TERRACINA
(Tarracina nei docc. medievali)
Città del Lazio meridionale (prov. Latina), che occupa il centro del golfo esteso dal monte Circeo a Gaeta e che costituì nell'Antichità il passaggio obbligato per numerose vie di comunicazione di primaria importanza tra il Lazio e la Campania quali la via Appia, la via Severiana e le strade provenienti dalla valle del Liri.Sorta come colonia maritima Anxurnas nel 329 a.C., T. si sviluppò sulle pendici dei monti Lepini nel luogo in cui la via Appia li scavalcava salendo sul monte Sant'Angelo. Solo in età traianea il percorso di quest'ultima venne mutato grazie al taglio della propaggine rocciosa del Pisco Montano, così che, escludendo il passaggio in quota, venne favorito lo sviluppo dell'area portuale.Grazie al porto costituito dalle foci dell'Amaseno, in corrispondenza del primo passaggio della via Appia sul litorale tirrenico, T. fu durante il Medioevo fra i principali castra che difendevano il confine meridionale del Ducato romano, suddivisione dell'esarcato bizantino.La costruzione di una nuova cinta muraria con torri, avvenuta nel corso del sec. 5°, unitamente alla complessa distribuzione dello spazio urbano e all'avanzamento delle paludi - documentato già nel corso del sec. 6° -, indusse nel Medioevo gli abitanti di T. a privilegiare la città alta. Un'iscrizione di età teodoriciana (CIL, X, nrr. 6850-6852; Terracina, 1989, p. 77, nr. 96) ricorda i lavori - menzionati anche da Cassiodoro (Variae, II, 32-33) - eseguiti dall'ex praefectus urbis Decio per riattivare il tratto terracinese dell'Appia, definito Decennovium, per i quali il patrizio ottenne la donazione delle terre bonificate. In seguito la posizione strategica e l'esistenza del porto assegnarono al centro pontino un ruolo rilevante durante le campagne della guerra tra Goti e Bizantini e più volte Procopio (De bello Gothico, V, 11, 2; V, 15, 22; VI, 2, 1-3; VI, 4, 14; VI, 5, 4) riporta episodi - seppure minori - accaduti a T. al tempo del conflitto.Alcune lettere di Gregorio Magno (590-604; Registrum epistolarum, I, 34; II, 6; III, 13-14) ricordano l'affidamento della diocesi di T. ad Agnello, vescovo della vicina Fondi, e documentano le condizioni della città al principio del 7° secolo. Le iscrizioni incise su una delle colonne del portico della cattedrale testimoniano l'importanza riconosciuta anche dai Bizantini al kástron, che, ancora alla metà del secolo, costituiva il capoluogo della Campania detta Tarracinensis in contrapposizione a quella posta oramai sotto la diretta influenza del conte longobardo di Capua (Codex Carolinus, 66; Guillou, 1971).Allo scorcio del sec. 8° T. venne contesa fra Adriano I (772-795) e i Bizantini, fino a che, pochi decenni dopo, la città passò sotto il controllo pontificio (Marazzi, 1998, p. 131). Colpita alla metà del sec. 9°, assieme a Gaeta (v.) e a Fondi, dalle incursioni dei saraceni, T. era governata alla fine del secolo seguente da un comes appartenente alla famiglia romana dei Crescenzi, prima di essere ceduta da Silvestro II (999-1003) al conte Darferio o Dauferio II con l'intento di costituire un baluardo difensivo contro le incursioni saracene, riprese dopo la battaglia del Garigliano del 915 (Bianchini, 1952, pp. 125-130). Dalla metà del sec. 11°, e segnatamente per opera di Alessandro II (1061-1073), la città entrò nell'area di influenza cassinese, fra le cui pertinenze restò sino all'ascesa di Desiderio di Montecassino (1058-1087) al soglio papale. A questo periodo è datata l'erezione della cattedrale dedicata da Ambrosio di Montecassino, vescovo eletto dallo stesso Alessandro II, divenuta in seguito teatro di due avvenimenti di grande rilievo: la deposizione delle insegne pontificali da parte di Vittore III (1086-1087) e il conclave del 1088 che consacrò Urbano II (1088-1099).Scarse le fonti circa l'affermazione di un ordinamento comunale a T., che vide nel corso dei secc. 12° e 13° l'affermarsi di un regime signorile affidato ai Frangipane, i quali tennero la città fra il 1143 e la metà del sec. 13°, quando si affermò il controllo degli Annibaldi. A seguito dell'elezione a podestà di Bonifacio VIII (1294-1303) la famiglia dei Caetani estese in T. la propria influenza confrontandosi con le aspirazioni angioine sulle città del Lazio meridionale. Il declino del potere papale