TIRINTO
(XXXIII, p. 913)
T. è soprattutto nota per l'imponenza delle sue mura, attribuite dalla tradizione mitica ai Ciclopi e cadute in rovina nell'Alto Medioevo. Gli scavi, iniziati nel 1884-85 da H. Schliemann e W. Dörpfeld, sono stati appannaggio, a partire dal 1905, del Deutsches Archäologisches Institut di Atene, e sono attualmente diretti da K. Kilian. Nel 1957 N. Verdelis ha condotto il restauro delle mura occidentali.
L'insediamento di T., che in periodo protoelladico era prossima al mare, sorge su due colline rocciose, alte rispettivamente 26 e 17,50 m, che si levano da strati alluvionali di più di 2 m databili all'età del Bronzo. Gli scavi hanno rivelato che le colline furono abitate già nel Neolitico Medio. Esigui avanzi della fase iniziale dell'Elladico Antico preludono a un centro protourbano disposto per circa 5,9 ha intorno alle colline e dotato di pozzi d'acqua artificiali. Dominava l'insediamento un edificio circolare a due piani, alto circa 6 m, posto sulla collina più alta, da interpretare presumibilmente come un grande granaio destinato a immagazzinare le scorte di cereali di tutta la zona. Con esso si ha traccia per la prima volta in questa regione di un sistema politico centralizzato, riflesso di una gerarchia di insediamenti nell'Argolide. La varietà della ceramica, in parte a vernice (Urfirnis), e le importazioni troiane e cicladiche testimoniano un articolato sistema di scambi e un'amministrazione complessa, confermata dall'uso di sigilli anche per le porte (cfr. Lerna e Asine). Sui terrazzamenti artificiali della collina inferiore furono edificate case di grandi dimensioni, a due piani e con tetto a tegole, in sei successive fasi costruttive, ognuna delle quali subì un incendio. Il sistema di predominio in ambito regionale ebbe termine per cause ignote: molti centri abitati dell'entroterra furono abbandonati e l'insediamento di T. si ridusse in maniera sostanziale; semplici case a pianta absidata sono indicative di cambiamenti radicali. Nella ceramica una fase di transizione mostra una certa continuità con l'Elladico Antico III, caratterizzato da figulina dipinta, del cosiddetto stile di Tirinto. I rapporti con la Troade, con le terre cananee e con il medioadriatico (cultura Cetina) indicano comunque una certa attività pur nel quadro di un'economia ridotta. Le testimonianze archeologiche non consentono però di attribuire i mutamenti di questo periodo all'arrivo dei Protogreci. La linea della costa iniziò ad allontanarsi a causa dei detriti alluvionali, e questa fu probabilmente un'altra ragione di difficoltà economiche. Durante l'Elladico Medio le due colline furono occupate da un abitato molto semplice. Durante il periodo delle tombe a pozzo, un megaron di tipo mesoelladico, situato nella collina alta e circondato da tipiche costruzioni, si potrebbe identificare per gli esigui affreschi come l'abitazione di un capotribù. Al Miceneo Antico risale una costruzione di tipo palaziale sulla collina alta, distrutta da un incendio e poi interrata nelle ampie fondamenta del palazzo del Tardo Elladico IIIA.
Nel Tardo Elladico IIIA1 l'intera acropoli vide un'intensa attività edilizia, e venne creata una struttura palaziale incentrata su due nuclei ben distinti nelle loro funzioni. Sotto il grande megaron scavato da Schliemann si trovava una sala quasi delle stesse dimensioni, con focolare centrale tra quattro colonne e un trono presso la parete orientale, col podio formato da lastre scolpite con decorazione a spirale continua. La bipartizione corrisponde ai caratteri tipici di un complesso palaziale di tipo miceneo, riflesso dell'affermazione dell'ideologia della regalità del wanax. In questo periodo l'acropoli era fortificata, mentre l'abitato sulla collina inferiore era privo di mura. Nel Tardo Elladico IIIB1 il palazzo subì un leggero rifacimento, e anche la collina inferiore fu fortificata. Alla fine di questa fase un terremoto e un incendio provocarono la distruzione totale del complesso.
