tutti gli interi negativi è facile dedurre che i soli zeri di ζ(s) per Re(s)〈0 sono s=−2, −4, −6, −8, ... . Quindi tutti gli zeri diversi da questi ‛zeri banali' stanno nella cosiddetta ‛striscia critica' 0≤Re(s)≤1. A proposito degli zeri non banali, Riemann formulò la seguente celebre congettura.
Tutti gli zeri non banali di ζ(s) si trovano sulla linea Re(s)=1/2 (ipotesi di Riemann).
Nonostante gli intensi sforzi da parte di un gran numero di ricercatori, l'ipotesi di Riemann rimane non dimostrata a più di un secolo dalla sua formulazione e non sembra molto probabile che possa essere dimostrata nel prossimo futuro.
Per capire la connessione tra l'ipotesi di Riemann e la distribuzione dei primi è opportuno servirsi delle funzioni ϑ(x) e ψ(x), introdotte dal matematico russo Čebyšev nel 1852. Per x≥1, siano
Čebyšev, usando un argomento di natura elementare, mostrò nel 1852 che il teorema dei numeri primi è equivalente tanto all'una quanto all'altra delle due seguenti espressioni:
In genere è più conveniente dimostrare la seconda. La connessione tra ζ(s) e ψ(x) è la seguente: dalla rappresentazione mediante il prodotto euleriano, un calcolo formale mostra che, per Re(s)>1, vale la seguente formula:
Quindi un semplice calcolo dei residui comporta che
Spostando la linea di integrazione nella (14) a sinistra, l'integrale rimane invariato, eccetto che per la somma dei residui dell'integrando relativi ai poli attraversati; questi si hanno per s=0, −2, −4, −6, −8, ... e per tutti gli zeri non banali e della funzione zeta. Il calcolo dei residui fornisce la seguente ‛formula esplicita di Riemann':
dove l'ultima somma è fatta su tutti gli zeri non banali di ζ(s). La formula (15) mostra chiaramente la connessione tra la distribuzione dei primi e gli zeri della funzione zeta. Il teorema dei numeri primi è equivalente all'espressione:
In realtà la connessione tra la distribuzione dei primi e gli zeri della funzione zeta è anche più forte di quanto si ricavi dall'ultima equazione. Scriviamo
dove E(x) è un termine di errore. Supponiamo che ζ(s) non abbia zeri nel semipiano Re(s)>δ(≥1/2). Allora si può mostrare che
∣E(x)∣〈cxδ log2 x, (16)
per qualche costante c indipendente da x. Viceversa, se vale una stima del tipo (16), si può dedurre che ζ(s) non ha zeri per Re(s)>δ. In particolare l'ipotesi di Riemann è equivalente alla seguente stima dell'errore:
∣E(x)∣〈cx1/2 log2 x. (17)
Due matematici francesi, J. Hadamard e C. de la Vallée Poussin, hanno fornito indipendentemente, nel 1896, la prima dimostrazione del teorema dei numeri primi. Essi lo hanno dedotto dal fatto che è possibile costruire piccole regioni nella striscia critica in cui ζ(s) non ha zeri. Invece della stima (17) essi hanno maggiorato l'errore come segue:
∣E(x)∣〈cxe-d(log x)1/14,
ove c e d sono costanti indipendenti da x. Sono stati fatti notevoli sforzi per migliorare la stima dell'errore. Attualmente la stima migliore è dovuta a I. M. Vinogradov e V. Korobov, i quali, usando stime alquanto delicate per le somme trigonometriche, hanno ottenuto:
∣E(x)∣〈cxe-d(log x)3/5,
Per circa mezzo secolo le sole dimostrazioni note del teorema dei numeri primi si basavano su metodi di variabile complessa. Nel 1948, invece, Selberg e Erdös ne hanno dato delle dimostrazioni elementari (cioè che non utilizzano la variabile complessa). Benché queste dimostrazioni non facciano uso della variabile complessa, esse sono assai complicate dal punto di vista tecnico. In un primo momento le dimostrazioni elementari fornivano una stima dell'errore più debole di quelle derivate da tecniche di variabile complessa. Tuttavia, dopo un certo numero di dimostrazioni elementari dovute a vari matematici, H. Diamond e I. Steinig ne hanno trovato una con termine di errore uguale a quello ottenuto da Vinogradov e Korobov.
Molte questioni delicate concernenti i primi sono suggerite da osservazioni empiriche. Per es., si è pensato per un certo tempo che per ogni x valesse la disuguaglianza π(x)〈Li(x). Il matematico inglese I. E. Littlewood ha mostrato invece che la disuguaglianza è falsa per qualche x, anche se fino a oggi non si conosce il più piccolo x con questa proprietà.
Uno studio molto attento è stato dedicato alla distanza tra due primi consecutivi. L'evidenza numerica suggerisce l'esistenza d'infinite coppie di primi consecutivi, cioè del tipo (p, p+2), ma non si sa se ciò sia vero o meno. Un risultato classico del tutto elementare, noto come ‛postulato di Bertrand', asserisce che, per ogni x≥1, esiste un primo tra x e 2x. Sono state condotte molte ricerche per migliorare questo teorema. Attualmente il risultato migliore è dovuto a H. Montgomery e asserisce che per ogni ε>0 esiste x0=x0(ε) tale che, per ogni x≥x0, vi è un primo tra x e x+x3/5+ε.
b) Primi nelle progressioni aritmetiche.
Siano l e k interi. Affinché la progressione aritmetica
l, l+k, l+2k, ... (18)
contenga infiniti primi, è necessario che l e k siano ‛primi tra loro', cioè che l e k non abbiano fattori comuni maggiori di 1. Indichiamo con l1, ..., lt gli interi tra 0 e k primi con k. Allora tutti i primi eccetto un numero finito sono contenuti nelle t progressioni aritmetiche:
lj, lj+k, lj+2k, ... (j=1, ..., t). (19)
Il numero t di tali progressioni è una funzione di k, indicata con ϕ(k) e chiamata ‛funzione' ϕ di Eulero'.
Le prime congetture sui primi nelle progressioni aritmetiche sono state fatte da Legendre nel 1808. Egli congetturò che ognuna delle progressioni (19) contenesse infiniti primi. In effetti egli congetturò che i primi fossero distribuiti uniformemente nelle ϕ(k) progressioni nel senso seguente: indichiamo con π(x, l, k) il numero dei primi p≤x nella progressione (18). Allora π(x, l, k) è approssimativamente
dove l'approssimazione significa che
La formula (20) è nota come ‛teorema dei numeri primi per le progressioni aritmetiche' e contiene il teorema dei numeri primi come caso speciale per k=1.