spinse T. a cercare protezione, nel ventennio dal 1347 al 1367, nella repubblica di Genova, interessata a una postazione commerciale nel Tirreno centrale. La riconquista della provincia al controllo pontificio fu completata da Bonifacio IX (1389-1404), alla fine del 1400.Il tracciato dell'impianto difensivo romano di T. si conservò sino all'età tardoantica quando la cinta venne ricostruita escludendo dal perimetro il settore orientale della città costituito dall'acropoli. Alle nuove mura, realizzate con cortine in opus vittatum di calcare e laterizi, furono aggiunte numerose torri quadrate, alcune delle quali poste a difesa delle porte che segnavano il transito della via Appia - le od. porta Maggio e porta Mastrilli o Albina -, e l'intero circuito che inglobava il tratto della via Appia traianea nella città bassa. Recenti indagini hanno evidenziato a O del foro avanzi di un tracciato interno, di fattura analoga al precedente e munito di una torre pentagonale, che individuerebbe la cittadella fortificata (Ortolani, 1988), alla cui sommità venne realizzata una struttura dalla planimetria irregolare posta a difesa del punto di più facile attacco dell'intera cinta, l'od. rocca Traversa, eretta in fortificazione da Eugenio III (1145-1153) e divenuta in seguito castello dei Frangipane (Apollonj Ghetti, 1982, pp. 16-18). La datazione della doppia cinta muraria, indicata da Lugli (1926) all'età bizantina, è stata recentemente ricondotta alla prima metà del sec. 5° e iscritta nel quadro delle attività di fortificazione intraprese dall'autorità imperiale alla vigilia delle incursioni vandale in Italia. Tale orientamento è confermato, oltre che da analoghe tipologie costruttive - relativamente a torri, merlature e camminamenti - presenti in fortificazioni tardoantiche italiane e orientali, anche da alcune modalità decorative, quali gli emblemi laterizi a carattere simbolico e geometrico aventi come soggetto croci, palmette, raggiere e inserti in opus reticulatum, rinvenuti in numerosi tratti dei paramenti murari e confrontabili con motivi presenti negli interventi onoriani al circuito aureliano di Roma (Christie, Rushworth, 1988). Tale apparato difensivo rimase in uso sino alla fine del sec. 18°, quando il cammino di ronda venne trasformato in accesso per abitazioni e furono demoliti parte della porta Maggio e quasi l'intero circuito murario della città bassa.Le modalità di penetrazione del cristianesimo a T. e nel suo territorio sono ancora da indagare, così come ipotetica è l'erezione della città a sede vescovile già nel sec. 4° (Lanzoni, 1927, pp. 154-156). Ricerche effettuate nel suburbio hanno però individuato tracce di alcuni insediamenti cenobitici benedettini, come quelli di S. Silviano, forse vescovo terracinese nel sec. 4°, del quale resta, in località Valle dei Santi, un edificio di culto a pianta basilicale a tre navate, eretto prima del sec. 9°, quando fu trasformato in mononave, e di S. Stefano de Montanis, fondato forse da s. Benedetto verso il 534 e divenuto dal 955 dipendenza di Montecassino (Monasticon Italiae, 1981, p. 179, nrr. 247-248). Poco più a S è stato inoltre identificato il sito di S. Cesario alle Prebende, postazione cultuale sorta presso un'area cimiteriale frequentata sino all'Alto Medioevo, nella quale era ubicata la basilica ad corpus del santo eponimo, secondo la Passio prima ss. Caesarii et Iuliani sepolto iuxta Terracinam civitatem: a essa si riferirebbe quindi una delle donazioni di stoffe preziose disposte da Leone IV (847-855; Lib. Pont., II, 1892, p. 122) a entrambe le memorie beati Christi martyris Caesarii - urbana e cimiteriale - esistenti in T. alla metà del sec. 9° (Broccoli, 1979; Terracina e il Medioevo, 1989, p. 50).Nell'area del c.d. piccolo tempio nel complesso del santuario del monte Sant'Angelo sono riconoscibili i resti di un insediamento medievale ubicato nella serie di nove ambienti raccordati da un corridoio interno posti a sostruzione del terrazzamento superiore, ove si installò prima del sec. 9°-10° un edificio di culto micaelico denominato S. Angeletto. All'inizio del Novecento ne era ancora leggibile la decorazione pittorica comprendente una lunetta con la Vergine tra gli arcangeli e una volta con il Cristo e i simboli degli evangelisti (Wüscher-Becchi, 1908; Broccoli, 1980).
