Terapia farmacologica del dolore
Il dolore è un'esperienza psicofisica estremamente spiacevole che segnala all'individuo un processo che sta danneggiando alcuni tessuti e/o organi del suo corpo. Di conseguenza, è ben comprensibile che esso rivesta una precisa funzione all'interno della fisiologia del corpo umano: infatti, se non esistesse la percezione del dolore, il soggetto non si accorgerebbe di essere malato e sarebbe impossibile intervenire per tempo con un'adeguata terapia che elimini alla radice il processo morboso. Inoltre, è un'esperienza clinica molto comune il fatto che in diverse malattie e affezioni (dalle ferite alle infezioni, ai tumori) l'esperienza del dolore è quella su cui pazienti e medici sono portati a soffermare l'attenzione, per via delle sue implicazioni sull'umore e sulla qualità della vita del paziente, a volte persino a discapito del processo morboso in senso stretto.
Non sorprende, perciò, che negli ultimi anni la ricerca di base abbia registrato importanti progressi nelle conoscenze relative ai meccanismi cellulari e molecolari alla base della trasmissione nocicettiva. In particolare, in questo saggio ci soffermeremo sul ruolo funzionale svolto da recettori neurali e da particolari classi di molecole psicoattive che influenzano la percezione del dolore; tra di essi un posto di rilievo spetta sicuramente al glutammato (acido glutammico) e alle endorfine (anche note come 'oppioidi endogeni'). Soprattutto il dolore neuropatico, ovvero quella forma di esperienza dolorifica che deriva dalla lesione di un nervo sensoriale, rappresenta il modello che recentemente ha più stimolato la ricerca farmacologica. Tale sforzo ha permesso l'introduzione sul mercato di una serie di nuovi agenti che sono in grado di esercitare un effetto analgesico maggiormente mirato, riducendo al contempo la comparsa di effetti indesiderati. Prenderemo in considerazione numerose sostanze, offrendo una sommaria descrizione della loro struttura molecolare e indicandone le prove di efficacia e le modalità d'uso prevalenti. Mostreremo, inoltre, come studi clinici condotti su un vasto numero di pazienti abbiano consentito di identificare i prodotti dotati delle migliori proprietà analgesiche e dei minori effetti collaterali e come, soprattutto, oggi sia nota la specificità di ciascun preparato in relazione alle diverse forme di dolore.
Infine, accanto alle terapie mediche del dolore basate sui moderni ritrovati della ricerca farmacologica, faremo un breve accenno ad alcune metodiche fisiche per il trattamento del dolore. Tra queste vanno annoverati sia gli interventi chirurgici invasivi sia le tecniche di stimolazione magnetica transuranica (assolutamente non invasive), che negli ultimi anni stanno producendo un'ingente mole di ricerche che tendono a dimostrarne l'efficacia clinica.
Tra i settori della ricerca farmacologica sul dolore che hanno fatto maggiori progressi figura quello del dolore neuropatico. Le acquisizioni più importanti riguardano i di membrana, il neurotrasmettitore glutammato, gli endocannabinoidi, i peptidi. I canali ionici sono proteine della membrana cellulare essenziali per il corretto funzionamento dell'attività neuronale. Essi rappresentano infatti i mediatori dell'eccitabilità cellulare, il cui funzionamento è regolato da precise leggi biofisiche. L'alterazione del normale equilibrio dei diversi canali è causa di un'alterata funzione neuronale, che è a sua volta alla base di diverse patologie a carico del Sistema nervoso centrale (SNC). Le recenti acquisizioni sulla struttura molecolare dei canali, e sulle variazioni sia di espressione sia di attività osservate nel corso di diverse patologie, hanno consentito di programmare molecole in grado di inibire selettivamente la funzione dei canali alterati. Nel caso del dolore neuropatico è ormai accertato che si verificano importanti modificazioni nell'espressione di particolari subunità che formano il canale stesso, associate a una ridistribuzione del canale nelle strutture interessate. In tali condizioni, il canale non è più in grado di rispettare le proprietà biofisiche che ne regolano i tempi di apertura e chiusura, e determina uno stato di ipereccitabilità neuronale che contribuisce a mantenere uno stato di dolore persistente, cronico.
