TOPOLOGIA (v. analysis situs, I, p. 87; topologia astratta, App. II, 11, p. 1004; topologia, App. III, 11, p. 960)
La t. oggi è una delle discipline fondamentali della matematica; essa si occupa dello studio di certi "sistemi matematici" (insiemi con una struttura definita su essi), detti "spazi topologici", e di certe funzioni di uno spazio in un altro, dette "funzioni continue". I suoi problemi sono: definizione e comparazione delle strutture; classificazione dei sistemi e delle funzioni; determinazione d'"invarianti", cioè di enti e proprietà di uno spazio, che si conservano invariati di fronte alle funzioni continue e in particolare a quelle dette "omeomorfismi", che sono biunivoche e che preservano la struttura dello spazio; costruzione e studio di strumenti adatti a trattare estese classi di problemi di varia origine.
Il campo di ricerca della t. è in effetti vastissimo, e comprende argomenti e metodi sofisticati e complessi; ma certi fatti di natura topologica possono descriversi in forma intuitiva, e dànno ad alcuni problemi della t. dei contenuti che appaiono ovvi, benché siano di difficile dimostrazione, per es.: una circonferenza, o un'altra curva piana "semplice e chiusa", divide il piano esattamente in due regioni e rappresenta la frontiera comune a entrambe (problema di C. Jordan); e ad altri dei contenuti che appaiono curiosi o addirittura paradossali, come per es., l'esistenza nel piano di tre (o più) regioni limitate e "semplicemente connesse" che hanno il medesimo contorno (L. E. J. Brouwer). Comunque la ricchezza dei concetti intuitivi, elegantemente generalizzati e formalizzati dalla t., è certamente una delle sue stimolanti attrattive, così come la varietà dei suoi problemi e la potenza delle sue idee e dei suoi metodi, che hanno avuto numerose ripercussioni nelle matematiche classiche, trasformando grandi parti della geometria e dell'analisi, e sbiadendo i confini tra queste due discipline, e sono penetrati in quasi tutta la matematica, in parte come una necessità, e anche in altre scienze.
Cenni storici. - Originariamente quegli studi di t., detta allora anche "analysis situs", che hanno condotto alla problematica e alle applicazioni attuali di questa disciplina, seguono due linee indipendenti. Una, "combinatoria", iniziata da H. Poincaré (1895), si occupa di configurazioni poliedrali o "complessi" dello spazio euclideo n-dimensionale, con studi che hanno carattere finito, ed esprimono per lo più proprietà globali delle configurazioni. Concetti come quelli di catena, ciclo, omologia, introdotti allo scopo, vennero espressi e studiati con i mezzi dell'analisi algebrica. Questi condussero a generalizzazioni successive delle nozioni in esame, fino a staccare l'attenzione dall'importanza della natura geometrica degli oggetti che esse descrivevano presentandoli come entità puramente algebriche. Questo importante cambiamento concettuale dà il via all'introduzione dei metodi della teoria dei gruppi, iniziando una "t. algebrica", i cui strumenti si rivelarono presto assai efficaci in molti problemi fino allora non risolti.
La seconda radice della t., "insiemistica", fu influenzata e stimolata da tematiche dell'analisi, come il concetto di limite di una funzione, e la costruzione e lo studio delle proprietà dei numeri reali; essa trova una base nella teoria degl'insiemi di punti di G. Cantor (1874-95), e si occupa di arbitrari insiemi di punti dello spazio euclideo n-dimensionale, riguardandone principalmente le proprietà locali, cioè le situazioni degl'insiemi in questione nell'intorno di un punto. Si riconosce presto che le definizioni introdotte e i metodi di dimostrazione usati hanno una validità che non richiede tutti gli attributi degl'insiemi di punti di uno spazio euclideo, aprendo il problema della definizione di uno "spazio" più generale, adatto allo studio delle proprietà in esame. Fu F. Hausdorff nel 1914 che diede una forma soddisfacente alla definizione di "spazio topologico", scegliendo il concetto di "intorno" come fondamentale (v. topologia astratta, loc. cit.).
