Terra e spazio circumterrestre
Con la locuzione Terra e spazio circumterrestre ci si riferisce alla regione dello spazio che racchiude la Terra e in cui si risentono gli effetti dei campi magnetico e gravitazionale da essa generati.
Il campo geomagnetico
Le ipotesi sull'origine del campo magnetico sono quelle di una dinamo ad autoeccitazione. Questa dinamo sarebbe costituita dal nucleo terrestre, ricco di ferro fluido per il calore provocato da processi di decadimento radioattivo che ivi hanno luogo. Tutto avrebbe avuto inizio con la presenza di un casuale, anche piccolo, campo magnetico che, interagendo con il ferro fluido in movimento, avrebbe prodotto correnti elettriche che a loro volta avrebbero creato un ulteriore campo magnetico, iniziando così un processo a catena autosostenuto. La perturbazione magnetica esterna potrebbe essere coincisa con una fase di intensa attività esplosiva e magnetica del Sole che trasferisce gran parte della sua energia di rotazione ai pianeti anche tramite accoppiamenti magnetici. La variazione temporale del campo geomagnetico è determinata da una somma di contributi aventi ciascuno tipologia, intensità e tempo caratteristici differenti. Le variazioni rapide, in particolare, sono legate a fattori esterni alla Terra e modulate dall'attività solare. L'emissione di radiazione solare è accompagnata dalla continua emissione di un gas ionizzato, il vento solare, che costituisce in sostanza l'espansione della corona solare. Le particelle energetiche cariche, che si muovono attraverso lo spazio interplanetario con velocità comprese tra 400 e 800 km/s, interagiscono con il campo magnetico terrestre e lo deformano creando una sorta di cometa magnetica detta magnetosfera.
La magnetosfera terrestre
Nel Sistema solare, i pianeti che sono dotati di magnetosfera sono tutti perturbati dalla presenza del vento solare. La forma della magnetosfera terrestre è determinata dal vento solare che la comprime nel punto di impatto lungo la congiungente Terra-Sole, ove si forma un'onda d'urto ad arco (bow shock), mentre nella direzione antisolare ne origina l'allungamento fino a 1000 raggi terrestri, formando una coda (magnetotail), all'interno della quale le linee di flusso del campo magnetico vengono fortemente compresse. Il campo magnetico terrestre fa da scudo alle particelle del vento solare che in massima parte scivolano lungo il fronte d'urto e convergono verso il lato notturno della magnetosfera. Le particelle che arrivano a penetrare all'interno della zona d'urto rimangono in gran parte intrappolate lungo le linee interne del campo magnetico terrestre, dando origine alle fasce di Van Allen. La zona della magnetosfera che si estende dal lobo frontale fino a circa 8 raggi terrestri nel versante notturno, ma che non inviluppa i poli, è detta interna. La chiusura verso i poli delle linee del campo magnetico costituisce due imbuti (polar cusps), all'interno dei quali precipitano le particelle cariche provenienti dal Sole. La zona interna della magnetosfera è relativamente calma e stabile, ed è caratterizzata da una densità ionica media di 1 ione/cm3 (soprattutto protoni). All'interno di questa zona si osserva una linea di corrente anulare (ring current), presente sull'equatore terrestre e provocata dalla migrazione longitudinale di particelle cariche con energie dell'ordine dei 10-200 keV. Gli ioni intrappolati nella zona interna della magnetosfera perdono energia a causa di collisioni reciproche e sono deviati su orbite che li portano verso gli alti strati atmosferici. Queste perdite di ioni dalla zona interna sono regolarmente compensate dall'arrivo di nuovi ioni provenienti dalla zona notturna ove un processo detto sottotempesta (substorm) sospinge gli ioni verso l'interno della magnetosfera. Le sottotempeste hanno normalmente luogo nella zona equatoriale della coda magnetosferica antisolare, detta strato di plasma (plasma sheet) con spessore tra i 3 e i 7 raggi terrestri: esse comprimono il plasma lungo le linee del campo magnetico in direzione della Terra. Le particelle provenienti dal Sole che scivolano lungo le linee del campo fino a raggiungere la coda magnetica possono concentrarsi in nubi di plasma, detti plasmodi, che sfuggono dalla magnetosfera e si perdono nello spazio profondo.