L. Dirichlet ha mostrato per primo nel 1837 che ogni progressione (19) contiene infiniti primi. La formula (20) è stata dimostrata da de la Vallée Poussin nel 1896.
Per studiare la distribuzione dei primi in una progressione aritmetica s'introduce una serie di funzioni analitiche, chiamata serie L di Dirichlet, che generalizza la funzione zeta di Riemann. Un ‛carattere modulo k' è una funzione χ definita sugli interi tale che: a) χ(n)=χ(m) se n≡m(mod k); b) χ(nm)=χ(n)χ(m) per ogni n, m; c) ∣χ(n)∣=1 se n è primo con k; d) χ(n)=0 se n non è primo con k. Esistono ϕ(k) caratteri distinti modulo k. A ognuno di questi caratteri χ è associata una serie L di Dirichlet L(s, χ):
Se k =1 e χ è l'unico carattere modulo 1 che è identica- mente 1, allora L(s, χ) è la funzione zeta di Riemann. In generale L(s, χ) si rappresenta mediante il seguente prodotto euleriano:
dove il prodotto è esteso a tutti i primi.
È possibile sviluppare una teoria della serie L di Dirichlet esattamente parallela alla teoria della funzione zeta di Riemann. Una serie L di Dirichlet ha un prolungamento analitico, un'equazione funzionale e un'ipotesi di Riemann. L'analogo del teorema dei numeri primi può essere dimostrato ed è il risultato (20). La precisione della stima 1/ϕ(k) Li(x) per π(x, l, k) dipende dalle posizioni degli zeri della serie L(s, χ).
c) La funzione zeta di Dedekind.
La funzione zeta di Riemann e la serie L di Dirichlet sono funzioni analitiche legate all'aritmetica degli interi ???OUT-Z???. Esistono funzioni corrispondenti legate all'aritmetica dell'anello degli interi di un arbitrario corpo di numeri F. L'analoga della funzione zeta di Riemann per F è chiamata ‛funzione zeta di Dedekind', definita come segue: per ogni ideale A di ℴF indichiamo con NA il numero di elementi nell'anello quoziente (finito) ℴF/A. Allora la funzione zeta di Dedekind ζF(s) è data dalla serie
dove la somma è estesa a tutti gli ideali di ℴF. Allora ζF(s) si rappresenta mediante un prodotto euleriano esteso a tutti gli ideali primi di ℴF:
La funzione zeta di Dedekind ha un prolungamento analitico, un'equazione funzionale e un'ipotesi di Riemann; ha inoltre un polo semplice in s=1 avente per residuo una funzione dei vari invarianti di K, precisamente:
dove RF è il cosiddetto regolatore di F, un certo determinante formato a partire dai logaritmi delle unità di F, e wF indica il numero delle radici dell'unità in F.
Molte informazioni aritmetiche intorno a F possono essere ottenute da uno studio di ζF(s). Per es., se F è una estensione di Galois abeliana, si può usare la legge di decomposizione dei primi in F per esprimere ζF(s) come prodotto di serie L di Dirichlet. Da questa rappresentazione derivano alcune conseguenze, fra cui una formula esplicita per il numero di classi hF. Questa formula ha originato molte interessanti ricerche.
d) Progressi nella direzione dell'ipotesi di Riemann.
Indichiamo con T un numero positivo e con N(T) il numero di zeri ρ=α+it della funzione zeta di Riemann, dove 0≤α≤1, 0≤t≤T. Riemann congetturò che, per qualche costante c indipendente da T,
Questo fatto è stato provato dal matematico tedesco von Mangoldt nel 1901 e significa che ci sono all'incirca (1/2π)T log T zeri di ζ(s) nella striscia critica, con ordinata compresa tra −T e T. Indichiamo con N0(T) il numero di tali zeri che in più stanno sulla linea Re(s)=1/2. L'ipotesi di Riemann equivale ad asserire che N(T)=N0(T). Pertanto, sulla base dell'ipotesi di Riemann, N0(T) è asintoticamente (1/2π)T log T.
In questo secolo si è fatto molto lavoro per determinare l'esatto ordine di grandezza di N0(T). Nel 1914 G. H. Hardy ha mostrato che N0(T) tende all'infinito quando T tende all'infinito. In altre parole, esistono infiniti zeri di ζ(s) sulla linea Re(s)=1/2. Nel 1921 Hardy ha poi mostrato che N0(T)>AT per una costante A indipendente da T. Questo risultato è stato migliorato in modo sostanziale da A. Selberg che, nel 1944, ha dimostrato che N0(T)>AT log T. In altre parole, almeno una parte, 2πA, degli zeri di ζ(s) si trovano dove l'ipotesi di Riemann indica debbano essere. Nel 1974, Levinson, migliorando il metodo di Selberg, ha dimostrato che:
cioè che almeno un terzo degli zeri sono dove si suppone che siano.
Sembra probabile che ulteriori miglioramenti nella determinazione della costante saranno compiuti in futuro.
È stato fatto un notevole lavoro numerico per quanto riguarda gli zeri di ζ(s) per mezzo di calcolatori ad alta velocità e sono state controllate numerose conseguenze numeriche dell'ipotesi di Riemann. Fino a oggi sono stati calcolati oltre 67 milioni di zeri di ζ(s). Nessun risultato numerico ha dato luogo a fatti inconsistenti con l'ipotesi di Riemann, benché attualmente alcuni matematici dubitino della sua validità.
Uno dei motivi dell'importanza dell'ipotesi di Riemann (per ζ(s) o una sua generalizzazione) è il fatto che molte affermazioni di natura aritmetica possono essere dimostrate, almeno fino a oggi, soltanto usando l'ipotesi di Riemann. Per citare un esempio, si consideri la congettura di Artin sulla radice primitiva. Un intero a si dice ‛radice primitiva modulo il primo p' se il più piccolo intero k tale che ak≡1(mod p) è k=p−1. Gauss congetturò l'esistenza di infiniti primi p tali che 10 sia una radice primitiva modulo p. E. Artin nel 1927 ha generalizzato questa congettura come segue: per ogni intero a≠−1 che non è un quadrato perfetto esistono infiniti p tali che a sia una radice primitiva modulo p. Questa congettura non è stata dimostrata per tutti gli a. Tuttavia, C. Hooley, nel 1967, ha dimostrato che la congettura è vera assumendo l'ipotesi di Riemann per tutte le funzioni zeta di Dedekind.
