Pseudonimo del drammaturgo spagnolo Gabriel Téllez (Madrid 1579 - Soria 1648). Poco si sa della sua vita: fu frate mercedario, studiò ad Alcalá e visse a Guadalajara, a Toledo, a Santo Domingo, in Catalogna, a Soria. Le sue commedie videro la luce fra il 1624 e il 1633, divise in cinque parti, ma l'elaborazione e la stesura di molte di esse è anteriore, risalendo al secondo decennio del sec. 17°; del 1621 è Los cigarrales de Toledo e del 1635 Deleitar aprovechando, due opere miscellanee di poesie, novelle e commedie; una sua matura Historia general del Orden de la Merced fu composta certo prima del 1640. T. de M. manifesta sin dalle prime opere un'adesione convinta agli schemi del teatro di Lope de Vega; ma di quest'ultimo diviene anche il discepolo più indipendente, e le stesse formule di Lope de Vega finiscono per trasformarsi sensibilmente nei nuovi adattamenti. Nel dramma storico l'impiego delle fonti indica in T. de M. un declino dell'interesse per il Romancero e una maggiore tendenza alla documentazione storica oggettiva, seppure variamente manipolata (Trilogía de los Pizarro, Las Quinas de Portugal), mentre un evidente spirito di censura politica riflette la coscienza del decadimento dell'età di Filippo III (La prudencia en la mujer). Nelle commedie "urbane" e di cappa e spada la novità di T. de M. è in una più sorvegliata elaborazione dei singoli personaggi e della complessiva struttura del dramma. In T. de M. vi è una tecnica accurata, un vivo gusto delle caratterizzazioni e dell'intreccio, la capacità di bilanciare la complicazione obbligata delle situazioni con la delicatezza dei tratti psicologici; nascono così i graziosi profili di personaggi come il "timido a corte" (El vergonzoso en palacio) e soprattutto le garbate e briose caratterizzazioni femminili (Marta la piadosa, Don Gil de las calzas verdes). Ma il suo talento di drammaturgo s'esprime in particolare nel famoso Burlador de Sevilla, che, ripreso da un tema popolare (del libertino e del convitato di pietra), inaugura la tradizione europea del Don Giovanni (v.). Se da un lato egli nasce con un preciso debito morale da assolvere, col pentimento o con la dannazione, fino a colorarsi di tinte da "sacra rappresentazione", ciò che in realtà caratterizza più intimamente il don Giovanni di T. de M. è la sua duplice natura, di libertino e di cavaliere, di burlador e di hidalgo, perché da questa complessità emerge la suggestione di un personaggio sfumato e irriducibile a schemi, insolito in quel teatro barocco di cui conserva tuttavia ortodossamente certi requisiti esteriori. È piuttosto nell'altro dramma famoso, El condenado por desconfiado, che la meditazione di T. si spoglia d'ogni gusto dell'intreccio e d'ogni lusinga spettacolare per concentrarsi tutta sul problema teologico del peccato e della dannazione, del libero arbitrio e della grazia. L'opera segna un superamento del teatro di Lope de Vega anche dal punto di vista della religiosità. Infatti, mentre nel gusto immaginoso e popolaresco delle commedie agiografiche di Lope de Vega il tema del peccato era solo uno degli aspetti della situazione drammatica, nel Condenado questo tema si fa vero nucleo del dramma, divenendo il tramite più suggestivo fra lo spettacolo sacro barocco dei primi anni del Seicento e il teatro teologico di Calderón.