NOBILI, Tito Oro
NOBILI, Tito Oro. – Nacque il 23 marzo 1882 da Achille e da Caterina Moretti a Magliano Sabina, all’epoca in provincia di Perugia.
Compì gli studi a Terni, frequentando il ginnasio presso il convitto comunale, mentre si spostò per le classi liceali a Rieti, dove ebbe il suo primo contatto con la politica collaborando alla testata socialista L’Unità operaia (1896). Partecipò allo ‘sciopero delle barbabietole’, una delle prime agitazioni contadine dell’Umbria meridionale, e fu per questo denunciato (1897). Successivamente, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma, mantenendosi agli studi grazie a un impiego pubblico e appassionandosi in particolare alle lezioni di diritto civile di Francesco Filomusi Guelfi, che sosteneva le ragioni della revoca delle concessioni ferroviarie ai privati.
Laureatosi nel 1904, si trasferì a Terni per svolgere l’attività di avvocato e proseguire l’impegno politico nel Partito socialista italiano (PSI), a cui si era iscritto nel 1902. Divenne presto un protagonista della vita pubblica della città umbra, della cui tradizione proletaria sarebbe stato fino alla morte un convinto e autorevole rappresentante. Entrò però subito in contrasto con la componente allora predominante nel socialismo ternano, collegata alla massoneria, sicché la locale sezione fu sciolta nel 1906, dopo un anno in cui vi era stato molto attivo. Non fu neanche coronata da successo la sua candidatura al Consiglio provinciale per il collegio di Amelia nel 1907, nonostante la battaglia condotta a difesa degli usi civici. La sua posizione politica, rafforzatasi con l’adesione alle tesi rivoluzionarie che prevalsero al congresso di Reggio Emilia del 1912, fu definitivamente riscattata a seguito del congresso di Ancona, che stabilì l’incompatibilità fra l’iscrizione al PSI e l’affiliazione massonica. Nel 1914 fu quindi eletto contemporaneamente sia consigliere comunale a Terni sia provinciale a Perugia.
La sua azione amministrativa si incentrò sulle modalità di sfruttamento delle risorse idriche umbre, nell’intento di tutelarle dal progressivo depauperamento causato dalla Società Terni, sulla diffusione della cultura agronomica e sulla proposta di istituire un ufficio provinciale del lavoro.
Riformato per l’elevata miopia, non partecipò alla prima guerra mondiale. Fu invece molto operoso sul fronte interno, occupandosi dell’assistenza alla popolazione e, in particolare, della situazione degli approvvigionamenti alimentari. Promosse a tal fine la costituzione di un’azienda annonaria fra le mutue operaie.
Il primo dopoguerra registrò la sua ascesa politica sia locale sia nazionale, nonostante il fallimento della sua candidatura alle elezioni politiche nel 1919, che lo aveva indotto per coerenza a rassegnare le dimissioni da consigliere provinciale. Pur raccogliendo 6075 voti di preferenza, non fu infatti fra i cinque eletti socialisti nel collegio umbro, a causa dei contrasti con l’esponente rivoluzionario intransigente Pietro Farini. Nel 1920, fu tuttavia rieletto sia nel Consiglio provinciale di Perugia sia nel Consiglio comunale di Terni, di cui divenne sindaco per un breve periodo.
Nei pochi mesi in cui resse l’amministrazione comunale, si interessò di giustizia fiscale e di politiche della casa, esentando i redditi minimi dalla tassa di famiglia e requisendo gli alloggi sfitti. Politicamente significativo, benché effimero, fu il tentativo di creare una struttura consiliare in cui coinvolgere i cittadini nella gestione della cosa pubblica in materia di consumi, edilizia, assistenza, lavoro, agricoltura, cooperazione, sotto il coordinamento di un ufficio per l’economia civica.
Nel 1921, dopo aver conquistato il controllo della locale federazione socialista, centrò finalmente l’obiettivo dell’elezione alla Camera dei deputati per la XXVI legislatura, risultando il secondo dei tre eletti socialisti con 8740 suffragi personali.
Nell’aula di Montecitorio non mancò di farsi portavoce degli interessi della sua provincia, in particolare in una serie di interpellanze sul futuro postbellico dei lavoratori della Società Terni. Propose altresì di estendere all’Italia centrale alcune delle provvidenze previste per il Mezzogiorno. Ma la sua attività parlamentare si concentrò nell’opposizione al nascente fascismo e nella conseguente denuncia di come le violenze e le sopraffazioni della polizia e della milizia non potessero essere che ricondotte alla responsabilità del potere esecutivo.
