The Merry Widow
(USA 1924-25, 1925, La vedova allegra, bianco e nero/colorato, 121m a 22 fps); regia: Erich von Stroheim; produzione: MGM; soggetto: dall'operetta Die lustige Witwe di Franz Léhar, libretto di Victor Leon e Leo Stein; sceneggiatura: Erich von Stroheim, Benjamin Glazer; fotografia: Ben Reynolds, William Daniels, Oliver T. Marsh; montaggio: Frank E. Hull, Margaret Booth; scenografia: Cedric Gibbons, Richard Day; costumi: Erich von Stroheim, Richard Day.
Sally O'Hara è una ballerina americana in tournée nel regno europeo di Monteblanco. Il principe Danilo, colonnello, nipote del re Nikita, sfila con la truppa: la vede, e subito si innamora di lei. Desiderata pure dal cugino del colonnello, il principe ereditario Mirko, Sally si trova dunque al centro di una disputa amorosa che ha il suo apice al François, una casa di appuntamenti. Danilo le chiede la mano, lei accetta. Ma sia la regina sia il re, insieme al principe Mirko, sono fermamente contrari alla loro unione, che trovano scandalosa e sconveniente. Danilo si trova dunque costretto a lasciare la donna proprio alla vigilia della cerimonia nuziale. Sally non sa darsi pace e decide quindi di vendicarsi, accettando la corte del vecchio e ricchissimo barone Sadoja. I due si sposano, ma la prima notte di nozze il barone muore per le troppe le emozioni provate. Sally eredita l'intera fortuna del defunto marito e parte per Parigi dove, in poco tempo, le viene affibbiato il soprannome di 'vedova allegra'. Preoccupato che l'immensa ricchezza di Sally possa essere trasferita all'estero, re Nikita invia Mirko a Parigi con il compito di chiedere Sally in sposa: il denaro di Sally è infatti di vitale importanza per l'economia del piccolo regno. Danilo segue il cugino a Parigi; Sally, per suscitare la sua gelosia, accetta la corte di Mirko nel corso di un ballo organizzato dall'ambasciata a Parigi. Danilo lenisce il suo sconforto nell'alcol, poi sfida il cugino a duello e viene ferito. Sally, preoccupata per la sua sorte, gli confessa il proprio amore. Danilo si rimette. A Monteblanco il re Nikita muore. Mirko, suo erede, viene assassinato durante l'incoronazione dal vecchio portiere del François, vessato dal principe e dai suoi sgherri. Danilo è dunque l'erede al trono e Sally sarà la sua regina.
The Merry Widow, grande successo di pubblico e "miglior film realizzato a Hollywood nel 1925" secondo le critiche d'epoca, seguì il colossale quanto spettacolare crollo di Greed, mutilato e smembrato da Irving Thalberg, tycoon della Metro Goldwin Mayer. Fu sempre Thalberg a proporre a Erich von Stroheim The Merry Widow, dall'operetta omonima di Franz Léhar. Pur non apprezzando il testo, von Stroheim si applicò con attenzione al progetto, scrivendo una sceneggiatura molto personale, che ha il pregio di trasformare la limpida aria da operetta in una crudele e feroce satira dell'ambiente mitteleuropeo. Monteblanco è il luogo immaginario in cui si svolgono i fatti: nessuna ricostruzione in scala naturale, come era accaduto per la Montecarlo di Foolish Wives (Femmine folli, 1922), piuttosto un puntuale décor che allude al Montenegro (cui rimanda pure lo stile delle uniformi, disegnate dallo stesso von Stroheim). Ritroviamo in The Merry Widow il gusto eccessivo del regista per la ricostruzione scenografica: il film è una inesauribile rassegna di meraviglie architettoniche, pavimenti luccicanti, scalinate sontuose, colonne maestose, divise sfarzose, smodata propensione al dettaglio ornamentale. Tale attenzione per il dettaglio non ci deve ingannare. In The Merry Widow (e sempre in von Stroheim) la scenografia, l'abito, non sono figli di uno sterile piacere del lusso, ma corrispondono a una vera e propria scelta di regia. L'abito, la scenografia, si definiscono come vero e proprio habitus: una forma comportamentale, sociale. Che verrà qui sbeffeggiata, trattata come materiale satirico.