Tra i canali ionici maggiormente studiati e caratterizzati occorre ricordare i canali per il sodio e i canali per il calcio, entrambi voltaggio-dipendenti, cioè la cui cinetica di funzionamento dipende strettamente dal potenziale di membrana del neurone. Nei neuroni sensitivi periferici è stata confermata l'espressione selettiva di due geni che codificano per canali sodici, il Nav1.8 e il Nav1.9. Inoltre la presenza di Nav1.3 è stata dimostrata in neuroni periferici danneggiati e che presentano un'eccessiva eccitabilità elettrica. Va aggiunto che il coinvolgimento dei canali del sodio nei meccanismi alla base del dolore neuropatico viene dimostrato anche dall'efficacia di farmaci ad azione antiepilettica e di anestetici locali, come la lidocaina, che sono conosciuti proprio per la capacità di bloccare tali canali.
Le tecniche di biologia molecolare e di elettrofisiologia hanno permesso di caratterizzare la struttura molecolare anche dei canali del calcio. Si tratta di proteine di membrana composte da 4-5 subunità codificate da geni distinti. Come per i canali del sodio, la cinetica di questi canali è legata a complesse proprietà biofisiche. L'attività dei canali del calcio è essenziale per il corretto funzionamento cellulare, essendo essi coinvolti in importanti fenomeni come la neurotrasmissione, la contrazione muscolare, l'espressione genica. L'ingresso del calcio all'interno della cellula avviene attraverso i canali, e innesca una cascata di eventi che consente la trasmissione dell'informazione da una cellula all'altra. Ciò è valido anche nella trasmissione del segnale doloroso. Nei neuroni sensitivi deputati alla trasmissione nocicettiva, il calcio, attraverso i suoi canali, rappresenta un segnale di inizio e, di mantenimento del messaggio nocicettivo. Nel caso del dolore cronico neuropatico, per esempio, i canali di tipo N sono stati identificati come i principali artefici dell'aumento di eccitabilità del neurone periferico e di rilascio di sostanze chimiche in grado di protrarre la durata dell'impulso dolorifico.
Per quanto riguarda i sistemi neurotrasmettitoriali implicati nella trasmissione delle informazioni dolorifiche, si è visto che l'acido glutammico rappresenta il neurotrasmettitore ad azione eccitatoria più diffuso nel SNC e svolge un ruolo chiave in molteplici funzioni. I per l'acido glutammico vengono suddivisi in due grandi categorie funzionali: e . I recettori ionotropici sono legati all'apertura di canali ionici, mentre il gruppo dei recettori metabotropici, accoppiati a , viene a sua volta suddiviso in tre sottogruppi, in base al profilo farmacologico e al meccanismo biochimico. Negli ultimi anni è stato condotto un notevole numero di lavori sperimentali e clinici al fine di chiarire il ruolo di tali recettori in processi patologici a carico del SNC.
Il recettore ionotropico per l'N-metil-d-aspartato (NMDA) ha una distribuzione ubiquitaria nel SNC; nel midollo spinale è localizzato nelle corna dorsali ed è coinvolto nella trasmissione del dolore. Qualsiasi danno a carico di nervi periferici induce un aumento di rilascio di glutammato locale che apre il recettore NMDA innescando un meccanismo persistente di trasmissione del messaggio algogeno. Questo fenomeno è conosciuto come wind-up o 'sensitizzazione centrale' e rende ragione del perché la ricerca farmacologica ha profuso un notevole sforzo nel tentativo di trovare molecole in grado di bloccare tale recettore. In effetti, studi preclinici hanno dimostrato l'efficacia di agenti farmacologici ad azione antagonista sul recettore NMDA. Gli studi clinici condotti su pazienti hanno confermato tale effetto, segnalando però la comparsa di importanti effetti collaterali, come sedazione e disforia. Un approccio più promettente sembra essere rappresentato dall'utilizzo di molecole in grado di inibire specifiche subunità del recettore stesso. A tale riguardo, meritano particolare attenzione gli agenti capaci di bloccare la subunità NR2B. Dati sperimentali e preclinici hanno dimostrato infatti che tali sostanze hanno un profilo molto più sicuro e privo degli effetti collaterali accennati precedentemente. Di ecente è emersa la possibilità di utilizzare, più che veri antagonisti recettoriali, modulatori di siti allosterici del complesso recettoriale NMDA. In particolare sono state studiate alcune molecole ad azione modulatoria sul sito della . Nonostante incoraggianti studi sperimentali, i dati clinici a oggi non sembrano confermare un valore clinico tale da giustificarne l'impiego.