Nel frattempo, prese sempre più netta posizione nel dibattito interno al PSI sostenendo le ragioni storiche della tradizione massimalista, non solo contro l’opzione riformista, ma anche contro quella che avrebbe voluto giungere alla fusione con il neonato Partito comunista d’Italia. Molto vicino a Costantino Lazzari, approvò l’espulsione dei riformisti decisa nel congresso di Roma del 1922, entrò nella direzione del partito nel gennaio 1923 e ne assunse la segreteria nazionale al congresso di Milano nel mese di aprile dello stesso anno. Si trovò così a gestire le complesse trattative con il Komintern, interloquendo direttamente con il sovietico Grigorij Zinov’ev e l’ungherese Mátyás Rákosi, senza tuttavia poter impedire la rottura che si consumò nel novembre 1923, dopo l’espulsione dell’ala serratiana in agosto. La difesa dell’autonomia socialista, di cui Nobili fu sempre convinto interprete, era ormai divenuta incompatibile con la collaborazione a qualsiasi titolo con la III Internazionale, a fronte del tentativo di assorbimento da parte comunista.
Quale segretario del PSI, coordinò la preparazione delle difficili elezioni del 1924, in cui fu confermato deputato dalla circoscrizione umbro-laziale (con sole 1522 preferenze), e affrontò la successiva stagione dell’Aventino, sedendo nel comitato unitario dei gruppi parlamentari di opposizione in rappresentanza del PSI assieme ad Arturo Vella. Nonostante i ripetuti tentativi di trasferire l’opposizione dal campo parlamentare a quello politico «in più intimo contatto con il proletariato» (Noi e le opposizioni, in Avanti!, 9 settembre 1924) e il coraggio dimostrato anche nella manifestazione milanese del 30 novembre 1924, in cui denunciò come il governo mussoliniano si fosse trasformato con il delitto Matteotti in «un’associazione a delinquere» (La dichiarazione dei socialisti. Perché siamo nelle opposizioni, ibid., 2 dicembre 1924, p. 2), Nobili pagò il prezzo del fallimento della strategia aventiniana. A seguito del consiglio nazionale di inizio marzo 1925, lasciò la segreteria del partito a Olindo Vernocchi, il quale avrebbe sancito nel settembre successivo l’uscita del PSI dall’alleanza delle opposizioni. Mantenne comunque la sua carica di membro della direzione nazionale, in cui si dichiarò favorevole al rientro del partito alla Camera, e sottoscrisse il manifesto della corrente Difesa socialista, in vista del XXI congresso, impedito dal regime mussoliniano.
Il rilievo politico nazionale assunto, ma probabilmente anche gli odi locali, posero Nobili nel mirino della repressione fascista, di cui pure aveva già subito alcune avvisaglie con la devastazione della sua casa e del suo studio a Terni nell’autunno del 1923. Dichiarato decaduto insieme agli altri deputati aventiniani, fu tratto in arresto il 10 novembre 1926 presso l’ospedale di Todi, in cui era stato ricoverato a seguito delle pesanti sevizie – destinate peraltro ad aggravargli ulteriormente i difetti visivi – che subì nella notte fra il 1° e il 2 novembre nella località di Pesciano, dove si era recato per rendere omaggio alla tomba del suocero appena scomparso. Accusato di avere auspicato un ‘gesto liberatore’ e, di conseguenza, tramato per attentare alla vita del duce in occasione del tentativo di Tito Zaniboni, fu condannato a cinque anni di confino a Favignana. Ottenne, tuttavia, dopo pochi mesi, di poter risiedere per gravi ragioni di salute a Roma, dove continuò a essere sorvegliato, anche alla fine della condanna. Radiato dall’albo degli avvocati, nonostante il rigetto del suo ricorso da parte della commissione presieduta da Vittorio Scialoja, poté riprendere la professione forense per diretto interessamento di Mussolini al quale aveva rivolto un’istanza personale in tal senso il 21 aprile 1932. La puntuale vigilanza poliziesca sembra comunque confermare il perdurare dei suoi contatti politici con gli ambienti antifascisti, emersi in modo particolare con la partecipazione al Verano ai funerali di Lazzari nel 1927 e con una lettera di condoglianze indirizzata nel 1936 al repubblicano umbro Publio Angeloni per la morte del figlio Mario nella guerra civile spagnola.