Esiste nel cinema di von Stroheim un principio del dettaglio, che si oppone al concetto di particolare. Intendiamo con il termine particolare una piccola parte di una figura, di un oggetto, di un insieme. Nell'economia della messa in scena, il particolare entra in un rapporto di equilibrio con la sequenza: così accade per certi particolari delle scenografie, per oggetti che appaiono all'interno dell'inquadratura facilitandone lo scorrimento fluido, narrativo. Il dettaglio invece ci appare più come un 'programma di azione': nell'esibizione del dettaglio si cela, e insieme si esplicita, un soggetto che taglia, recide un oggetto. Il taglio si pone allora come punctum, l'affiorare di qualcosa nella visione (e nella messa in scena). Il particolare equilibra la sequenza, il dettaglio invece la sposta, l'inclina, ne facilita la torsione significante: è un polo di attrazione sensoriale che emerge alla vista (un paio di lucenti stivali militari improvvisamente sporcati di fango).
Se Eric von Stroheim ci appare come il cineasta dell'eccesso, non è solo per quella seducente attrazione entropica che lo ha spinto verso la dissoluzione e lo spreco. Piuttosto, l'eccesso fa spesso riferimento a uno scarto d'intensità. Il dettaglio taglia la sequenza, innescando un nuovo statuto dell'immagine: un regime naturalistico (Gilles Deleuze). Meglio: il dettaglio apre alla sensazione. Ci riferiamo per esempio alla sequenza del balletto in cui Sally ci appare mutilata in un delirio feticista: il barone Sadoja, il vecchio miliardario che si muove nell'inquadratura aiutato da due stampelle, e le cui movenze ricordano un ragno, mostra predilezione per caviglie e piedi. Il principe Mirko seziona il suo seno; il colonnello Danilo si sofferma sul volto. In The Merry Widow il dettaglio suggerisce un'alterazione, un'irregolarità, una sproporzione, che va trasformandosi in pulsione, motore di azione (il corpo di Sally, le porte monumentali, i crocefissi enormi alle pareti, un foglio di carta moschicida). La sproporzione è un ingrandimento, una dilatazione di senso ‒ per esempio, l'acuto senso olfattivo che emerge nell'istante in cui osserviamo il letto di Sally coperto da petali di fiori. Le scelte stilistiche di von Stroheim attivano un regime contrastivo. Si pensi alla lotta tra i bianchi e i neri all'interno dell'inquadratura, al vaporoso flou che circonda il volto di Sally in primo piano, al vapore dell'eau de toilette a contatto con la pelle sudata di un uomo in divisa. Si pensi al biancore della luce emanata dal volto di Mae Murray, cui fa da contrasto la nera movenza marionettistica del principe Mirko. Il salone François è un delirio che oscilla tra il bianco e il nero: un locale in cui l'aria appare inghiottita tra masse farinose, maschere nere, piume di cuscino sparpagliate nell'ambiente come fiocchi di neve (la frizione tra la violenza della furia orgiastica e il pacato, ovattato cadere di una piuma). Eric von Stroheim non dimentica una tagliente vena ironica. Il film è anche l'immagine di due innamorati sotto una romantica luna; l'abominio e la crudeltà sono qui mostrati insieme alla dolce brezza di una notte luminosa.
Interpreti e personaggi: Mae Murray (Sally O'Hara), John Gilbert (principe Danilo), Roy D'Arcy (principe Mirko), Tully Marshall (barone Sadoja), George Fawcett (re Nikita I), Josephine Crowell (regina Milena), Dale Fuller (cameriera di Sally), Albert Conti (aiutante di Danilo), Wilhelm von Brincken (aiutante di campo di Danilo), Don Ryan (aiutante di Mirko), Hughie Mack (locandiere), Ida Moore (moglie del locandiere), Gertrud Bennet (Virginia), Sidney Bracey (domestico di Danilo), George Nichols (portiere), Joan Crawford, Clark Gable (invitati al ballo).
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