predicato, tipi di
Il termine predicato (lat. praedicātu(m) «ciò che è affermato [di qualcosa]») compare per la prima volta all’inizio del medioevo nel commento di Boezio al De interpretatione aristotelico. Aristotele aveva già introdotto nelle riflessioni logiche e linguistiche il concetto di predicato, definendolo in relazione alle nozioni di ➔ soggetto e di frase (➔ frasi nucleari).
La definizione di predicato che si ritrova nelle grammatiche descrittive ricalca piuttosto fedelmente quella fornita da Aristotele: il predicato è «ciò che si afferma a proposito del soggetto» (Serianni 1988), e che forma con il soggetto stesso un’entità di «senso compiuto»: la frase. A livello logico-semantico, il predicato designa una proprietà che viene attribuita a un oggetto del mondo, codificato dal soggetto. Tale proprietà può corrispondere al possesso di una qualità (1), all’appartenenza a una classe (2) o all’aver luogo di un’azione (3):
(1) il sole splende
(2) il mio cane è un bassotto
(3) Luca prestò il libro a Giulia
La linguistica moderna definisce il predicato in termini più strettamente sintattici. A partire dall’analisi in «costituenti immediati» di Bloomfield (1933), la frase è concepita come la combinazione di un ➔ sintagma nominale (il soggetto) e un ➔ sintagma verbale (il predicato):
(4) [il sole]sintagma nominale = soggetto
[splende]sintagma verbale = predicato
(5) [il mio cane]sintagma nominale = soggetto
[è un bassotto]sintagma verbale = predicato
(6) [Luca]sintagma nominale = soggetto
[prestò il libro a Giulia]sintagma verbale = predicato
Su questa base, la grammatica generativa ha posto al centro della relazione predicativa gli elementi di collegamento tra i due costituenti (Chomsky 1965). In questo senso, il predicato è definito come l’elemento che riceve dal soggetto i tratti dell’➔accordo (persona, numero ed eventualmente genere), che sono espressi dalla componente morfologica del predicato, e in particolare dalla ➔ flessione verbale (➔ coniugazione verbale).
Attraverso l’integrazione dei punti di vista della prospettiva tradizionale e di quella formalistica (cfr. Simone 200819) è possibile definire il predicato come un elemento complesso, al cui interno sono rintracciabili due componenti fondamentali: una testa lessicale, ovvero il suo nucleo semantico, che codifica la proprietà che si afferma, e una testa funzionale, ovvero gli elementi che collegano formalmente il predicato al soggetto cui si riferisce.
La funzione che il predicato svolge nella frase si dice predicazione. Essa consiste fondamentalmente nel ‘dire qualcosa’ a proposito del tema della frase (➔ tematica, struttura), cioè di ciò su cui essa verte. In questo senso, il numero dei predicati di un enunciato può esser adoperato come criterio per contare le frasi che lo compongono.
Inteso come sintagma verbale, un predicato può essere costituito:
(a) da un sintagma verbale di modo finito (bevo volentieri birra);
(b) da un sintagma verbale di modo non finito (sono caduto correndo; e allora tutti a ridere, ecc.);
(c) da un elemento zero (predicati costituiti da sintagmi non verbali nelle frasi nominali; vedi oltre);
(d) da un sintagma verbale bi-predicativo (o bi-clausale, composto cioè da due elementi verbali, o entrambi di modo finito: prendo e me ne vado; o uno di modo finito e uno di modo non finito, come nelle costruzioni causative, nelle strutture perifrastiche e nelle strutture con verbo fraseologico; ➔ causativa, costruzione; ➔ perifrastiche, strutture; ➔ fraseologici, verbi).
In quel che segue tutte queste tipologie sono esaminate in generale. Per dettagli, vedi le voci via via citate.
Le grammatiche descrittive riconoscono due tipi principali di predicato, che possono essere distinti sulla base del modi in cui sono riempite le rispettive teste lessicali e funzionali: il predicato verbale e il predicato nominale.
Il predicato verbale è costituito da un verbo predicativo autonomo (➔ verbi; ➔ predicativi, verbi) lessicalmente pieno (quindi non un ausiliare o un verbo supporto; ➔ ausiliari, verbi; ➔ verbi supporto). Il verbo è la testa lessicale del predicato verbale e manifesta, attraverso i suoi tratti morfologici, l’accordo con il soggetto rispetto alle categorie della persona e del numero:
(7) Maria dorme
(8) i ragazzi mangiano la pizza
Il predicato nominale è costituito da un sintagma verbale con la seguente struttura: una forma del verbo essere (➔ copula) + un costituente nominale o aggettivale, tradizionalmente chiamato parte nominale o, se è un nome, nome del predicato; se tale costituente è un aggettivo, è anche detto aggettivo predicativo.
