AVERSA, Tommaso
Nato a Mistretta (Messina) nel 1623, Compì gli studi letterari a Palermo, dove trascorse buona parte della sua vita, legato da amicizia con alcuni personaggi fra i più ragguardevoli del tempo: tra questi il vescovo di Palermo Giannettino Doria e don Diego d'Aragona, duca di Terranova, che l'A. seguì in varie ambascerie in Spagna, a Vienna e a Roma.
Fu letterato molto noto ai suoi tempi e celebrato soprattutto per la purezza della lingua e la correttezza dello stile, lontano dalle esagerazioni care ai marinisti. Anche l'uso del dialetto siciliano fu interpretato come un proposito di riforma intesa a distogliere i giovani dall'enfasi secentesca indirizzandoli ad una maggiore semplicità. Esercitò la sua attività teatrale cimentandosi nella commedia come nella tragedia sacra, secondo una molteplicità di interessi che trovava la sua unità nell'idea di una derivazione comune dei due generi dal filone unico della tradizione popolare.
Nel 1638 pubblicò a Palermo per i tipi di D. Cirillo una commedia in dialetto, La Notti di Palermu,riconosciuta come una delle prove più interessanti dell'A. e un momento importante nell'evoluzione dell'arte teatrale in Sicilia.
Nel prologo l'A. - che definisce il suo lavoro una "farsa" - assume una posizione risoluta contro la tendenza anticlassicista del dramma spagnolo. Questo richiamo alla tradizione si realizza nella prima edizione della commedia entro i limiti di gusto della commedia dell'arte (interessante l'accenno ad una rappresentazione di comici a Palermo nel teatro dello Spasimo) mediante l'utilizzazione integrale delle possibilità espressive del dialetto e la suggestione di una comicità piuttosto generica affidata alle risorse del servo Tiberio: un personaggio che apparirà in molte commedie siciliane del sec. XVII dopo il successo de Gli Amorosi Sospiri di Alessandro Dionisio (Palermo 1599). Questa commedia dell'A. - di cui in Teatro siciliano a cura di A. Mango (Palermo 1961) si trova ristampato il III atto - è, fra quelle interamente scritte in dialetto siciliano, la più antica che si conservi essendo ormai perduta La Dalila,commedia in terza rima siciliana del messinese Vincenzo Galati (Venezia 1630). Nonostante gli inevitabili difetti dovuti all'inesperienza dello scrittore e al vieto argomento che si fonda su equivoci e sulle consuete agnizioni finali, la commedia ebbe grande successo e l'A. ne curò un rifacimento in lingua dal titolo Notte, Fato, e Amore, inserita in La Corte nelle Selve, trattenimenti modesti, ed utili, distinti in più Vegghie, per gli ultimi dì di Carnevale,Roma 1657. In questa seconda edizione la commedia, improntata alle unità aristoteliche, è divisa in cinque atti, mentre l'uso del dialetto è limitato al solo personaggio di Tiberio; era inoltre arricchita da un prologo in musica e da intermezzi con danze. Si tratta insomma di un tentativo cosciente e maturo di conferire piena dignità letteraria agli elementi popolari della farsa; e i contemporanei salutarono l'A. Terenzio d'Italia e Plauto di Sicilia.
Minore interesse riservano le altre commedie: Gli Avventurosi Intrichi (1637), Il Giorno di Messina (1644), Il Padre Pietoso,stampata a Roma nel 1656, con due parti (quella del napoletano Nardillo e quella del siciliano Stefano) scritte ancora in dialetto.
Come autore di drammi sacri l'A. compose Il Pellegrino ovvero La Sphinge debellata (Palermo 1641), Il Sebastiano (Palermo 1645) e Il Bartolomeo,che fu stampato a Messina nel 1645 ed ebbe una seconda edizione a Trento nel 1648. Nella prefazione a Il Sebastiano l'A. afferma di avere avuto per modello i drammi (specialmente i SS. Fratelli)del gesuita Ortensio Scammacca del quale si riconosce discepolo.