Dati farmacologici e immunoistochimici indicano che i recettori metabotropici di gruppo I per il glutammato sono coinvolti nella trasmissione nocicettiva. In aggiunta al ruolo che il glutammato svolge nella trasmissione del dolore sia a livello midollare sia a livello talamico e corticale, è stato infatti dimostrato che esso è anche in grado di eccitare i neuroni periferici nocicettivi, mediando risposte che sono legate anche all'attivazione di recettori metabotropici. Ricerche sperimentali suggeriscono che tali recettori possono rappresentare un interessante bersaglio farmacologico. Tuttavia, al momento non sono disponibili dati clinici sulla eventuale efficacia e tollerabilità di tali molecole.
I risultati della sperimentazione suggeriscono che, oltre al glutammato, diversi rilasciati a livello periferico contribuiscano alla genesi del dolore neuropatico: la e il Calcitonin gene-related peptide (CGRP) vengono indicati come responsabili dell'induzione del dolore, e il CGRP sarebbe coinvolto anche nelle fasi del mantenimento del segnale algogeno. In seguito a uno stimolo doloroso, la sostanza P viene rilasciata nel midollo spinale, e attiva i recettori di membrana chiamati NK1. Studi sperimentali hanno confermato che l'inibizione di tali recettori è capace di ridurre la trasmissione nocicettiva. Pertanto negli ultimi dieci anni sono stati prodotti molti farmaci antagonisti del recettore NK1. Purtroppo, la speranza di trovare in essi una nuova classe di potenti analgesici non è stata confermata da altrettanti studi clinici. Il lanepitant, un antagonista selettivo di NK1, è stato sperimentato in pazienti affetti da dolore neuropatico cronico. Sebbene ben tollerato, il farmaco però non si è mostrato efficace nel contrastare i sintomi dolorosi. Negli attacchi di emicrania è stato dimostrato che il peptide CGRP viene rilasciato a livello del , il sistema di fibre responsabili di convogliare le sensazioni di dolore che provengono dai territori facciali e cranici. La ricerca di molecole ad azione antagonista verso CGRP ha di recente condotto alla produzione di farmaci che sono stati testati in studi clinici su pazienti affetti da emicrania. Tali farmaci hanno mostrato una discreta tollerabilità e soprattutto una buona efficacia nel bloccare gli attacchi di emicrania.
Le proprietà psicoattive dei derivati della Cannabis sativa (detti ) sono note fin dall'antichità: la loro capacità di generare stati di euforia e alterazioni delle percezioni spazio-temporali, accanto a sensazione di rilassatezza muscolare, facilità nelle relazioni interpersonali e maggiore tolleranza nei confronti di stati dolorosi era conosciuta presso i popoli del Medio Oriente già nel 4000 a.C. Oltre agli usi ricreazionali erano inoltre ben noti alcuni effetti terapeutici in numerose patologie quali la cefalea e il dolore da patologie reumatiche e articolari. Sono stati identificati fino a ora almeno 60 derivati farmacologicamente attivi della Cannabis, noti con il nome di cannabinoidi, di cui i più studiati sono il δ-tetraidrocannabinolo (Δ-THC) e il cannabidiolo, i principali responsabili degli effetti psicomimetici di droghe d'abuso ad ampio utilizzo, quali hashish e marijuana. La scoperta nell'uomo di due recettori di membrana in grado di interagire con questi derivati, chiamati CB1 e CB2, ha dato grande impulso scientifico alla ricerca farmacologica sul dolore. Il fine è quello di identificare possibili agenti farmacologici in grado di replicare gli effetti benefici dei cannabinoidi, quali l'analgesia, eliminando però gli effetti psicotropi a carico del SNC. Numerosi studi in modelli sperimentali di dolore hanno evidenziato la capacità di alcune sostanze esogene di stimolare i recettori dei cannabinoidi e di ridurre pertanto la sensibilità agli stimoli nocicettivi. Gli studi clinici condotti nell'uomo hanno dimostrato discreta efficacia in quelle forme di dolore scarsamente sensibili agli analgesici di comune uso, come il dolore in corso di neoplasie, il dolore neuropatico e il dolore nevralgico posterpetico. Il limite attuale di una potenziale terapia medica con il Δ-THC è rappresentato dalla dose clinica efficace: la quantità di farmaco che ha mostrato efficacia terapeutica è risultata infatti tanto elevata da generare reazioni avverse superiori ai benefici clinici. Tuttavia, alcuni composti sintetici analoghi degli endocannabinoidi sono attualmente in fase avanzata di studio per il trattamento del dolore da cancro e di quello secondario a infezione da . Per esempio, uno studio recentemente pubblicato e condotto su pazienti affetti da dolore neuropatico cronico ha dimostrato l'efficacia e la tollerabilità dell'acido ajulemico, derivato sintetico del tetraidrocannabinolo ma apparentemente privo di proprietà psicoattive. Al momento attuale, inoltre, sono in corso diversi studi clinici su derivati sintetici del tetraidrocannabinolo al fine di valutarne la possibilità di utilizzo nel dolore in corso di sclerosi multipla.
