Malick, Terrence
Regista cinematografico statunitense, nato a Waco (Texas) il 30 novembre 1943. La sua opera rappresenta il significativo esempio della volontà di un radicale cambiamento, che ha contagiato il cinema statunitense fin dai primi anni Settanta e che si è espresso nella necessità di sottrarsi con coerenza agli schemi dell'industria. Non la classicità, dunque, ma avanguardia e sperimentazione sono la fonte dell'ispirazione di M. che è riuscito a dare al suo cinema forma di pensiero, trasformando le storie narrate in riflessioni ben più ampie sull'uomo e sui sentimenti. Pur avendo realizzato un numero esiguo di film, ha conquistato fama internazionale vincendo nel 1979 il premio per la miglior regia al Festival di Cannes per Days of heaven (1978; I giorni del cielo) e nel 1999 l'Orso d'oro a Berlino per The thin red line (1998; La sottile linea rossa), film che ha ottenuto ben cinque nominations all'Oscar.
Figlio di un petroliere texano di origine libanese, trascorse l'infanzia e l'adolescenza tra l'Oklahoma e il Texas, iscrivendosi, poi, alla facoltà di Filosofia alla Harvard University e proseguendo gli studi in Germania e in Inghilterra. Dopo la laurea si dedicò per alcuni anni all'insegnamento e al giornalismo. Tra il 1969 e il 1970 affrontò gli studi di cinema presso l'American Film Institute realizzando alcuni cortometraggi in 8 mm.
Fece il suo ingresso nell'industria cinematografica hollywoodiana come sceneggiatore collaborando, non accreditato, alla stesura di Drive, he said (1971; Yellow 33), primo film di Jack Nicholson in veste di regista. Numerose le sceneggiature da lui scritte, da Deadhead miles (girato nel 1971 e uscito nel 1982) diretto da Vernon Zimmerman, Pocket money (1972; Per una manciata di soldi) di Stuart Rosenberg, e, non accreditato, Dirty Harry (1971; Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!) di Don Siegel, a Great balls of fire! (1989; Great balls of fire! ‒Vampate di fuoco) di Jim McBride. Con il nome di David Whitney lavorò alla sceneggiatura di The gravy train (1974; I fratelli Dion) di Jack Starrett.
L'esordio come regista avvenne con Badlands (1974; La rabbia giovane), storia, ispirata a un fatto di cronaca, della ribellione di due giovani (Martin Sheen e Sissy Spacek) che, dopo aver ucciso il padre di lei, fuggono attraversando una campagna spoglia e arsa dal sole. Il film, ignorato dal pubblico ma accolto con entusiasmo dalla critica, divenne subito un cult per i giovani artisti americani, grazie alla capacità di rappresentare con distacco la solitudine e la violenza dei protagonisti. Il successivo Days of heaven racconta ancora di personaggi disperati e indifesi che si muovono come persi in un paesaggio di infinita bellezza (la fotografia del film, girato in 70 mm, è di Nestor Almendros, premiato con l'Oscar). Un operaio ricercato per omicidio (ruolo pensato per John Travolta e poi affidato a un giovanissimo Richard Gere) si fa assumere con la sua ragazza in una fattoria del Texas per il raccolto stagionale. Il proprietario (Sam Shepard), credendoli fratelli, chiede alla giovane di sposarlo e diventa, così, l'ignaro oggetto della truffa architettata dai due. Lo svolgimento perde presto la linearità del racconto tradizionale e si stempera in una luminosità abbagliante e rarefatta, dominata da un diffuso senso di fatalismo. Dopo Days of heaven M. si è trasferito a Parigi in una volontaria forma di esilio, durata vent'anni e conclusasi con la realizzazione del bellissimo The thin red line. Al centro del film, un episodio della Seconda guerra mondiale ‒ la conquista dell'isola di Guadalcanal da parte degli americani ‒ narrato attraverso lo sguardo dei numerosi personaggi. Significativa è l'analisi teorica sulla 'temporalità' del cinema, espressa in un'estrema forma di frammentazione del racconto; si procede infatti disseminando infiniti punti di fuga, dai quali partire per ripetute digressioni. Nella luce si ritrova il senso diffuso di malinconica e dolorosa nostalgia che pervade tutto il cinema di M., atto di accusa contro una guerra priva di senso che spinge i soldati a combattere un nemico invisibile, immersi in una natura che si fa muta osservatrice.
D. Luchino, Lo sguardo trascendente: il rapporto con l'Assoluto nel cinema di Terrence Malick, Torino 2002.