TIRO
Quest'antica città, che i franchi chiamavano Sur (oggi Sour, Libano), metropoli della provincia della Fenicia I in epoca bizantina, divenuta poi la base marittima degli Omayyadi, nel periodo delle crociate, era soggetta all'autorità dei Fatimidi d'Egitto. Aveva agevolato il passaggio della prima crociata, ma il visir al-Afḍal ne fece una base operativa contro gli insediamenti franchi e la navigazione occidentale. I franchi intrapresero il blocco della città fortificando Toron (1106), poi Scandelion; nel 1111-1112 tentarono un assedio, ma riuscirono a espugnarla solo nel 1123, dopo un nuovo assedio al quale parteciparono attivamente i crociati veneziani in virtù del pactum Warmundi, un trattato che assegnava loro un terzo della città e del suo territorio. I veneziani ebbero di fatto in città importanti possedimenti descritti nel rapporto stilato nel 1244 dal bailo Marsilio Zorzi, e più precisamente un vasto fondaco comprendente ventidue case, quarantadue camere e diciotto botteghe, e altri fondachi, come per esempio quello del vescovo di Caorle. Avevano costruito in città una chiesa intitolata a S. Marco e godevano di ampie franchigie. Fuori città erano proprietari di numerosi casali, alcuni dei quali erano tenuti come feudi del re di Gerusalemme; i veneziani in cambio dovevano fornire cavalieri all'armata reale.
Tiro era una sede arcivescovile (di cui lo storico Guglielmo di Tiro fu uno dei titolari) rilevata nel 1128. Ma il re di Gerusalemme l'aveva posta sotto l'obbedienza del patriarca di Gerusalemme, mentre la Fenicia in principio dipendeva da Antiochia. Il patriarca di Antiochia rivendicò senza successo la sottomissione dell'arcivescovo, ma rifiutò di restituire a quest'ultimo l'obbedienza dei vescovadi della contea di Tripoli; questa controversia si protraeva ancora nel XIII secolo. La cattedrale era dedicata alla S. Croce e si contavano cinque chiese parrocchiali latine in città, come pure numerosi istituti religiosi.
Tiro apparteneva al dominio regio e il sovrano vi era rappresentato da un visconte, che presiedeva la corte dei borghesi, e da un castellano. Si trattava di una signoria importante, in quanto forniva ventotto cavalieri e cento sergenti all'armata del re.
Quando l'armata regia fu annientata a Ḥaṭṭīn, nel luglio 1187, Tiro sfuggì alla conquista del Saladino grazie all'arrivo inatteso del marchese Corrado di Monferrato, che prese in mano la difesa accogliendo i rifugiati scacciati da altre città, ma anche attirandovi i residenti stranieri delle città marinare italiane, della Provenza, della Linguadoca e della Catalogna, ai quali concesse una serie di franchigie. Si comportò da padrone della città rifiutandone l'ingresso a re Guido e fregiandosi dell'appellativo di "luogotenente dei re d'oltremare".
In seguito la città tornò ai re di Gerusalemme, che si fecero consacrare nella cattedrale di Tiro. La cinta muraria, già molto robusta (consisteva in una tripla cerchia di mura munita di dodici torri), fu ulteriormente rafforzata da un castello fatto ricostruire da Giovanni di Brienne (v.). Nuove comunità religiose vennero a stabilirsi in città, fra cui le monache dell'abbazia femminile di Notre-Dame la Grande di Gerusalemme, che prese il nome di Notre-Dame di Tiro. Anche i genovesi e i pisani possedevano le loro chiese nei quartieri in cui risiedevano.
L'attività della città era legata ai traffici del porto frequentato dai mercanti occidentali, ma esistevano mercanti musulmani di Tiro che disponevano di proprie navi e commerciavano con l'Egitto. Il mercato era vivace e Giovanni di Brienne aveva esentato dalle tasse i siriani cristiani che abitavano nel suo dominio. La regione vicina forniva zucchero, olive da cui si ricavava l'olio, e vino; ugualmente rinomate erano le industrie tessile, serica e vetraria.