In anni recenti ci sono stati molti tentativi tesi a dimostrare delle forme approssimative o di media dell'ipotesi di Riemann. Tali risultati derivano in genere da disuguaglianze che forniscono stime importanti per i polinomi trigonometrici, note col nome collettivo di ‛crivello largo', introdotto dal teorico dei numeri russo Yu. V. Linnik. Tipici risultati dicono che la maggior parte degli zeri di ζ(s) (o della serie L) stanno vicini alla linea Re(s)=1/2. E. Bombieri e A. I. Vinogradov hanno usato il crivello largo per dimostrare che, almeno in media, il teorema dei numeri primi per le progressioni aritmetiche vale con un termine di errore che è quello che discende dall'ipotesi di Riemann.
4. La teoria dei numeri irrazionali.
a) Origini della teoria.
Un numero irrazionale è un numero che non è razionale, cioè che non è della forma p/q, p, q interi, q≠0. Esempi di numeri irrazionali sono:
√-2, 5√-5, √-2 + √-7, π, e.
I primi tre esempi sono numeri algebrici; π ed e, invece, non lo sono.
In altre parole π ed e non sono radici di nessuna equazione algebrica a coefficienti razionali. Numeri siffatti sono chiamati ‛trascendenti'. Un ramo della teoria dei numeri si occupa dello studio delle proprietà dei numeri irrazionali. Tra i principali problemi considerati figurano: 1) quali numeri irrazionali siano trascendenti e quali algebrici; 2) fino a che punto si possano approssimare i numeri irrazionali con i razionali. Risulta che tali questioni hanno uno stretto legame con l'aritmetica degli interi e dei corpi di numeri algebrici.
L'esistenza dei numeri irrazionali era già nota agli antichi Greci, i quali avevano incontrato numeri come √-2 in problemi geometrici. La presenza dei numeri irrazionali, nella matematica antica, assume particolare risalto nei tre problemi irrisolubili di costruzione della geometria greca. Precisamente i Greci si proposero di eseguire le seguenti costruzioni usando solo riga e compasso: 1) trisezione di un angolo assegnato α; 2) costruzione di un cubo di volume doppio rispetto a quello di un cubo assegnato; 3) costruzione di un quadrato di area uguale a quella di un cerchio assegnato. Questi problemi sono equivalenti alla costruzione di segmenti di lunghezza
rispettivamente. Ora, è possibile dimostrare che questi segmenti non sempre possono essere costruiti usando solo riga e compasso, sicché le costruzioni 1-3 sono impossibili.
Un criterio, dovuto a É. Galois, per la costruibilità di un numero complesso β (visto come vettore nel piano) è il seguente: β è costruibile con riga e compasso se e solo se a) β è algebrico e b) deg(???OUT-Q???(β)) è una potenza di 2. Poiché deg(???OUT-Q???(cos(2π/9)))=3, l'angolo α=2π/3 non può essere trisecato. Inoltre, deg(???OUT-Q???(3√-2))=3 e quindi il numero 3√-2 non può essere costruito e pertanto non è possibile duplicare il cubo. Infine √-π non è costruibile, in quanto π, e quindi √-π, è trascendente.
b) Numeri trascendenti.
Un numero irrazionale può essere bene approssimato dai razionali come mostra il seguente risultato.
Teorema di Dirichlet: sia α un numero irrazionale. Allora esiste una successione infinita di numeri razionali p/q, q>0 tale che:
D'altra parte, i numeri algebrici non possono essere approssimati troppo bene.
Teorema di Liouville: sia α un numero algebrico di grado n. Allora esiste una costante c, dipendente da α, tale che per ogni numero razionale p/q, q>0, risulta:
Quindi se un numero irrazionale è approssimabile troppo bene mediante i razionali, allora è necessariamente trascendente. Liouville usò questa idea nel 1844 per dare i primi esempi di numeri trascendenti. Un esempio tipico è
Il matematico tedesco G. Cantor dimostrò che i numeri algebrici formano un insieme numerabile, cioè che possono essere messi in corrispondenza biunivoca con gli interi. Egli dimostrò anche che i reali e i complessi, al contrario, non sono numerabili. Quindi, la maggior parte dei numeri complessi è trascendente. Tuttavia per decidere se un dato numero è o no trascendente è necessario ricorrere ad argomenti tortuosi e complicati.
Hermite nel 1873 dimostrò la trascendenza di e, segnando così l'inizio della moderna teoria dei numeri trascendenti. La trascendenza di π è più complicata ed è stata dimostrata per la prima volta da Lindemann nel 1882, generalizzando i metodi di Hermite. Lindemann in realtà andò più in là, dimostrò un teorema generale da cui segue la trascendenza di e, di π e di molti altri numeri.
Nel 1900 il matematico tedesco D. Hilbert, parlando al congresso internazionale, pose una serie di 23 problemi matematici destinati ai matematici del XX secolo. Negli ultimi 75 anni i problemi proposti da Hilbert hanno costituito la base di una quantità incredibile di ricerche ed è possibile contrassegnare i progressi della matematica del nostro secolo a seconda del numero di problemi di Hilbert che sono stati risolti. Il settimo problema di Hilbert era di determinare se 2√-2 è trascendente. Hilbert pensava che questo problema fosse fuori della portata della matematica del tempo e molto più difficile dell'ipotesi di Riemann e dell'ultimo teorema di Fermat; invece in meno di 30 anni si è data a questo problema una risposta affermativa, mentre gli altri due sono ancora aperti. Il fatto che 2√-2 è trascendente segue dal teorema di GelfondSchneider, dimostrato dai due indipendentemente nel 1934.
Teorema: siano α e β numeri algebrici, α≠0, 1, β irrazionale. Allora αβ è trascendente.
Una formulazione alternativa del teorema di Gelfond-Schneider è la seguente.
Teorema: siano α1, α2, β1, β2, algebrici con α1≠0, α2≠0 e log β1, log β2 linearmente indipendenti su ???OUT-Q???. Allora:
α1 log β1+α2 log β2≠0.
È naturale attendersi che quest'ultimo teorema si generalizzi al caso di n numeri algebrici; tale generalizzazione è stata cercata a lungo ed è stata finalmente dimostrata da A. Baker nel 1966.
Teorema (Baker): siano α0, ..., αn, β1, ..., βn numeri algebrici; supponiamo che non tutti gli α1 siano uguali a 0 e che log β1, ..., log βn siano linearmente indipendenti su ???OUT-Q???. Allora:
α0+α1 log β1+...+αn log βn≠0.
Come conseguenza del teorema di Baker si possono facilmente dedurre i seguenti risultati di trascendenza.
Corollario 1: eβ0 α1β1 ... αnβn è trascendente per α1, ..., αn, β0, ..., bn numeri algebrici non nulli.
