CINI, Tommaso
Nacque a San Marcello Pistoiese il 20 febbr. 1812, da Giovanni e da Anna Rosa Cartoli. Compiuti i primi studi sotto la guida dell'abate M. Piermei, il C. dimostrò una spiccata e precoce tendenza per le scienze fisiche e meccaniche. All'università di Pisa si laureò in scienze, studiando anche architettura. Ebbe, frattanto, stretti rapporti con l'ambiente cosmopolitico letterario che si era costituito intorno alla famiglia, Tighe e, in particolare, a lady Margaret King Tighe.
Le sue conoscenze teoriche trovarono presto un impiego pratico nella cartiera patema. Giovane tecnico di grande abilità, il C. rivelò anche un notevole intuito economico, tempestività, doti d'imprenditore e consapevolezza della realtà politica e sociale toscana del suo tempo, come mostrano varie iniziative da lui assunte allo scopo di potenziare la cartiera sulla Lima, introdurvi la tecnologia più aggiornata e curare, insieme con il potenziamento e miglioramento della produzione, anche il livello di vita degli operai per i quali predispose norme e previdenze tra le più avanzate. A questo scopo, e per acquisire conoscenze dirette dei metodi di organizzazio ne i ndustriale in atto nei paesi economicamente più progrediti, egli, insieme con il fratello Bartolomeo, compì, già nel 1832, un lungo viaggio in Francia di cui resta un minuzioso diano manoscritto, redatto dal fratello e conservato nell'archivio della famiglia Farina Cini a San Marcello (Famiglia, b. Viaggiin Italia e all'estero di B. e T. Cini).
Al ritorno, proprio i suoi suggerimenti indussero il padre a introdurre la nuova macchina per la produzione di "carta senza fine"; a tale scopo fu costruito un edificio progettato dallo stesso C., che curò anche gli accorgimenti tecnici, soprattutto idraulici, indispensabili per la messa in opera e per il funzionamento della grande macchina, la prima di quel genere che fosse introdotta in Italia. Lo sviluppo della cartiera rese però necessario un più forte capitale, superiore alle possibilità della famiglia, sicché i Cini dovettero procedere a costituire la Società cartaria, nella quale gli fu attribuita la carica di "ispettore ingegnere", con il compito di preparare i piani delle nuove costruzioni, eseguire e sorvegliare i lavori opportuni per il migliore andamento della società e sovraintendere al funzionamento meccanico e tecnico dell'impresa.
Questo suo impegno non gli impedì di cercare pure altre vie ed opportunità per estendere il campo di azione della ditta anche in direzioni del tutto nuove. Fu, in parte, anche per sua iniziativa che il padre decise di avviare, nei vecchi stabilimenti sul Limestre, la produzione dei panni feltri, secondo procedimentì già in uso in Francia e in Inghilterra e che il C. aveva particolarmente studiato. Per realizzare tale impresa questi strinse stretti rapporti con tecnici e industriali inglesi che gli furono particolarmente utili quando spostò i suoi interessi nèll'ambito dell'ingegneria ferroviaria. La fabbrica dei panni feltri non ottenne però il successo sperato e non poté reggere alla concorrenza; sicché, alla morte del padre, il 14giugno 1844, fu posta in liquidazione (Archivio Farina Cini, Cartiera, b. VI, 5).
In questa difficile situazione il C. si adoprò insieme con i fratelli Bartolomeo e Pietro che, nel frattempo erano successi al padre nella direzione commerciale della Società cartaria, per far fronte alla grave crisi. A tale scopo questa fu tra. sformata in accomandita, dopo una lunga trattativa con gli azionisti e i creditori: i Cini che, soprattutto per la ferma decisione di Tommaso, avevano affrontato dure economie, impegnando una parte cospicua dei loro beni immobili, poterono riassumere la gestione della cartiera.