Lo studio del moto di un conduttore in un campo magnetico è stato condotto con il cosiddetto satellite al guinzaglio (Tethered Satellite). Sfruttando un volo orbitale di una navetta spaziale (space shuttle), si fa allontanare da essa un piccolo satellite collegato a un guinzaglio conduttore (tether) di una ventina di chilometri di lunghezza. All'interno del cavo si produce un campo elettromotore che si presenta con una differenza di potenziale alle due estremità di circa 5 kV. L'utilità di questo sistema risiede sia nella produzione di energia elettrica sia nella possibilità di utilizzare il cavo stesso come un'antenna per onde di bassissima frequenza, capaci di trasmettere segnali nelle profondità oceaniche. La difficoltà meccanica di srotolare in assenza di gravità un cavo così lungo ha fatto sì che soltanto due missioni finora abbiano tentato di utilizzare questa tecnica (NASA/ASI TSS1 e TSS1R), dimostrando tuttavia la validità e la fattibilità dell'idea.
La ionosfera
La ionosfera è la fascia dell'atmosfera nella quale le radiazioni del Sole, e in misura di molto minore i raggi cosmici provenienti dallo spazio, provocano la ionizzazione dei gas: essa si estende fra i 60 e i 450 km di quota. La ionosfera è estremamente rarefatta contenendo solamente l'1% circa della massa atmosferica; la sua temperatura diurna varia dai 200 °K degli strati più interni ai 1500 °K di quelli più esterni, maggiormente esposti al Sole.
La ionosfera svolge un ruolo importante in alcune applicazioni radio: un'onda a radiofrequenza, incidente su uno strato ionizzato, può essere totalmente riflessa in opportune condizioni, al contrario di quanto accade nell'atmosfera non ionizzata, il cui indice di rifrazione presenta variazioni generalmente troppo piccole per produrre la riflessione totale di un'onda. Questo tipo di propagazione è abbastanza efficiente per frequenze inferiori ai 30 MHz, le cosiddette onde corte, tipicamente utilizzate dalle trasmissioni radioamatoriali. Tra i vari strati della ionosfera, quello più interno (strato D) si estende fra i 60 e i 90 km di altitudine. In questo strato, il gas ionizzato è principalmente l'ossido di azoto (NO): gli ioni e gli elettroni si ricombinano velocemente e di conseguenza l'effetto netto della ionizzazione risulta piuttosto basso, e di notte è praticamente nullo. Lo strato E si estende fra i 90 e i 130 km di altitudine. Il gas ionizzato è l'ossigeno molecolare (O2), la cui velocità di ricombinazione è minore rispetto all'ossido di azoto dello strato D, e pertanto di notte permane una debole ionizzazione. Lo strato E può essere sfruttato per le trasmissioni fino ai 10 MHz. Esiste anche uno strato sporadico, che compare talvolta alla quota di 100 km, per brevi intervalli di tempo, da pochi minuti a qualche ora (strato Es). Questo strato è caratterizzato da nubi elettroniche di forma lamellare, fortemente ionizzate e di piccolo spessore (circa 2 km), in grado di supportare la propagazione fino a 20 MHz. Le diverse cause che potrebbero concorrere alla formazione dello strato Es sono in corso di studio. Il calore prodotto dalla disintegrazione di sciami meteorici che entrano nell'atmosfera può, per es., creare delle scie di intensa ionizzazione, che sono interpretabili come strati Es. Fra i 130 e i 450 km di altitudine si estende lo strato F, nel quale il gas ionizzato è l'ossigeno atomico (O). Di giorno, lo strato F si divide in due ulteriori sottostrati, F1 (interno) e F2 (esterno), nei quali la ionizzazione assume proprietà differenti. Lo strato F1 si estende fino a ∼240 km e contiene principalmente ioni NO+; mentre nello strato F2, che si estende oltre i ∼240 km, sono presenti soprattutto ioni O+. La regione F è la più importante dal punto di vista delle comunicazioni ad alta frequenza, perché in essa si raggiungono le massime concentrazioni di densità elettronica e la più alta riflettività. Le descrizioni precedenti possono dare la falsa impressione che gli strati ionosferici siano omogenei e uniformi: in realtà, la ionosfera è caratterizzata da una grande variabilità spaziotemporale, con ispessimenti locali e aree a differenti livelli di ionizzazione. Poiché la ionizzazione influenza direttamente