Da allora, cioè dallo studio della teoria assiomatica degli spazi topologici, ha inizio una "t. generale"; e contemporaneamente viene realizzata, in gran parte ad opera di J. W. Alexander, P. Alexandroff, S. Lefschetz (1915-30), la sintesi tra le due teorie topologiche fino allora elaborate, la cui differenza rimane essenzialmente riposta nei mezzi impiegati per affrontare i problemi. L'approfondimento che ne segue mette in evidenza la generalità dei concetti di base e dei metodi della t., e perciò la sua grande versatilità; e persegue certi problemi standard fra i quali, fondamentale, quello della classificazione degli spazi topologici a meno di omeomorfismi, o di relazioni più deboli. Alcuni intenti della t. sono oggi raggiunti, e alcuni argomenti sono così progrediti da rivelare con chiarezza i princìpi fondamentali dai quali dipendono. Inoltre la t. ha effettivamente fornito alla ricerca pura degli strumenti potenti e penetranti, che giustificano la sua ormai essenziale presenza in molte differenti branche matematiche.
Categorie topologiche. - La nozione di spazio topologico, ulteriormente sviluppata dopo Hausdorff dalla scuola russa, è basata sul concetto di "insieme aperto". Una specificata famiglia ℱ di sottoinsiemi di un insieme X, definisce su X una struttura di spazio topologico (X, ℱ), o "ℱ è una t. su X", se essa contiene X, l'insieme vuoto ∅, ogni intersezione di un numero finito di suoi elementi, e l'unione degli elementi di ogni arbitraria sua sottofamiglia. Gli elementi di ℱ si dicono gli "insiemi aperti", e gli elementi di X i "punti" dello spazio X; i complementari in X degli aperti si dicono i "chiusi di X" e l'intersezione di tutti gl'insiemi chiusi contenenti un dato insieme A è detta la "chiusura" Ā di A; infine un "intorno di un punto" x ∈ X è un insieme che contiene un aperto al quale appartiene x.
Esempi: 1) Per ogni insieme non vuoto X, la totalità ℘ (X) dei suoi sottinsiemi è una t. su X, detta "t. discreta" di X. 2) Sull'insieme R di tutti i numeri reali (retta reale), la famiglia ℱ degli aperti sia costituita dalla totalità dei segmenti privati degli estremi, con tutte le loro unioni. La t. ℱ così definita è detta la "t. naturale" su R, indicheremo con ???&out;R lo spazio topologico (R, ℱ). 3) Sia I l'insieme dei numeri reali x con 0 ≤ x ≤ 1, cioè il segmento [0, 1], ed ℱ′ la famiglia di tutte le intersezioni degl'insiemi aperti di ???&out;R con il segmento [0, 1]. Si verifica che ℱ è una t. su I, la t. naturale su I, che si dice essere "indotta" dalla t. di ???&out;R; scriveremo (I, ℱ′) = ???&out;I. Ricordiamo infine che una funzione continua f: (X, ℱ) → (Y, G) è una funzione f: X →Y tale che per ogni G ∈ G sia f-1(G) ∈ ℱ; ed f è un "omeomorfismo", o "equivalenza topologica", se essa è biunivoca e se f ed f-1 sono entrambe continue, e si scrive f: X ~ Y. Si verifica che spazi topologici e funzioni continue costituiscono una categoria, che s'indica con Top (v. categorie, in questa App.), nella quale gl'isomorfismi (o equivalenze) sono appunto gli omeomorfismi. Considerando in Top solo spazi topologici speciali, si ottengono varie sottocategorie. Inoltre, sia X uno spazio topologico e X′ un sottoinsieme di X con la t. indotta da quella di X. La coppia (X, X′) si dice una "coppia topologica", un morfismo f: (X, X′) → (Y, Y′) è una funzione continua f: X → Y tale che f (X′) ⊂ Y′. Si verifica che le coppie topologiche con i loro morfismi costituiscono una categoria Top(2) la quale contiene come sottocategoria piena la Top, (X → (X, ∅)), e anche la categoria Top*, degli spazi topologici con un "punto base", (ossia un punto contraddistinto), e le funzioni continue preservanti i punti base. Le tecniche e i processi generali della teoria delle categorie sono importanti per la costruzione stessa di certe teorie topologiche.
