Terra. Interno della Terra
I parametri geofisici fondamentali della Terra sono diretta conseguenza della composizione globale, della distribuzione delle masse e della dinamica del pianeta. I principali livelli dell'interno della Terra hanno proprietà chimiche e sismiche distinte. Essi sono: la crosta da 0 a 40 km; il mantello superiore da 40 a 670 km (ulteriormente suddiviso in mantello litosferico da 40 a 100 km, astenosfera da 100 a 400 km, zona di transizione da 400 a 670 km) e il mantello inferiore da 670 a 2890 km (dove si individua il livello D, 2700÷2890 km); il nucleo esterno da 2890 a 5150 km e il nucleo interno da 5150 a 6371 km. La Terra con una massa di 5,98×1024 kg e un diametro di 12.756,28 km è il pianeta di maggiore densità del Sistema solare con circa 5515 kg/m3, essa presenta in superficie una temperatura media di 15 °C, accelerazione di gravità di 9,78 m/s2 e pressione atmosferica media di 1,014 bar; il suo campo magnetico è di 0,3076 gauss-Re3 (con momento di dipolo normalizzato al raggio terrestre Re) e i parametri orbitali planetari sono caratterizzati da un'eccentricità dell'orbita di 0,0167 e una distanza dal Sole di 1,496×108 km. Complessivamente nella composizione chimica della Terra prevalgono: ferro (34,6%), ossigeno (29,5%), silicio (15,2%), magnesio (12,7%); seguono nichel (2,4%), zolfo (1,9%) e tutti gli altri elementi per il 3,7%.
Una fondamentale informazione sul pianeta Terra è data dalla forma del geoide. Il geoide è la superficie equipotenziale della gravità che passa per il livello medio dei mari e presenta oscillazioni che variano tra +80 e −120 m rispetto all'ellissoide di rotazione terrestre. Anomalie del geoide positive e negative indicano rispettivamente eccessi e deficit di massa nell'interno della Terra, le cui profondità rispetto alla superficie sono correlabili in modo diretto alla lunghezza d'onda delle anomalie. Le più forti anomalie positive si riscontrano sul lato sud-occidentale del Pacifico, nell'Atlantico del nord, e nell'oceano Indiano sud-occidentale. La maggiore anomalia negativa è invece concentrata nella regione definita dall'India meridionale e dall'oceano Indiano centrale.
Nell'interno della Terra non si verificano le condizioni affinché possano avvenire reazioni nucleari; ciò implica un costante e lento raffreddamento. Il calore emesso dal pianeta è in parte una conseguenza del processo di raffreddamento iniziato dopo la sua formazione. La produzione di tale calore è infatti da attribuire, per circa il 20÷40%, alla collisione delle particelle o dei planetesimi che hanno formato la Terra, al calore rilasciato dalla cristallizzazione del ferro che forma attualmente il nucleo solido, e al calore di frizione legato ai movimenti interni. Il rimanente 60÷80% del calore emesso è da attribuire al decadimento radioattivo degli elementi che compongono il nostro pianeta, in particolare gli isotopi dell'uranio, del torio e del potassio.
Il flusso di calore emesso dalla superficie terrestre è massimo lungo le dorsali oceaniche, dove il mantello sottostante è più vicino alla superficie e fonde per la minor pressione litostatica. Lungo la dorsale del Pacifico vi sono le zone di emissioni maggiori, dove il flusso di calore è anche superiore a 300 mW/m2. La crosta continentale, radioattiva, contribuisce significativamente a emettere calore. La media del flusso di calore è di circa 57 mW/m2, valore infinitesimo, che tuttavia ‒ esteso alla superficie dell'intero pianeta ‒ comporta emissione di energia in un intervallo tra 31÷44 TW∙s.
L'interno della Terra non è ancora perfettamente conosciuto. Le informazioni disponibili, provengono in larga parte da metodi indiretti come lo studio delle variazioni di velocità delle onde sismiche, i bilanci di massa del pianeta, le speculazioni geochimiche sulla composizione globale, le variazioni dei campi gravimetrico e magnetico. Il campionamento diretto dell'interno terrestre avviene soltanto attraverso il rilevamento di xenoliti (frammenti di roccia provenienti da profondità al massimo di qualche centinaio di km, inclusi in rocce vulcaniche, come nei camini kimberlitici) e lo studio del magmatismo la cui profondità di genesi viene in genere stimata tra i 50 e 300 km. Come regola generale, la temperatura, la pressione e la densità aumentano dalla superficie verso l'interno della Terra.
L'interno della Terra può essere suddiviso sulla base della composizione oppure del comportamento meccanico. La suddivisione composizionale tradizionale è la tripartizione in crosta, mantello e nucleo. La crosta può essere di tipo oceanico o continentale e ha spessori medi rispettivamente di 5÷10 e 30÷40 km. Il mantello si divide in superiore e inferiore, e il nucleo in esterno liquido e interno solido (fig. 2). La stratificazione è legata alla densità dei materiali; gli elementi più leggeri tendono verso l'alto e viceversa.
Il limite tra la crosta e il mantello è una discontinuità fondamentale, detta Moho dal nome del suo scopritore (Andrija Mohorovičić), ed è un limite individuato dal brusco cambiamento della velocità delle onde sismiche. Le onde P passano da circa 6,5÷7 km/s a oltre 8 km/s. Tale aumento di velocità è legato alla maggiore rigidità delle rocce del mantello al di sotto della crosta. Le rocce della crosta sono costituite da 8 elementi principali: ossigeno (46,6%), silicio (27,7%), alluminio (8,1%), ferro (5%), calcio (3,6%), sodio (2,8%), potassio (2,7%), magnesio (2,1%). La crosta, nella parte alta, è formata in genere da rocce sedimentarie, mentre, a maggiori profondità, le rocce diventano metamorfiche e ignee. Essa può essere di due tipi, continentale e oceanica. La crosta continentale è meno densa (2,6÷2,8 g/cm3) rispetto a quella oceanica (2,8÷3,0 g/cm3); ha uno spessore variabile tra 10÷50 km, mentre quella oceanica ha spessori minori, in genere di 4÷10 km. La crosta continentale sotto le catene montuose come l'Himalaya può raggiungere i 70 km ed è costituita dagli elementi più leggeri espulsi dal mantello, per questo è la parte più esterna della Terra solida. La crosta oceanica ha contenuti in magnesio maggiori e di alluminio minori rispetto a quella continentale. Altri elementi importanti, ma presenti in quantità minori sono anche carbonio, manganese, zolfo, bario, cloro, cromo, fluoro, zirconio, nichel, stronzio, vanadio, più altri elementi in percentuali sempre minori.