Corollario 2: α1β1 ... αnβn è trascendente per qualsiasi scelta di α1, ..., αn, algebrici diversi da 0 e da 1 e β1, ..., βn algebrici con 1, β1, ..., βn linearmente indipendenti su ???OUT-Q???.
Per quanto attualmente si sappiano molte cose sui numeri trascendenti, anche questioni formulate in modo semplice sembrano sfidare l'eventuale soluzione. È noto che eπ è trascendente, ma il problema riguardante πe è ancora aperto.
c) Approssimazione dei numeri irrazionali.
Nel 1909 il matematico norvegese Thue dimostrò il seguente miglioramento del risultato di approssimazione di Liouville.
Teorema: sia α un numero algebrico di grado n>1. Allora, per ogni k>(1/2)n +ε, esiste una costante c, dipendente da α e da ε, tale che, per k>2,
per tutti i numeri razionali p/q, q>0.
Questo risultato ha un'immediata applicazione alle equazioni diofantee.
Teorema: sia f(x, y) un polinomio irriducibile a coefficienti interi:
f(x, y)=a0xn+a1xn-1y+a2xn-2y2+...+anyn, n≥3.
Allora, per ogni intero m, l'equazione diofantea
f(x, y)=m
ha soltanto un numero finito di soluzioni.
Sfortunatamente la costante c del teorema di Thue non può essere calcolata mediante i suoi argomenti, quindi, pur dimostrando che l'equazione diofantea f(x, y)=m ha solo un numero finito di soluzioni, Thue non fu in grado di fornire alcun metodo per determinarle esplicitamente. Solo di recente, in primo luogo in virtù del lavoro di Baker (estensione delle idee utilizzate nella dimostrazione dei teoremi di trascendenza citati sopra), è stato possibile ottenere un algoritmo finito per calcolare le soluzioni. Il metodo di Baker fa uso di varie minorazioni per
∣α1 log β1+...+αn log βn∣
quando α1, ..., αn sono numeri algebrici non tutti nulli e log β1, ..., log bn sono logaritmi di numeri algebrici, linearmente indipendenti su ???OUT-Q???. Tali minorazioni comportano metodi per la soluzione di altre equazioni diofantee in un numero finito di passi. Per collocare tali risultati nel loro contesto naturale è opportuno riferirsi a un altro dei problemi di Hilbert.
Al decimo posto nella lista di Hilbert c'è il problema di fornire un algoritmo per determinare, con un numero finito di calcoli, se una certa equazione diofantea ha soluzione. Nel 1970 Matijaševič, basandosi sul lavoro di J. Robinson, H. Putman e M. Davis, ha dimostrato che un tale algoritmo non esiste. La soluzione del decimo problema di Hilbert si appoggia sostanzialmente su metodi di logica matematica. Tuttavia i risultati di Baker danno algoritmi del tipo voluto, sia pure per delle classi ristrette di equazioni diofantee. Alcune delle classi trattate da Baker sono le equazioni di Bachet
y2=x3+k
o, più in generale, le equazioni iperellittiche
y2=f(x),
con f(x) polinomio irriducibile di grado ≥3 a coefficienti interi.
Pure conseguenza dei metodi di Baker è la soluzione del problema di determinare tutti i corpi quadratici immaginari aventi numero di classi 1 e 2, di cui si è parlato prima.
Un notevole miglioramento del teorema di Thue è stato stabilito da Roth nel 1955.
Teorema: sia α un numero algebrico di grado n>1. Allora, per ogni k>2, esiste una costante c, dipendente da α e da k, tale che:
per tutti i numeri razionali p/q.
Nel 1972 W. Schmidt ha generalizzato il risultato di Roth al caso di approssimazioni simultanee.
Teorema: siano α1, ..., αn numeri algebrici tali che 1, α1, ..., αn siano linearmente indipendenti su ???OUT-Q???. Sia k>1+1/n. Allora esiste una costante c, dipendente da α1, ..., αn e da k, tale che:
per tutti i numeri razionali p/q. Il teorema di Schmidt ha molte conseguenze significative, in particolare per le equazioni diofantee. Una ‛forma-norma' e un polinomio omogeneo a coefficienti interi, irriducibili su ???OUT-Q???, che si fattorizza sui complessi in prodotto di fattori lineari a coefficienti algebrici. Sia f(x1, ..., xn) una tale forma-norma. Allora, come conseguenza del teorema di Schmidt, è possibile dedurre un criterio per stabilire se l'equazione diofantea
f(x1, ..., xn)=m
ha un numero finito o infinito di soluzioni.
5. La teoria delle funzioni automorfe.
La teoria della distribuzione dei primi non è la sola connessione tra teoria dei numeri e funzioni di una variabile complessa. Un'altra profonda connessione esiste per tramite della teoria delle funzioni automorfe. Queste funzioni, introdotte per la prima volta da Gauss e Jacobi, implicano molti fatti di natura aritmetica, principalmente intorno alle equazioni diofantee e alla teoria del corpo di classi.
a) Funzioni ellittiche modulari.
Indichiamo con Γ il gruppo delle matrici 2×2 con elementi interi e determinante 1. Γ è chiamato ‛gruppo modulare ellittico'. Indichiamo con ???OUT-H???, il semipiano superiore complesso, cioè l'insieme di tutti i numeri complessi x+iy, x, y reali, y>0. Se
è in Γ, γ può agire su ???OUT-H??? nel modo seguente:
Una ‛forma automorfa di peso k per Γ' è una funzione f(z) definita per z in ???OUT-H???, tale che:
b) f(z) è olomorfa in ???OUT-H???;
c) f(z) ha uno sviluppo di Fourier del tipo:
Le forme automorfe compaiono in modo naturale nella teoria delle funzioni ellittiche. Siano w1, w2 numeri complessi tali che w1/w2 appartiene ad ???OUT-H???. Allora un esempio di funzione ellittica con periodi primitivi w1, w2 è la p-funzione di Weierstrass, definita da:
Sia p(z) la derivata di p(z). Allora p(z) soddisfa l'equazione differenziale:
(p′)2=4p3−g2p−g3,
dove
Le funzioni g2, g3, disomogeneizzate, danno luogo a forme automorfe; in altre parole, le funzioni
della variabile z=w2/w1 sono forme automorfe di peso 4 e 6, rispettivamente, per Γ. In effetti E4 e E6 sono casi speciali di forme automorfe dette ‛serie di Eisenstein'. Sia k un intero >1. Allora la serie di Eisenstein E2k(z) è definita da:
E2k(z) è una forma automorfa di peso 2k per Γ. Il suo sviluppo di Fourier è dato da:
(a∣b significa a divide b).
