TOMMASONI, Tommaso
Nacque a Fano il 27 aprile 1824 da Paterniano (1788-1852) e da Rosalia Rossi (1789-1845).
Cadetto di una famiglia modesta (il nonno paterno era barbiere, il padre commerciante in costanti difficoltà economiche), ebbe due fratelli (Giuseppe, avvocato e Claudio, che fece studi di medicina a Bologna) e due sorelle (Droside, coniugata Massarini e Margherita, una monaca del convento di San Daniele).
Delle poche notizie sulla sua infanzia, si sa che abbandonò le scuole da giovane ed ebbe una formazione prevalentemente da autodidatta. Nel 1842, colpito dall’accusa di ‘stupro’ di una giovane ragazza a Fano, si dovette rifugiare in un convento a Roma per sfuggire all’arresto. Uscito indenne dall’affaire, si stabilì nella capitale, dove l’anno seguente contrasse matrimonio – in larga parte per ragioni d’interesse – con Anna Luna, «nata negli agi» (Ricordi, p. 103), che morì nel 1867 di colera. Dall’unione ebbero tre figli: il primogenito Gustavo; poi un secondo, Massimo, nato nel 1847 e morto nel 1850; e l’ultimo – ancora Massimo – nato nel 1854.
A Roma provò a occuparsi di commercio, ma alcuni traffici andati male lo misero in gravi difficoltà. Fu nel corso del 1845 che l’incontro con Massimo d’Azeglio, di passaggio nella sua città natale, impresse una svolta nella vita del giovane Tommasoni, rientrato momentaneamente in patria per affari. Con l’inizio della stagione delle riforme apertasi con l’elezione di Pio IX, Tommasoni inaugurò un’attività giornalistica che lo portò, nel biennio successivo, a collaborare a diversi periodici, tra i quali il Fanfulla, ispirato da d’Azeglio e fondato dal marchese Gioacchino Pompili, il Contemporaneo, promosso da Carlo Gazola, e l’Italico, il giornale fondato nel febbraio 1847 e diretto dal bolognese Carlo Berti-Pichat, che – dopo la fusione con la Bilancia – avrebbe dato vita all’Epoca di Michelangelo Pinto, trovando ancora in Tommasoni un collaboratore. Tramite i buoni uffici di d’Azeglio – che il 23 novembre 1846 lo raccomandò calorosamente a Francesco Predari – ebbe inoltre l’opportunità di collaborare con la stampa torinese, divenendo per qualche tempo l’agente a Roma per il Mondo illustrato edito da Giuseppe Pomba. Proprio per Il Mondo firmò, il 9 gennaio 1847, un articolo sull’inondazione del Tevere del dicembre precedente, approfittando della circostanza per tessere le lodi di Ciceruacchio, il celebre popolano che si era adoperato alacremente per dar manforte ai concittadini. Protagonista assoluto di quella fase di entusiastica concordia fondata sul mito del papa liberale, Ciceruacchio ebbe un ruolo chiave di mediazione con i ceti popolari, contribuendo enormemente ad accrescere il prestigio del pontefice. E proprio all’attività di questa figura centrale del biennio riformatore di Pio IX è legato il primo scritto rilevante di Tommasoni.
Pubblicato inizialmente a puntate nel Fanfulla. Giornale letterario scientifico artistico (II, 1, 2, 3, 4) col titolo Padron Angelo Brunetti detto Ciciruacchio [sic] popolano di Roma. Schizzo biografico di T. T., Roma, presso Alessandro Natali, 1847 (nella «terza edizione accresciuta fino ai fatti della Machinazione del 17 luglio» il sottotitolo era modificato in Cenno biografico), il volume ebbe un certo successo, con ristampe a Bologna e a Pisa.