La crosta oceanica è molto più giovane (0÷200 milioni di anni) di quella continentale (fino a 3900 milioni di anni). L'età minore della crosta oceanica ne indica la sua maggiore mobilità: se ne forma continuamente di nuova, mentre altrettanta ne scende all'interno della Terra, dove le placche si incuneano nel mantello attraverso il processo di subduzione.
Il mantello si divide in superiore (tra 30 e 670 km) e inferiore (tra 670 e 2900 km), con altre discontinuità significative all'interno, come quella dei 400 km dove le onde sismiche accelerano, e che viene interpretata come dovuta alla transizione (esotermica) della olivina nella fase più densa tipo-spinello.
La discontinuità tra mantello superiore e inferiore a 670 km segna la massima profondità dei terremoti nelle zone di subduzione. In corrispondenza di questa profondità il mantello inferiore assume fasi più dense (transizione endotermica da struttura spinello a perovskite e magnesio-wustite) e una viscosità 20-30 volte più alta del mantello superiore. Immagini di tomografia sismica farebbero pensare che alcune subduzioni (o slab) riescano a penetrare nel mantello inferiore. In prossimità di alcune zone di subduzione (per es., Izu-Bonin), questa discontinuità sembra approfondirsi fino a 690 km. Un'ulteriore discontinuità all'interno del mantello inferiore è stata evidenziata a circa 1000 km. L'altra grande discontinuità dell'interno planetario è la transizione mantello-nucleo, detta discontinuità di Gutenberg, dal nome di Beno Gutenberg che la scoprì nel 1914. Questo limite segna una brusca diminuzione della velocità delle onde P e un azzeramento delle onde S. è una zona sfumata e irregolare morfologicamente analoga a rilievi montuosi rovesciati e galleggianti sulle leghe di ferro fuso del nucleo esterno. Alla base del mantello, che è anche detta zona di transizione D, la pressione è di circa 140 GPa.
Il nucleo è composto principalmente di ferro, a cui si associa circa il 6% di nichel e l'8÷10% di altri elementi, come per esempio il potassio la cui abbondanza è al momento solo ipotetica. Il nucleo, costituito prevalentemente da leghe di ferro, è denso più del doppio del mantello, con densità tra 10 e 13 g/cm3. Nella sua parte liquida esterna, di circa 2260 km di spessore, la convezione deve essere vigorosa, e la temperatura stimata è tra i 4000÷5000 °C. Data la sua natura prevalentemente metallica e il suo stato convettivo, il nucleo esterno, in rotazione differenziale rispetto al nucleo interno, genera il campo magnetico terrestre che ha una deriva secolare verso ovest. Il polo nord magnetico (attualmente il polo negativo), subisce frequenti ribaltamenti al polo sud, producendo inversioni del dipolo magnetico. Queste inversioni non hanno una ciclicità regolare, e possono durare da alcune centinaia di migliaia ad alcuni milioni di anni. Il periodo in cui l'inversione si mette in atto si ritiene duri invece poche migliaia di anni o meno. L'intensità del campo magnetico terrestre è molto instabile e la sua diminuzione produce un indebolimento dello scudo magnetico dalle radiazioni ionizzanti del Sole. Al limite tra nucleo esterno e nucleo interno, la pressione è di circa 330 GPa. Il nucleo interno ha un raggio di circa 1221 km ed è solido, con una temperatura tra i 5000÷6500 °C. Il passaggio tra nucleo esterno e nucleo interno è riconoscibile per un forte aumento della velocità delle onde P, che ha permesso di capirne anche la natura solida dato che queste, a loro volta, producono nuovamente anche onde S. Il nucleo interno inoltre presenta onde P più veloci del 3÷4% in senso N-S, lungo l'asse di rotazione. L'analisi di come questa anisotropia si sposta nel tempo ha permesso di capire che il nucleo interno ruota più velocemente verso est di 0,3÷0,5° l'anno rispetto agli altri gusci esterni della Terra, e l'asse di questa rotazione è spostato di circa 10° rispetto all'asse di rotazione planetario. Le onde sismiche viaggiano più rapidamente nella direzione dell'asse lungo dei cristalli, e l'anisotropia del nucleo è spiegabile con un allineamento dei cristalli di ferro lungo l'asse della rotazione. Questo implica che l'anisotropia nel nucleo è controllata dalla rotazione stessa. L'anisotropia è più marcata nell'emisfero occidentale, suggerendo una maggiore organizzazione dell'allineamento dei cristalli nella parte occidentale del nucleo solido.
Il nucleo solido, secondo i calcoli termodinamici relativi al modello del raffreddamento terrestre, non esisteva prima di 1,5 miliardi di anni. È in continua espansione per la sedimentazione gravitativa alla sua sommità di ferro segregato dal nucleo liquido in raffreddamento.
La suddivisione meccanica dell'interno terrestre permette di definire litosfera, astenosfera, mesosfera e nucleo esterno e interno. La litosfera ha spessore variabile tra 20 km sotto le dorsali oceaniche fino a circa 100 km nelle zone oceaniche più antiche, e da 50 fino a circa 250 km sotto i cratoni continentali (spessore medio di 100 km); l'astenosfera sottostante arriva a circa 400 km; al di sotto di essa si trova la mesosfera, che coincide con tutto il mantello sottostante.