Infine, vanno menzionati i cosiddetti canali ionici per i , sensibili alla temperatura (Temperature-sensitive transient receptor potential vanilloid, TRPV), che contribuiscono in modo importante alla normale trasmissione della sensazione che accompagna variazioni di temperatura, ma anche del dolore, e pertanto negli ultimi anni sono divenuti un interessante bersaglio terapeutico per la terapia del dolore. I canali TRPV sono attivati dalla capsaicina, il componente naturale principale del peperoncino. La capacità di tale sostanza di indurre sensazioni di calore ma anche uno spiacevole senso di fastidio sono ben conosciute. La caratterizzazione degli aspetti biochimici dei canali TRPV e la loro vasta distribuzione nei tessuti umani indicano tuttavia che essi sono coinvolti in diverse funzioni cellulari. L'osservazione sperimentale che la capsaicina e altre sostanze simili sono in grado di produrre analgesia ha spinto verso la ricerca di analoghi sintetici. Negli ultimi anni sono state perseguite due linee di ricerca: la prima è orientata all'ottimizzazione di terapie basate sull'utilizzo di sostanze agoniste, capaci di legarsi ai TRPV e che inattivano le fibre nocicettive; la seconda è rappresentata invece dall'identificazione di agenti farmacologici ad azione antagonista sul canale TRPV, che produrrebbe comunque un effetto antidolorifico. I dati preliminari hanno prodotto risultati incoraggianti in modelli sperimentali di dolore, tuttavia appare ancora prematuro sostenere che tali farmaci possano avere un campo applicativo nel prossimo futuro.
I farmaci antiinfiammatori non-steroidei (FANS) vengono indicati con successo nel trattamento del dolore acuto, in alcuni casi anche nelle forme di dolore cronico, seppure con rischi di effetti collaterali non sottovalutabili, soprattutto a livello gastrico e renale. I FANS di recente introduzione sono in grado di inibire selettivamente l'isoforma dell' (COX) di tipo 2, rispetto all'isoforma 1, pertanto vengono definiti COX-2 inibitori. L'affinità di tali inibitori per l'isoforma 1 o l'isoforma 2 ne determina la selettività, rendendoli più sicuri e in teoria privi degli effetti collaterali propri dei progenitori. Questi farmaci trovano indicazione nel trattamento del dolore acuto, ma soprattutto del dolore cronico in corso, per esempio, di artrite reumatoide. L'inibizione aspecifica dei FANS classici nei confronti delle isoforme dell'enzima COX 1 e 2 è ritenuta responsabile degli effetti collaterali dei FANS, in particolare a livello della mucosa gastrica. L'introduzione successiva degli inibitori selettivi dei COX-2 era mirata a minimizzare l'occorrenza di tali effetti indesiderati, lasciando inalterata l'efficacia antiinfiammatoria. Ciò ha portato negli ultimi anni a un notevole incremento dell'utilizzo degli inibitori COX-2, tra i quali ricordiamo rofecoxib, celecoxib, valdecoxib, etoricoxib. Tuttavia, l'osservazione del verificarsi di gravi effetti a carico dell'apparato cardiovascolare nei pazienti che utilizzano questi inibitori ha portato al ritiro dal commercio di una buona parte di tali farmaci. Il meccanismo attraverso cui questi farmaci sarebbero responsabili di tali controindicazioni si fonda sul fatto che gli inibitori selettivi dell'enzima COX-2 possono infatti ridurre la formazione di prostacicline, sbilanciando il normale equilibrio esistente in favore dei trombossani, sostanze ad azione potenzialmente protrombotica, e determinando pertanto un aumento del rischio cardiovascolare di tipo ischemico. Alla luce di ciò non si deve però concludere che questa categoria di farmaci non debba essere più utilizzata, e tanto meno che tutti i farmaci appartenenti a questa classe mostrino lo stesso profilo di potenziale pericolosità. È infatti accertato che ciascun inibitore COX-2 possiede delle caratteristiche molecolari, biochimiche e farmacocinetiche differenti. È necessario, quindi, personalizzare la prescrizione del tipo di farmaco, la posologia e i tempi di somministrazione, facendo particolare attenzione ai soggetti che soffrono d'ipertensione, malattie cardiache o diabete e ai fumatori, a coloro cioè che presentano concreti fattori di rischio cardiovascolari.