Invarianti. - Un omeomorfismo fra due spazi stabilisce una corrispondenza biunivoca fra i loro punti e anche fra i loro insiemi aperti. Ebbene, le proprietà di uno spazio o di una funzione che sono esprimibili mediante la nozione d'insieme aperto, e nozioni di teoria degl'insiemi, si dicono "proprietà topologiche" o "invarianti per omeomorfismi"; per es., la continuità di una funzione è un invariante per omeomorfismi. In un insieme Tdi spazi topologici, la relazione "X è omeomorfo a Y", definisce una relazione di equivalenza, e quindi determina in T una suddivisione in classi disgiunte. Il problema della "classificazione degli spazi di T" consiste nel determinare e caratterizzare queste classi di equivalenza, ed è un problema molto arduo. In effetti, per stabilire se due spazi X e Y sono omeomorfi occorre trovare un omeomorfismo f: X ~ Y, mentre per concludere che X e Y non sono omeomorfi occorre trovare qualche proprietà topologica dell'uno che non sia posseduta dall'altro. La ricerca di condizioni necessarie e sufficienti perché due spazi siano omeomorfi, richieste dal problema, ha finora realizzato, oltre allo studio di numerose proprietà topologiche, una fonte di condizioni necessarie, ottenute mediante classificazione per isomorfismi di strutture algebriche funtorialmente associate agli spazi. Si ottengono così, oltre a quelli definiti sopra, altri tipi d'invarianti (algebrici) di uno spazio topologico, e lo studio dei vari tipi d'invarianti è appunto uno degl'intenti fondamentali della t.; gli strumenti che vengono usati sono, oltre alla logica, la teoria degl'insiemi (per la t. generale) e l'algebra (per la t. algebrica).
Topologia generale. - Per generare una t. su un insieme X, cioè per definire la famiglia degl'insiemi aperti dello spazio, anziché descriverla direttamente, si usano talvolta altri metodi, per es., scegliere un "sistema d'intorni", o un "operatore chiusura" (v. topologia astratta, loc. cit.), e altri ancora, per es.: se {Ys}sεS è una data famiglia di spazi topologici, e {fs: X → Ys}sεS una famiglia di funzioni dell'insieme X in Ys, si verifica che esiste una "più debole t." (ossia una t. che possiede meno insiemi aperti), su X, per la quale le fs sono continue, e questa è detta la "t. generata dalla famiglia di funzioni continue {fs}sεS".
Sottospazi ed estensioni. - Se (X, ℱ) è uno spazio topologico, ed M è un sottinsieme di X, la famiglia ℱM delle intersezioni di M con gli aperti di X, è una t. su M, detta la t. relativa per M, o "indotta" dalla t. su X, ed essa è la minima per la quale l'inclusione iM: M → X, con iM(x) = x per ogni x ∈ M, risulta continua; M, con questa t., è detto un "sottospazio" di X, e iM un'"immersione" di M in X. Se X1 è un altro spazio topologico, per il quale esista un omeomorfismo f: X1 ~ M, allora g = iM 0 f: X1 → X si dice un'"immersione omeomorfa" di X1 in X e se inoltre la chiusura M̅ di M è X (cioè se M è un sottoinsieme denso di X), la coppia (g, X) è detta un'"estensione" di X1; per es., il completamento dei numeri razionali per mezzo dei numeri reali dà luogo a un'estensione.
Prodotto cartesiano. - Alcuni spazi topologici si costruiscono mediante operazioni su spazi topologici dati; per es.: data una famiglia {Xs}sεS di spazi topologici, si costruisca il prodotto
degli spazi Xs, cioè l'insieme delle funzioni f:
tali che f(s) ∈ Xs
Xs è l'unione di tutti gl'insiemi Xs), f(s) è detta l'"s-esima coordinata" del punto f ∈ X, si scrive f = x = {xs} dove xs = f(s). Assegnando a un punto x ∈ X la sua s-esima coordinata xs, si definisce una funzione ps detta la "proiezione" dell'insieme X sull's-esima componente Xs. Ebbene, assumendo su X la t. generata dalla famiglia di funzioni continue {ps}sεS si ottiene lo spazio "prodotto cartesiano" degli spazi della famiglia {Xs}sεS. La t. così definita è di A. Tychonoff (1930). (Studi recenti su t. prodotto sono di R. Brown, 1963-64; N. E. Steenrod, 1967).
Spazi quoziente. - Sia ora f: X → Y una funzione di un insieme X su un insieme Y. Se X possiede una struttura di spazio topologico, si può definire una t. su Y, detta la "t. quoziente" rispetto a f, assumendo come aperti tutti e soli i sottoinsiemi U ⊂ Y tali che f-1(U) sia aperto in X (R. L. Moore e P. Alexandroff, 1925-26). In particolare, se X è uno spazio topologico ed ℰ una relazione di equivalenza sull'insieme X, assegnando a ogni x ∈ X la classe di equivalenza che lo contiene, si definisce una funzione ϕ di X sull'insieme X/ℰ delle classi di equivalenza. X/ℰ con la t. quoziente rispetto a ϕ è detto lo "spazio quoziente" di X rispetto a ℰ.