La litosfera è composta di due parti, la crosta e il mantello litosferico o LID. Il mantello litosferico è la parte alta del mantello superiore che si trova al di sopra dell'isoterma di circa 1300 °C. Il mantello litosferico è composto da peridotiti, harzburgiti e/o lerzoliti, rocce intrusive costituite principalmente da olivina, pirosseni, e talora anche anfiboli e mica.
La litosfera è divisa in 9 placche maggiori (Pacifico, Nazca, Sud-America, Nord-America, Eurasia, Africa, India, Australia, Antartide) e varie placche minori (Arabia, Filippine, Cocos, Caraibi, Gorda, Anatolia, Somalia ecc.): tra di esse vi è anche la placca Apula, la cui interazione con quella euroasiatica condiziona fortemente la geologia italiana.
Sotto la litosfera si trova l'astenosfera, o sfera debole, che ha uno spessore massimo sotto le dorsali oceaniche e minimo sotto i cratoni continentali. L'astenosfera, caratterizzata da una base e un tetto rispettivamente a circa 400 km e 100 km come media, presenta nella parte alta tra i 100 e 200 km una zona detta canale a bassa velocità (LVZ, Low velocity zone), dove le onde sismiche rallentano (fig. 2). Le onde sismiche P, infatti, che all'interno della litosfera raggiungono velocità di oltre 8 km/s, nel canale a bassa velocità possono scendere leggermente al di sotto di questo valore.
L'astenosfera è considerata la zona di minore viscosità del mantello. Al suo interno la temperatura intorno ai 1400 °C, forse anche per la presenza di fluidi come H2O e CO2, può intercettare la curva del solidus delle peridotiti del mantello producendo piccole quantità di fuso (1÷3% circa, Tav. I A). Una maggiore concentrazione in questo livello di clinopirosseni che contengono abbondanti ossidrili può fortemente diminuirne sia la temperatura di solidus sia la viscosità. Il canale a bassa velocità è considerato il piano di scollamento fondamentale tra la litosfera e il mantello sottostante, divenendo così il punto cruciale della tettonica delle placche in quanto ne controlla la dinamica superficiale (Tav. I B). Dove infatti questo livello è meglio sviluppato e la viscosità è più bassa, le placche sovrastanti si muovono più rapidamente. L'esempio migliore è la placca pacifica che si muove con un azimut di circa N300° a una velocità superiore a 10 cm/anno. È la placca più veloce e la viscosità dell'astenosfera sottostante è la più bassa finora misurata, con valori intorno a 1017 Pa s.
La maggior parte del volume della Terra è nel suo mantello (ca. 82%) che si comporta come un solido se sollecitato per periodi brevi come le oscillazioni sismiche; si comporta invece come un liquido se sottoposto a sforzi in tempi lunghi come nella convezione mantellica (fig. 3).
Lo studio delle onde sismiche è fondamentale per la conoscenza dell'interno della Terra. Le onde P (prime o compressionali) e S (seconde e trasversali), viaggiano a velocità che sono funzione delle caratteristiche dei materiali. Il rapporto tra le velocità delle onde P e S è di circa 1,6÷1,8. Le onde S non attraversano i liquidi e questo ha permesso di capire che il nucleo esterno è liquido.
La velocità delle onde sismiche dipende dalla radicequadrata del rapporto tra la rigidità (μ) e la densità (ϱ) dei mezzi attraversati:
[1] formula
Poiché i liquidi hanno rigidità (shear modulus) nulla, le onde S non si propagano nei fluidi. Le onde P invece continuano a propagarsi anche nei fluidi perché al numeratore del rapporto che le definisce interviene anche la compressibilità (K) del mezzo (bulk modulus).
La qualità del segnale sismico è detto fattore Q. Dove il mantello è parzialmente fuso, il fattore Q è minore, come per esempio nel mantello superiore dei bacini di retroarco.
Tendenzialmente, la velocità delle onde aumenta con la profondità per l'aumento della pressione che determina una maggiore compattazione delle rocce fino a formare reticoli cristallini sempre più compatti e una rigidità maggiore. A parità di pressione e composizione di una roccia, l'aumento di temperatura comporta la diminuzione della rigidità e quindi delle velocità sismiche. Quando le onde sismiche passano da un materiale a un altro, il loro percorso, se obliquo rispetto alla superficie di separazione, viene rifratto e riflesso in modo tanto più marcato quanto più le caratteristiche fisiche dei due mezzi sono diverse. In superficie vengono ricevute e analizzate le onde riflesse e rifratte dalle varie discontinuità.
Nel mantello, a parte il canale a bassa velocità della zona alta dell'astenosfera, la velocità delle onde P e S aumenta, con salti in crescita alle discontinuità. Soltanto alla base del mantello le onde P rallentano, mentre le S scompaiono per l'improvviso cambio di stato fisico (liquido) e di composizione (leghe di Fe). Rispetto a una velocità di riferimento, si notano comunque nel mantello significative variazioni di velocità anche lateralmente. Il campionamento del mantello con i tracciati delle onde sismiche e le loro variazioni di velocità permette di ottenerne un'immagine. In genere le basse velocità vengono indicate con colori nei toni del rosso, mentre le velocità relativamente maggiori sono indicate con toni del blu (fig. 4). Quindi la tomografia permette di analizzare come le onde sismiche variano in profondità e lateralmente rispetto al modello di riferimento; essa pertanto è condizionata dal modello adottato. Uno dei modelli di riferimento è il PREM (Preliminary reference earth model). La velocità delle onde è direttamente funzione della rigidità e inversamente proporzionale alla densità. A parità di composizione e pressione, e aumentando la temperatura, diminuiscono sia la rigidità sia la densità, ma il rapporto rigidità/densità diminuisce anch'esso, per cui le onde sismiche rallentano. Poiché variazioni composizionali possono anche determinare variazioni di velocità, non si sa ancora con certezza quanto, muovendosi lateralmente nel mantello, le variazioni di velocità siano termiche e/o composizionali. Per esempio, su base probabilistica è stato ipotizzato che la parte bassa del mantello abbia un maggior contenuto in ferro, e che questo determini diminuzioni di velocità sismiche senza necessariamente avere temperature più alte (fig. 4). La tomografia del mantello evidenzia due grandi zone di minori velocità sismiche, una nel centro del Pacifico e un'altra posizionata sotto l'Africa meridionale, quindi sia in pieno oceano sia sotto un continente, senza correlazione verticale con le dorsali oceaniche in superficie.