L'utilizzo dei farmaci oppiacei rimane un'opzione di prima scelta nel trattamento delle sindromi dolorose croniche, in particolare in corso di neoplasie. Nel trattamento del dolore neuropatico gli oppioidi hanno dimostrato la loro efficacia. Una revisione della letteratura ha confermato l'utilità di farmaci ad azione agonista sui recettori degli oppiacei, peraltro con un discreto profilo di tollerabilità. Recentemente sono stati introdotti sul mercato oppiacei di sintesi, utilizzati come analgesici e come anestetici generali nelle procedure chirurgiche. Sostanze come fentanyl, sufentanyl, remifentanyl, alfentanyl, hanno dimostrato un'ottima efficacia clinica e una buona tollerabilità. In linea generale, la scelta tra gli oppioidi dipende dalle loro proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche, cioè dalla velocità con cui entrano in circolo, agiscono e vengono eliminati. Ciò vale, tuttavia, prevalentemente per l'utilizzo in camera operatoria. L'utilizzo degli oppiacei per il dolore cronico deve comunque rispettare il principio di ottenere la massima analgesia con la minima incidenza di eventi avversi. È quanto raccomandano le più recenti linee guida, che indirizzano la scelta terapeutica verso lo schema posologico più semplice e la modalità di somministrazione meno invasiva. La morfina viene ancora considerata da molti l'oppioide di prima scelta. Tuttavia, ciò non sempre corrisponde a una migliore efficacia clinica o tollerabilità. Per esempio, è stato recentemente approvato l'utilizzo di fentanyl somministrato per via transdermica attraverso un cerotto contenente il principio attivo (Transdermal therapeutic system, TTS). L'effetto analgesico di oppioidi con lunga durata d'azione come fentanyl è stato dimostrato in pazienti con dolore neuropatico, con dolore in corso di neoplasie e con lombalgie croniche. L'efficacia di tali trattamenti è ovviamente origine di un significativo miglioramento della qualità della vita dei soggetti trattati. Sono ormai molti gli studi clinici controllati che hanno paragonato fentanyl a oppiacei classici, come la morfina. In uno studio i risultati indicano che i due analgesici sono egualmente efficaci, ma che fentanyl ha una tollerabilità maggiore, ovvero vi è una minore incidenza di effetti collaterali. La buona tollerabilità di fentanyl è stata osservata anche in pazienti che non avevano mai assunto oppioidi e in pazienti anziani.
Nel 2001 è stata promulgata in Italia una nuova legge in materia di prescrizione dei farmaci oppiacei per il trattamento del dolore cronico severo. In accordo con le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si è voluto assicurare un più efficace trattamento del dolore nei malati terminali e in quelli affetti da dolore severo che non risponde ai comuni trattamenti analgesici. La legge ha avuto il merito di snellire le procedure relative alla prescrivibilità degli oppiacei, rendendoli più accessibili al paziente; essa riguarda i seguenti farmaci oppiacei: buprenorfina, codeina, diidrocodeina, fentanyl, idrocodone, idromorfone, metadone, morfina, ossicodone, ossimorfone.