Assiomi di separazione. - La definizione di spazio topologico è alquanto generale, mentre molti problemi esigono proprietà speciali, che si presentano naturalmente nelle applicazioni e che permettono di realizzare più profondi risultati. È perciò che si distinguono diverse classi di spazi topologici, ottenute imponendo restrizioni di varia natura, mediante assiomi addizionali, e comparando poi le classi ottenute.
Fra gli assiomi riguardanti la separazione di punti e insiemi chiusi di uno spazio topologico ricordiamo (v. anche spazio, in questa App.) quelli che richiedono: 1) Per ogni coppia di punti distinti x1 e x2 di X, o l'esistenza di un intorno di x1 che non contenga x2 ("spazio T1"); oppure l'esistenza di due intorni, uno di x1 e l'altro di x2, che siano privi di punti comuni ("spazio T2" o di Hausdorff). 2) Per ogni insieme chiuso F e ogni punto x ∉ F di X, o l'esistenza di due insiemi aperti disgiunti uno contenente x e l'altro contenente F ("spazio regolare", il quale se è anche T1 vien detto "spazio T3" o di L. Vietoris, 1921); oppure l'esistenza di una funzione continua f: X → ???&out;I tale che f(x) = 0 ed f(y) = 1 per y ∈ F ("spazio completamente regolare", il quale se è anche T1 vien detto "spazio T3a" o di A. Tychonoff, 1930). 3) Per ogni coppia d'insiemi chiusi disgiunti F1 ed F2 di X, l'esistenza di due aperti disgiunti uno contenente F1 e l'altro contenente F2 ("spazio normale", il quale, se è anche T1, è detto "spazio T4", H. Tietze, 1923); ecc. (fra gli altri: C. E. Aull e W. J. Thron, 1963). Le proprietà di essere di Hausdorff, regolare, normale, sono invarianti per omeomorfismi.
Assiomi di numerabilità. - Assiomi concernenti restrizioni di cardinalità richiedono: 1) per ogni x ∈ X, l'esistenza di una famiglia numerabile {Un} d'intorni di x tali che ogni intorno di x contenga qualche Un (primo assioma di numerabilità); 2) l'esistenza d'una "base" numerabile {Un}, cioè ogni insieme aperto dello spazio sia una unione di elementi di {Un} (secondo assioma di numerabilità, F. Hausdorff, 1914); 3) l'esistenza nello spazio X di un sottoinsieme numerabile denso (X è detto in tal caso uno "spazio separabile", M. Fréchet, 1906); ecc. Questi assiomi esprimono proprietà invarianti per omeomorfismi. Negli spazi soddisfacenti il primo assioma di numerabilità, per risolvere questioni di chiusura o di continuità, si possono usare le "successioni" (S. P. Franklin, 1965), cioè le funzioni con dominio sull'insieme dei numeri interi non negativi, f: N → X (il valore f(n) s'indica con xn).
In spazi topologici arbitrari, altri strumenti giocano il ruolo delle successioni, precisamente i "filtri" (v. filtro, in questa App.), ed equivalentemente, le "reti" che sono una naturale generalizzazione delle successioni.
Accenniamo brevemente alla nozione di rete: sia Σ un "insieme diretto", cioè un insieme nel quale è definita una relazione d'ordine, denotata col simbolo ≥, riflessiva, transitiva e tale che dati σ1 e σ2 ∈ Σ, esista un σ ∈ Σ tale che sia σ ≥ σ1 e σ ≥ σ2; una rete in uno spazio topologico X (E. H. Moore e H. L. Smith, 1922) è un'arbitraria funzione f: Σ → X (il punto corrispondente a un σ ∈ Σ s'indica con xσ). Filtri e reti offrono un'effettiva via per riconoscere quando un insieme è chiuso in uno spazio generale, e per descrivere completamente la t. dello spazio in termini di convergenza (G. D. Birkhoff, 1937; J. L. Kelley, 1950 e 1955).
Assiomi di compattezza. - Questi porgono importanti classi di spazi topologici con proprietà che generalizzano quelle degl'insiemi chiusi e limitati degli spazi euclidei; il concetto di compattezza può essere introdotto per vie diverse che conducono a definizioni non sempre equivalenti, e talvolta non comparabili negli spazi topologici più generali.
Uno spazio topologico si dice "quasi-compatto", o "bicompatto", se per ogni ricoprimento aperto {Us}sεS di X, esiste un "sottoricoprimento finito", cioè una sottofamiglia finita di {Us} che ricopre ancora X (P. Alexandroff e P. Urysohn, 1924). Uno spazio che sia quasi-compatto e di Hausdorff vien detto "spazio compatto". Definizioni di compattezza possono essere formulate in modo semplice anche in termini di reti e filtri.