Un'altra importante forma automorfa è data dalla funzione Δ di Dedekind:
che è una forma automorfa di peso 12 per Γ.
Per non escludere alcune delle più interessanti forme automorfe occorre permettere che Γ sia sostituito da un sottogruppo. Inoltre è necessario sostituire la proprietà a) della definizione con la seguente:
a′) f(y(z))(cz+d)-k=ε(y)f(z), ∣ε(y)∣=1.
Una forma automorfa che suggerisce tale generalizzazione è la funzione:
che è una forma automorfa di peso 1/2 per Γ e per la quale ε(γ) è una complicata radice 24-esima dell'unità. Un'altra è la funzione ϑ di Jacobi:
che è una forma automorfa per un certo sottogruppo di Γ. Qui ε(γ) è una radice ottava dell'unità collegata strettamente con la legge di reciprocità quadratica; il peso è 1/2.
b) Applicazioni alla teoria dei numeri.
Molte delle applicazioni della teoria delle funzioni automorfe alla teoria dei numeri discendono da due principî basilari. Il primo è che i coefficienti di Fourier di forme automorfe sono spesso quantità interessanti dal punto di vista aritmetico. Ecco alcuni esempi.
1. Sia k≥11 e sia rk(n) il numero di rappresentazioni di n come somma di k quadrati. In altre parole, sia rk(n) il numero di k-uple (x1, ..., xk) di interi tali che:
x1, ..., xk
Moltiplicando formalmente le serie infinite, è facile vedere che:
2. Indichiamo con p(n) il numero di partizioni di n. Allora p(n) è il numero di rappresentazioni di n come somma di interi positivi. Per esempio, p(5)=7, in corrispondenza delle 7 rappresentazioni:
5=4+1=3+2=3+1+1=2+2+ 1=
=2+1+1+1=1+1+1+1+1.
È possibile mostrare che:
3. Scriviamo lo sviluppo di Fourier di Δ(z):
Allora π(n) è chiamata funzione π di Ramanujan e ha molte interessanti e profonde proprietà aritmetiche.
Il secondo principio basilare è che le forme automorfe di peso k formano uno spazio vettoriale complesso di dimensione finita. Quindi, se si è in grado di trovare esplicitamente una base di questo spazio vettoriale, sarà possibile, esprimendo una forma automorfa f in termini di tale base, calcolare i coefficienti di Fourier di f in termini dei coefficienti di Fourier delle forme della base. Daremo ora due identità tra le forme automorfe derivate dal secondo principio basilare. Entrambe compaiono in Fundamenta nova di Jacobi del 1829. Sia q=e2πiz. Allora:
Sviluppando entrambi i membri delle due identità in serie di potenze di q e confrontando i coefficienti si ottengono i seguenti risultati.
Teorema 1:
Teorema 2:
Se nel teorema 1 si pone n =p=primo dispari, risulta che:
r2(p)=4(1+(−1)(p-1)/2).
Pertanto un primo dispari è esprimibile come somma di due quadrati se e solo se p≡1(mod 4) e, in questo caso, in esattamente otto modi distinti. Questo è il teorema di Fermat dei due quadrati.
Osservando che nel teorema 2 l'addendo d=1 è sempre presente, si vede che r4(n)>0, cioè ogni intero positivo è somma di quattro quadrati. Questo è il teorema di Lagrange.
Questi risultati sono chiaramente indicativi del tipo di conseguenze della teoria delle funzioni automorfe per le equazioni diofantee.
Sono state fatte molte ricerche sulla natura dei coefficienti dello sviluppo di Fourier di forme automorfe. G. H. Hardy, J. E. Littlewood e S. Ramanujan hanno introdotto il ‛metodo del cerchio', che è una tecnica per approssimare tali coefficienti. Un tipico risultato è la loro formula asintotica per p(n):
Questa stima è stata raffinata in formula esatta per p(n) in termini di una serie infinita di funzioni di Bessel da H. Rademacher nel 1937. Sulla base dell'evidenza numerica, Ramanujan congetturò che, per ogni ε>0, esista una costante C=C(ε) tale che:
∣τ(n)∣〈Cn11/2+ε.
In particolare egli congetturò che per i primi p si abbia:
∣τ(p)∣〈2p11/2.
Questa congettura è molto profonda ed è stata dimostrata solo di recente da P. Deligne, nel 1974. Il suo significato è spiegato nel cap. 6.
c) Moltiplicazione complessa.
Il teorema di Kronecker-Weber (v. sopra, cap. 2, È d) asserisce che ogni estensione di Galois abeliana di ???OUT-Q??? è contenuta in un corpo ciclotomico ???OUT-Q???(ζ), ζ=e2πi/n. In altre parole, ogni estensione di Galois abeliana può essere scritta come ???OUT-Q???(α), dove α è uno speciale valore della funzione esponenziale. L. Kronecker, verso la metà del XIX secolo, congetturò che speciali valori di funzioni automorfe possano dar luogo a estensioni abeliane di corpi quadratici immaginari. Quest'idea è stata sviluppata verso la fine del secolo scorso da H. Weber e R. Fueter e più tardi da H. Hasse e M. Deuring, dando luogo alla teoria della ‛moltiplicazione complessa'.
Una ‛funzione automorfa per Γ' è una funzione meromorfa f(z) su ???OUT-H??? tale che
f(γ(z))=f(z), γ in Γ,
e inoltre con uno sviluppo di Fourier della forma
dove N può essere eventualmente negativo. Diamo qui un esempio di funzione automorfa. Siano w1, w2 numeri complessi tali che z=w1/w2 è in ???OUT-H???. Allora l'‛invariante modulare ellittico' j(z) è la funzione definita da:
(è facile vedere che g non è funzione di w1, w2 separatamente, ma funzione di z=w1/w2). Allora j(z) è una funzione automorfa. Inoltre ogni funzione automorfa è una funzione razionale di j(z).
Il significato aritmetico di j(z) è che per valori di z appartenenti a corpi quadratici immaginari, ma non a ???OUT-Q???, j(z) è un numero algebrico. Inoltre particolari valori di j(z) possono essere usati per generare estensioni abeliane di corpi quadratici immaginari.
Sia K un corpo quadratico immaginario, P un ideale primo di ℴK. Se L è un'estensione di Galois di K, allora PℴL, il più piccolo ideale di ℴL contenente P, può essere scritto come prodotto di potenze di ideali primi di ℴL:
PℴL=pei...pet.