Di Ciceruacchio, Tommasoni sottolineava soprattutto la generosità, l’azione a sostegno di Pio IX (principalmente per l’edificazione dell’arco trionfale dell’8 settembre 1846), la capacità di mediazione e la moderazione. Lo difendeva da chi lo tacciava di ambizioso, sottolineandone il carisma ma al tempo stesso il disinteresse e l'incapacità di «assumere alcuna direzione politica» (III ed., p. 30). Politicamente Tommasoni non auspicava un’evoluzione in senso democratico (ibid., p. 32) e considerava andasse rispettato il principio gerarchico, unico garante del sostegno (in quella fase storica) della grande aristocrazia. Un testo indirizzato però al «popolano», che dalla vita «dell’eccellente Brunetti» avrebbe compreso che era necessario «amar tutti e sopratutti, dopo Dio, la patria», al fine di «tendere costantemente a quel miglioramento sociale ché è la base del risorgimento delle nazioni» (ibid., p. 39).
Con l’occupazione austriaca di Ferrara nel luglio 1847 il termometro politico si surriscaldò e Tommasoni raggiunse d’Azeglio in missione a Pesaro, prestando il proprio aiuto in ogni possibile occasione e facendogli da segretario. Fu in diverse città, trovandosi talvolta a pronunciare discorsi al posto del marchese. Dimostrò una certa abilità retorica, sia quando in settembre proferì, a Fano, un discorso sugli obblighi del municipio verso la nazione, sia quando nel luglio 1847, accanto a Ciceruacchio, si trattò di affrontare l’ostilità popolare contro l’emancipazione degli ebrei (I popolani di Roma e l’Università israelitica, in Museo scientifico, letterario ed artistico, X, 1847, p. 116); tema, quest’ultimo, di cui ebbe modo di occuparsi anche coadiuvando d’Azeglio nella messa a punto del saggio Dell’emancipazione civile degli Israeliti, composto nel 1847 e pubblicato a Firenze nel 1848.
A Roma fu estremamente attivo: dalla commemorazione del Natale di Roma, ai banchetti in onore di Richard Cobden e d’Azeglio, dagli anniversari dell’amnistia e dell’elezione Pio IX alle dimostrazioni in onore di Terenzio Mamiani, dall’istituzione del Municipio all’apertura della Consulta di Stato (Tommasoni vi accompagnò Marco Minghetti, consultore per Bologna). Fu membro del Circolo romano, molto influente nella fase ‘moderata’ della rivoluzione; e dal 22 settembre 1847 fu nominato ufficiale della guardia civica. All’inizio del 1848 divenne inoltre corrispondente da Roma per Il Risorgimento di Cavour, impegnandosi a mandare tre corrispondenze settimanali dietro compenso di 50 franchi mensili.
Tra la fine del 1847 e l’inizio del 1848 datano i primi tentativi di trovare una collocazione professionale più stabile, ma lo scoppio della guerra mutò sensibilmente lo scenario e le prospettive immediate: «Ho dato l’addio alla penna, voglio stringere la spada», scrisse a Stefano Tomani Amiani il 4 aprile 1848 (Fano, Biblioteca comunale federiciana, Fondo Stefano Tomani Amiani, 142, b. Tommaso Tommasoni). Tommasoni prese parte alla guerra pontificia contro gli Austriaci nel primo battaglione della prima legione romana comandata dal tenente colonnello Natale del Grande. Restò a combattere in Veneto tra i volontari guidati dal generale Giovanni Durando anche dopo l’allocuzione del 29 aprile 1848. A Vicenza pare fosse stato tra i più valorosi, come emerge da una sua lettera del 22 luglio 1849 (M. d’Azeglio, Epistolario, V, p. 400), e fece ritorno a Roma il 15 luglio 1848. Con il precipitare degli eventi di fine anno – l’assassinio di Pellegrino Rossi, la fuga di Pio IX a Gaeta, l’avvento della Repubblica – Tommasoni si pose decisamente dal lato della moderazione: fu escluso dalla guardia nazionale per non aver aderito alla Repubblica.
