TERAPEUTI (Θεραπευταί)
Secondo il De vita contemplativa di Filone, unica nostra fonte, i terapeuti furono una comunità religiosa giudaica avente la sua sede principale presso il lago Mareotide, nelle vicinanze di Alessandria d'Egitto e vivente secondo norme che Filone descrive ed esalta come esempio di βίος ϑεωρητικός "vita contemplativa".
L'autenticità del De vita contemplativa è stata contestata da diversi studiosi. Specialmente P.E. Lucius ha sostenuto trattarsi di un'opera scritta da un tardo autore cristiano nell'intento di esaltare, sotto il nome celebrato di Filone, il monachesimo cristiano (del resto già Eusebio da Cesarea e altri avevano supposto che Filone descrivesse qui monaci cristiani); altri invece ha pensato a un tardo autore ebreo che avrebbe similmente voluto fare l'elogio di tendenze ascetiche giudaiche. Oggi però prevale l'opinione che il De vita contemplativa sia autentico: diversi studiosi (Massebieau, Conybeare, e specialmente P. Wendland) ne hanno dimostrato la rispondenza linguistica con gli scritti indubbiamente di Filone; da ultimo Heinemann ha aggiunto la dimostrazione che non esistono le divergenze e i contrasti da altri rilevati fra il De vita contemplativa e il pensiero o gli scritti certo filoniani, e che i costumi e riti dei terapeuti, per quanto si distacchino dalla comune religiosità giudaica, non sono però, come pure era stato pensato, in vero e proprio contrasto col giudaismo, e trovano anzi la loro corrispondenza in ciò che sappiamo dell'atteggiamento religioso di sette giudaiche.
Naturalmente ciò non vuole ancora dire che quanto esso ci racconta dei terapeuti debba essere ritenuto senz'altro quale una sicura testimonianza storica. Filone (come dopo altri ha mostrato Heinemann) è di solito assai inesatto nell'osservazione dei fatti e nella loro esposizione e tende a colorire con colori ellenistici le istituzioni giudaiche e i costumi giudaici, e in genere a presentare uomini e cose secondo schemi fissi a lui cari. Inoltre il De vita contemplativa rientra nel genere letterario greco dell'ἐγκώμιον, fra i caratteri del quale sono l'amplificazione dei dati di fatto e l'attribuzione d'idee dell'autore alla persona o persone di cui parla. D'altra parte restano ancora nell'esposizione filoniana, pure sfrondata in conseguenza di tutto ciò, numerosi tratti che si possono spiegare solo supponendo che corrispondano a un'obiettiva realtà, nota all'autore in parte per esperienza personale e in parte attraverso una fonte scritta.
Collegando insieme i dati di fatto, liberati dalle aggiunte retoriche di Filone, e ponendoli in rapporto con ciò che sappiamo del giudaismo palestinese ed egiziano e delle sette giudaiche, possiamo tentare di ricostruire nelle grandi linee il sistema religioso dei terapeuti riassumendo le recenti indagini del Heinemann.
Non certamente diffuso in tutto il mondo, come vorrebbe l'amplificazione filoniana, e neppure in tutti i "nomi" dell'Egitto, ma probabilmente limitato alla sede del lago Mareotide presso Alessandria, dove a esistere una specie di ordine monastico giudaico, i cui membri erano designati col nome di "servi" di Dio (questo, e non "medici", delle anime, sarà il vero senso del nome ϑεραπευταί). La loro attitudine al digiuno pressoché continuativo nei giorni feriali, con la rinunzia anche nelle feste a ogni cibo non strettamente necessario, cosa di cui non c'è ragione di dubitare, e la castità che a quanto sembra risultare dall'accenno alle "vergini di età avanzata" essi tenevano in alto pregio, naturalmente non avranno avuto per scopo, come dice Filone, il conseguimento del sapere e della saggezza, ma saranno state intese, secondo una concezione largamente attestata nel giudaismo, a valere come preparazione ai sogni e alle visioni di cui Filone parla ad altro proposito. Che i terapeuti fossero dei visionarî è quindi da ritenersi assai verosimile. Sebbene i testi mistici giudaici in cui è cenno di un isolamento sistematico simile a quello descritto da Filone siano alquanto più tardi, tuttavia contengono materiali antichi, e quel rito di preparazione alla visione risalirà probabilmente a quelle antiche cerchie di mistici a cui i terapeuti appartenevano. Accanto alle visioni erano per i terapeuti fonte di fede e di dottrina, come riscontriamo frequentemente nella storia delle correnti mistiche, testi antichi o supposti antichi: le pagine della Bibbia, e quelle dei fondatori della setta. La loro interpretazione della Bibbia, che Filone presenta secondo lo schema a lui familiare dell'allegoristica, avrà cercato di trovare nei testi biblici il contenuto delle loro visioni e delle loro tradizioni, specialmente riguardo alla cosmogonia e al mondo soprasensibile. Che non fosse allegorica la loro interpretazione delle norme legali della Bibbia è mostrato dalla loro osservanza del sabato, conforme a quella dei loro contemporanei in Palestina, e anche da quella della loro maggiore festa, che è in sostanza, col suo periodo di quarantanove giorni e col consumo di pane lievitato, una "festa delle settimane" (Levitico, XXIII, 15-21) rinnovantesi più volte l'anno, nello stesso modo come, secondo il Libro dei Giubilei, la festa del capo d'anno si rinnova annualmente quattro volte. Se i terapeuti si trovassero in cosciente contrasto con la comunità religiosa del giudaismo, ovvero mirassero solamente a un approfondimento della religiosità comune, non sappiamo. Certo è che il loro sistema, sebbene in qualche particolare potesse avere subito l'influsso di quello dei pitagorici o delle norme di vita dei sacerdoti egiziani, non esce nel suo insieme dall'ambito del settarismo giudaico. I terapeuti dovranno essere inquadrati nel complesso dei movimenti mistici del giudaismo postmaccabaico, i seguaci dei quali non consideravano sufficiente la comune religiosità, e sentivano il bisogno d'integrare l'osservanza dei comandamenti della Bibbia con un tenore ascetico di vita, e le dottrine tradizionalmente ricevute con speculazioni - eventualmente anche di origine non giudaica - su ciò che sta al difuori della realtà sensibile.
Bibl.: Ricchissime indicazioni bibliografiche sui terapeuti presso Leclercq, Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie, II, ii, (1910), fasc. 22°, colonne 3063-68; successivamente v. Heinemann, in Monatsschrift für Gesch. u. Wissenschaft des Judentums, LXXVIII (1934), pp. 104-117, e in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A, coll. 2321-2346, e la bibliografia ivi citata. Per il testo del De vita contemplativa, v. il vol. VI dell'edizione delle opere di Filone a cura di Cohn e Wendland; inoltre l'edizione separata di Conybeare, Oxford 1895, e la traduzione inglese dello stesso Conybeare, in Jewish Quarterly Review, VII (1894-95), pp. 755-769.