Campanella, Tommaso
La viva adesione del celebre filosofo (1568-1639) a D. fu eccezionale in quei tempi, e si espresse con giudizi complessivi e particolari e citazioni sparse per quasi tutti i suoi scritti; tale adesione trova una spiegazione nella qualità stessa, fiera e visionaria, del genio campanelliano, in una concezione altrettanto unitaria delle attività dello spirito e in una teoria estetica cui la poesia dantesca presta di volta in volta una suprema conferma. Il moralismo artistico, coordinato al sogno di una palingenesi dell'uomo, lo conduce a porre in cima a tutte le forme di espressione il " poema filosofico " e il " poema sacro ", come lo spregio della regolistica e l'estraneità al purismo cinquecentesco a valorizzare la spontaneità dell'ispirazione e le parole-cose, che hanno presa immediata sulla fantasia del lettore da redimere; il poeta più alto per il C. è appunto D., nuovo profeta, con la Sacra Scrittura il vero modello da imitare, colui che ogni scienza ed esperienza ha piegato al disegno di una rivelazione per l'umanità smarrita.
La pagina più matura e suggestiva è l'Appendix al cap. VIII della Poëtica: " Arbitror legislaturae, et philosophiae physicae et moralis, et mathematicae, et politicae poëmata ita in hoc uno conflata esse, ut non nisi unum esse videatur... Sed plebecula et grammatici insulsi, qui vocabulis afficiuntur delicatis, non vere significantibus quod oportet, fastidiunt Dantem, qui, ut ante oculos ponat scientias et rerum veritates, in personis variis eas exprimit vocibus tam vivis, ut res potius quam voces ipsae voces videantur " (p. 1168); giudizio ribadito splendidamente nel Syntagma (p. 85) e nell'Atheismus triumphatus (p. 138). La predilezione del C. va all'Inferno per la superiore potenza rappresentativa (Poëtica II 2; madrigale L'arte divina); ma, fra tutti i canti, per l'afflato politico e l'elegia di Romeo la cui ovra grande e bella fu mal gradita, va al VI del Paradiso, sulla struttura epica del quale lascia acute precisazioni (Poëtica VIII 9), come su quella dell'episodio di Ugolino (VIII 10), il cui sogno si giustificherebbe con la necessità del trapasso al mutamento di fortuna, conformemente alle tragedie greche e ad alcuni racconti biblici.
Altre considerazioni personali riguardano le divinità pagane da D. chiamate a soccorso o in testimonio, che vanno viste come personificazioni degli attributi del vero Dio (Poëtica VIII 9); la presunta divinazione dantesca della Croce del Sud nelle quattro stelle (Pg I 23) che appaiono al poeta dalla spiaggia del Purgatorio (lettera del 13 gennaio 1611 a Galileo); e il cosmo linguistico-stilistico della Commedia intuito nella sua raggiunta armonia oltre le meschine censure dei retori. Per proprietà di linguaggio D. ha infatti superato tutti i mortali (Rhetorica XIII 3) e nell'ornato tutti i poeti (Poética VII 8); l'anafora di If V 100-106 vuoi sminuire il peccato crescendo la potenza d'amore (Poëtica XI 3); egli fa parlare coerentemente Arnaldo Daniello in provenzale e Nembrod in una lingua ignota, maneggiando mirabilmente tutti i dialetti italici; usa a proposito le rime aspre e chiocce e per l'intensificazione degli effetti propostisi dice retrorso (Pd XXII 94), voce straniera; inventa ‛ imparadisarsi ' (XXVIII 3), ‛ intuarsi ' e ‛ inmiarsi ' (IX 81: Poëtica IX 6, verbi ripresi dal C. in Poesie 135), e ricorre perfino a detti osceni ed empi perché sa che non è male ciò che serve a infamare il malvagio (VIII 9); unico rimprovero che il C. muove a D., è di non aver affrancato la nostra poesia dall'endecasillabo, più adatto alla lirica che all'epica, cui peraltro s'adatta bene la terzina (X 2). Le poesie testimoniano infine in più luoghi, attraverso rimandi espliciti (pp. 30, 70, 231, ecc.) o frequentissime reminiscenze di modi espressivi, come anche la lettura di D., con quella del Petrarca e del Tasso, sia stata per il C. un importante fattore di autocoscienza artistica. Vedi anche CALABRIA.
Bibl. - Le opere s'intendono citate nelle seguenti edizioni: Atheismus triumphatus, Parigi 1636; De libris propriis et recta ratione studendi syntagma, a c. di V. Spampanato, Firenze-Milano 1927; Lettere, a c. di V. Spampanato, Bari 1927; Scritti letterari, a c. di L. Firpo, Milano 1954 (vol. I di T.C., Tutte le opere; comprende le poesie, la Poetica nelle due redazioni, italiana - opera giovanile - e latina, e altre tre sezioni della Philosophia rationalis: Grammatica, Rhetorica e Historiographia). Tra i numerosi studi sul C. vedi i seguenti, che toccano il rapporto tra C. e il culto di D.: V. Gioberti, Studi filologici desunti da mss. autografi ed inediti, per c. di D. Fissore, Torino 1867, 202, 204, 207 (rec. di F. Angelitti, in " Bull. " XXI [1914] 187-188); V. Spampanato, Il culto di D. nel C., in " Giorn. critico della filosofia ital. " II (1921), fasc. IV, 35-63, poi in Sulla soglia del Seicento, Milano 1926, 127-160 (rec. R. Amerio), in " Riv. di filosofia neo-scolastica " XXI [1929] 86-87); D. Mattalia, D.A., in I classici italiani nella storia della critica, Firenze 1954, 136-37, 39.