Anche le nozioni di compattezza sono topologicamente invarianti.
Compattificazioni. - Molte relazioni collegano spazi topologici soggetti ad assiomi dei tre tipi qui sopra descritti, e molti teoremi e proprietà fondamentali per l'intera teoria, o per le sue applicazioni, sono validi nelle varie classi di spazi che si ottengono; anzi talvolta queste proprietà hanno riflessi anche negli spazi che solo ammettono estensioni in spazi appartenenti a tali classi. Importanti per questo motivo sono le compattificazioni (A. Tychonoff, 1930; M. H. Stone, E. Čech, 1937; H. Wallman, 1938; P. Alexandroff, 1939; F. J. Wagner, 1957). Dati uno spazio topologico X e uno spazio (quasi)-compatto Y, con un'immersione omeomorfa c di X in Y, tale che la chiusura
di c(X) sia eguale a Y, si dice che (c, Y) è una "compattificazione" dello spazio X (si tratta cioè di un'estensione in uno spazio (quasi)-compatto; la indicheremo qui con
In uno spazio di Tychonoff si può considerare la famiglia ???&out;C(X) (che non è vuota), di tutte le sue compattificazioni, e definire in ???&out;C(X) un ordine parziale:
se e solo se esiste una funzione continua suriettiva f:
tale che f 0 c1 = c2. Si verifica che, con quest'ordine, in ???&out;C(X) esiste un elemento più grande di tutti gli altri; questo è detto la "compattificazione di Čech-Stone" di X, e s'indica con βX.
Spazi di Hausdorff compattamente generati. - Questi costituiscono "una conveniente categoria di spazi topologici" (N. E. Steenrod, 1967); si tratta di spazi di Hausdorff tali che ogni sottoinsieme che intersechi ogni insieme compatto in un insieme chiuso è esso stesso chiuso. Questa categoria contiene gran parte degli spazi importanti in t.; fra gli altri contiene gli spazi localmente compatti (e quindi gli spazi euclidei): uno spazio X è detto "localmente compatto" se per ogni x ∈ X esiste un intorno Ux di x tale che Ūx sia compatto (H. Tietze, P. Alexandroff, P. Urysohn, 1924-29). Uno spazio localmente compatto è di Tychonoff; si dimostra inoltre che, se uno spazio X è localmente compatto ma non compatto, allora esiste uno spazio compatto Á, e una funzione biunivoca continua e aperta i: X → Á, la cui immagine i(X) consiste di tutto Á eccetto un punto, (Á = X ⋃ {ω} con ω ∉ X, con la t. che ha per aperti tutti gli aperti di X e tutti gl'insiemi della forma ω ⋃ (X − H) dove H è un sottospazio compatto di X; e i(x) = x). La coppia (i, Á) è detta la "compattificazione di Alexandroff" di X, o anche la compattificazione ottenuta aggiungendo un punto allo spazio X, ed è la minima nella famiglia ???&out;C(X) di tutte le compattificazioni di X. Per es., un circolo S1 può atteggiarsi a compattificazione di Alexandroff della retta reale ???&out;R (aggiungendo "il punto all'infinito" a ???&out;R).
Altre nozioni di compattezza. - Fra le altre classi di spazi topologici strettamente correlati con spazi soddisfacenti ad assiomi più o meno deboli di compattezza, ricordiamo i "Q-spazi" (o "spazi real-compatti"), che sono caratterizzati dall'essere omeomorfi a sottoinsiemi chiusi del prodotto cartesiano di rette reali; essi furono scoperti (E. Hewitt, 1948) in relazione a problemi di analisi funzionale, e si rivelarono utili fra l'altro nel "problema della misurabilità dei numeri cardinali". E infine le importanti classi degli spazi (variamente) "paracompatti" (v. topologia in App. III loc. cit. e spazio in questa App.), introdotte da J. Dieudonné (1944), e delle quali ci sono importanti caratterizzazioni di A. H. Stone (1948) ed E. Michael (1953).
Connessione. - Uno spazio topologico si dice "connesso" se e solo se esso non può esser decomposto nell'unione di due insiemi chiusi, non vuoti e disgiunti. Questa nozione è semplice e generale, ed è strettamente coinvolta in molte proprietà basilari di oggetti matematici. La definizione data può esser applicata ad arbitrari sottoinsiemi di spazi topologici generali, mediante "relativizzazione", cioè: un sottoinsieme M di uno spazio topologico (X, ℱ) è detto "connesso" se e solo se il sottospazio (M, ℱM) è connesso. La proprietà di connessione è un invariante topologico, ma è alquanto differente e indipendente dalle proprietà definite dagli assiomi precedenti, le quali hanno invece fra loro molte interazioni.
