tirannide
Un potere arbitrario che si impone con la forza
Sorto per designare uno specifico regime politico nella Grecia antica, il concetto di tirannide ha progressivamente assunto nei secoli un significato polemico, indicando ogni forma di governo personale in cui si abusi del potere. Nel linguaggio contemporaneo il significato prevalente riguarda il modo in cui si esercita il comando, indicando un potere arbitrario, illimitato e violento
Nell’antica Grecia il termine tirannide non aveva originariamente significato negativo. Nell’età arcaica (7°-6° secolo a.C.) i tiranni erano nobili che – nella lotta tra fazioni politiche, e spesso grazie all’appoggio popolare – avevano posto fine alle oligarchie aristocratiche terriere instaurando un potere personale. Favorendo gli interessi dei gruppi sociali legati al commercio e all’artigianato, essi contribuirono alla crescita politica, economica e culturale delle città-Stato.
Generalmente, la tirannide costituì una fase di passaggio ai successivi regimi democratici, e non a caso la rappresentazione negativa della figura del tiranno è stata tramandata da scrittori di parte aristocratica.
Nella Magna Grecia e in Sicilia questa forma di governo si diffuse più tardi, nel 5° secolo a.C. I tiranni erano capi militari che imponevano il proprio comando con la forza dell’esercito.
L’evoluzione democratica delle città greche nel 5° secolo ha sancito il significato negativo del termine. La tirannide, concepita come regime arbitrario e ‘privatistico’ di uno solo, è l’antitesi della vita politica democratica, in cui tutti i cittadini (i maschi liberi) possono partecipare al governo della città, hanno uguale diritto di parola nelle assemblee e sono sottoposti a leggi valide per tutti.
L’immagine greca del tiranno crudele, tracotante e vizioso è stata ripresa dalla letteratura politica latina per esaltare la libertà repubblicana contro condottieri – come Lucio Cornelio Silla e Cesare – o imperatori – come Nerone – che agivano contro la volontà del Senato.
Durante l’epoca medievale è stata introdotta la distinzione tra il tiranno che esercita illegittimamente il potere, cioè l’usurpatore – che è tale ex defectu tituli «per mancanza di un titolo [di legittimità]» – e il tiranno che ha ottenuto legittimamente il potere ma lo esercita contro le leggi, arbitrariamente, cioè quoad exercitium «oltre l’esercizio [consentito]».
In Età Moderna lo stereotipo greco del tiranno malvagio torna all’epoca delle guerre di religione e nella lotta politica contro l’assolutismo: la tirannide non indica una specifica forma di governo, bensì il modo arbitrario di esercitare il governo in uno Stato a regime monarchico. Per i critici dell’assolutismo è tiranno il monarca che, pur possedendo legittimamente il titolo di sovrano, esercita il potere violando le leggi naturali, in special modo se pretende il dominio sulle coscienze. Il mito politico antico dei tirannicidi – gli uccisori del tiranno, gli eroi della democrazia ateniese e della Repubblica romana – viene ripreso tanto dalla Controriforma cattolica contro i sovrani ‘eretici’ quanto dall’ideologia repubblicana inglese del Seicento a difesa della libertà politica.
La polemica contro la tirannide ha pertanto lo scopo di legittimare il diritto di resistenza, cioè la ribellione contro un sovrano assoluto che rende ingiustamente schiavi uomini nati liberi (diritti dell’uomo). La tesi secondo cui il tirannicidio è lecito in quanto restituisce al popolo la libertà sottratta era centrale anche tra i rivoluzionari francesi.
Dopo le rivoluzioni americana e francese il pensiero liberale ha proposto un nuovo significato di tirannide: non più il potere illimitato di uno solo o l’abuso di potere da parte dell’esecutivo, bensì il pericolo rappresentato dall’eccessivo potere che in un regime democratico la maggioranza, capeggiata da un capo di partito (come il demagogo della classicità) esercita attraverso il potere legislativo, imponendo i propri interessi a discapito dei diritti delle minoranze.
Questo nuovo genere di tirannide della maggioranza appare più minaccioso perché estende i suoi effetti sulla vita sociale: il conformismo di massa oppone all’idea di libertà l’idea dell’eguaglianza che ‘livella’ tutti all’omogeneità anonima, non tollera il dissenso e confina l’individuo nella sfera degli interessi privati, nella ricerca del solo benessere, spingendolo a rinunciare all’esercizio delle funzioni politiche.