RIMA, Tommaso
RIMA, Tommaso. – Nacque a Mosogno, nel Canton Ticino, l’11 dicembre 1775 da Giacomo Antonio Gianini-Rima e da Maria Xaveria Zanedei, originaria della Corsica.
Il cognome della madre si trova attestato nell’atto di battesimo; altri documenti ufficiali non concordano.
Compiuti i primi studi tra Locarno e Lugano, nel 1793 si recò a Roma per studiare medicina, dove già si trovava il fratello maggiore, anche lui studente in medicina. Qui compì, alla Sapienza, gli studi universitari di medicina e di chirurgia che completò nel 1798, conseguendo un diploma ad honorem.
Pur ancora considerata di minor prestigio rispetto alla medicina, a fine Settecento la chirurgia stava consolidando il proprio status come disciplina moderna attraverso la regolarizzazione degli studi universitari e la formalizzazione giuridica della professione.
Il tirocinio professionale intrapreso nell’ospedale di S. Giovanni in Laterano ebbe un’interruzione con l’arrivo a Roma dei francesi nel 1798, evento che segnò una svolta nella vita di Rima. Nel breve e confuso periodo della effimera Repubblica romana «chiamato da superior comando» (L’autobiografia..., 1953, p. 158) iniziò una lunga, faticosa, ma stimata carriera militare, che si sarebbe protratta fino al 1820.
Lo stato di guerra permanente dell’epoca napoleonica, che nella cura dei soldati malati dava evidente priorità all’opera dei chirurghi fu, per costoro, un’importante via di promozione sociale; si può ipotizzare che questa considerazione abbia influenzato le decisioni del giovane Rima, per il quale le fonti non autorizzano a presumere forti motivazioni politiche nella scelta di campo.
Dopo avere partecipato alle azioni militari dette del Cimino e del Clitunno, nel 1799, con i resti del contingente italiano rimasto con i francesi in ritirata, Rima fu trasferito a Lione, per rientrare in Italia l’anno seguente al seguito di Napoleone. Nel corso della campagna operò ad Alessandria e nei mesi successivi nella divisione Cisalpina di Domenico Pino; svolse servizio ospedaliero e di campo tra Emilia e Toscana (Archivio di Stato di Milano, Ministero della Guerra, parte moderna, Carteggio, b. 1803), fino al ritorno a Milano nel 1801.
Fu confermato chirurgo maggiore dell’Armata d’Italia nel 1803 e nel ruolo svolse attività sanitarie, organizzative e di docenza in varie strutture militari dell’Italia settentrionale. Assegnato al reggimento di cavalleria dei Dragoni della regina, partecipò alla campagna italiana del 1805, al termine della quale fu destinato all’ospedale di Trieste. Fu poi a Napoli (1806) con le truppe di Massena e ad Ancona (Archivio di Stato di Milano, Atti di Governo, parte moderna, Albinaggio, b. 90).
Tra il 1806 e il 1810 fu a Milano in qualità di chirurgo capo e, succedendo a Paolo Assalini, insegnante (dal 1808) nell’ospedale militare di S. Ambrogio, il primo e più importante dell’Italia napoleonica, centro di cura e di istruzione per gli aspiranti chirurghi. Nel 1811 fu destinato, con analoghi incarichi, all’ospedale militare di Mantova.
Da molti autografi di Rima emergono le difficili condizioni di lavoro di quegli anni. Il costante ampliamento dell’esercito e del numero dei militari bisognosi di cure, conseguenza della politica di espansione napoleonica, trovava corrispondenza solo parziale nell’adeguamento del servizio medico. Risorse sempre insufficienti, organici molto limitati, rivalità ai vertici del ministero della Guerra, lentezze burocratiche e sistemi di controllo asfissianti sollevavano continue richieste e proteste, il più delle volte inascoltate, da parte di sanitari (Archivio di Stato di Milano, Ministero della Guerra, Carteggio, b. 1149).
Riconosciuto nel merito con la concessione della cittadinanza italiana, Rima ottenne, nello stesso 1807, anche il titolo onorifico di chirurgo in capo degli ospedali militari italiani. Negli ultimi anni del Regno svolse soprattutto incarichi di ufficiale di sanità. Tra la fine del 1812 e nel 1813 fu destinato all’ospedale militare di Ancona con l’incarico di porre fine a un’epidemia di oftalmia contagiosa che faceva strage tra i soldati là acquartierati. In quella circostanza e nonostante Antonio Scarpa, il più autorevole dei chirurghi italiani dell’epoca, ne avesse lodato le modalità di intervento, Rima fu coinvolto in una serie di controversie medico-amministrative con strascichi polemici discussi dalla pubblicistica coeva.
Con il tracollo del regime francese, nel 1814 fu incorporato, come ufficiale medico, nell’esercito austriaco, destinato alla piazza di Pavia e poi a Legnago. Congedatosi nel 1820, la seconda parte della vita professionale si svolse tra servizio ospedaliero e una discreta attività di studio, testimoniata da pubblicazioni varie.
Fin dal 1819 era stato assunto come chirurgo presso l’ospedale di Ravenna da dove, tre anni dopo, si trasferì a quello civile di Venezia. Qui trascorse l’ultima parte della vita, operando e pubblicando i risultati delle sue ricerche in campo chirurgico. Si interessò anche alla funzione terapeutica dei bagni tanto da ideare un tipo di stabilimento balneare galleggiante che fu realizzato nel bacino di San Marco nel 1833 e rimase in funzione per buona parte dell’Ottocento.