L'organizzazione dello spazio urbano di T. medievale individuò nel foro Emiliano il centro della cittadella fortificata tardoantica ed è sulla platea marmorea di questo, progressivamente ristrettosi e invaso dagli edifici medievali, che si affacciano il palazzo Comunale e la cattedrale di S. Cesario, sorta sul podio del capitolium romano. I numerosi frammenti di arredo liturgico altomedievale riutilizzati nelle strutture romaniche (Terracina, 1989, pp. 128-133) e soprattutto la citata menzione nel Lib. Pont. attestano l'esistenza di una postazione cultuale cristiana nell'area almeno dal sec. 9°, mentre la colonna del portico, recante iscritte la formula rituale del polychrónion e la menzione dei restauri eseguiti nel 662 in occasione del transito di Costante II (641-668), sarebbe stata elevata nel bonificato foro di T. e riutilizzata solo in seguito nella fabbrica romanica (Guillou, 1971). Questa, consacrata nel 1074 da Ambrosio (Contatore, 1706), fu realizzata seguendo un impianto basilicale a tre navate, separate da due file di otto colonne e terminanti con tre absidi inserite in un presbiterio sopraelevato, confrontabile con le fondazioni cassinesi in Terra di Lavoro e in particolare con la chiesa di Sant'Angelo in Formis (Di Gioia, 1982, pp. 78-79). L'interno, descritto dalla visita pastorale del 1580 prima degli interventi del sec. 18°, presentava la tribuna e la navata ornate da affreschi; ciascuna delle tre absidi accoglieva un ciborio su colonne con copertura piramidale e fascia intermedia di colonnine, mentre l'arredo liturgico comprendeva la cattedra episcopale, l'ambone, il candelabro e un coro con porte o plutei in marmo.Maestranze eterogenee condussero a termine, fra il sec. 12° e il 13°, gli arredi, il campanile e il portico, dei quali sono state rilevate le componenti stilistiche romane e campane, non estranee peraltro all'influsso dell'architettura borgognone mutuata da Fossanova. In particolare il pulpito, a cassa quadrata sostenuta da colonne e recante forme di derivazione classica, è generalmente messo in relazione con opere campane quali gli amboni nel duomo di Salerno e in quello di Sessa Aurunca, mentre il contemporaneo candelabro del cero pasquale (1245) è ricollegato alla produzione cosmatesca, con particolare riferimento alla bottega dei Vassalletto (v.). Il pavimento marmoreo, contrassegnato da rotae di porfido e granito disposte senza privilegiare l'asse longitudinale, propone infine una formula esecutiva nutrita di apporti bizantini e campani più che romani (Matthiae, 1952, p. 270; Carotti, 1978; Claussen, 1987, pp. 34-35).La torre campanaria, sorta isolata dalla fabbrica e poi inclusa nella fronte del portico, fu progettata su un basamento a grandi blocchi di pietra e si eleva con quattro piani marcati da diversi ordini di aperture cieche poggianti su colonnine. Essa venne realizzata fra la fine del sec. 11° e la metà del 12°, anche se il coronamento messo in opera con copertura a spioventi dovette costituire una variante temporanea al progetto, che prevedeva probabilmente il passaggio dalla pianta quadrata a quella ottagona, mai realizzato per mancanza di fondi, con una soluzione simile a quella adottata nel campanile del duomo di Gaeta. Alcuni particolari tipologici e costruttivi delle volte del piano terreno denunciano che anche le maestranze attive nel campanile non furono esenti dall'influsso esercitato dal cantiere cistercense fossanoviano (Di Gioia, 1982).