Nonostante ciò, entrati i Francesi in città, Tommasoni fu arrestato per cinque giorni e rilasciato solo grazie all’intervento del console generale di Sardegna Giuseppe Magnetto, con il quale Tommasoni sin dall’anno precedente aveva avuto modo di collaborare (era stato provvisoriamente impiegato al Consolato come assistente per le materie ecclesiastiche). Da fine settembre-inizio ottobre 1849 ebbe la nomina a viceconsole e in quello stesso periodo avviò la collaborazione al giornale di Firenze Lo Statuto. Fu sempre grazie ai buoni uffici del console e di altre persone autorevoli che non gli fu preclusa la permanenza a Roma: a suo carico, ancora all’inizio di febbraio 1850, era annoverata la biografia di Ciceruacchio, che pure – come non mancò di far notare – era stata pubblicata in regime di censura. Fu allora che tentò di ottenere, per mezzo di d’Azeglio, la naturalizzazione a suddito piemontese, ma la cosa non ebbe seguito «per circostanze indipendenti dalla sua volontà» – scrisse lo stesso d’Azeglio a Tommasoni il 15 febbraio 1850 (M. d’Azeglio, Epistolario, VI, pp. 23 s.) – cosicché fece un tentativo – dall’esito incerto – anche l’anno seguente (Archivio di Stato di Torino, Lettere ministri. Roma, mazzo 352, f. febbraio 1851, dispaccio n. 147 del 24 febbraio 1851). Grazie all’«onorevole relazione» fatta da Magnetto al marchese Ippolito Spinola e auspice il sempre benevolo d’Azeglio, allora presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, nella primavera del 1850 Tommasoni passò dal Consolato generale sardo alla regia Legazione sarda a Roma retta allora dallo stesso Spinola (Archivio di Stato di Torino, Legazione di Roma, mazzo 16, dispaccio n. 58 del 6 maggio 1850), ottenendo una prima promozione nel 1851 e diventando poi cancelliere di Legazione. In anni in cui i rapporti tra Roma e Torino erano tesissimi per via della politica di stampo giurisdizionalista promossa in Piemonte, con l’uscita di scena di d’Azeglio Tommasoni si avvicinò, tramite Michelangelo Castelli, a Cavour.
Collaborò attivamente alla causa italiana con scritti giornalistici a periodici torinesi. Nei Ricordi del figlio sono menzionate inoltre delle Massime politiche del Machiavelli e del Montesquieu con osservazioni e un Galateo politico, ma un cenno merita il suo più noto scritto politico di quegli anni, ovvero l’Epoca seconda di Pio IX e gli uomini del suo governo. Cenni critici di un anonimo temporaneo, uscito dapprima nel periodico torinese Il Cimento (VI, 2, 1855) e poi in volume per il medesimo tipografo del giornale (Sebastiano Franco e Comp.): una critica aspra – a tratti impietosa nel ritratto di alcuni ministri – alla politica della Curia durante la seconda Restaurazione; non però (verosimilmente per ragioni tattiche) irrimediabilmente ostile a Pio IX, del quale auspicava un ravvedimento, giudicando imprescindibile tanto l’abbandono dell’assolutismo quanto una più decisa azione dell’aristocrazia romana nel proporsi come interlocutrice di una rinnovata stagione politica nel segno della riconciliazione.
Nella prima metà degli anni Cinquanta Tommasoni continuò ad adoperarsi per la causa unitaria a conduzione sabauda: «D’intesa poi col Farini, con Gualterio e Z. Cesari cercò segretamente indirizzare il partito nazionale in Roma» (Spadoni, 1937, p. 450). Questa era anche la convinzione di Mazzini, il quale nell’aprile 1853 lamentava con Luigi Pianciani come a Roma persistesse «il pasticcio fusionista promosso specialmente da un amico di Mattia [Montecchi], Cesare Mazzoni, e da un Tomassoni [sic], addetto all’ambasciata piemontese» (G. Mazzini, Scritti editi e inediti, XLIX, p. 133); anche nei suoi Ricordi, sempre in relazione al 1853, Mazzini alluse a Tommasoni come a un «agente di parte monarchica […] spedito da Roma a Torino a tentar l’impresa» (G. Mazzini, Note autobiografiche, pp. 436 s.) di recuperare alla causa monarchica dei repubblicani delusi o disillusi, soprattutto dopo i fatti del 6 febbraio.