Sulla base dell'osservazione che le onde P scompaiono a 105° dall'epicentro di un terremoto e riappaiono a circa 140°, questa fascia, dovuta all'effetto di diffrazione delle onde P al limite mantello-nucleo, è stata definita come zona d'ombra delle onde P.
Il mantello è costituito principalmente da silicio, ossigeno, magnesio, ferro, oltre che calcio e alluminio. I minerali principali del mantello sono silicati di ferro e magnesio: l'olivina, (Mg,Fe)SiO4, e i pirosseni che possono essere calcici e magnesio-ferriferi. L'olivina, in funzione del rapporto tra ferro e magnesio, può essere di tipo forsteritico (ricca in Mg) o fayalitico (ricca in Fe). Questo minerale è uno tra i più diffusi nel pianeta, ha un colore verdastro, ma quando è alterato e ossidato diventa rossastro. L'olivina, sotto i 400 km, per l'aumento della pressione ha una transizione di fase, trasformandosi in una struttura tipo-spinello. Ciò spiega una forte discontinuità delle onde sismiche che sotto questa profondità si velocizzano, indicando un aumento di rigidità delle rocce. La pressione alla quale avviene questa transizione dipende dalla temperatura e dal contenuto in Fe dell'olivina; l'aumento di contenuto in Fe diminuisce la pressione della transizione di fase.
Le onde sismiche che viaggiano all'interno dell'astenosfera, sono più veloci in una particolare direzione, sono cioè polarizzate (shear wave splitting). Questo indicherebbe che i cristalli di olivina tendono ad avere l'asse lungo isorientato nella direzione di maggiore velocità. In genere questa direzione coincide con la direzione del movimento delle placche sovrastanti, confermando che l'astenosfera è dunque il livello in cui la litosfera scivola, è cioè scollata rispetto al mantello terrestre. L'isorientazione dei cristalli è detta anche LPO (Lattice preferred orientation).
L'olivina cristallizza soprattutto in magmi ricchi in Mg e poveri in Si, per formare rocce mafiche e ultramafiche intrusive come i gabbri o le peridotiti, ed effusive come i vari tipi di basalti. La roccia più diffusa eruttata dal mantello è il basalto, ricco in Al e Ca oltre che in Mg. Tutta la parte alta della crosta oceanica è costituita da basalti. Vi sono circa 40.000 km di dorsali oceaniche che eruttano intorno a 17 km3 di basalti ogni anno. I basalti si originano per fusione parziale del mantello di composizione generalmente peridotitica.
I graniti sono rocce già in parte differenziate che si possono formare anche per rifusione di rocce crostali. I magmi possono essere modificati dalla rimozione di cristalli che si formano durante il raffreddamento (processi di cristallizzazione frazionata). I magmi possono mescolarsi con altri magmi o assimilare nel loro percorso di risalita rocce che vengono prima scaldate e poi fuse a causa dell'alta temperatura del magma stesso. Data la variabilità composizionale del mantello, le plurime cause di generazione, e le modifiche chimico-fisiche che i magmi possono subire nella loro messa in posto, è naturale aspettarsi uno spettro ampio di tipologie di rocce ignee, che è inoltre condizionato dall'ambiente geodinamico di formazione e di messa in posto.
Il vulcanismo è alimentato principalmente dal mantello. La fusione può avvenire per tre diverse cause: un aumento di temperatura, una diminuzione di pressione, oppure una permeazione di fluidi che abbassano la temperatura di fusione. I magmi si formano principalmente nell'astenosfera, tra circa 50÷200 km di profondità. Le principali aree di produzione dei magmi sono: (a) le dorsali oceaniche e i rift continentali; (b) le zone di subduzione; (c) i plumes e/o punti caldi (hot spot). A quest'ultimo gruppo appartengono anche i grandi espandimenti basaltici detti LIPS (Large igneous provinces) o trap, come per esempio quelli dell'Ontong Java Plateau, Kerguelen e Nord Atlantico negli oceani, e il Parana (135 Ma), il Deccan (60÷65 Ma), la Siberia (250 Ma) nei continenti. In queste regioni, in periodi diversi, nel giro di pochi milioni di anni sono stati eruttati da 1 a 5×106 km3 di basalti.
Sotto le dorsali oceaniche il mantello fonde, dove l'astenosfera risalendo in modo sostanzialmente adiabatico, perde gradualmente il carico delle rocce sovrastanti (litostatico) e la depressurizzazione permette di superare la linea del solidus, generando magmatismo detto MORB (Middle oceanic ridge basalt) con composizione di tipo essenzialmente tholeiitico. Il magmatismo si forma anche a tetto delle zone di subduzione, tra 60 e 150 km di profondità: i basalti di queste zone, che si chiamano anche IAB (Island arc basalt), si formano per lo più nel mantello arricchito dai fluidi rilasciati dalla placca in subduzione. Il magmatismo prodotto può avere composizione variabile da tholeiitica a calco-alcalina fino a shoshonitica (alcalino potassica). L'altro tipo di magmatismo molto diffuso è il tipo OIB (Ocean island basalt), che si forma all'interno di placche (per es., le isole Hawaii nella placca pacifica), apparentemente non collegato alla tettonica dei margini. Ci sono modelli che lo interpretano come dovuto ad anomalie termiche del mantello, profonde o superficiali, oppure alla presenza di fluidi, con un chimismo tendenzialmente alcalino-tholeiitico.