la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche attraverso la ionosfera, essa influenza anche alcuni tipi di misure eseguite da strumenti radar a bordo di satelliti. È il caso, per es., dei radioaltimetri, strumenti radar che inviano impulsi elettromagnetici nelle microonde a frequenze dell'ordine dei 30 GHz. Nel telerilevamento gli altimetri servono a misurare la distanza tra satellite e superficie, soprattutto quella dei mari, dei laghi e delle vaste coperture dei ghiacci: poiché la posizione del satellite è conosciuta con grande precisione attraverso una rete internazionale di laser di precisione, dal tempo di andata e ritorno dei segnali altimetrici si ricava la topografia precisa della superficie sottostante, informazione, questa, molto importante sui mari per la determinazione della circolazione oceanica e per molte applicazioni geodetiche. Tuttavia, per ottenere una misura precisa occorre correggere le perturbazioni causate da tutti quei fenomeni che intervengono sulla velocità di propagazione degli impulsi radar: tra questi, la ionizzazione è uno dei principali e la sua grande variabilità deve essere tenuta in conto nelle correzioni da apportare alle misure da satellite.
La geocorona
Penetrando ancora più profondamente nella magnetosfera, nella parte più esterna dell'atmosfera terrestre fino all'orbita geostazionaria, a una distanza di circa 6,6 raggi terrestri, si trova una grande nube di atomi neutri d'idrogeno che inviluppa tutto il pianeta, detta esosfera. La riflessione della radiazione ultravioletta da parte dell'esosfera provoca un fenomeno di luminescenza detto geocorona. Il limite teorico dell'esosfera è di circa 100.000 km, distanza alla quale gli atomi d'idrogeno si svincolano dall'attrazione terrestre sotto la spinta della pressione di radiazione solare.
Le aurore polari. - A causa di un processo che è noto come riconnessione magnetica tra il campo magnetico interplanetario e quello terrestre, il plasma del vento solare può penetrare dentro la magnetosfera e, dopo complessi processi di accelerazione, interagire con la ionosfera terrestre, dando luogo al fenomeno delle aurore. L'aurora polare, o anche aurora boreale oppure australe in funzione dell'emisfero in cui si verifica, è un fenomeno ottico caratterizzato principalmente da bande luminose di colore rosso-verde-azzurro, dette archi aurorali, rapidamente mutevoli. I particolari colori di un'aurora dipendono da quali gas sono presenti nell'atmosfera, dal loro stato elettrico e dall'energia delle particelle che li colpiscono. L'ossigeno atomico è responsabile del colore verde (lunghezza d'onda 557,7 nm) e l'ossigeno molecolare del rosso (630 nm). L'azoto è l'origine del colore blu. Il fenomeno è causato dall'interazione di particelle cariche (cioè protoni ed elettroni) di origine solare con la ionosfera terrestre negli strati atmosferici compresi tra i 100 e i 500 km di quota. Tali particelle arrivano con il vento solare ed eccitano gli atomi dell'atmosfera, che in seguito, tornando allo stato di quiete, emettono luce di varie lunghezze d'onda. La distribuzione dell'intensità delle aurore in altitudine mostra che si formano prevalentemente a un'altitudine di 100 km sopra la superficie terrestre. In genere, sono nelle regioni vicine ai poli, ma possono occasionalmente essere viste fino a 40° di latitudine. A causa della geometria del campo magnetico, le aurore sono visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra, dette ovali aurorali. Questi anelli sono centrati sui poli magnetici (spostati di circa 11° rispetto ai poli geografici) e hanno un diametro di circa 3000 km nei periodi di quiete, per poi crescere quando la magnetosfera è disturbata. Gli ovali aurorali si trovano generalmente tra 60° e 70° di latitudine N e S. Le aurore visibili a occhio nudo sono prodotte dagli elettroni, mentre quelle di protoni possono essere osservate solamente con l'ausilio di particolari strumenti. Le aurore sono più intense e frequenti durante periodi di intensa attività solare, in cui il campo magnetico interplanetario può presentare notevoli variazioni in intensità e direzione, aumentando la possibilità di un accoppiamento con il campo magnetico terrestre.