Se e>1, P si dice ramificato nell'estensione L/K. In generale, t≤grado di L/K. Se t è uguale a questo grado, si dice che P si spacca completamente in L/K. Sia ℑ un ideale di ℴK, L un'estensione di Galois di K. Si dice che L è il ‛corpo di classi radiale' (ray class field) mod ℑ di K, indicato con Kℑ, se gli ideali primi P che si spaccano completamente in L/K sono esattamente quelli della forma P=aℴK, con α−1 in ℑ. Dalla teoria del corpo di classi segue che esiste uno e un solo corpo di classi radiale modulo ℑ. Inoltre, se KN indica il corpo di classi radiale per ℑ=NℴK, N intero positivo, allora ogni estensione abeliana di K è contenuta in KN per qualche N. Quindi il corpo di classi radiale generalizza le estensioni cicloto- miche di ???OUT-Q???. La teoria della moltiplicazione complessa indica come costruire K a partire da speciali valori di funzioni automorfe.
Il corpo di classi radiale Kℑ può essere caratterizzato come la massima estensione abeliana di K in cui si ramificano solo i primi che dividono ℑ. In particolare, se ℑ=ℴK, allora Kℑ è la massima estensione abeliana di K in cui nessun primo è ramificato. Questo particolare corpo di classi radiale è chiamato ‛corpo di classi di Hilbert' di K ed è indicato con Khil.
Se A è un ideale di ℴK, esistono w1, w2 in ℴK, tali che A consiste di tutti i numeri della forma xw1+yw2, con x, y in ???OUT-Z???. In questo caso si scrive A=[w1, w2]. Invertendo l'ordine di w1 e w2, se necessario, è sempre possibile supporre che w1/w2, appartenga a ???OUT-H???.
Teorema fondamentale della moltiplicazione complessa: sia K un corpo quadratico immaginario, A=[w1, w2] un ideale di ℴK, N un intero positivo:
a) Khil=K(j(w2/w1));
b) KN=K(j(w2/w1), fN1,0(w2/w1), fN2,0(w2/w1), ...,
fNN-1,N-1(w2/w1)),
dove fa,b è la cosiddetta funzione di Weber, data da
e dove si applicano definizioni simili di fNa,b(z), se g2(w1, w2)=0 oppure g3(w1, w2)=0.
Col suo dodicesimo problema Hilbert invitò i matematici a formulare una generalizzazione della teoria della moltiplicazione complessa che consentisse la costruzione di estensioni abeliane di ogni corpo di numeri K usando speciali valori di funzioni analitiche. Un primo tentativo di formulare una tale teoria è stato fatto da E. Hecke nel 1912, il quale si è occupato del caso in cui K è un corpo quadratico reale. In anni recenti si sono compiuti molti progressi su questa questione, dovuti principalmente a G. Shimura, il cui lavoro collega il problema della costruzione del corpo di classi con la teoria delle varietà abeliane di dimensione più alta.
d) Il lavoro di Hecke.
Il padre della teoria aritmetica moderna delle funzioni automorfe è E. Hecke, le cui ricerche costituiscono la base per gran parte del lavoro attuale sull'argomento.
Uno dei contributi di Hecke è la sua teoria delle funzioni zeta corrispondenti a forme automorfe: sia λ>0, k>0, γ=±1. Allora una funzione f(z), olomorfa su ???OUT-H???, si dice ‛forma automorfa di segnatura {λ, k, γ}' se:
a) f(z+λ)=f(z);
c) f ha uno sviluppo di Fourier della forma:
d) ∣f(u+iv)∣≤cv-k (v→0),
per delle costanti assolute, c>0, k>0, uniformemente per u negli intervalli finiti.
A una forma automorfa f(z) di segnatura {λ, k, γ} Hecke associò la funzione zeta
Hecke mostrò quindi che ϕ(s) ha un prolungamento analitico come funzione meromorfa di s, di ordine finito e il cui solo polo, semplice, è in s=k. Inoltre ϕ(s) soddisfa l'equazione funzionale
R(s)=γR(k−s),
dove
Hecke mostrò che, viceversa, a ogni siffatta funzione zeta ϕ(s) corrisponde una forma automorfa f(z) di segnatura opportuna. Inoltre, per ogni possibile segnatura, Hecke calcolò la dimensione dello spazio di forme automorfe. In certi casi la dimensione risulta essere 1, sicché la corrispondente funzione zeta è determinata unicamente dall'equazione funzionale, a meno della moltiplicazione per una costante non nulla.
In particolare, ϕ(z) è di segnatura {2, 1/2, 1} e corrisponde a ϕ(s)=2ζ(s). La dimensione dello spazio di forme automorfe di segnatura {2, 1/2, 1} è 1 e quindi ζ(s) è determinata unicamente dalla sua equazione funzionale, a meno della moltiplicazione per una costante non nulla. Questo risultato è dovuto a Hamburger.
La teoria di Hecke mostra che, almeno in una certa misura, funzioni zeta e forme automorfe sono come i due lati di uno stesso angolo. Esaminando le corrispondenti funzioni zeta è possibile stabilire dei risultati riguardanti le forme automorfe e viceversa.
Indichiamo con ℳk(Γ) lo spazio di forme automorfe di peso intero k per il gruppo modulare ellittico Γ (qui λ=1). Le funzioni zeta corrispondenti a queste forme automorfe hanno tutte prolungamenti analitici ed equazioni funzionali. Hecke ha determinato quali di queste funzioni zeta si rappresentano mediante il prodotto euleriano. Egli ha definito una famiglia di operatori lineari Tn, con n≥1, ora chiamati ‛operatori di Hecke', sullo spazio vettoriale ℳk(Γ). Questi operatori formano un anello commutativo e possono essere diagonalizzati simultaneamente, sicché ℳk(Γ) è generato da forme che sono simultaneamente autofunzioni di tutti gli operatori di Hecke. Se una di tali autofunzioni è data da:
allora f(z) può essere normalizzata in modo tale che a1=1. Le funzioni zeta corrispondenti alle autofunzioni degli operatori di Hecke così normalizzate sono precisamente quelle che si rappresentano mediante il prodotto euleriano. Se la funzione zeta corrispondente a f(z) è:
la sua rappresentazione mediante il prodotto euleriano è:
dove il prodotto è esteso a tutti i primi p.
Un esempio interessante di questa teoria è dato da:
La corrispondente funzione zeta è:
Questa funzione zeta può essere prolungata analiticamente a una funzione intera di s e soddisfa l'equazione funzionale
R(s)=R(12−s), R(s)=(2π)-sΓ(s)ϕ(s).