La copula detiene la funzione di collegare la parte nominale con il soggetto: non è un verbo lessicalmente pieno, ma esprime i soli tratti morfologici del predicato nominale, di cui costituisce pertanto la testa funzionale (➔ copulativi, verbi). La testa lessicale del predicato è invece espressa dalla parte nominale. Entrambe le componenti del predicato nominale si accordano con il soggetto: la copula nei tratti di ➔ persona e ➔ numero, la parte nominale invece nei tratti di numero e ➔ genere:
(9) Maria è un’insegnante
(10) i ragazzi sono golosi di pizza
Un tipo specifico di predicato si ha nei costrutti con verbi copulativi, che non sono autonomi dal punto di vista lessicale e necessitano di un complemento predicativo del soggetto (➔ predicativo, complemento) per formare un predicato:
(11) Maria è diventata un’insegnante
(12) i ragazzi sembrano affamati
L’interpretazione di tali tipi di predicato è stata argomento di dibattito dalla tradizione grammaticale. Per via della presenza di un elemento nominale in funzione di testa lessicale del predicato, alcuni li hanno considerati veri e propri predicati nominali; altri hanno preferito classificare tali costrutti come un livello intermedio tra il predicato nominale e quello verbale («predicato con verbo copulativo», dice Serianni 1988), sulla base del contributo che il verbo copulativo dà alla semantica complessiva di tali predicati (a differenza della copula, considerata semanticamente vuota).
Un’importante caratteristica generale della relazione di predicazione è la possibilità che il predicato abbia una ➔ negazione. In questo caso, si esclude che la proprietà descritta dal predicato sia da attribuire al soggetto della frase:
(13) Maria non dorme
(14) Maria non è un’insegnante
(15) Maria non è diventata un’insegnante.
Nelle costruzioni impersonali (➔ impersonali, verbi) si osserva una particolare struttura di predicato, in cui non è possibile applicare la concezione della relazione predicativa come rapporto tra soggetto e predicato. Un tipico caso di costruzione impersonale si ha con i verbi che indicano fenomeni atmosferici (➔ atmosferici, verbi), che danno luogo a una frase composta dal solo predicato senza soggetto:
(16) nevica
(17) domani pioverà
Una simile configurazione sintattica riguarda anche verbi predicativi che vengono talvolta usati nella costruzione impersonale con il pronome atono si:
(18) da qui si vede il mare
(19) si assisterà a un grande spettacolo
Con un terzo gruppo di verbi (accadere, bastare, bisognare, capitare, convenire, occorrere, sembrare, succedere, ecc.) si formano costruzioni impersonali da cui dipendono frasi subordinate. In tali casi, la funzione di soggetto è svolta dalla frase dipendente, che corrisponde a una frase soggettiva (➔ soggettive, frasi):
(20) bisogna partire prima delle otto
(21) sembra di sognare
(22) basterebbe che non lo facessi più
(23) spesso accade che ci dimentichiamo delle cose più importanti
Il predicato, sia verbale che nominale, può essere modificato con verbi modali (➔ modali, verbi). In tali casi, il verbo modale forma un predicato unico insieme al verbo principale della frase, coniugato all’infinito:
(24) Maria deve dormire
(25) i ragazzi possono mangiare la pizza
(26) Maria vuole essere un’insegnante
(27) gli insegnanti bravi sanno essere intransigenti quando serve
Una situazione analoga si osserva anche nel caso dei verbi fraseologici, che aggiungono al predicato tratti di ➔ aspetto che possono indicare l’imminenza di un evento (28), il suo inizio (29), il suo svolgimento (30), la sua continuità e reiterazione (31) o la sua conclusione (32):
(28) quella sedia sta per cadere
(29) Carlo ha iniziato a dipingere la staccionata
(30) Maria sta dormendo
(31) gli studenti seguitavano a non fare i compiti a casa
(32) i ragazzi hanno finito di mangiare la pizza
Sebbene i verbi fraseologici siano più spesso usati con i predicati verbali (per via del forte legame che intercorre tra i valori aspettuali e la rappresentazione linguistica dell’azione), il loro impiego è possibile, in alcuni casi, anche con un predicato nominale:
(33) i ragazzi cominciano ad essere affamati
(34) Carlo continuerà ad essere l’amministratore della società
Le modificazioni modali e aspettuali del predicato possono dar luogo a ‘catene’ in cui sono presenti più predicati in sequenza (in italiano, di solito non più di due). In ogni caso, per ogni predicato è ammessa una sola testa lessicale:
(35) tutte le modifiche al documento devono poter essere monitorate
(36) i miei studenti stanno per cominciare a studiare l’algebra.