La composizione del mantello stesso è tuttora dedotta in via esclusivamente speculativa. Il mantello viene considerato composto principalmente da olivina, ma è discutibile ancora la percentuale di Fe o Mg in essa presente; tali variazioni sono in grado di generare fondamentali gradienti di densità che possono favorire, ovvero sfavorire, la convezione. Importanti indicazioni sulle caratteristiche geochimiche della sorgente dei magmi è fornita dallo studio della distribuzione degli elementi incompatibili (fig. 6). In particolare, nei magmi delle zone di subduzione si osservano elevati rapporti tra gli elementi incompatibili a grande raggio ionico, i LILE (Large ion lithophile elements) e quelli ad alta forza di campo o HFSE (High field strenght elements). Tali magmi si trovano in proiezione verticale dove lo slab ha una profondità variabile di 65÷130 km. La profondità di alimentazione sembra diminuire con l'aumentare della velocità della subduzione. In generale è stato ipotizzato che la deidratazione dello slab metasomatizzi il mantello sovrastante, portandolo a fusione parziale, e che questi fusi alimentino il magmatismo d'arco. Tuttavia non è da escludere anche il contributo di una componente meccanica come il calore di frizione, visto che il magmatismo d'arco è più abbondante dove la velocità di subduzione aumenta.
La geochimica isotopica permette di discriminare tra i diversi tipi di magmi e di mantello. Una serie di acronimi descrivono le diverse tipologie di magmi e di mantello finora riconosciuti. Oltre ai più diffusi MORB e ai già citati OIB e IAB vanno ricordati: basalti intraplacca (WPB, Within plate basalts); magmi tholeiitici (TH), tipici di rifting oceanico; magmi calco-alcalini (CA) e shoshonitici alti in K, di ambiente subduttivo, nonché andesiti con alto contenuto in MgO (HMA, High-Mg andesite). Nella classificazione geochimica degli elementi in traccia usata per scopi petrologici vengono utilizzate diverse proprietà indicate con acronimi diversi: oltre agli elementi HFSE rappresentati da Ta, Nb, Zr, Hf e Ti e i LILE come K, Cs, Rb, Sr, Ba e Terre rare leggere si ricordano gli elementi mobili in fase fluida (FME, quali per es., B, Cs, As, Sb, Rb, Ba, Pb) e gli elementi del gruppo del platino (PGE, come Pt, Ru, Rh, Pd, Os e Ir). Tra le rocce-sorgente, dalle quali provengono i più comuni magmi terrestri, si annovera il mantello impoverito sorgente dei MORB (DMM, Deplete morb mantle); il mantello primitivo (PM, Primitive mantle); il mantello arricchito tipo EM1 (Enriched mantle 1), contaminato da sedimenti pelagici trasferiti in profondità dalla subduzione; il mantello arricchito EM2 (Enriched mantle 2), contaminato prevalentemente da sedimenti terrigeni subdotti; il mantello ad alto rapporto 238U/204Pb, (HIMU, Highμ), contaminato da crosta oceanica. Vari elementi come il 11B o il 10Be sono utilizzati come traccianti di crosta oceanica alterata o di sedimenti oceanici che possono essere riciclati in zone di subduzione.
Un mantello che non ha subito processi di fusione viene detto primitivo, ed è considerato il mantello iniziale di riferimento della differenziazione terrestre, a composizione condritica, come un tipo di meteoriti che si ritiene abbiano la stessa composizione dei planetesimi la cui aggregazione ha costituito la Terra. Un mantello fertile contiene tutti gli elementi nella loro concentrazione originaria. Un mantello che ha avuto processi di fusione e perdita di magma viene invece detto impoverito (depleted), mentre un mantello che è stato modificato per l'apporto di materiale per esempio derivato da una subduzione viene definito arricchito negli elementi che lo hanno metasomatizzato e riportato in condizione fertile. Vi sono anche aree di mantello che hanno subito fusione parziale, con magmi che sono rimasti tuttavia intrappolati all'interno del mantello stesso, senza poter risalire, generando sacche di fuso consolidato cioè rocce con fasi stabili alle condizioni mantelliche.
Le dorsali oceaniche si formano dove due placche litosferiche si allontanano, determinando una risalita conseguente dell'astenosfera sottostante. Il mantello, che in questa regione si trova a quota meno profonda e quindi a pressione minore, ma conserva buona parte della sua temperatura perché le rocce sono scarsi conduttori, inizia a fondere con i fusi relativi meno densi che risalgono alla superficie, determinando prima vulcanesimo e, successivamente, mentre prosegue l'allontanamento delle placche, produzione di nuova crosta oceanica. La crosta oceanica può così essere interpretata come una nuova pelle che il mantello terrestre si costruisce una volta messo a nudo.
La fusione parziale del mantello determina da un lato i magmi che generano la crosta oceanica, e dall'altro un impoverimento del mantello sorgente. La depauperazione dei fusi causa una modificazione composizionale del mantello, aumentandone la viscosità e diminuendone la densità e la temperatura. La litosfera oceanica è costituita da mantello astenosferico impoverito e raffreddato più la crosta oceanica. Nelle subduzioni verso ovest la litosfera taglia tutto il mantello superiore e, secondo alcuni modelli, penetra nel mantello inferiore, mentre per altri modelli sembra fermarsi e appiattirsi alla discontinuità dei 670 km. Le subduzioni opposte, come nel caso delle Ande, potrebbero permettere un rientro della litosfera dentro l'astenosfera, una sua assimilazione e quindi una rifertilizzazione del mantello alla composizione originale. Lo scollamento della litosfera è tanto più veloce quanto meno viscosa è l'astenosfera sottostante, determinando l'isorientazione dei cristalli sul piano di movimento.