Quando Federico II giunse in Terrasanta, affidò in un primo tempo la difesa di Tiro a Baliano di Sidone. Poi, dopo l'arrivo del maresciallo Riccardo Filangieri, nel 1230, quest'ultimo assunse il controllo della città, scelta come sede del suo governo su tutto il Regno; ne fece inoltre la base delle sue operazioni militari contro i baroni di Cipro e di Acri, ribelli all'autorità imperiale. Nel 1238 confiscò i beni dei veneziani. Alla fine Federico richiamò Filangieri e designò come suo successore Tommaso di Acerra. Ma prima del suo arrivo i guelfi di Acri, con l'appoggio di complici, penetrarono in città e assediarono il castello in cui Lotario Filangieri, fratello di Riccardo, si era rinchiuso. Per un caso fortuito Riccardo cadde in mano ai suoi nemici, che minacciarono di impiccarlo, e Lotario fu costretto ad abbandonare il castello (1242). Federico II fece imprigionare Riccardo, mentre il fratello si ritirò ad Antiochia. La regina Alice di Champagne, alla quale era stato riconosciuto il governo del Regno in nome di Corrado IV, chiese la restituzione della fortezza, ma i baroni, con il pretesto di garantire i diritti di Corrado, gliela negarono e la consegnarono invece a Filippo di Montfort, signore di Toron.
Venezia aveva chiesto inutilmente la restituzione dei beni confiscati, ma Filippo di Montfort approfittò della 'guerra di San Sabas', che ad Acri contrapponeva Genova e Venezia, per espellere da Tiro i veneziani e chiamarvi i genovesi scacciati da Acri. Fece anche demolire la chiesa di S. Marco e a Tiro si stabilì il console di Genova. Venezia tentò a più riprese di insediarsi nuovamente a Tiro, nel 1264 e nel 1267, ma poté recuperare i suoi beni solo nel 1277.
Filippo di Montfort e i suoi figli, Giovanni e Umfredo, restarono fedeli a re Ugo III quando questi fu costretto a cedere Acri a Carlo d'Angiò. Ugo rafforzò il potere della famiglia concedendo loro in feudo Tiro; nel 1287 assegnò il feudo al fratello Amalrico. Ma nel 1266 il sultano Baybars aveva tolto ai Montfort Toron, che controllava gli accessi a Tiro. E malgrado avesse concluso una tregua con Filippo, devastò il territorio con vari pretesti. Filippo ottenne una nuova tregua che si estendeva ai novantanove villaggi della signoria e che fu rinnovata nel 1271. Nel 1285, la tregua fu ulteriormente prolungata, questa volta con Margherita, vedova di Giovanni di Montfort: si precisava che la signora di Tiro avrebbe posseduto come beni personali dieci villaggi, il sultano altri cinque; quanto ai settantotto villaggi restanti, le rendite sarebbero state divise a metà, e inoltre Margherita non era autorizzata a intraprendere lavori di fortificazione.
La dominazione franca a Tiro sopravvisse quindi solo formalmente. Infatti, quando il sultano al-Ashrāf s'impadronì di Acri, i franchi non tentarono di opporre resistenza a Tiro, che fu evacuata subito dopo la caduta di Acri. Il sultano, onde evitare che una crociata potesse di nuovo riconquistarla, dispose perché la piazzaforte fosse smantellata.
Fonti e Bibl.: le fonti relative a Tiro sono state raccolte e commentate in E.M.H. Chehab, Tyr à l'époque des croisades, I-II, Paris 1975-1979 (il vol. II, diviso in due parti, è stato pubblicato in "Bulletin du Musée de Beyrouth", 31-32). J. Richard, Un partage de seigneurie entre Francs et Mameluks: les "casaux de Sur", "Syria", 30, 1953, pp. 72-82 (rist. in Id., Orient et Occident au Moyen Âge: contacts et relations, London 1976); O. Berggötz, Der Bericht des Marsilio Zorzi. Codex Querini-Stampalia IV 3 (1064), Frankfurt a.M. 1991; J. Richard, Les bases maritimes des fatimides, leurs corsaires et l'occupation franque en Syrie, in Egypt and Syria in the Fatimid, Ayyubid and Mamluk Eras, a cura di U. Vermeulen-D. De Smet, II, Leuven 1998, pp. 115-129.
Traduzione di Maria Paola Arena