Recenti evidenze sperimentali hanno dimostrato l'esistenza di molteplici similitudini nei meccanismi fisiopatologici che sottendono la genesi di alcune forme di epilessia e di dolore neuropatico. Per tale ragione vengono utilizzati alcuni farmaci antiepilettici nella terapia di questo tipo di dolore. Negli ultimi anni è stato introdotto un farmaco antiepilettico che ha in certi casi sostituito la carbamazepina. Tale farmaco, gabapentin, è indicato nel trattamento di diverse forme di dolore cronico su base neuropatica (quali alcune forme di nevralgie facciali, il dolore secondario a infezione da Herpes zoster, il dolore da lombalgia cronica) e anche come profilattico negli attacchi di emicrania. Il suo meccanismo di azione è legato alla capacità di inibire una specifica subunità dei canali ionici per il calcio, l'α-2-δ. Infatti, è stata dimostrata un'aumentata espressione di tale subunità in neuroni sensitivi in diversi modelli sperimentali di dolore cronico. In queste situazioni, laddove l'iper-espressione ha luogo nei neuroni delle corna dorsali del midollo, il gabapentin ha una notevole efficacia analgesica, dimostrando che l'ipereccitabilità neuronale è legata a un alterato funzionamento della subunità α-2-δ. Il farmaco, che è generalmente molto ben tollerato, può essere somministrato anche a dosaggi relativamente elevati (oltre 2400 mg/die). Tra gli antiepilettici di nuova introduzione, va ricordata la lamotrigina, una sostanza il cui meccanismo d'azione è legato al blocco dei canali ionici voltaggio-dipendenti per il sodio e per il calcio di tipo N e P. Essa, come carbamazepina e gabapentin, trova indicazione in tutte le sindromi dolorose croniche come il dolore in corso di neuropatia diabetica, la nevralgia trigeminale, il dolore centrale secondario a ictus cerebrale o in corso di sclerosi multipla.
Una revisione della letteratura ha valutato l'efficacia e la tollerabilità di nuovi farmaci antiepilettici recentemente approvati dalla U.S. Food and Drug Administration. Si tratta di un derivato della carbamazepina, la oxcarbazepina, del topiramato, del levetiracetam e della zonisamide. L'oxcarbazepina agisce come il suo diretto predecessore, la carbamazepina, bloccando le correnti ioniche del sodio e in parte del calcio. Il topiramato blocca le correnti del sodio, i recettori dell'acido glutammico di tipo AMPA e potenzia la trasmissione inibitoria del GABA. Il levetiracetam non ha effetto sui canali del sodio, ma blocca i canali del calcio di tipo N e P/Q. Inoltre è stato dimostrato che il sito di legame del levetiracetam è rappresentato dalla proteina vescicolare sinaptica SV2. Anche i canali del calcio di tipo T sono risultati coinvolti nella trasmissione del dolore neuropatico dai nocicettori periferici e nel midollo spinale. Zonisamide ed etosuccimide sono due antiepilettici in grado di bloccare selettivamente i canali T. La revisione degli studi clinici in cui sono stati utilizzati i suddetti farmaci ha dimostrato come essi siano ben tollerati ed efficaci nel trattamento di diverse sindromi dolorose croniche. In particolare viene segnalato il levetiracetam per la sua maneggevolezza, soprattutto in relazione al potenziale uso in pazienti anziani. È importante tuttavia sottolineare che tutti i farmaci suddetti necessitano di titolazione: la dose ottimale va quindi raggiunta gradualmente, partendo dalla dose minima e aumentando il dosaggio ogni settimana. La titolazione è necessaria per evitare l'insorgenza di fastidiosi effetti collaterali.
L'emicrania è caratterizzata da un dolore episodico; la sua natura parossistica, così come i meccanismi che ne sottendono l'insorgenza, la avvicinano per molti aspetti all'epilessia. A riprova di tale considerazione, l'emicrania è una delle patologie dolorose per la quale gli antiepilettici hanno trovato indicazione. L'acido valproico, per esempio, da tanti anni utilizzato in alcune forme di epilessia, è stato il primo antiepilettico approvato negli Stati Uniti per il trattamento profilattico delle crisi emicraniche. Più di recente, altri farmaci antiepilettici sono stati introdotti per il trattamento cronico in corso di emicrania. La carbamazepina e la lamotrigina e, ancor più di recente, il topiramato e il levetiracetam hanno fornito interessanti indicazioni nel ridurre preventivamente la frequenza degli attacchi di emicrania.