I movimenti attuali e passati delle placche, cioè degli elementi reologicamente tra loro svincolati di cui si compone la litosfera, sono misurabili in vari modi. Grazie alla geodesia spaziale, tramite la rete GPS (Global positioning system), oppure grazie ai segnali emessi dalle Quasars (tecnica VLBI, Very long baseline interferometry), o ai satelliti chiamati Lageos su cui vengono inviati da terra degli impulsi laser, si misurano velocità e direzione delle placche; la precisione della misura è inferiore al mm l'anno per i movimenti orizzontali. Anche i terremoti forniscono informazioni sui movimenti, perlomeno relativi, delle placche. Per i movimenti passati, le anomalie magnetiche negli oceani permettono di misurare con discreta precisione, per gli ultimi 180 milioni di anni, la velocità delle placche.
I movimenti misurati negli ultimi 25 anni di geodesia spaziale sono molto simili alle medie ricostruibili negli oceani per gli ultimi milioni di anni. Oltre a confermarci l'affidabilità delle stime delle velocità, questa informazione ci dice che le placche si muovono lentamente, ma in modo costante, senza grandi oscillazioni di velocità. La velocità delle placche può essere misurata in sistemi di riferimento relativi o assoluti. Per relativi s'intendono i movimenti per esempio tra due placche considerandone fissa una delle due oppure il margine interposto. Per assoluti si intendono i sistemi di riferimento indipendenti dalla litosfera. Uno dei sistemi più utilizzati è il NNR (No-net-rotation), in cui si analizzano i movimenti delle placche rispetto al centro della Terra ipotizzato fisso. Questo sistema di riferimento è molto utile per misure di geodesia spaziale, ma è un artefatto che non tiene conto del movimento delle placche rispetto al mantello sottostante. Per questo vengono utilizzati i punti caldi (hot spot) come sistema di riferimento. A seconda che i punti caldi vengano dal mantello profondo oppure dall'interno del piano di scollamento nell'astenosfera, si ottengono sistemi di riferimento diversi, rispettivamente il DHRF (Deep hotspot reference frame) e lo SHRF (Shallow hotspot reference frame).
I movimenti relativi tra le placche sono variabili nell'intervallo 14÷150 mm/anno. I movimenti assoluti sembrano avere velocità dello stesso ordine di grandezza, cioè viene ipotizzato che lo scollamento tra litosfera e mantello sottostante abbia velocità che arrivano fino a oltre 100 mm/anno. Una velocità assoluta pari a zero significherebbe che la litosfera è saldata al mantello sottostante senza scollamento all'interfaccia. I movimenti della litosfera rispetto al mantello, secondo un'accreditata ipotesi, possono essere anche individuati attraverso lo studio di una particolare tipologia di vulcanismo. Le isole Hawaii formano una catena di vulcani sottomarini, allungata per oltre 4000 km. I vulcani sono via via più vecchi ed estinti in direzione ovest-nordovest. Ciò ha permesso di ipotizzare che sotto la litosfera pacifica che si muove in quella direzione, vi sia una sorgente magmatica fissa all'interno del mantello. Conoscendo l'età delle rocce vulcaniche, che dalle Hawaii verso ovest-nordovest invecchiano progressivamente fino a 47 milioni di anni, è possibile apprezzare lo scollamento della litosfera rispetto al mantello e avere una valutazione minima della velocità della litosfera rispetto al mantello.
Tuttavia, non si ha certezza sulla profondità della sorgente magmatica delle Hawaii. Alcuni ricercatori sostengono che venga dal limite nucleo-mantello, da 2900 km di profondità. Vi è però un numero sempre crescente di studiosi che interpretano invece la sorgente del magmatismo hawaiiano come superficiale, forse anche all'interno dell'astenosfera stessa, a circa 150÷200 km di profondità. In questo caso, se la sorgente si trovasse all'interno del piano di scollamento, il movimento registrato nella catena di vulcani non rappresenterebbe totalmente il movimento tra la litosfera pacifica e il mantello profondo ma una velocità ridotta, con velocità assoluta che risulterebbe circa raddoppiata. In questo caso, i punti caldi come le Hawaii potrebbero generarsi per il calore di frizione che si produce sul piano di scollamento tra litosfera e mantello sottostante laddove vi siano delle anisotropie composizionali che presentano locali aumenti di viscosità. Lo scollamento, inoltre, con il calore di frizione, genera una diminuzione di viscosità che autoalimenta lo scollamento stesso.
Vi sono altri punti caldi, che si trovano sulle dorsali oceaniche, come l'Islanda, Ascension, Tristan da Cunha. L'origine di queste maggiori emissioni potrebbe essere diversa e legata a una maggiore concentrazione di fluidi nel mantello che abbassano la temperatura di fusione. Inoltre le dorsali sono in movimento l'una rispetto all'altra e rispetto al mantello sottostante, per cui i punti caldi stabili in prossimità delle dorsali devono essere scollati rispetto al mantello sub-astenosferico.
Sommando i vettori delle placche, i due sistemi di riferimento assoluti rispetto al mantello evidenziano come la litosfera abbia una rotazione media verso ovest di circa 5 cm/anno (DHRF) o di oltre 10 cm/anno (SHRF) rispetto al mantello sub-astenosferico. Questa evidenza cinematica è in accordo con l'asimmetria della tettonica a scala globale, che marca una profonda differenza tra le catene montuose a seconda che siano legate a subduzioni verso ovest o verso est o nordest. Se la litosfera è in movimento relativo verso ovest, ciò sottende un movimento verso est del mantello sottostante. Al contrario di quanto pensato fino a pochi anni fa, le placche sembrano muoversi in modo coerente, non caotico, descrivendo un flusso sinusoidale.