Le fasce di Van Allen
Un gran numero di protoni e di elettroni energetici del vento solare penetra nel campo magnetico terrestre, dove rimane confinato in due regioni, le fasce di Van Allen, dal nome dello scienziato che ebbe l'occasione di scoprirle nel 1958. Le fasce di Van Allen hanno forma toroidale e contengono particelle cariche trattenute dal campo magnetico terrestre. Sono due e circondano la Terra, una interna e una più esterna: la prima contiene principalmente protoni, mentre la seconda soprattutto elettroni. La fascia interna è composta di protoni ed elettroni derivati dal decadimento di neutroni prodotti nell'atmosfera terrestre da interazioni con i raggi cosmici. La fascia esterna è costituita principalmente da particelle cariche emesse dal Sole. Un aumento del numero di queste particelle è associato con l'attività solare, e il loro allontanamento dalla fascia di radiazioni provoca le aurore boreali sui poli e interruzioni delle trasmissioni radio. La fascia interna si estende da circa 800 km fino a circa 4000 km al di sopra della superficie terrestre, mentre quella esterna si estende tra i 10.000 e i 65.000 km di altitudine e si presenta particolarmente intensa tra i 14.500 e i 19.000 km. L'ipotesi più accreditata è che essa sia costituita da plasma intrappolato dalla magnetosfera terrestre, con elettroni e numerosi ioni, e si sia formata a causa di eventi diversi. Gli ioni sono soprattutto protoni energetici, con particelle alfa e ioni di ossigeno O+ simili a quelli presenti nell'atmosfera terrestre ma assai più energetici. La fascia esterna ha uno spessore maggiore di quella interna ed è avvolta da una regione a bassa intensità nota come ring current. Essa contiene inoltre una maggiore varietà di particelle a energia minore (meno di 1 MeV), che però aumenta rapidamente quando una tempesta magnetica trasporta particelle dalla magnetosfera. Le fasce si trovano in un'area che si estende per 65 gradi ca. dall'equatore celeste. La scoperta di queste cinture radioattive fece temere che il loro attraversamento fosse molto pericoloso per gli astronauti: si pensò di far passare le astronavi sopra i poli (dove la radioattività è minima), oppure di adottare pesanti schermature.
Ulteriori ricerche dimostrarono che tale pericolo, seppur reale, era stato un po' sopravvalutato e, infatti, gli astronauti hanno continuato ad attraversare tali cinture radioattive. Simili strutture esistono anche attorno ad altri pianeti; il Sole, al contrario, non ha fasce di radiazioni di effetto duraturo nel tempo. Si è pensato che le fasce di Van Allen fossero frutto di esperimenti nucleari russi e statunitensi, ma non sono state misurate variazioni di rilievo dopo l'entrata in vigore dei trattati di bando dei test nucleari. Come già sottolineato, le fasce di Van Allen costituiscono un pericolo per i satelliti artificiali e per la salute degli astronauti. L'Europa ha già sperimentato l'effetto distruttivo delle fasce di Van Allen nel 1991, quando il loro ripetuto attraversamento nelle orbite ellittiche dopo il lancio, prima della messa in orbita circolare, sembra abbia causato il definitivo danneggiamento dello strumento PRARE dell'ESA (European Space Agency).