Un contatto analogo è emerso nell'analisi architettonica del portico di facciata, eseguito nel secondo-terzo decennio del sec. 13°, restaurato nel 1926 con tipologie costruttive desunte da modelli romani e laziali - archi ribassati sopra gli architravi, arcone centrale con coronamento rettilineo, tetto a capriata -, che in origine presentava sulla trabeazione una serie di archi ogivali e una copertura con volte a crociera poggianti su pilastri addossati a colonne (Zander, 1990, pp. 113-114). Un fregio a mosaico incassato lungo l'architrave, realizzato su sfondo di tessere minute bianche poste in contrasto cromatico con più grandi inserti di pasta vitrea, si è conservato solo nella parte destra del portico. La porzione mancante narrava probabilmente episodi dalla vita di s. Cesario, mentre le figurazioni pervenute rappresentano animali fantastici e simbolici, demoni e scene guerresche in un contesto narrativo ancora privo di un'esauriente lettura, forse da porre in relazione con un episodio leggendario legato alla prima crociata bandita da Urbano II (Lipinsky, 1929; Di Gioia, 1982).A età e maestranze diverse appartengono frammenti di lastre con decorazione a mosaico o a intarsio disseminati nel pavimento della chiesa o affissi alle pareti del presbiterio; essi presentano gli stessi caratteri del fregio del portico mentre altri provengono dall'ambone destro, distrutto nel sec. 17°, e dalla perduta recinzione del coro (Carotti, 1978).In prossimità della cattedrale era la chiesa altomedievale di S. Maria de templo o in posterulis, distrutta nel sec. 18° per la realizzazione della rampa Braschi. L'impianto trinave, realizzato con colonne di spoglio - riutilizzate nel baldacchino settecentesco della cattedrale - era preceduto da un nartece a tre archi sormontato da un piano con loggia, pure a tre luci, e da un campanile a vela (Zander, 1961, p. 318; Terracina e il Medioevo, 1989, p. 48).Altri esempi dell'influenza dell'architettura cistercense sull'attività edilizia terracinese del sec. 13° sono rappresentati dalle fondazioni degli Ordini mendicanti. S. Domenico, edificio a navata unica a terminazione tripartita, presenta una facciata a due spioventi, in origine preceduta da un portico, con rosone centrale e portale architravato sormontato da un protiro pensile poggiante su colonnine. Zander (1961, p. 320; 1964), sulla scorta di documenti oggi perduti ma menzionati da Contatore (1706), attribuisce la costruzione della chiesa ad Alberto da Terracina, vescovo di Fondi durante il pontificato di Niccolò IV (1288-1292), pur senza escludere la possibilità di una postazione cultuale preesistente. La chiesa di S. Francesco, distrutta nell'ultimo conflitto bellico, a eccezione del piccolo campanile con copertura a cupola, era attribuita alla prima metà del 13° secolo.Contemporanea è la chiesa dell'Annunziata, con presbiterio coperto con volta a crociera e portale sormontato da un architrave, decorato con motivo vegetale a rilievo, unica opera firmata dal Magister Andreas de Piperno (v. Andrea da Priverno), scultore attivo alla metà del sec. 14° nell'area pontina.Nella città bassa la chiesa di S. Maria Maddalena dei Lebbrosi si installò in alcuni dei locali delle terme Aquae Neptuniae, le cui strutture si prestarono a ospitare un ospedale affidato all'Ordine dei Templari sino al 1311, quando passò all'Ordine di S. Lazzaro. Ne erano leggibili sino a qualche decennio fa i resti di una decorazione pittorica - datata al sec. 10°-11° - con figure della Maddalena e di S. Cesario unitamente ad alcuni nomi di cavalieri, scritti in caratteri gotici e greci, appartenenti alle commende d'Italia e di Provenza (Lipinsky, 1929; Terracina e il Medioevo, 1989, pp. 56-58).