Compose tre drammi per il teatro: L’ungherese e il romano, episodio della battaglia di Vicenza, recitato al teatro Valle nel 1848. Altri due, composti nel 1854, Selim il negro e La spia, non furono rappresentati. Abbozzò, senza pubblicarlo, «un romanzo storico d’intendimento politico» (Ricordi, p. 12) su Bonifacio VIII e Celestino V dal titolo I due pontefici, alla cui stesura attese dal 1845 per più di un decennio senza condurla a termine. Nel 1847 abbozzò un Manuale pei popolani d’Italia, che sarebbe dovuto uscire per la Tipografia elvetica di Capolago ma che non sembra essere stato ultimato (se ne conserva unicamente il manifesto associativo). Nel 1855 pubblicò un libretto intitolato I fanciulli autori. Saggio di lettere famigliari di varj bambini e giovinetti d’ambo i sessi. Col giornale di Giovannino e Rosalia (Roma 1855), il cui scopo era insegnare ai fanciulli a scrivere lettere.
Prima di morire si stava adoperando a raccogliere, con Giovanni Torlonia e Michelangelo Caetani, il suo miglior amico tra i rampolli della grande aristocrazia romana, «canzoni popolari e stornelli di Roma e della provincia» per farne un volume (che avrebbe dovuto pubblicare Barbèra), preceduto da uno studio comparativo che facesse emergere l’Italia «una di lingue, di memorie, di speranze e di core», ricevendo «saggi consigli e incoraggiamenti» da Niccolò Tommaseo (Ricordi, pp. 81 s.).
Malato, preferì trasferirsi a Palermo, dove morì il 13 novembre 1856.
Oltre alla documentazione presso l’Archivio di Stato di Torino segnalata nel testo, presso la Biblioteca comunale federiciana di Fano è custodita la corrispondenza di Tommasoni con il conte Stefano Tomani Amiani (un’ottantina di missive più qualche altra lettera di o ad altri corrispondenti); diciassette lettere di Tommasoni a d’Azeglio sono conservate presso il Museo centrale del Risorgimento di Roma, 565/43 (1-17), tutte regestate da Georges Virlogeux. La documentazione anagrafica in Arch. di Stato di Palermo, Stato civile della Restaurazione, Palermo, Morti, Indici decennali 1856-1865, anno 1856, p. 1055; Ibid., Registro degli atti di morte, Sezione Santa Cristina, Palermo, Morti, vol. 421, n. 486. Sul padre: Arch. di Stato di Pesaro, sezione di Fano, Stato civile napoleonico, Ruolo di popolazione; Archivio storico diocesano di Fano, Archivi parrocchie soppresse, S. Antonio Abate, Battezzati 1784-1808; Confraternita di Santa Croce, Morti, 1852, p. 113. Qualche informazione sul processo si ricava da Archivio storico diocesano di Fano, Cancelleria vescovile, Rescritti, 1849, n. 69; Carteggio vescovi, Luigi, Carsidoni, Varie 1842-1843 (si ringrazia per la cortesissima collaborazione Giuseppina Boiani Tombari dell’Archivio storico diocesano di Fano). Tra i carteggi a stampa: Lettere inedite di Massimo d’Azeglio e Filippo Gualterio a T. T. Con una monografia e con avvertenze e note di Gustavo Tommasoni, Roma 1885; C. Cavour, Epistolario, V, (1848), a cura di C. Pischedda, Firenze 1980, pp. 42 s., 214; M. d’Azeglio, Epistolario (1819-1866), a cura di G. Virlogeux, III, (1846-1847), Torino 1992, pp. 467 s.; V, (8 maggio 1849-31 dicembre 1849), Torino 2002; VI, (2 gennaio 1850-13 settembre 1851), Torino 2007. Inoltre: G. Mazzini, Scritti editi e inediti, XLIX, Epistolario, XXVII, Imola 1928, p. 133; Id., Note autobiografiche, a cura di R. Pertici, Milano 1986, pp. 436 s. Gran parte delle notizie a noi note su Tommasoni è in G. Tommasoni, Ricordi della vita e de’ tempi di T. T., in Lettere inedite…, cit.; D. Spadoni, T. T., in Dizionario del Risorgimento nazionale. Dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, diretto da M. Rosi, IV, Milano 1937, p. 450; S. Tomassini, Roma, il papa, il re. L’Unità d’Italia e il crollo dello Stato Pontificio, Milano 2011, pp. 102-106.