Ogni movimento su una sfera è riconducibile a una rotazione attorno a un asse passante per il centro della sfera stessa e descrivibile con il teorema di Eulero. La cinematica delle placche viene quindi descritta con moti relativi a poli di rotazione rispetto ai quali le placche hanno velocità lineari maggiori in funzione della distanza dal polo di rotazione stesso.
Le placche possono allontanarsi o avvicinarsi con un angolo qualsiasi rispetto alle placche adiacenti. Si parla cioè di tettonica distensiva quando il margine che separa due placche è perpendicolare al movimento relativo, mentre si parla di tettonica transtensiva quando questo è obliquo. Similmente, quando due placche convergono con un margine ortogonale al movimento si parla di tettonica compressiva, mentre l'ambiente tettonico diventa transpressivo quando il margine è obliquo rispetto al movimento relativo. Quando due placche invece si muovono lateralmente l'una rispetto all'altra, la tettonica è detta trascorrente.
I margini tra le placche possono essere ampi anche varie centinaia di km, aree in cui viene distribuita la deformazione che accomoda il movimento relativo, in uno qualsiasi degli ambienti geodinamici (divergente, trascorrente e convergente). I punti in cui vengono in contatto e in movimento relativo tre placche sono detti giunzioni triple. Un esempio può essere nel margine occidentale del Nord America, dove questa placca è in contatto sia con la placca pacifica sia con quella di Juan de Fuca, all'intersezione con la faglia trasforme di Mendocino, la faglia di San Andreas e la subduzione delle Cascadia.
Sommando i vettori che descrivono i movimenti delle placche, si nota che la loro somma non è zero, ma rimane un residuo verso ovest. Questo implica che la litosfera ha un ritardo rispetto al mantello sottostante, rimanendo verso ovest di alcuni centimetri l'anno. Questa polarizzazione sembra cruciale nel determinare una forte asimmetria della tettonica a scala globale. Per esempio le subduzioni verso ovest sono più inclinate di quelle verso est, oppure, a parità di tassi di convergenza, sul lato del Pacifico occidentale sopra le zone di subduzione non vi sono i grandi rilievi che invece marcano il bordo orientale in subduzione sotto la Cordigliera americana. La stessa differenza può essere applicata alla contrapposizione tra Appennini e Alpi: i primi hanno bassa elevazione media, sono costituiti per lo più da rocce sedimentarie, hanno una avanfossa, cioè un bacino di sedimentazione frontale, con tassi di subsidenza altissimi (oltre 1 mm/anno), e inoltre presentano un bacino a tergo, a ovest, detto bacino di retroarco. Le Alpi invece, hanno un'elevazione media maggiore, estesi affioramenti di rocce cristalline profonde al nucleo, doppia vergenza, due avanfosse con bassi tassi di subsidenza e non presentano un bacino di retroarco. Queste differenze possono essere spiegate dalla diversa polarità della subduzione, cioè mediamente diretta verso ovest per gli Appennini, come alle Barbados o alle Marianne, e mediamente diretta verso est per le Alpi, come nella subduzione Andina o in Himalaya, dove la subduzione avviene verso nord-nordest.
Si sta attualmente cercando di dimostrare come la tettonica delle placche, che è stata finora attribuita solo ai movimenti convettivi del mantello, sia in realtà anche fortemente influenzata dagli effetti rotazionali e conseguentemente tidali, quali l'attrazione luni-solare. L'energia dissipata dalle maree è di 1,6×1019 J/anno, un'energia superiore a quella stimata per tutta la tettonica delle placche. Non si sa in che modo tuttavia questa energia possa essere trasferita dall'attrito mareale alle placche. L'ipotesi più probabile è che l'astenosfera sia il piano di scollamento principale dove tale energia riesce a liberarsi per mettere in movimento la litosfera rispetto al sottostante mantello. La viscosità dell'astenosfera diventa quindi cruciale per permettere questo scollamento relativo, e la valutazione del suo valore è tuttora oggetto di numerose ricerche che raggiungono risultati discordanti in funzione della reologia (studio della deformazione dei fluidi) lineare o non-lineare (newtoniana o non-newtoniana) assunta.
Nella concezione paradigmatica attuale, che la tettonica delle placche sia guidata dalla caduta verso il basso degli slab in subduzione, oppure dalla risalita dell'astenosfera nelle zone di rifting, o che sia il risultato del trascinamento delle celle convettive, a muovere le placche sarebbe sempre solo l'energia dissipata dalla convezione chimico-termica, in altre parole il raffreddamento del pianeta. Nelle zone di subduzione lo stato di sforzo è variabile. Ci sono slab che evidenziano una compressione lungo l'immersione (down-dip compression) e slab che al contrario presentano estensione (down-dip extension). Spesso questa differenza ha un connotato geografico, e cioè vale per le subduzioni verso ovest nel primo caso, e verso est o nordest nel secondo. Uno slab in compressione evidenzia difficoltà a scendere nel mantello.