Inoltre ϕ(s) ha un prodotto euleriano
Risulta che il coefficiente di Fourier ap di una autofunzione degli operatori di Hecke opportunamente normalizzata è un autovalore di Tp. Quindi la congettura di Ramanujan sulla grandezza di τ(p) può essere generalizzata nel modo seguente.
Congettura di Hecke-Ramanujan-Peterson: sia λp un autovalore di Tp su ℳk(Γ); allora:
∣λp∣〈2p(k-1)/2.
Questa congettura è connessa al lavoro di Deligne citato prima.
6. Applicazioni della geometria algebrica alla teoria dei numeri.
Una delle più significative tendenze nella teoria dei numeri degli ultimi cento anni è l'uso sempre maggiore del linguaggio e degli strumenti della geometria algebrica nei problemi aritmetici. In proposito la letteratura è tanto vasta da costringerci a limitare la discussione a qualche esempio in grado d'illustrare i punti di contatto tra geometria algebrica e teoria dei numeri.
a) Soluzione di equazioni nei corpi finiti.
Sia p un primo, q=ps, Kq il corpo finito con q elementi. Una ‛varietà algebrica' V definita su Kq è l'insieme delle soluzioni simultanee (x0, x1, ..., xn) di un sistema di equazioni:
dove gli Fi sono polinomi omogenei con coefficienti in Kq e le soluzioni (x0, ..., xn) vanno prese in un corpo F sufficientemente grande che contenga Kq. Per i nostri scopi è sufficiente che F contenga tutti i corpi Kqr (r=1, 2, ...). Le soluzioni (x0, ..., xn) vanno considerate proiettivamente. In altre parole si suppone che non tutti gli xi siano nulli e due soluzioni (x0, ..., xn) e (x0′, ..., xn′) sono considerate uguali se esiste α≠0 tale che:
x0=αx0′, ..., xn=αxn′.
Le soluzioni (x1, ..., xn) si dicono punti della varietà V.
Indichiamo con Nr il numero di soluzioni (x0, ..., xn) che appartengono a Kqr. Allora un problema fondamentale è quello di ottenere informazioni su Nr. In casi speciali questo problema è a tutti gli effetti classico ed è stato considerato da Gauss. Sia f(x1, ..., xn) un polinomio a coefficienti interi. Se Kp indica gli interi modulo p, è possibile ottenere un polinomio å(x1, ..., xn) su Pp sostituendo a ogni coefficiente di f il suo resto modulo p. Le soluzioni della congruenza
f(x1, ..., xn)≡0(mod p) (21)
possono essere identificate con le soluzioni in Kp dell'equazione
å(x1, ..., xn)=0. (22)
Indichiamo con N il massimo dei gradi dei termini di f. Allora:
è un polinomio omogeneo con coefficienti in Kp. Sia V la varietà consistente delle soluzioni di
F(x0, ..., xn)=0.
Allora le soluzioni della (21) sono in corrispondenza biunivoca coi punti (x0, ..., xn) tali che x0≠0. Quindi il problema di calcolare N1 è, in questo caso, essenzialmente quello di trovare il numero di soluzioni distinte della congruenza (21). I punti di V per cui x0=0 stanno nel cosiddetto ‛iperpiano all'infinito'. La ragione per prenderli in esame (come per lavorare con F invece che con å) è che i teoremi che si ottengono su Nr sono formulati più chiaramente quando s'includono anche le soluzioni che stanno nell'iperpiano all'infinito.
Data una varietà V definita su K, le si associa una ‛funzione zeta' Z(V, t) definita nel modo seguente:
Facendo il cambiamento di variabile t=q-s, la funzione che ne risulta, log ζ(V, s), appare più simile, almeno formalmente, alle altre funzioni zeta discusse; precisamente:
Facendo l'esponenziale, si ottiene
per certi numeri reali am. La somiglianza tra ζ(V, s) e la funzione zeta di Dedekind di un corpo di numeri algebrici è tutt'altro che formale. La varietà V va riguardata come un analogo, di dimensione più alta, di una superficie. Nel caso n=2, t=1, V è una curva. È possibile definire l'analogo di un ideale primo su una varietà algebrica. Nel caso di una curva, l'analogo è, grosso modo, un punto sulla curva. I ‛divisori' su V sono definiti prendendo prodotti formali dei divisori primi in analogia con gli ideali primi. In altre parole, un tipico divisore A è un prodotto formale:
A=P1a1 ... Peae.
di potenze di divisori primi distinti P1, ..., Pe. Una volta stabilita opportunamente la definizione di norma di un divisore è possibile esprimere la funzione zeta nella forma:
ove la somma è estesa a tutti i divisori di V e NA indica la norma di A. Inoltre ζ(V, s) ha una rappresentazione mediante il prodotto euleriano:
dove il prodotto è esteso a tutti i divisori primi P.
Nel 1949 A. Weil enunciò una serie di congetture concernenti la funzione zeta di una varietà algebrica. Queste congetture, da una parte, sono motivate dall'analogia con la funzione zeta di Dedekind e, dall'altra, dal fatto che, essendo V un oggetto geometrico, dovrebbero valere certe analogie con le varietà complesse della topologia algebrica.
Congettura 1: Z(V, t) è una funzione razionale di t.
Congettura 2 (equazione funzionale): è possibile scrivere Z(V, t) nella forma
in modo tale che, se
allora i numeri qd/αli (i=1, ..., Bl) sono uguali ai numeri α2d-l,j (j=1, ..., B2d-l) in qualche ordine. Quindi esiste un'equazione funzionale che collega Z(V, q-d, t-1) e Z(V, t) (o ζ(V, d−s) e ζ(V, s)).
Congettura 3 (ipotesi di Riemann): ∣αli∣=ql/2. In altre parole, gli zeri di ζ(V, s) stanno sulle linee Re(s)=1/2, 3/2, 5/2, ..., (2d−1)/2.
Dalla formula della congettura 2 si può facilmente dedurre che
Per vedere come questa formula dà informazioni su Nr, consideriamo il caso delle curve algebriche. Sia cioè V una varietà definita dell'equazione omogenea
F(x0, x1, x2)=0.
In questo caso, Z0(t)=1−t, Z2(t)=1−qt e B1=2g, dove g è un certo invariante della curva chiamato ‛genere'. Quindi, per la congettura 2, Z(V, t) ha la forma
Inoltre la formula (23) diviene:
Per l'ipotesi di Riemann ∣αrli∣=qr/2. Quindi
∣Nr−(qr+1)∣≤2gqr/2.