Nel 1845 il C. ebbe l'incarico da parte della ditta inglese Hall e Sloane di trasformare l'antica cartiera della Briglia, presso Prato, in una fonderia di rame (e per gli Sloane costruì, come architetto, una villa presso Firenze). L'ottimo opificio, realizzato gli valse, più tardi, nel '51, la commissione di predisporre una fabbrica analoga a Capanne Vecchie, presso Massa Marittima, dove introdusse anche un nuovissimo tipo di macchina a vapore a disco, anch'essa prima ignota in Toscana. Ma il suo interesse per l'estrazione e la lavorazione del rame, lo portò presto a studiare i problemi relativi alle tecnologie siderurgiche, affrontando anche lImportante questione della produzione e commercializzazione del ferro toscano, nonché a intervenire nel vivace dibattito in corso sulla proprietà e gestione delle miniere elbane, allora ancora possedute sedute e controllate dalla Magona granducale, e sui forti dazi protettivi che impedivano la libera circolazione in Toscana dei ferri lavorati stranieri e costituivano una grave remora allo sviluppo industriale del Paese. Ne è prova l'opuscolo Del modo di migliorare l'arte del ferro in Toscana, pubblicato, più tardi, a Firenze nel 1849.
Il C. muoveva dalla considerazione della importanza decisiva dell'industria, siderurgica, strettamente legata allo sviluppo di tutte le attività economiche, e ne deduceva la, necessità di adottare tutti qùei perfezionamenti già introdotti nelle nazioni industriali'più avanzate, Francia, Inghilterra, Belgio. Passava in rassegna i vari processi tecnici di. riduzione del minerale di ferro e i tipi di macchinari indispensabili; né trascurava di trattare del consumo e della resa dei diversi combustibili. Su tale punto l'autore, comprendendo che i processi industriali siderurgici erano ormai legati all'uso del carbon fossile e del coke, reputava necessario che si utilizzassero solo quei combustibili di così alto rendimento; ma non pensava che si dovesse ricorrere soltanto all'importazione di carboni inglesi, sperando di utilizzare anche il cosiddetto "carbon fossile" scoperto a Montebamboli e a Montemassi. Comunque, proponeva la costruzione di altiforni e impianti di lavorazione nella stessa isola di Elba, mentre i forni fusori di Follonica e, Cecina sarebbero stati trasformati e utilizzati come fonderie di getti di prima e seconda fusione. Tuttavia, tale ristrutturazione non sarebbe stata sufficiente a promuovere la siderurgia toscana e a renderla competitiva. senza un profondo rinnovamento della gestione che il C. (facendosi interprete degli interessi finanziari che, anche in Toscana, cercavano nuovi impieghi, ricchi di profitti) indicava nell'ingresso cospicuo del capitale privato in questo bettore, rimasto sino ad allora monopolio governativo. A questo proposito egli affermava la particolare nocività del monopolio del ferro per lo sviluppo economico e industriale generale; ma il tempo e il modo per abolirlo in Toscana avrebbero dovuto essere, lenti e cauti, per evitare una scossa troppo brusca che avrebbe potuto paralizzare l'industria. In sostanza, in Toscana, l'intervento dello Stato nella siderurgia non era questione di "convenienza", ma ormai di "necessità"; perciò spettava ad esso di farsi promotore di questo "risorgimento" industriale, organizzando le cose in maniera. che i privati aumentassero la loro partecipazione all'impresa, via via che acquistavano conoscenza dei procedimenti e fiducia nei loro successi, fino a sostituirsi integralmente allo Stato. L'opuscolo del C. è, certo, la prova che la parte piú avanzata della finanza e dell'imprenditoria toscana aveva compreso che si apriva un largo campo di attività per la siderurgia, anche nel Granducato, soprattutto per il crescente sviluppo delle iniziative ferroviarie che avevano già portato alla costruzione della linea "Leopolda" da Firenze a Livorno. Ma è significativo che la conclusione, suggerendo, almeno per il momento, una conduzione mista delle miniere e delle ferriere granducali, fosse singolarmente vicina a quella proposta, proprio in quei mesi, dal banchiere livornese Pietro Bastogi, molto legato sempre ai Cini, e che, di fatto, si realizzò, il 19 luglio 1851, con la formazione della Amministrazione cointeressata delle Reali Miniere del ferro dell'isola d'Elba e delle fonderie di Follonica, Cecina e Valpiana.
Del resto, anche la famiglia Cini era attivamente intervenuta, sino dal '45, negli affari relativi alle iniziative ferroviarie, fondando una società anonima per la costruzione della strada ferrata da Pistoia al confine pontificio. Una risoluzione granducale del 14 apr. 1845 autorizzò la costituzione della società; e il 22 dello stesso mese, il C. e i fratelli Cosimo e Pietro invitarono a sottoscrivere le azioni. Poi, un motu proprio granducale del 9 dic. 1846 ne approvò gli statuti e concesse ad essa la progettazione dei lavori. Difficoltà finanziarie sopravvenute e, quindi, gli eventi politico-militari del '47-'49 resero però impoúibile la realizzazione del disegno che incontrò anche gravi ostacoli tecnici.