L’analisi della struttura del predicato verbale costituisce un nodo essenziale nella definizione complessiva della predicazione. D’altra parte, la nozione funzionale di predicato verbale è strettamente collegata a quella categoriale di verbo, al punto che, all’origine delle trattazioni sull’argomento, Aristotele si riferisce a entrambe le nozioni utilizzando lo stesso termine: rhēma (Graffi 1986).
La struttura del predicato verbale dipende in larga parte dalla struttura della ➔ reggenza del verbo predicativo che ne costituisce la testa lessicale. A questo proposito, la grammatica tradizionale distingue, sulla base del tratto di transitività, due classi di verbi predicativi che danno luogo a strutture di predicazione diverse: i verbi transitivi ammettono un complemento oggetto (mangiare, dare), mentre i verbi intransitivi ne sono obbligatoriamente privi (partire, andare) (➔ transitivi e intransitivi, verbi).
Un contributo innovativo per la definizione della struttura semantica del predicato e della sua reggenza fu portato da Frege (1892) nell’ambito della logica, e in seguito esteso all’analisi linguistica. Frege definisce il predicato come un’espressione linguistica insatura, ovvero una funzione che può essere applicata ad una serie di ➔ argomenti in grado di saturarla (con metafora chimica) e generare, in questo modo, una proposizione. Il numero degli argomenti dipende dalla semantica del predicato (è il concetto di arietà o adicità del predicato), e si distinguono quindi predicati a uno, due, tre o più ‘posti’ (detti rispettivamente unari, binari, ternari). Uno degli esiti più importanti per la teoria linguistica del modello logico fregeano si ebbe col concetto di valenza verbale di Tesnière (1959), che propone una classificazione dei lemmi verbali in relazione al numero, al riempimento e alla funzione sintattica dei loro argomenti obbligatori.
Sulla base della struttura valenziale, in italiano è possibile distinguere cinque classi principali di verbi predicativi (a loro volta articolabili in varie sottoclassi; cfr. Salvi 1988; Renzi & Elia 1997): verbi zerovalenti (atmosferici: piovere, grandinare) (37), monovalenti (arrivare, correre, piangere) (38), bivalenti (mangiare, aprire, andare) (39), trivalenti (dare, prestare, restituire) (40) e tetravalenti (spostare, trasportare, trasferire; tale classe non è però accettata in tutte le descrizioni) (41):
(37) piove
(38) il treno è arrivato
(39) Maria mangia una mela
(40) Carlo ha restituito il libro alla biblioteca
(41) i facchini hanno trasportato le cassette dal parcheggio al mercato
Sulla base dell’analisi della struttura valenziale è stato inoltre sviluppato il modello della grammatica dei casi (Fillmore 1968), che mira a specificare le relazioni semantiche che si instaurano tra un predicato e gli argomenti che fanno parte della sua valenza. Tali relazioni semantiche definiscono un insieme di ruoli tematici universali (per es., agente, tema, beneficiario, origine, destinazione, ecc.), che sono assegnati dalle teste lessicali ai loro argomenti. In questa prospettiva, la serie di esempi in (37-41) può essere analizzata come segue:
(42) piove
(43) [il treno]tema partì
(44) [Maria]agente mangia [una mela]tema
(45) [Carlo]agente ha restituito [il libro]tema [al professore]beneficiario
(46) [i facchini]agente hanno trasportato [le cassette]tema [dal parcheggio]origine [al mercato]destinazione
L’analisi della struttura argomentale e tematica ha rappresentato una svolta molto importante nella concezione logica del predicato: la trattazione classica, infatti, tendeva a riconoscere predicati esclusivamente monovalenti. In questa prospettiva, partire, mangiare una mela e restituire il libro al professore sarebbero predicati che si applicano a un unico argomento: il soggetto.
