TERUEL (A.T., 41-42)
Capoluogo dell'omonima provincia spagnola, nell'Aragona. La città sorge sopra una collina (890-915 m.), sulla sinistra del Turia, o Guadalaviar, non lungi dal punto in cui confluisce in questo l'Alfambra, lungo la grande via di comunicazione - oggi anche ferroviaria - che dalla costa levantina adduce alla media valle dell'Ebro. Sebbene di origine antichissima, il suo sviluppo urbano data dall'ultimo Medioevo. Il carattere della città ha poco sofferto, in grazia del relativo isolamento in cui essa si trova; d'altronde, data la mancanza quasi assoluta d'industrie e la tipica economia agricolo-pastorale della provincia, la popolazione di Teruel è rimasta, da lungo tempo, quasi stazionaria. Nel 1934 Teruel contava appena i2 mila ab., all'incirca quanti ne aveva cento anni prima.
Provincia di Teruel. - La più meridionale, la più piccola (14.818 kmq.) e la meno popolosa (263.700 ab. nel 1930) delle tre provincie che formano l'Aragona. Il territorio manca di unità morfologica e idrografica, posto com'è al limite nord-occidentale della meseta verso la fossa dell'Ebro. Di questa rientra nella provincia un piccolo lembo collinare (Tierra Baja), che una serie di aspre sierre (Cucalón, San Just, Palomera, Peña Roya, Mosquemela) isola dalle alte valli del Guadalaviar, dell'Alfambra e del Mijares. La cosiddetta meseta di Teruel, che rientra tutta nell'orlo rialzato dell'altipiano centrale spagnolo (Sierra de Albarracín, M. Universali, Sierra de Javalambre, Sierra de Gúdar, ecc.), è paese elevato e accidentato, nel quale però hanno larga parte anche superficie spianate, per lo più nude di vegetazione o steppose. Il clima è tipicamente continentale, con inverni rigidi ed estati eccessive, e le precipitazioni si mantengono quasi dappertutto impari ai bisogni delle colture. Dove queste sono possibili, domina la cerealicoltura estensiva, e compaiono l'olivo e la vite che, insieme con l'allevamento del bestiame brado, massime ovino, formano le basi dell'economia locale. Discrete le riserve del sottosuolo, delle quali sono coltivate però solo il ferro (Ojos Negros) e le ligniti (Utrillas e Montalbán).
La popolazione, quasi stazionaria nell'ultimo sessantennio (242 mila ab. nel 1877), è assai inegualmente distribuita (vi sono larghe zone del tutto prive di abitanti, come il cosiddetto Desierto de Calanda, nella Tierra Baja) e segna comunque una densità che è tra le più deboli della penisola (17 ab. per kmq.). Nessun centro - eccezion fatta per Teruel - raggiunge i 10 mila abitanti: i principali sono Alcañiz, Albarracín, Albalate del Arzobispo, Híjar, Cantavieja e Valderrobres.
Monumenti. - La cattedrale ha un magnifico soffitto ligneo, il cui disegno è di stile moresco, ma con pitture e mensole spiccatamente gotiche che dovettero essere eseguite nella prima metà del sec. XIV; infatti nel 1335 venivano pagati a Domingo Peñaflor lavori di policromia. Questo soffitto è ora nascosto dalle vòlte gotiche della navata maggiore, perché la chiesa fu modificata nel secolo XV, quando si aggiunsero le navate laterali e la cupola. La chiesa gotica di S. Francesco (fine del sec. XIV) ha una sola navata con abside poligonale della medesima larghezza e cappelle tra i contrafforti. I campanili delle chiese del Salvatore e di S. Martino e quello mutilo della cattedrale sono graziose costruzioni moresche in mattoni e mattonelle smaltate, e furono innalzati nel sec. XIII. S. Pietro è una chiesa di tipo gotico levantino. La chiesa del seminario, molto ornata, è di tipo gesuitico. Il ponte-acquedotto, detto "degli Archi", fu costruito (1537-1558) sotto la direzione del francese Pierre Vedel.
Bibl.: J. M. Quadrado, Aragón, in España, sus monumentos y artes, su naturaleza e historia, Barcellona 1885; M. del Pano, La techumbre de la catedral de Teruel, in Revista de Aragón, 1904; A. e P. Gascón de Gotor, Campanarios mudéjar de Aragón, in Museum, 1911; R. García Guereta, Las torres de Teruel, Madrid 1925; A. Calzada, Historia de la Arquitectura en España, Barcellona 1928; id., Historia de la arquitectura española, ivi 1933; J. F. Ràfols, Techumbres y artesonados españoles, 2a ed., ivi 1930.