Negli anni della dittatura, poté contare sull’affetto della moglie Olina Olivieri, appartenente a una famiglia di possidenti del Tuderte, morta poi tragicamente l’11 marzo 1943 nel corso del bombardamento aereo della stazione ferroviaria di Cesi (Terni) in cui egli stesso fu ferito, nonché sul sostegno dei loro tre figli, Lydia, Renata e Mario.
Alla caduta del fascismo, riprese la sua attività politica come autorevole figura di riferimento del PSI, che riorganizzò in Umbria e rappresentò sia alla Consulta nazionale sia all’Assemblea costituente. Nella Consulta, fece parte della commissione per la difesa nazionale, mentre alla Costituente fu membro sia della giunta delle elezioni sia di quella del regolamento. Anche in ragione della sua cultura giuridica, contribuì attivamente ai lavori preparatori della carta costituzionale.
Nella seduta del 12 aprile 1947 si batté, per esempio, per «rendere concreta, operante ed effettiva» la libertà di culto, escludendo la perseguibilità dei riti contrari all’ordine pubblico (Atti dell’Assemblea costituente. Discussioni, III, p. 2774), mentre il 25 novembre 1947 sostenne l’unitarietà della giurisdizione e l’indipendenza della magistratura, che avrebbe voluto fosse definita «potere» e non «ordine» (ibid., IX, p. 2442). Si interessò anche in modo particolare delle questioni economiche, sia rivendicando, il 13 maggio 1947, la salvaguardia delle proprietà collettive secondo i bisogni delle popolazioni rurali, sia auspicando, nella seduta del giorno seguente, una formulazione più netta del diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione delle aziende. Chiamato dal Comitato di liberazione nazionale a presiedere la Società Terni, aveva infatti aperto ai rappresentanti delle maestranze il consiglio di amministrazione, ma era poi stato costretto a dimettersi per non avallare i previsti tagli occupazionali.
Le ultime battaglie politiche di Nobili si svolsero nella prima legislatura repubblicana (1948-53) al Senato, di cui fu componente di diritto in virtù della III disposizione transitoria della Costituzione. Fu vicepresidente della giunta delle elezioni e fece parte delle commissioni Industria (1948-49), Giustizia (1949-52) e Finanze (1952-53), occupandosi prevalentemente delle partecipazioni statali. Avversario delle scelte euro-atlantiche del centrismo, il 26 marzo 1953 pronunciò un discorso in cui non mancò di riferirsi alla cosiddetta legge truffa, polemizzando contro la «concentrazione anelante al totalitarismo», in cui vedeva spegnersi gli entusiasmi della rinascita democratica, e riaffermando le idealità del socialismo per l’«instaurazione di una società di giustizia e di civile concordia» (Atti parlamentari del Senato della Repubblica, 1948-1953. Resoconti delle sedute plenarie, XLI, pp. 40692 s.). Il 2 aprile 1949 denunciò altresì severamente la politica di ordine pubblico del ministro Mario Scelba in un’interrogazione sui fatti di Terni del 17 marzo 1949, in cui aveva perso la vita un giovane operaio, Luigi Trastulli, nel corso della repressione di una manifestazione pacifista contraria all’adesione dell’Italia al Patto atlantico.
Forse contando su una proroga della menzionata disposizione transitoria, non si ricandidò alle successive elezioni. Fedele all’impostazione massimalista, si oppose al centro-sinistra e quindi aderì alla scissione da cui nacque il Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP).
Tornato all’attività professionale, morì a Roma l’8 febbraio 1967.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, b. 3552; Ibid., Confinati politici, b. 715; Arch. di Stato di Terni, Archivio storico comunale di Terni, b. 35. Necr., O. Lizzadri, Vita esemplare di un socialista, in Avanti!, 11 marzo 1967. F. Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino 1975, pp. 248-253; F. Bogliari, N. T.O., in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico1853-1943, III, Roma 1977, pp. 681-685; Id., T.O. N. Biografia critica con appendice documentaria, Perugia 1977; M. di Napoli, T.O. N., in Il Parlamento italiano, XIV, Milano 1989, pp. 471 s. (fonti e bibliografia a p. 580); G.F. Canali, Tradizione e cultura sovversiva in una città operaia. Terni 1880-1953, inL’Umbria, a cura di R. Covino - G. Gallo, Torino 1989, pp. 680, 696, 700; A. Di Nicola, Urne e veleni. Cronache elettorali e classe politica a Rieti dall’Unità alla Grande Guerra, Roma 2004, ad indicem.