La discussione sulla questione siderurgica toscana va però posta in relazione anche con i nuovi sviluppi della vita politica italiana e con l'inizio dell'acuta crisi degli, anni '47-'49 che pose, ovviamente, in primo piano il problema della formazione e degli armamenti di eserciti assai più numerosi di quelli che, dalla fine delle guerre napoleoniche, costituivano la debole e inefficiente forza militare della maggior parte degli Stati italiani. Non a caso, quindi, fin dal '47, dopo i primi moti toscani e le prime concessioni granducali, tra le quali era la formazione della guardia civica, seguita poi anche da un relativo rafforzamento dell'esercito toscano, il C., sempre insieme con i due fratelli e con alcune personalità tra le più note degli ambienti liberali toscani (F. Bartolommei, E. Cipriani, L. G. Cambray Digny, E. Fenzi, A. Mordini e F. Zannetti) costituirono una società per la fabbricazione di armi, il cui fine era, appunto, produrre i fucili per la nascente guardia civica. A questo scopo, era prevista una nuova trasformazione degli stabilimenti sul Limestre; della società era direttore generale il Peruzzi, la cui attività politica si intrecciava già allora strettamente con quella di promotore dello sviluppo della siderurgia toscana. Molte azioni della società furono acquistate direttamente dal governo toscano che diede così un robusto contributo economico alla impresa. Nell'organizzazione della fabbrica ebbe notevole parte lo stesso C., il quale provvide anche ad acquistare all'estero alcune macchine perfezionate che, tuttavia, rimasero inutilizzate per il precipitare degli eventi del '49.
La fama acquistata come ingegnere ferroviario con il progetto suddetto (e consacrata dalla nomina a membro della Institution of civil engineers di Londra, giugno 1847) gli valse per essere chiamato a Roma, sempre nel 1847, dalla Società nazionale per le strade ferrate che si era costituita, l'anno precedente, per la costruzione di una ferrovia tra quella città e Ceprano al confine con il Regno delle Due Sicilie, per tracciame il progetto. Ma, all'annunzio dell'insurrezione di Milano e dell'intervento piemontese in Lombardia, il C. che, come i suoi fratelli, era di idee liberali e legato, come s'è visto, agli esponenti più in vista del liberalismo toscano, tornò a Firenze e si arruolò, come sottotenente volontario della guardia civica. ne ll'esercito toscano che andava ad unirsi all'armata sarda. Fu però presto distaccato presso il corpo del genio appena organizzato e, giunto nella Valle padana, ebbe incarichi importanti, come quello di gettare un ponte di barche a Brescello per permettere alle truppe granducali di congiungersi con il corpo piemontese del generale Bava (Arch. di Stato di Firenze, Acquisti e doni, Carte d'Arco Ferrari, f. 284: 19 apr. 1848). Nondimeno, la sua attività più rilevante fu quella di "provveditore", ossia capo dell'intentendenza, del corpo toscano; fu, soprattutto, suo merito se, nonostante la generale impreparazione e mancanza di mezzi e strutture organizzative, le truppe poterono ottenere almeno rifornimenti e vettovagliamenti essenziali. La sua capacità organizzativa fu compensata, il 15 giugno 1848, con la nomina a tenente onorario dello Stato Maggiore, confermato, ufficialmente il 7 settembre e, poi, ancora, il 7 luglio '49, dopo la restaurazione granducale (Archivio Farina Cini, Famiglia, Campagna del 1848, b. VI, 24, 16; v. anche b. VII per. la sua attività al fronte, e lettere spedite alla famiglia e a personalità politiche toscane).
Il C. segui poi il corpo nella sua ritirata dalla Lombardia e lasciò il servizio alla fine di agosto, quando il De Laugier concesse che venisse congedato per le necessità dell'azienda familiare.