In effetti le opere che lo Scammacca aveva scritto per il teatro dei gesuiti, e che furono certo rappresentate, influirono sicuramente sulla produzione del messinese, anche se nell'A. l'adesione alle regole classiche non è altrettanto rigorosa, mentre si accentua una vena popolaresca che si riallaccia direttamente alla tradizione del dramma religioso popolare. Non si sa se i drammi dell'A. furono rappresentati: si può supporlo per Il Bartolomeo (nella edizione di Trento, 1648), dato che nella dedica al vescovo della città l'A. ricorda che il dramma si doveva rappresentare "alla presenza delle Maestà della Reina novella di Spagna Maria Anna d'Austria, e del Re di Boemia, e d'Ungaria Ferdinando IV suo fratello, che qui in Trento dimorano", specificando poi di essere "spinto da un sfrenato desiderio di vederlo sù i palchi d'Italia". L'A. si preoccupava anche dell'allestimento scenico, le cui esigenze bisognava contemperare con quelle delle unità aristoteliche: le mutazioni di scena infatti si sarebbero dovute effettuare unicamente durante gli intermezzi. Alcune attente notazioni di regìa figurano anche in margine al poema drammatico L'Alipio overo La Colomba fra le palme (Roma 1657).
Nella Drammaturgia dell'Allacci sono attribuite all'A. le commedie Gli Incolpati senza colpa, Il Mascherato, Le Finte Nozze e la tragicommedia L'Ormindo.Vanno inoltre ricordate alcune poesie che furono stampate insieme a Il Bartolomeo nell'edizione del 1648: L'Eclissi, un'elegia in morte dell'imperatrice Maria d'Austria, Il Balletto,canzone pindarica indirizzata a Ferdinando III per ringraziarlo del dono di una collana d'oro, La Medicina, epitalamio che risale al 1647.
Notevole è infine la traduzione dell'Eneide in ottave siciliane (Palermo 1654-60); nella dedica del terzo ed ultimo volume ad Antonio Capobianco, vescovo di Siracusa, apprendiamo che il poeta era entrato nel sacerdozio dopo la morte della moglie. Divenne socio di tre Accademie, quella dei Riaccesi di Palermo, fondata nel 1622, degli Umoristi e degli Anfistili di Roma, e fu cappellano della chiesa di S. Maria del Fornice in Palermo, ove morì il 3 aprile 1663.
Bibl.: L. Allacci, Drammaturgia,Roma 1666, pp. 488, 627; A. Mongitore, Bibliotheca sicula, II, Panormi 1714, p. 254; G. E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia,II, Napoli 1818, pp. 13-16; A. B. D'Agata, Le tragedie di Ortensio Scammacca, Siracusa 1910, pp. 31 s.; R. La Porta-Parlato, Note sul teatro popolare siciliano,Palermo 1917, pp. 47-52; C. Pasculli, Il teatro in Sicilia nel Seicento,Reggio Calabria 1922, pp. 26-30, 57 s.; E. Di Marzo, La nuova scuola poetica dialettale siciliana,Palermo 1924, pp. 51 s.; G. Cocchiara, T. A. e il teatro sacro in Sicilia,Palermo s. d.; Id., Le vastasate. Contributo alla storia del teatro popolare, Palermo 1926, pp. 25 s.; G. Sorge, I teatri di Palermo nei secc. XVI-XVII-XVIII,Palermo 1926, pp. 126 s., 137 s., 151 s., 176 s.; Diz. dei siciliani illustri, Palermo 1939, p. 52; F. De Felice, Storia del teatro siciliano, Catania 1956, p. 19; Teatro siciliano,a cura di A. Mango (con introduz. di V. Pandolfi), I, Palermo 1961, pp. XIV s., 23-61.