In un sottoinsieme M di uno spazio topologico si considerino equivalenti due punti x e y se esiste un insieme connesso A tale che {x, y} ⊂ A ⊂ M; allora le classi di equivalenza ottenute si dicono le "componenti" di M. Uno spazio topologico in cui ogni componente sia costituito da un solo punto, vien detto "totalmente sconnesso"; per es.: ogni spazio discreto, o l'insieme dei numeri razionali con la t. indotta da quella di ???&out;R; uno spazio X è detto "localmente connesso" se per ogni punto x ∈ X e per ogni intorno Ux, esiste un Ux′ ⊂ Ux che è connesso. A proposito di questo tipo di localizzazione, va notato che spazi connessi non sempre sono localmente connessi, e che anche uno spazio totalmente sconnesso può esser localmente connesso, per es., ogni spazio discreto; e infine che sottospazi di spazi localmente connessi non sono in generale localmente connessi.
Spazi metrici e spazi metrizzabili. - Sia X un insieme, una funzione ρ definita su X × X, con valori reali non negativi, e tale che ρ(x, y) = 0 implica x = y, ρ(x, y) = ρ(y, x), e ρ(x, y) + ρ(y, z) ≥ ρ(x, z), è detta una "metrica su X", e (X, ρ) si dice uno "spazio metrico". Funzioni adeguate per questi spazi sono le funzioni f di (X, ρ) su (Y, σ) "preservanti le distanze", σ[f (x1), f (x2)] = ρ(x1, x2); se una siffatta f è biunivoca, la si dice una "isometria". In uno spazio metrico (X, ρ), l'insieme di tutti gli x ∈ X tali che sia ρ(x, x0) 〈 d è detto "disco aperto" o "palla aperta" (fr. boule) P(x0, d) di raggio d intorno a x0. La famiglia {P(x0, d)}, per tutti gli x0 ∈ X e i numeri d > 0, è una base per una t. ℱρ su X, la t. metrica indotta da ρ; (X, ℱρ) risulta di Hausdorff, e ogni funzione preservante le distanze da (X, ρ) su (Y, σ), è una funzione continua aperta (l'immagine di un aperto è aperta) da (X, ℱρ) su (Y, ℱσ).
La nozione di spazio metrico, introdotta da M. Fréchet (1906), ha messo in evidenza importanti classi di spazi topologici, gli "spazi metrizzabili", cioè quegli spazi (X, ℱ) tali che possa definirsi, in X, una metrica ρ tale che ℱρ = ℱ. Poiché la metrizzabilità è topologicamente invariante, è sorto il problema di trovare definizioni puramente topologiche degli spazi metrizzabili e si sono dati dei "teoremi di metrizzazione" (R. H. Bing, J. Nagata, Yu. M. Smirnov, 1951), che dànno condizioni necessarie e sufficienti per la metrizzabilità. Gli spazi metrizzabili sono paracompatti (G. Mokobodzki, 1964), soddisfano al primo assioma di numerabilità, e in essi si può descrivere la chiusura di un insieme definendo le successioni convergenti a un punto limite, per mezzo di una metrica. In uno spazio metrico (X, ρ) una successione {xn} è detta di Cauchy se per ogni ε 〈 0 esiste un numero naturale N tale che, per ogni n, m ≥ N, sia ρ(xn, xm) 〈 ε; e (X, ρ) è detto uno spazio metrico "completo" se ogni successione di Cauchy nello spazio converge a un punto dello spazio. Inoltre se f è un'isometria da (X, ρ) in uno spazio completo (Y, σ) con f (X) denso in (Y, σ), allora la coppia (f, (Y, σ)) è detta un "completamento" di (X, ρ). Uno spazio è "metrizzabile in modo comdeto" se esiste una metrica in X, tale che (X, ρ) sia uno spazio completo.
Uniformità e spazi uniformizzabili. - Una metrica in un insieme X, non solo induce una t. su X, ma essa permette anche di definire certe classi di funzioni, le "funzioni uniformemente continue", e in particolare gli "isomorfismi uniformi", siffatti che, negli spazi metrizzabili, ogni invariante topologico è anche invariante uniforme, cioè preservato da isomorfismi uniformi, e ogni invariante uniforme è un invariante metrico; ma non viceversa. Viene quindi messa in evidenza, in uno spazio metrizzabile, una "struttura uniforme", che si presenta come una generalizzazione di una struttura metrica. Ma una struttura uniforme può esser introdotta anche su spazi non metrizzabili; e si può definire, in un insieme X, una struttura di "spazio uniforme", la quale induce su X una struttura topologica.