Nel Tardo Elladico IIIB2 si ebbe un'imponente opera di ricostruzione: l'area dell'acropoli fu ampliata e il palazzo nuovo, con quartieri residenziali, amministrativi e funzionali, raggiunse il massimo del suo splendore; la rocca media e la rocca bassa, dove s'impiantò un nuovo insediamento, furono integrate in un sistema fortificato, espressione del potere regale. La centralizzazione sotto il wanax si concluse, come a Micene, con il trasferimento degli edifici di prestigio nella rocca stessa. Dagli elementi architettonici e dagli affreschi murali − per quanto a riguardo di questi le notizie siano scarse − emerge la presenza nel palazzo di T. dei caratteri tipici del palazzo miceneo, in cui architettura e decorazione concorrevano a sottolineare l'importanza della persona reale a quanti avevano accesso nella sala centrale del trono. Le mura, costruite in pietra fino alle assise più alte, raggiungevano l'altezza di 13 m e la larghezza di 6-8 m e furono ampliate con sostruzioni di gallerie a falsa volta. Questa tecnica edilizia, impiegata anche nei magazzini superiori di sud-est, nella porta occidentale (cfr. Micene est), nelle casematte della rocca inferiore (cfr. Micene nord) e nelle gallerie sotterranee per l'approvvigionamento idrico (cfr. Micene e Haghia Irini a Ceo), riflette contatti con il mondo ittita e forse con l'ambiente nuragico. Anche nelle soluzioni scelte per l'ingresso e per il tipo di pavimentazione e di decorazione i diversi nuclei costitutivi del palazzo denunciano la diversità della loro destinazione e del loro rango sociale. Le sale principali e alcune di quelle di rappresentanza avevano pavimenti in stucco dipinto con motivi marinari o puramente decorativi inseriti in un reticolato quadrangolare (cfr. Pilo, Micene, Kabri). Nell'atrio esterno del megaron le pareti erano ornate da un elaborato rilievo in alabastro con incastonature di vetro azzurro, come si ritrova in Omero.
La rocca, che era parzialmente circondata dall'abitato, rappresentava il centro politico, economico, sociale e anche religioso di un territorio delimitato da piccole fortezze. Verso il 1200 a.C. un terremoto seguito da un incendio ridusse il complesso di T. in ruderi. La successiva fase costruttiva va collocata alla fine del sistema palaziale e denuncia profondi cambiamenti economici e sociali, con livellamento dei ceti e avviamento di un'economia di tipo familiare; si andava cioè compiendo il passaggio dalla civiltà palaziale (cfr. lineare B) verso una società di tipo cittadino.
La rocca rimase al centro di un abitato esteso circa 25 ha, che dopo un inizio fiorente conobbe un progressivo impoverimento di vita e un continuo calo di popolazione. Nella prima età del Ferro una serie di piccoli villaggi con attigua necropoli si estese sull'ex cittadella micenea (cfr. Argo, Atene). L'organizzazione cittadina del Tardo Miceneo fu sostituita dalle norme politiche di un synoikismos, alba dei secoli omerici. Quanto restava dell'abitato geometrico sulla rocca andò distrutto durante i vecchi scavi, a eccezione di una stipe votiva (bothros), da cui provengono scudi in argilla dipinti con scene mitologiche e maschere di Gorgone più grandi del naturale. Il culto di Hera in epoca arcaica è documentato da ex voto fittili provenienti da varie località della rocca; non sono state individuate fondazioni di un tempio sull'acropoli stessa. In età ellenistica la rocca fu riutilizzata e le sue difese furono rinforzate (porta occidentale, agger della rocca bassa, una fossa sul lato ovest). Infine intorno al 300 a.C. gli Argivi distrussero T. e ne trasferirono la popolazione.
Bibl.: Tiryns, i-ix (1912-76); i risultati degli scavi di T. sono pubblicati in Archäologischer Anzeiger, 1977-88; ᾽Arxaiologikèa "An?alekta àej "Auhn;vn, 7 (1974), pp. 15 ss., 25 ss.; 17 (1984), pp. 162 ss.; Bulletin de Correspondance Hellénique, 108 (1984), pp. 759 ss.; 109 (1985), pp. 776 ss.; Tiryns xi (1990). Infine S.E. Iacovidis, Late Helladic Citadels in mainland, Leida 1983, pp. 3 ss.