Farmaco di nuovissima introduzione è il pregabalin. I dati sperimentali suggeriscono che, come il gabapentin, alla cui struttura chimica è molto simile, il pregabalin agisce legandosi alla subunità α-2-δ dei canali ionici per il calcio riducendo il rilascio di dai terminali nervosi. Ciò si traduce a sua volta in una riduzione del rilascio di trasmettitori come il glutammato, la sostanza P e il CGRP. Studi clinici condotti su un vasto campione di pazienti diabetici affetti da dolore neuropatico ne confermano l'efficacia a dosi comprese tra 300 e 600 mg/die.
Nuove e sofisticate tecniche di anestesia locale sono state introdotte negli ultimi anni per il trattamento del dolore sia acuto sia cronico. L'utilizzo di cateteri nervosi periferici è inoltre aumentato in virtù del riscontro di migliori risultati nel trattamento del dolore postoperatorio. Per esempio, studi clinici controllati hanno mostrato come l'infusione continua di analgesici tramite un catetere sia molto efficace nel trattamento di questo tipo di dolore. Inoltre, la disponibilità di nuovi strumenti e di tecniche mirate a facilitare la sostituzione dei cateteri ha dato ulteriore impulso all'adozione di cateteri periferici per i blocchi nervosi in corso di dolore cronico. Tali tecniche, la cui applicazione richiede comunque una notevole esperienza clinica da parte di medici anestesisti, possono in molti casi essere eseguite a domicilio e parzialmente gestite dai pazienti stessi. Ciò viene anche favorito, è importante sottolinearlo, dalla maneggevolezza e sicurezza dei nuovi farmaci anestetici utilizzati.
Numerosi studi clinici sono stati pubblicati a supporto di una indicazione chirurgica per il trattamento di alcune sindromi dolorose centrali e periferiche, e in particolare di diverse forme di dolore neuropatico cronico, nevralgia posterpetica, sindromi dolorose da deafferentazione o da lesioni midollari e anche forme di dolore centrale come la . La stimolazione della rappresenta un'alternativa per il trattamento di sindromi dolorose centrali e del dolore neuropatico intrattabile. Sebbene le basi scientifiche dell'efficacia di tali terapie non siano state del tutto chiarite, la letteratura a oggi disponibile sembra suggerire che l'inibizione della trasmissione dolorifica a livello della regione cerebrale talamica rappresenti il meccanismo più credibile.
La stimolazione cerebrale profonda (deep brain stimulation) è una tecnica neurochirurgica che ha trovato importanti applicazioni nel trattamento di diversi disturbi del movimento. Venne introdotta per contrastare alcune forme di dolore negli anni Cinquanta del Novecento. Tuttavia il suo impiego è stato attualmente soppiantato dalla stimolazione della corteccia motoria. Un'altra alternativa chirurgica utilizzata per alcune forme di dolore cronico è rappresentata dalla stimolazione del midollo spinale (spinal cord stimulation). Essa prevede l'uso di un generatore elettrico che indirizza impulsi a una determinata area-bersaglio del midollo. L'esatto meccanismo cellulare attraverso cui tale tecnica funziona non è stato ancora chiarito. Diversi studi clinici sono stati condotti su pazienti affetti da vari tipi di dolore cronico. In essi viene sottolineata l'efficacia della tecnica in uso; rimane tuttavia la necessità di studi clinici più vasti e di criteri di selezione dei pazienti più rigorosi.
Tra le cosiddette terapie fisiche, va menzionata una metodica di recente introduzione: la stimolazione magnetica transcranica (TMS, Transcranial magnetic stimulation). Essa consiste nell'applicazione di una stimolazione ripetitiva, generata da un campo magnetico, a specifiche aree della corteccia cerebrale. La tecnica non è invasiva, e i magneti vengono applicati sulla cute del cuoio capelluto sovrastante la zona prescelta. Lo stimolo viene dato sotto forma di treni d'impulsi che si ritiene possano produrre dei cambiamenti a lungo termine dell'eccitabilità delle aree cerebrali stimolate. Ciò produrrebbe una riorganizzazione di tali circuiti cerebrali, non solo nelle immediate vicinanze dell'area prescelta, ma anche a distanza. Recenti studi clinici condotti su pazienti affetti da forme diverse di dolore centrale o periferico ne supportano l'efficacia e la buona tollerabilità.
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