Nel 1805 aveva dato alle stampe la traduzione, con sue note derivate dall’esperienza diretta, dell’opera di Pierre Dufouart, Analisi delle ferite da armi da fuoco e della loro cura, ma fu solo negli anni della permanenza veneziana che ebbe modo di portare a compimento, tra altri, gli studi sulla patologia e sulla cura chirurgica delle varici già iniziati a Mantova e per i quali è ancora ricordato nei trattati di chirurgia. Nel dicembre del 1825 in una memoria inedita letta nell’Ateneo di Venezia (del quale era già socio dal 1822, divenendo socio onorario dal 1841), aveva dimostrato il movimento inverso del sangue venoso nella safena. Nel 1836 pubblicò nel Giornale per servire ai progressi della patologia e della materia medica le memorie Sulla cura radicale del varicocele (n. 4, pp. 398-416) e Sulla causa prossima delle varici alle estremità inferiori, e sulla loro cura radicale (n. 5, pp. 265-301), che riprendendo il primo studio proponevano una innovativa e risolutiva, benché discussa, tecnica chirurgica per escissione della safena, la cui pratica si perse dopo la sua morte, per essere riscoperta a fine Ottocento da Friedrich Trendelenburg al cui nome è ora, prevalentemente, ascritta.
Il continuo peregrinare tra sedi militari diverse rende arduo seguire l’andamento della sua vita privata. Alcuni passi dell’autobiografia accennano alle sventure della famiglia d’origine, ma mancano testimonianze documentarie certe. Da un primo matrimonio, contratto probabilmente dopo il 1807 (Archivio di Stato di Milano, Ministero della Guerra, Carteggio, b. 1803), ebbe due figlie, Elisa ed Enrichetta, che rimasero orfane in tenerissima età (1812). Nel 1814 ottenne l’autorizzazione militare a un secondo matrimonio con la marchesa Teresa Lalatta di Parma, vedova del possidente bergamasco Giovanni Battista Mozzi (b. 2329).
Ammalatosi agli inizi degli anni Quaranta e avendo correttamente valutato la gravità della malattia scrisse, esponendo i fatti in terza persona, quella autobiografica Necrologia del dottor Tommaso Rima, rimasta manoscritta fino al 1953, che costituisce la principale e più dettagliata fonte di notizie sulla sua vita.
Morì a Venezia il 26 febbraio 1843.
Fonti e Bibl.: Locarno, Biblioteca dell’Accademia di architettura, Archivio Augusto Rima (dattiloscritti, foto, articoli, bibliografie su/di Rima, editi e inediti); Lugano, Archivio diocesano, Registri sacramentali delle parrocchie ticinesi - Mosogno, Libro dei Battesimi dal 1771 al 1840; Archivio di Stato di Roma, Università, bb. 60, 108; Archivio di Stato di Milano, Atti di governo, Albinaggio, p.m., b. 90; ministero della Guerra, p.m., in partic.: Carteggio, bb. 1129, 1149, 1168, 1187-89, 1803, 2098, 2329, Matricole degli ufficiali, b. 8; Archivio di Stato di Ravenna, Ospedale di S. Maria delle Croci (già S. Maria della misericordia), Istituti uniti e altre Opere pie di Ravenna, bb. 89, 93, 129; Legazione apostolica di Ravenna, Atti di protocollo generale, Titolo XV, Rubrica 8, b. 1224; Biblioteca del Museo di storia naturale, Fondo Nardo, Lettera autografa di T. R., f. 48/62; Biblioteca del Museo Correr, Mss. P.D. c 750/II.
A. Omodei, Cenni sull’oftalmia contagiosa d’Egitto e sulla sua propagazione in Italia, Milano 1816, pp. 13 s., 58, 101,104, 109,147,150; F. Vasani, Storia dell’oftalmia contagiosa dello spedale militare di Ancona, Verona 1816; Lettera del prof. Scarpa a S. E. il ministro della guerra, del 13 novembre 1812 […] e Lettera dello stesso al sig. professore R., 14 dicembre 1812, in Biblioteca Italiana, 1817, t. VII, pp. 97-110 (ma 101); T. Volpi, Elementi di Chirurgia di A. G. Richter, recati dall’idioma tedesco nell’italiano: arricchiti di varie note, II, Pisa 1827, pp. 376-379, 380-385, 387; M. Asson, Elogio del professore T. R., Venezia 1843; L’autobiografia del chirurgo T. R., a cura di L. Belloni, in Gesnerus, 1953, n. 10, pp. 151-186; Autobiografia di T. R. (1775-1843 ) : note storiche, a cura di A. Rima, Losone 1987; A. Rima, Notizia di alcuni svizzeri italiani al servizio napoleonico, in Rivista italiana di studi napoleonici, XXVII (1990), 2, pp. 69 s.; A. Forti Messina, Il soldato in ospedale. I servizi di sanità dell’esercito italico ( 1796-1814 ) , Milano 1991, ad ind.; R. Pasi, I medici e la cultura medica a Ravenna, Ravenna 2011, pp. 315-317.