Sia X un insieme; una famiglia non vuota U di sottoinsiemi di X × X, è detta un'"uniformità" su X se: 1) tutti gli elementi H di U contengono la diagonale Δ di X × X (cioè l'insieme {(x, x)} per ogni x ∈ X); 2) se H ∈ U anche H-1 = {(x, y)} per tutti gli x, y tali che (y, x) ∈ H, appartiene a U. 3) se H ∈ U, tutti i sottoinsiemi di X × X che contengono H, appartengono a U; 4) se H1, H2 ∈ U anche H1 ⋂ H2 ∈ U; 5) per ogni H ∈ U, esiste un K ∈ U tale che l'insieme delle coppie (x, y) per le quali esista uno z ∈ X con (x, z) ∈ K e (z, y) ∈ K, sia contenuto in H.
Se U soddisfa inoltre alla condizione: 6) l'intersezione di tutti gli H ∈ U è Δ, allora è detta un'"uniformità separata" o "di Hausdorff". La coppia (X, U) è detta uno "spazio uniforme". Ogni uniformità U in X induce una t. su X, detta "t. uniforme", definita dalla famiglia ℱU dei sottoinsiemi G ⊂ X tali che per ogni x ∈ G esista un H ∈ U tale che l'insieme degli y ∈ X per cui (x, y) ∈ H, è contenuto in G. Quindi ogni spazio uniforme (X, U) induce uno spazio topologico (X, ℱU), e si dimostra che se U è separata, (X, ℱU) è uno spazio di Tychonoff. Fu A. Weil (1937) che introdusse il concetto di struttura uniforme, che può esser caratterizzato e studiato per vie diverse (J. W. Tukey, 1940; L. Gillman e M. Jerison, 1960; A. S. Davis, 1961).
Una funzione f: (X, U) → (Y, V) è detta "uniformemente continua" se e solo se dato un K ∈ V, esiste un H ∈ U tale che (f (x), f (x′)) ∈ K se (x, x′) ∈ H, e in tal caso f è continua da (X, ℱU) a (Y, ℱV) ; se f: (X, U) → (Y, V) è biunivoca, suriettiva e se f ed f-1 sono entrambe uniformemente continue, allora f è detta un "isomorfismo uniforme".
Uno spazio topologico (X, ℱ) è detto "uniformizzabile" se e solo se esiste un'uniformità U su X tale che ℱU = ℱ. Si possono definire spazi uniformi completi, per mezzo di filtri, completamenti di spazi uniformi, ecc.
Prossimità. - Un'altra classe di strutture spaziali le quali, come le metriche e le uniformi, non sono topologiche ma sono con queste strettamente correlate, possono definirsi mediante la nozione di "prossimità", la quale formalizza in un certo senso il concetto di vicinanza fra due sottoinsiemi di un insieme X. Uno dei modi d'introdurre questa nozione è il seguente. Sia X un insieme e ℘(X) l'insieme dei sottoinsiemi di X. Una "prossimità" su X è una relazione binaria δ su ℘(X), soddisfacente alle seguenti condizioni: 1) A δ B se e solo se B δ A; 2) A δ (B ⋃ C) se e solo se A δ B o A δ C; 3) {x} δ {x} per ogni x ∈ X; 4) ∅ δ??? A per ogni A ⊂ X (δ??? significa che la relazione δ non è verificata); 5) A δ??? B implica l'esistenza di due insiemi disgiunti C ⊃ A e D ⊃ B, tali che Aδ???(X − C) e Bδ???(X − D). La coppia (X, δ) è detta allora uno "spazio prossimità"; se inoltre: 6) {x} δ {y} implica x = y, allora δ è detta una "prossimità separata" e (X, δ) uno "spazio prossimità separato". Due insiemi A, B ⊂ X per cui sia A δ B si dicono "chiusi uno rispetto all'altro i in (X, δ), se invece A δ??? Β si dicono "remoti".
La nozione di struttura prossimità fu introdotta da V. A. Efremovič (1952) e ulteriormente elaborata principalmente da Yu. M. Smirnov (1952-55), e, successivamente, da E. M. Alfsen e O. Njåstad (1963).