La polvere interplanetaria
L'atmosfera terrestre è continuamente bombardata da particelle solide di origine interplanetaria, le cui minuscole dimensioni variano da qualche micrometro a qualche centinaio di micrometri. Le sorgenti di queste particelle sono le comete, che al loro passaggio nei pressi del Sole espellono tonnellate di materiale solido e gassoso, e le collisioni asteroidali. Le particelle interplanetarie sono rintracciabili anche nei sedimenti terrestri in virtù della loro composizione simile a quella delle meteoriti condritiche. Le particelle di polvere interplanetaria (IDP, Interplanetary Dust Particle) sono uno dei materiali più antichi del Sistema solare, come dimostrato dall'alto valore del rapporto deuterio/idrogeno, indicativo di processi geochimici che hanno normalmente luogo nelle nubi molecolari interstellari. Peraltro i tempi di sopravvivenza nello spazio del Sistema solare di tali polveri sono limitati a valori dell'ordine dei 10.000÷100.000 anni, a causa della ripulitura gravitazionale dello spazio circostante i pianeti e di un effetto della pressione di radiazione solare che spinge le particelle su traiettorie spiraleggianti, che eventualmente terminano nel Sole. Quando queste polveri entrano nel campo gravitazionale terrestre sono accelerate a velocità di svariati km/s e potrebbero sfuggirne sfruttando l'incremento della forza centrifuga (effetto fionda) se l'attrito con gli alti strati atmosferici tra i 120 e gli 80 km di quota non le rallentasse molto dolcemente, permettendo loro di inoltrarsi nell'atmosfera terrestre. La velocità di caduta delle particelle oscilla tra 11 e 20 km/s; a queste velocità molte di esse subiscono piuttosto rapidamente un forte riscaldamento che provoca evaporazioni ed emissioni luminose. Tuttavia, numerose particelle riescono comunque a sopravvivere all'ablazione atmosferica e arrivano sulla superficie del pianeta. Carotaggi profondi mostrano che la pioggia di particelle interplanetarie non si è mai arrestata nel corso delle ere geologiche. Pur essendo generalmente di origine asteroidale o cometaria, sono state comunque rintracciate nella stratosfera terrestre particelle di polvere la cui composizione, dominata dal carbonio e dal ghiaccio d'acqua, fa supporre un'origine differente.
I detriti spaziali
Fin dall'inizio dell'era spaziale lo spazio circumterrestre ha sviluppato una nuova preoccupante caratteristica: l'inquinamento da materiali solidi provenienti da veicoli di lancio e satelliti esplosi o fatti esplodere o abbandonati in orbita alla fine del loro servizio. Migliaia di viti e bulloni, pezzi di protezione termica, persino guanti persi dagli astronauti, e molti altri tipi di spazzatura spaziale pullulano in corrispondenza delle orbite circumterrestri maggiormente utilizzate: al di là della loro massa effettiva, il vero pericolo consiste nell'elevatissima velocità con cui essi continuano a muoversi (dell'ordine di 25.000 km/s): anche una piccola vite ha un'energia cinetica tale da perforare la tuta di un astronauta. Molti di tali oggetti, trovandosi su orbite instabili, dopo periodi più o meno lunghi di permanenza orbitale precipitano come stelle cadenti artificiali. Si stima che su orbite basse, tipiche dei satelliti per telecomunicazioni (orbite Molnya), ci siano 2 milioni di chilogrammi di detriti pericolosi. Se si includono tutti gli oggetti presenti su orbite più alte, fino cioè all'orbita geostazionaria a 36.000 km di quota, si arriva a ben 110.000 oggetti di dimensioni maggiori di un centimetro. Tra questi ultimi si trovano ben 2671 satelliti. Ognuno di questi oggetti rappresenta un pericolo mortale per satelliti e veicoli spaziali: la probabilità di collisioni è diversa da zero; un certo numero di satelliti artificiali è già stato danneggiato o addirittura distrutto per questa causa; alcuni satelliti artificiali sono in orbita per uso operativo e quindi con conseguenze particolarmente onerose. Dall'inizio della sorveglianza dei detriti spaziali sono stati rilevati ben 17.000 detriti spaziali rientrati in atmosfera, numero non sufficiente a ripulire le orbite commerciali.