Al contrario, l’analisi proposta nella serie (42-46) rende conto delle differenze nelle strutture semantiche dei vari predicati verbali. In (43), il verbo partire, monovalente, si applica a un solo argomento (il treno) che svolge il ruolo di tema (l’oggetto che viene modificato nel corso dell’evento descritto dal predicato). Diversamente, in (45) il verbo trivalente restituire proietta una struttura semantica complessa, all’interno della quale vengono attribuiti ai suoi tre argomenti i rispettivi ruoli semantici di agente (Carlo), tema (il libro) e beneficiario (il professore).
La struttura del predicato nominale può assumere più configurazioni, che corrispondono a diversi valori semantici, secondo il tipo di sintagma non verbale che riempie la posizione di predicato.
Un predicato nominale costituito da un aggettivo esprime solitamente una qualità, transitoria o permanente, attribuita al soggetto della frase; in questo caso, l’aggettivo (➔ aggettivi) è inserito nel sintagma verbale ed è detto predicativo:
(47) [la bicicletta]sintagma nominale [è nuova]sintagma verbale
(48) [quel giocatore]sintagma nominale [è alto]sintagma verbale
In tale posizione l’aggettivo esprime una relazione propriamente predicativa; al contrario, quando un aggettivo si trova all’interno di un sintagma nominale, questo esprime una relazione di modificazione rispetto alla sua testa nominale e viene detto attributivo (➔ attributo):
(49) [la bicicletta nuova]sintagma nominale [si è rotta]sintagma verbale
(50) [il giocatore alto]sintagma nominale [somiglia a mio zio]sintagma verbale
Non tutti gli aggettivi possono svolgere funzione predicativa; in particolare, sono esclusi da tale funzione gli aggettivi di relazione (51) (➔ relazione, aggettivi di) e quelli obbligatoriamente prenominali (52), che possono essere usati solo in funzione attributiva in un sintagma nominale:
(51) l’incidente ferroviario → *l’incidente è ferroviario
(52) le medesime lamentele → *le lamentele sono medesime.
La parte nominale può essere anche riempita da un sintagma preposizionale in funzione di aggettivo predicativo, che indica una qualità o una tipologia riferita al soggetto (➔ attributo; ➔ preposizioni):
(53) le porte della case giapponesi sono di carta
(54) quelle pistole sono ad aria compressa
(55) la tua risposta è senza capo né coda
Anche la quantificazione viene solitamente espressa attraverso un predicato nominale, la cui parte nominale è riempita da un numerale cardinale (➔ numerali; ➔ quantificatori) con valore aggettivale:
(56) i peccati capitali sono sette
(57) le squadre del campionato di serie A sono venti
Il predicato nominale può anche essere formato dall’unione della copula e di un sintagma nominale, tipicamente indefinito. In questo caso, il significato espresso è quello dell’appartenenza del soggetto alla classe designata dal sintagma nominale in posizione predicativa (58-59). In alcuni casi, e in particolare in presenza di un nome di professione, il sintagma nominale indefinito che costituisce la parte nominale del predicato può occorrere senza l’articolo (60):
(58) la terra è un pianeta
(59) quell’avvocato è un farabutto
(60) mio padre è ingegnere
Le frasi in cui il verbo essere è seguito da un sintagma nominale definito presentano una potenziale ambiguità rispetto al tipo di predicato realizzato. Se il sintagma nominale definito dopo la copula designa una proprietà unica che viene attribuita al soggetto, sarà realizzato un predicato nominale. Diversamente, se il sintagma nominale si riferisce a un individuo, esso non identifica una proprietà e non può pertanto avere valore predicativo. In questo caso, il verbo essere pone un’uguaglianza tra due espressioni pienamente referenziali e svolge la funzione di predicato di identità:
(61) Giovanni è il mio migliore amico
(62) quel ragazzo è il portiere della nostra squadra.
Un particolare rapporto di predicazione nominale si osserva nelle costruzioni con complementi predicativi non argomentali (➔ predicativo, complemento), oggetto di interesse per molti studi nell’ambito della sintassi teorica e descrittiva (per es., Jespersen 1924; Halliday 1967; Williams 1980; Chomsky 1981). È possibile che il complemento predicativo si riferisca sia al soggetto (63) che all’oggetto diretto (64) di un verbo predicativo transitivo:
(63) Mario arrivò ubriaco
(64) ho visto Paola molto indaffarata
In entrambi i casi il predicato principale è di tipo verbale (arrivare, vedere), mentre il complemento predicativo corrisponde a un predicato secondario di tipo nominale (essere ubriaco, essere molto indaffarata), che può essere reso esplicito attraverso una parafrasi del tipo:
(65) Mario arrivò ed era ubriaco
(66) ho visto Paola ed era molto indaffarata.