Quest'ultima disuguaglianza è nota come ‛disuguaglianza di Castelnuovo-Severi' ed è equivalente all'ipotesi di Riemann per Z(V, t). Tutti i fatti detti sopra circa le congetture di Weil per le curve sono stati provati da Weil nel 1941, dopo che casi speciali erano stati trattati da Artin, Davenport e Hasse.
La situazione per quanto riguarda le curve ha costituito il punto di partenza per le congetture generali.
La disuguaglianza di Castelnuovo-Severi ha molte profonde applicazioni in teoria dei numeri. Fino al 1974 le sole dimostrazioni di questo fatto facevano uso di sofisticati argomenti geometrici. Tuttavia, nel corso del 1974, Bombieri, basandosi sui lavori precedenti di V. Stepanov, W. Schmidt e H. Stark, è riuscito a fornire una dimostrazione elementare, motivata dalla teoria dei numeri trascendenti.
Per un quarto di secolo la dimostrazione delle congetture di Weil è stata uno dei principali obiettivi della geometria algebrica. Risultati parziali sono stati ottenuti da un gran numero di studiosi. La congettura 1 è stata dimostrata nel 1961 da Dwork. Vari casi della congettura 2 sono stati stabiliti da Dwork, Grothendieck e altri. Una moltitudine di matematici ha contribuito a mettere insieme l'incredibile collezione di apparati matematici culminata infine in una dimostrazione completa delle congetture di Weil da parte di P. Deligne nel 1974. Benché si fosse fatto molto lavoro sulle congetture 1 e 2, non si sapeva praticamente nulla sulla congettura 3 (eccetto che per il caso delle curve e delle varietà abeliane) fino alla dimostrazione di Deligne.
Senza dubbio il lavoro di Deligne consentirà grandi progressi in teoria dei numeri, benché sia troppo recente per poterne enumerare con precisione tutte le conseguenze. Una conseguenza immediata della teoria di Deligne è la dimostrazione della congettura di Ramanujan su τ(p). Qualche anno prima Deligne aveva dimostrato che esiste una varietà di dimensione 12 definita da equazioni a coefficienti interi tale che, se si considerano i resti dei coefficienti di tali equazioni modulo p, il polinomio che ne risulta definisce una varietà sul corpo finito Kp tale che il numeratore della sua funzione zeta ζ(V, s) è
1−τ(p)p-s+p11-2s.
L'ipotesi di Riemaun implica allora che ∣τ(p)∣≤2p11/2.
b) Curve ellittiche.
Siano g2 e g3 interi razionali tali che 4x3−g2x−g3 non si fattorizzi sui razionali. Allora l'equazione diofantea
y2=4x3−g2x−g3 (24)
definisce una curva algebrica C. In altre parole, a questa equazione corrisponde l'insieme C delle coppie (x, y) di numeri complessi che soddisfano l'equazione. Una tale curva è chiamata ‛curva ellittica'. La teoria delle curve ellittiche riunisce in modo affascinante geometria, analisi e aritmetica e su di essa si stanno compiendo molte ricerche. C'è qualche speranza che, usando metodi di geometria algebrica, si possa gettare nuova luce sullo studio dell'equazione diofantea (24), per x e y interi, oppure per x e y razionali.
Le curve ellittiche, come suggerisce lo stesso nome, si presentano in connessione con la teoria delle funzioni ellittiche. Supponiamo che w1, w2 siano numeri complessi, con w1/w2 in ???OUT-H??? e tali che g2(w1, w2)=g2, g3(w1, w2)=g3. Si può mostrare che esistono sempre w1 e w2 siffatti. Indichiamo con L il sottogruppo additivo dei complessi formato dai numeri
aw1+bw2, a, b in ???OUT-Z???.
Allora esiste un'applicazione naturale tra il gruppo quoziente ???OUT-C???/L e i punti di C, che è biunivoca; si tratta precisamente dell'applicazione:
z+L→(p(z), p′(z)),
dove p(z)=p(z; w1, w2), p′(z)=p′(z; w1, w2).
Che il punto (p(z), p′(z)) sia sulla curva C è una immediata conseguenza dell'equazione differenziale per p(z); naturalmente p(z) e p′(z) hanno dei poli nei punti di L. È sottinteso che l'applicazione in questione manda questi z nei punti che stanno sull'iperpiano all'infinito quando la curva è vista nello spazio proiettivo. Giacche ???OUT-C???/L è un gruppo abeliano, tale applicazione può essere usata per definire una legge di gruppo tra i punti della curva C. L'esistenza di una tale legge di gruppo è equivalente al noto fatto classico che p(z1+z2) può essere espresso razionalmente in termini di p(z1) e p(z2). In altri termini, p(z) ha un teorema di addizione. Il fatto che una curva ellittica sia contemporaneamente un oggetto aritmetico (un'equazione diofantea), un oggetto geometrico (una varietà algebrica) e un oggetto algebrico (un gruppo abeliano) dà luogo a gran parte dei risultati profondi che sono stati dimostrati. D'importanza centrale tra questi è il teorema di Mordell-Weil: indichiamo con EC il gruppo abeliano definito dai punti di C e con E0C il sottogruppo formato dai punti a coordinate razionali.
Teorema di Mordell-Weil: E0C è finitamente generato.
In realtà questo risultato è solo un caso speciale di un risultato più generale sulle varietà abeliane, chiamato anche questo, usualmente, teorema di Mordell-Weil. La dimostrazione del teorema di Mordell-Weil fa uso di un argomento che è una sofisticata generalizzazione dell'idea originale di Fermat della discesa.
Vi sono molte congetture, dovute in primo luogo a Birch, Swinnerton-Dyer e Tate, sulla struttura di E0C. Queste congetture collegano la struttura della funzione zeta di C (come l'ordine dei suoi poli) alla struttura di E0C (come il rango della parte libera di E0C e l'ampiezza del sottogruppo di torsione). Studi numerici effettuati con l'impiego del calcolatore hanno avvalorato queste congetture e si sono compiuti notevoli sforzi nella ricerca di di- mostrazioni.
Considerando la (24) come equazione diofantea, si ottiene che, come conseguenza del teorema di Thue, essa ha solo un numero finito di soluzioni intere. In effetti il genere di una curva ellittica è 1. Siegel ha dimostrato che, se il genere di una curva è >0, allora essa ha solo un numero finito di punti a coordinate intere. Per quanto riguarda i punti a coordinate razionali, si ha la congettura di Mordell, che afferma che, se una curva ha genere >1, allora contiene solo un numero finito di punti a coordinate razionali. Alla luce di questi fatti, il grande significato del lavoro di Baker sulle equazioni diofantee risulta evidente.
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