Tornato alla vita civile, il C. assunse l'incarico d'ingegnere capo della ferrovia tra Luccáe Pistoia e rielaborò il progetto del tratto Pescia-Pistoia che, approvato dal governo, fu posto in esecuzione. Ma il suo interesse predominante restava sempre rivolto al progetto della ferrovia dell'Appennino, da Pistoia al confine pontificio, in direzione di Bologna, per il quale aveva già avviato gli studi allorché, nel '41, iniziandosi la costruzione della "Leopolda" si cominciò a discutere anche sui migliori tracciati da scegliere per il congiungimento ferroviario delle varie città toscane tra loro e ton la Valle padana, da un lato, e l'Umbria e il Lazio, dall'altro. Nonostante il primo fallimento della impresa, il suo progetto interessò anche gruppi capitalistici stranieri che comprendevano l'importanza di quella linea e le sue possibilità non solo economiche ma, anche politiche e militari. Non è, infatti, un caso che tra i più interessati fossero i Rothschild e uno dei loro più importanti agenti, il Bastogi.
Quando, nel '51, i governi dei ducati padani, della Toscana e dello Stato pontificio, anche dietro l'insistenza dell'Austria, iniziarono le trattative per una ferrovia centrale che, attraverso l'Emilia e la Toscana, congiungesse Roma con il Lombardo-Veneto, il C., cogliendo il momento favorevole, riprese il suo progetto, rielaborandolo e migliorandolo: egli si inserì nel dibattito subito aperto tra i sostenitori di una linea che, muovendo da Prato, congiungesse Firenze con Bologna, attraverso le valli del Bisenzio e le valli di Setta e del Reno e coloro che appoggiavano il progetto da lui redatto che, partendo invece da Pistoia, prevedeva di raggiungere il territorio bolognese attraverso le valli dell'Ombrone e del Reno (di quest'ultimo progetto erano principali sostenitori gli uomini di affari livornesi che erano attratti dalla maggiore vicinanza tra la loro città et il punto di partenza, Iella linea transappenninica). Nel suo opusceolo, Esame dei passi che presenta l'Appennino toscano per una strada ferrata (Firenze 1851), la principale preoccupazione del C. era quella di dimostrare che la "Porrettana" era la ferrovia più facile ad eseguirsi, più economica e, soprattutto, quella che avrebbe congiunto nel modo più veloce possibile non solo Firenze a Bologna, ma anche Livorno a Bologna, consentendo il più rapido incremento al porto commerciale toscano.
Conformemente a questi suoi intendimenti, il C., insieme sempre con i fratelli, promosse la formazione di un'altra società che assumesse nuovamente l'impresa della linea "Porrettana", di cui ottenne la concessione. Il 1° maggio 1851 fu stipulata, in Roma, la convenzione tra i plenipotenziari toscani, austriaci, pontifici, modenesi e parmensi per la costruzione di una "Strada ferrata dell'Italia centrale" che, partendo, da un. lato da Piacenza, muovesse verso Parma e Reggio e, dall'altro, staccandosi da Mantova, procedesse sempre in direzione di Reggio e, poi, per Modena e Bologna, giungesse a Pistoia o Prato sino a Firenze, "secondo che sarà riconosciuto più agevole e meno dispendioso il passaggio dell'Appennino, congiungendosi infine nell'una o nell'altra di dette città alla rete delle ferrovie toscane" (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Gabinetto, Appendice, f.102, 2). Da parte sua, il governo toscano s'impegnava ad ultimare la linea da Pistoia a Lucca e da Pistoia a Firenze, evidentemente per collegare Livorno con la nuova strada ferrata. Ma già dal 20 sett. 1850 il governo. austriaco aveva mostrato a quello toscano di preferire decisamente il tracciato "porrettano" che, di fatto, era più funzionale alle sue esigenze militari (Arch. di Stato di Firenze, Ministero delle Finanze, Capirotti, n. 56); ed anche in seguito tornò ad insistere su quella soluzione (Guidi, Le ferrovie toscane..., 5 pp. 153-154). Del resto, è estremamente significativo che il C. fosse nominato ingegnere capo per il tratto della ferrovia che, da Reggio e Modena, doveva condurre a Pistoia o Prato. Nel giugno 1852 egli presentò, il progetto ai commissari dei vari governi, che dopo un breve esame, lo accettarono, stabi lendo di assegnare la costruzione alla società fondata dai Cini. La convenzione relativa era già pronta per essere firmata dai contraenti quando il C. morì, a Modena, il 25 giugno 1852.
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