La predicazione nominale può essere realizzata anche senza copula, dando luogo alla frase nominale (➔ nominali, enunciati; Meillet 1906; Benveniste 1950; De Mauro & Thornton 1985). In essa la funzione di predicato è svolta da un sintagma non verbale (nominale, preposizionale o avverbiale) direttamente giustapposto al sintagma nominale in posizione di soggetto:
(67) parenti [serpenti]sintagma nominale
(68) oggi [niente lezione]sintagma nominale
(69) Giovanni [al telefono]?sintagma preposizionale
(70) qui [tutto bene]sintagma avverbiale
La grammatica tradizionale considera casi di questo tipo come strutture ellittiche del verbo, per le quali sarebbe ricostruibile una forma di predicazione standard (per es., «i parenti sono serpenti», «oggi non c’è lezione»). Tuttavia, le frasi nominali sono ampiamente diffuse e manifestano funzioni informative specifiche. Tali fattori conferiscono alla frase nominale uno statuto autonomo nella tipologia delle strutture di predicazione.
Benveniste, Emile (1950), La phrase nominale, «Bulletin de la Société de linguistique de Paris» 46, pp. 19-36 (rist. in Id., Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, 1966, pp. 151-167).
Bloomfield, Leonard (1933), Language, New York, Holt, Rinehart & Winston (trad. it. Il linguaggio, Milano, Il Saggiatore, 1996).
Chomsky, Noam (1965), Aspects of the theory of syntax, Cambridge (Mass.), The MIT Press (trad. it. Aspetti di teoria della sintassi, in Id., Saggi linguistici, vol. 2°, La grammatica generativa trasformazionale, Torino, Boringhieri, 1970, pp. 44 segg.).
Chomsky, Noam (1981), Lectures on government and binding, Dord-recht, Foris.
De Mauro, Tullio & Thornton, Anna M. (1985), La predicazione: teoria e applicazioni all’italiano, in Sintassi e morfologia della lingua italiana d’uso. Atti del XVII congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Urbino, 11-13 settembre 1983), a cura di A. Franchi De Bellis & L.M. Savoia, Roma, Bulzoni, pp. 407-419.
Fillmore, Charles J. (1968), The case for case, in Universals in linguistic theory, edited by E. Bach & R.T. Harms, New York, Holt, Rinehart & Winston, pp. 1-88.
Frege, Gottlob (1892) Über Begriff und Gegenstand, «Vierteljahrs-schrift für wissenchaftliche Philosophie» 16, pp. 192-205 (trad. it. Concetto e oggetto, in La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano, Bompiani, 1973, pp. 373-386).
Graffi, Giorgio (1986), Una nota sui concetti di ῥῆμα e λόγος in Aristotele, «Athenaeum» 74, 1-2, pp. 91-101.
Halliday, Michael A.K. (1967), Notes on transitivity and theme in English. Part 2, «Journal of linguistics» 3, pp. 199-244.
Jespersen, Otto (1924), The philosophy of grammar, London, Allen & Unwin.
Meillet, Antoine (1906), La phrase nominale en indo-européen, «Mémoires de la Société de linguistique de Paris» 14, pp. 1-26.
Renzi, Lorenzo & Elia, Annibale (1997), Per un vocabolario delle reggenze, in Lessico e grammatica. Atti del Congresso interannuale della Società di Linguistica Italiana (Madrid, 21-25 febbraio 1995), a cura di T. De Mauro & V. Lo Cascio, Roma, Bulzoni, pp. 113-129.
Salvi, Giampaolo (1988), La frase semplice, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, Id. & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 1° (La frase. I sintagmi nominale e preposizionale), pp. 29-114.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Simone, Raffaele (200819), Fondamenti di linguistica, Roma - Bari, Laterza (1a ed. 1990)
Tesnière, Lucien (1959), Eléments de syntaxe structurale, Paris, Klinck-sieck (trad. it. Elementi di sintassi strutturale, Torino, Rosenberg & Sellier, 2001).
Williams, Edwin (1980), Predication, «Linguistic inquiry» 11, pp. 203-238.