Le forze finora proposte per il movimento delle placche sono di due tipi, senza scollamento o con scollamento tra litosfera e mantello sottostante (fig. 7). Quelle che per funzionare hanno bisogno di accoppiamento tra litosfera e mantello sottostante sono il trascinamento del mantello e il richiamo dello slab. Quelle che necessitano di scollamento relativo sono la spinta della dorsale, il tiro dello slab, e il trascinamento mareale. Il trascinamento del mantello (mantle drag) è la forza che dovrebbero esercitare le celle convettive sulla litosfera. Il richiamo dello slab (slab suction) è il flusso indotto nel mantello dalla subduzione in caduta nel mantello stesso. Queste due forze sono tanto più efficaci quanto maggiore è l'accoppiamento litosfera-mantello. Noi sappiamo però che uno scollamento tra litosfera e mantello esiste, e dobbiamo comprenderne la causa. La spinta della dorsale (ridge push) è il peso esercitato dalla presenza del rilievo sottomarino. Il tiro dello slab (slab pull) è la forza esercitata dalla subduzione assumendo che lo slab abbia una densità maggiore del mantello ospite. Il trascinamento tidale o mareale (tidal drag) è la spinta verso ovest dovuta al ritardo del rigonfiamento mareale rispetto all'allineamento gravitazionale Terra-Luna e Terra-Sole (fig. 8). Ilritardo è dovuto al comportamento viscoelastico della Terra, che quindi non reagisce istantaneamente (comportamento elastico) alle sollecitazioni gravitazionali esterne. Queste tre forze per poter funzionare necessitano di uno scollamento alla base della litosfera. La spinta della dorsale è stata calcolata almeno un ordine di grandezza più piccola del tiro dello slab. L'ipotesi relativa a questo tipo di forza presenta molte contraddizioni, come per esempio il fatto che in alcune subduzioni da un punto di vista cinematico, lo slab addirittura possa fuoriuscire dal mantello, e che la sua intensità sarebbe superiore a quella che la litosfera sottoposta a trazione è in grado di sopportare senza rompersi. Il trascinamento tidale ha invece il vantaggio che la forza è distribuita su tutta la placca.
è congruo il numero di evidenze che la tettonica delle placche abbia un forte controllo di carattere astronomico o rotazionale, quali la diminuzione di velocità e di sismicità delle placche verso le zone polari, l'accumulo di materiale più freddo e più pesante nelle zone equatoriali, la deriva verso ovest della litosfera che spiega la forte asimmetria delle zone di subduzione che sono molto inclinate e profonde quando immergenti a ovest, oppure poco inclinate e poco profonde quando immergenti verso est o nordest. Anche le zone di rifting presentano un'asimmetria visibile nella minore elevazione/batimetria della placca orientale rispetto a quella occidentale. è stata inoltre da lungo tempo notata anche una correlazione tra oscillazioni mareali e picchi di sismicità.
Recentemente è stato proposto che la rotazione terrestre, accoppiata alla convezione del mantello e alla reologia non lineare dell'astenosfera, possa essere considerata una causa primaria della tettonica delle placche sia in termini di energia sia di direzioni di movimento.
La convezione del mantello non è un processo di cui si abbia una chiara cinematica. è evidente che l'ingresso di slab nel mantello e la risalita dell'astenosfera lungo le dorsali oceaniche rappresentano movimenti convettivi. Vi sono studi che ritengono infatti che la convezione nel mantello sia innescata dalla tettonica delle placche, cioè dall'alto, per la minore temperatura degli slab che riportano la litosfera nel mantello. Altri studi sostengono invece che la convezione sia innescata dal basso, sempre per la necessità della Terra di dissipare calore. La convezione è un processo che s'innesca quando vi sono gradienti di densità per ragioni termiche e composizionali; è un processo caotico in senso di dinamica dei fluidi, ed è tanto più efficace quanto minori sono la viscosità e la conducibilità termica, e quanto maggiori sono i gradienti di temperatura, di densità, il coefficiente di espansione termica, la capacità del calore specifico e lo spessore del mantello interessato. Il numero adimensionale di Rayleigh descrive il rapporto di questi parametri che ostacolano o favoriscono la convezione.
Vi sono teorie che prevedono una convezione coinvolgente l'intero mantello. Altri modelli invece separano la convezione nel mantello superiore da quella del mantello inferiore. Vi sono altre ipotesi secondo cui per l'alta pressione e l'alta densità il mantello inferiore ha una dinamicità convettiva molto ridotta. Inoltre il mantello ha un comportamento non lineare a cui è difficile associare un modello.
La dinamica interna al pianeta non sembra comunque in grado di spiegare da sola la semplicità dei movimenti delle placche sulla superficie terrestre. La rotazione terrestre e l'attrazione gravitazionale della Luna e del Sole sono fenomeni complementari che possono concorrere a comprendere la dinamica terrestre, responsabile tra l'altro del continuo degassamento e alimentazione dell'atmosfera terrestre.
Se l'astenosfera, alla base della litosfera, ha una viscosità sufficientemente bassa da permettere lo scollamento con il mantello sottostante, questo scollamento potrebbe essere innescato dal trascinamento mareale sia solido sia liquido. La convezione, da parte sua, portando in profondità materiali pesanti che vanno ad accrescere il nucleo solido e ad appesantire la base del mantello inferiore, determinerebbe un aumento di velocità di rotazione terrestre, dovuto alla diminuzione del momento d'inerzia. La combinazione dei due fenomeni, astronomico e convettivo, farebbe sì che la litosfera si trovi in una condizione di sforzo permanente, dove la Luna e il Sole rallentano la Terra e la convezione interna tende invece ad accelerarla, anche se comunque il bilancio è negativo, visto che la Terra rallenta la sua rotazione di circa 1,8 millisecondi al secolo. Sebbene sembri molto lenta, vista nell'arco della storia della Terra questa diminuzione di velocità è estremamente importante. Per esempio 400 milioni di anni fa la Terra aveva circa 400 giorni/anno con durata del giorno di 21÷22 ore.
Il trascinamento astronomico sarebbe quindi non solo responsabile della deriva verso ovest della litosfera, ma anche della direzione preferenziale dei movimenti delle placche che tendono a disporsi lungo un flusso dominante, di forma sinusoidale, ma non troppo lontana dalla geometria di un cerchio massimo. Questo flusso tende a disporsi con un angolo minore di 30° rispetto all'equatore, molto vicino al piano dell'eclittica più il piano della rivoluzione lunare (circa 28°). Le forze tidali sembrano dunque avere un'influenza fondamentale sulla dinamica terrestre, ma devono ancora essere pienamente comprese, nonostante siano note già dall'età ellenistica.
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