CORTESI, Tommaso
Nato a Prato nel 1470 circa, intraprese gli studi giuridici e si addottorò a Pisa. Si trasferì a Roma sotto il pontificato di Alessandro VI e prese servizio presso il procuratore Bernardo Moncheri. Successivamente aprì uno studio per proprio conto e tenne presso di sé Alessandro Ischerio da Urbino, che divenne suo genero; Tommaso Tani da Pistoia, che fu poi uditore di Rota di Paolo III; Niccolò Cellesi, anch'egli da Pistoia; Rinaldo Bianchini da Urbino, Girolamo da Orta, Francesco Colucci da Pescia. In epoca imprecisata sposò una figlia di Filippo Carli da San Gimignano, da cui ebbe quattro figli maschi e due femmine, che sposarono l'una, come si è accennato, l'Ischerio, e l'altra il mercante Girolamo Ceuli di Pisa.
All'epoca del sacco di Roma il C. si mise in salvo fuggendo dalla città, su una nave che lo condusse a Pisa. Aveva lasciato tanto in fretta la casa romana, che vi abbandonò oltre alla sorella e ad un nipote, anche il figlio minore, Giovanni Battista. Da Pisa si portò a Prato. Rimasto vedovo, aveva abbracciato la carriera ecclesiastica, cosicché il papa, nel periodo della sua fuga ad Orvieto (1528) lo nominò procuratore fiscale e "summator" delle lettere apostoliche. Dal medesimo anno il C. assunse la carica di datario. Subito dopo, il 16 genn. 1529, fu nominato vescovo di Cerenzia e Cariati e il 27 aprile rassegnò le dimissioni dall'ufficio di notaio della Camera apostolica, che deteneva da epoca imprecisata.
Il C. rimase datario fino al 1533, essendo divenuto segretario apostolico il 13 ag. 1532. Era, inoltre, referendario "Signaturae gratiae", di cui divenne prefetto il 28 febbr. 1534.
Dal 3 marzo 1533 fu trasferito alla sede vescovile di Vaison, che detenne, solo nominalmente, ché certo non vi si recò mai, fino al 1535, quando la passò al cardinale Giovanni Salviati, in modo che poi pervenisse senza scandalo al figlio Giacomo, che aveva anch'egli intrapreso la carriera ecclesiastica.
Rimase referendario anche sotto il pontificato di Paolo III e in questa veste esaminò alcune cause importantissime, quale quella del ripudio di Caterina d'Aragona da parte di Enrico VII, e quella di Ferrara, che, com'è noto, si opponeva alle pretese della Chiesa e per la quale si arrivò all'accordo nel 1539.
Era stato molto vicino a Clemente VII, di cui fu prelato domestico, e si trovò presente quando questi commissionò delle monete a Benvenuto Cellini, dimostrandosi, a detta di quest'ultimo, poco bendisposto verso l'artista. In relazione, a causa delle sue mansioni, con illustri personaggi, fra cui Carlo V, il C. non fu risparmiato dall'ironia del popolare Pasquino.
Morì il 16 febbr. 1543.
Il figlio Giacomo, chierico di Pistoia e di Modena e notaio rotale dall'ottobre del 1532, divenne vescovo di Vaison il 15 maggio 1536, ricevendo la diocesi dal cardinale Giovanni Salviati. In effetti era ancora il padre che l'amministrava ed egli ebbe la facoltà di prenderne possesso soltanto nel 1541. È ricordato soprattutto per aver partecipato alle prime sessioni del concilio di Trento. Giunse nella città il 3 febbr. 1546 e vi si trattenne fino al trasferimento del concilio a Bologna. Fece parte del gruppo che faceva capo al cardinale Giovanni Maria del Monte (il futuro Giulio III, a cui il C. fu legato da una certa intimità). Prese parte alla preparazione del decreto sulla S. Scrittura e al dibattito sulla predicazione. Partecipò attivamente ai lavori, dimostrandosi preparato, pacato e tollerante. Sul problema della residenza dei titolari di benefici che implicavano cura d'anime il C., che non aveva mai messo piede a Vaison, sostenne coloro che asserivano fosse dovuta la residenza, ma che non intendevano che le pene per i trasgressori fossero inasprite. Il C. insistette anche sugli impedimenti che si opponevano all'adempimento del dovere della residenza. Fece parte anche della commissione incaricata della revisione del progetto di decreto su questa questione, che si riunì l'11 genn. 1547, ma che non riuscì a presentare un progetto accettabile da tutte le correnti.
Dall'8 genn. 1552 il C. divenne patriarca di Alessandria d'Egitto e tenne tale dignità probabilmente fino al 1568. Dal 19 giugno 1560 ebbe come coadiutore il nipote Raniero Ceuli. Ebbe serie difficoltà per la sua posizione di vescovo non residente: di fatto nel 1566 si procedette al sequestro dei proventi della mensa vescovile di Vaison e forse alla sua deposizione. Morì nel 1570.
In una pubblicazione per nozze (Il battesimo di don Garzia de Medici, Firenze-Roma 1893, a cura di G. E. Saltini) è edita una sua relazione a Baldovino del Monte, fratello di Giulio III, sulle cerimonie che accompagnarono il battesimo del settimo figlio di Cosimo de' Medici, in Firenze, al quale il C. presenziò come rappresentante del papa, padrino del bambino. Egli aveva recato alla madre, Eleonora di Toledo, in regalo da parte del pontefice, una crocetta di diamanti e un vaso di cristallo.
Fonti e Bibl.: B. Cellini, La vita, a cura di P. D'Ancopa, Milano s.d., p. 105; [C. Guasti], Biografia pratese, Prato 1844, pp. 119 ss.; V. Schweitzer, Kard. Bart. Guidiccioni, in Römische Quartalschrift für chr. Alt. und für Kirchengesch., XX (1906), 2, p. 146; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae, Roma 1931, pp. 84 s., 103; L. Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1951, p. 130 (per Giacomo); G. Alberigo, I vescovi italiani, Firenze [1959], ad Indicem;G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, pp. 102, 202, 327.