L'analisi dell'architettura civile di T. è resa ardua dall'assenza di studi documentari sull'origine delle istituzioni comunali e sulla storia delle principali famiglie della città. Emblematico è il caso dell'od. palazzo Venditti, attiguo alla cattedrale e ipoteticamente identificato con il palazzo Comunale, che presenta nel basamento un passaggio per l'accesso al foro, voltato forse sulla centina di un arco di età romana. La prima fase costruttiva, datata al sec. 13°-14°, fu realizzata in conci di pietra squadrati e giunge fino al primo piano includendo due finestre su colonnine con capitelli a crochets; successivamente sopraelevato con muratura più grossolana, l'edificio non presenta all'interno - forse a causa dei numerosi interventi - caratteristiche distributive peculiari di uno spazio pubblico (Aurigemma, Bianchini, De Santis, 1957, p. 44; Terracina e il Medioevo, 1989, pp. 51-53).L'edilizia civile a carattere abitativo mostra l'adozione del tipo a torre, attestato a T. a partire dal sec. 11°, dalla spiccata vocazione difensiva che predilige il posizionamento a guardia dei nodi stradali: esempio ne è la c.d. torre civica o torretta o torre dei Rosa, la cui costruzione, risalente alla fine del sec. 12°, fu impostata, senza fondazioni, sulla pavimentazione del foro. Nei due secoli seguenti una razionalizzazione dell'edilizia privata determinò la diffusione della domus, struttura abitativa compatta, generalmente caratterizzata da una facciata stretta e al cui interno si aprono uno o due vani collegati da una scala lignea interna, ove l'influenza cistercense appare in forma di raffinate citazioni decorative, come negli esempi di corso Garibaldi e via S. Lucia (Terracina e il Medioevo, 1989, pp. 32-34).Esternamente al nucleo antico di T., si svilupparono durante il Basso Medioevo cinque quartieri di gemmazione o borghi - detti Cipollata, Albina, Fuori Porta Romana, Fuori Porta Nuova e Fuori Porta S. Gregorio -, ciascuno dotato di strutture parrocchiali indipendenti ma, tranne il primo, privi di fortificazioni (Cavicchioni, 1977).
Bibl.:
Fonti inedite. - Visitationes Apostolicae, LXXIX, Roma, Arch. Segreto Vaticano, Congregazione del Concilio.
Fonti edite. - Cassiodoro, Variarum libri XII, a cura di A.J. Fridh, in Corpus Christianorum Lat., XCVI, 1973, pp. 1-499; Procopio di Cesarea, De bello Gothico, in id., Opera omnia, a cura di H.B. Dewing, III, London-Cambridge (MA) 1919, pp. 109, 155, 299, 323, 329; Passio prima ss. Caesarii et Iuliani, in AASS, Novembris, I, Paris-Roma 1887, pp. 105-115: 115; Gregorio Magno, Registrum epistolarum, a cura di P. Ewald, L.M. Hartmann, in MGH. Epist., I, 1891, pp. 47-48, 104-105, 171-173, 366; Codex Carolinus, a cura di P. Jaffé, in Monumenta Carolina (Bibliotheca rerum Germanicarum, 4), Berlin 1867, pp. 208-210; Monasticon Italiae, I, Roma e Lazio, a cura di F. Caraffa, Roma 1981; D.A. Contatore, De historia Terracinensi libri quinque, Roma 1706.
Letteratura critica. - M.R. de La Blanchère, Terracine. Essai d'histoire locale (BEFAR, 34), Paris 1884; E. Wüscher-Becchi, Brevi cenni sopra alcuni affreschi esistenti nell'area sacra a Jupiter Anxurus sul promontorio di S. Arcangelo presso Terracina, Roma 1908; A. Rossi, Terracina e la palude pontina, Bergamo 1912; G. Lugli, Regio I, Latium et Campania, I, 1, Ager Pomptinus. Anxur-Tarracina (Forma Italiae), Roma 1926; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII, I, Faenza 1927; A. Lipinsky, La cattedrale di Terracina, Per l'arte sacra 6, 1929, pp. 137-150; S. Gheroni, La cattedrale di Terracina, Italia sacra 2, 1931, pp. 815-844; A. Bianchini, Storia di Terracina, Tivoli 1952; G. Matthiae, Componenti del gusto decorativo cosmatesco, RINASA, n.s., 1, 1952, pp. 249-281; S. Aurigemma, A. Bianchini, A. De Santis, Circeo. Terracina. Fondi, Roma 1957; G. Zander, Terracina medioevale e moderna attraverso le sue vicende edilizie, in Saggi in onore del professor Vincenzo Fasolo, Quaderni dell'Istituto di storia dell'archeologia, 1961, 31-48, pp. 315-330; id., La chiesa di S. Domenico di Terracina e il suo restauro, Fede e arte 12, 1964, pp. 41-46; Terracina. Guida, a cura di B. Conticello, Roma 1967; A. Guillou, Inscriptions du duché de Rome, MEFR 83, 1971, pp. 149-158; P. Cavicchioni, Terracina. Studio campione di un centro storico della fascia costiera del centro pontino, in Il territorio pontino. Elementi di analisi storiografica dalle origini alla bonifica integrale, a cura di M. Pallottini, Roma 1977, pp. 168-196; A. Carotti, in L'art dans l'Italie méridionale. Aggiornamento dell'opera di Emile Bertaux, Roma 1978, II, pp. 765-766; U. Broccoli, Ricerche nel territorio di Terracina, Quaderni del Centro di studi per l'archeologia etrusco-italica 3, 1979, pp. 254-259; id., S. Cesario e S. Angioletto in Terracina: sopravvivenza di due edifici di culto, ivi, 4, 1980, pp. 233-236; id., Memorie paleocristiane nel territorio di Terracina: la valle dei Santi come continuità di vita rurale dall'antichità al Medioevo, in Il paleocristiano nel Lazio costiero meridionale, Roma 1982, pp. 221-249; F.M. Apollonj Ghetti, Terracina tra Lazio e Campania. Posizione strategica, viabilità, fortificazioni (Quaderni de l'Urbe, 1), Roma 1982; E. Di Gioia, La cattedrale di Terracina, Terracina 1982; La cassa di Terracina. Piccole e grandi storie di un mobile fra oriente e occidente, a cura di C. Rech, cat. (Roma-Terracina 1987), Terracina 1987; P.C. Claussen, Magistri Doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum I) (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 14), Stuttgart 1987; N. Christie, A. Rushworth, Urban Fortification and Defensive Strategy in Fifth and Sixth Century Italy. The Case of Terracina, Journal of Roman Archaeology 1, 1988, pp. 73-88; G. Ortolani, Osservazioni sulle mura di Terracina, Palladio, n.s., 1, 1988, pp. 69-84; Terracina. Il museo e le collezioni, a cura di M.R. Coppola, Roma 1989; Terracina e il Medioevo, a cura di C. Rech, cat. (Terracina 1989), Roma 1989; G. Zander, L'influsso cistercense di Fossanova sulle tre cattedrali di Terracina, Sezze e Priverno nella Marittima, in Scritti in memoria di Giuseppe Marchetti Longhi, I, Anagni 1990, pp. 101-114; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio (Italia romanica, 13), Milano 1992, pp. 328-333; F. Marazzi, I ''Patrimonia Sanctae Romanae Ecclesiae'' nel Lazio (secoli IV-X). Strutture amministrative e prassi gestionale (Nuovi studi storici, 37), Roma 1998; V. Grossi, M.I. Pasquali, R. Malizia, Il Museo Civico ''Pio Capponi'' di Terracina, Terracina 1998.A. Bonanni