Una prossimità in un insieme X definisce un operatore chiusura di Kuratowski in X (x ∈ Ā se e solo se {x} δ A), il quale genera una t. ℱδ in X, detta una "p-topologia" o "t. indotta dalla prossimità". In particolare si dimostra che se δ è una struttura prossimità separata, allora (X, ℱδ) è uno spazio di Tychonoff. Queste strutture prossimità occupano una posizione intermedia fra t. e uniformità, e la teoria sviluppata per gli spazi prossimità rivela rimarchevoli analogie con queste altre due teorie.
Altre strutture spaziali. - Altre teorie sono state introdotte ed elaborate, in relazione al problema della definizione di strutture spaziali in un insieme X (L. Nachbin, 1948, e altri). In particolare, nel 1963, Á. Császár ha presentato la classe delle "strutture syntopogenee", fondate su certe relazioni di "ordine" (relazioni transitive) fra i sottoinsiemi di X, e contenenti come casi particolari le t., le uniformità, le prossimità e altre. In questa teoria si definisce un "ordine topogeneo" su un insieme X come una relazione binaria, indicata col simbolo 〈, soddisfacente le seguenti condizioni: 1) ∅ 〈 ∅, X 〈 X; 2) A 〈 B implica A ⊂ B; 3) A ⊂ A′ 〈 B′ ⊂ B implica A 〈 B; 4) A 〈 B e A′ 〈 B′ implicano A ⋂ A′ 〈 B ⋂ B′e A ⋃ A′ 〈 B ⋃ B′.
Se uno spazio topologico X è dato, e si definisce A 〈 B se e solo se A è contenuto nell'interno di B (cioè nell'unione di tutti gl'insiemi aperti contenuti in B), si ottiene un ordine topogeneo, la cui conoscenza determina la t. di X in modo unico, gl'insiemi aperti essendo caratterizzati dalla formula A 〈 A. Una struttura topologica può dunque esser definita per mezzo di un ordine topogeneo.
Topologia algebrica. - I principali strumenti che si usano in t. algebrica, per lo studio dei problemi topologici, sono certi funtori (v. categorie, in questa App.), dalla categoria Top a qualche categoria A di oggetti algebrici (gruppi, anelli, moduli, ecc.). L'idea consiste nell'associare a ciascuno spazio topologico X un conveniente sistema algebrico T(X), e a ciascuna funzione continua f: X →Y un morfismo T(f): T(X) → T(Y) (o T(f): T(Y) → T(X)), con T(1X) = 1T(X) e T(f 0 g) = T(f) 0 T(g) (o T(f 0 g)= T(g) 0 T(f)), cosicché spazi omeomorfi vanno in sistemi algebrici isomorfi. Con ciò si vuol condurre lo studio di un problema topologico a quello di un problema di algebra, il quale dia effettive informazioni sul primo, e sia più semplice di questo. Ma, per es., in problemi di classificazione di spazi topologici, questa procedura fornisce generalmente solo condizioni necessarie perché due spazi siano omeomorfi. Un importante problema della t. algebrica è perciò quello di trovare e calcolare un conveniente numero di funtori del tipo detto, e anche di valutare, per così dire, la loro "sensibilità", tendendo a ottenere che la risolubilità di un problema topologico sia equivalente a quella dei corrispondenti problemi algebrici.
Categorie omotopia. - La massima parte dei funtori finora trovati caratterizzano gli spazi (o le funzioni) solo a meno di una relazione di equivalenza, detta "omotopia", più debole dell'omeomorfismo, la quale formalizza il concetto intuitivo di "deformazione continua" (C. Jordan, 1866). Siano X e Y spazi topologici e ???&out;I l'intervallo 0, 1]; un'"omotopia" o "deformazione" (di X in Y) è una funzione continua F: X × ???&out;I → Y; allora per ogni t ∈ ???&out;I si ha una funzione continua Ft: X → Y con Ft(x) = F(x, t), e {Ft}0≤..t≤1 è una "famiglia a un parametro" che è anch'essa detta un'omotopia o deformazione. Fissato x ∈ X, al variare di t ∈ ???&out;I, F(x, t) può pensarsi come la traiettoria di x in Y nell'unità di tempo [0, 1], e la deformazione F, come la famiglia di siffatte traiettorie, indicata col parametro x ∈ X. Date due funzioni continue f0, f1: X → Y, se esiste un'omotopia F = {Ft: X → Y}0≤..t≤1 con f0 = F0 ed f1 = F1, si dice che f0 ed f1 sono omotope, f0 ≃ f1, e che F è una "deformazione di f0 in f1". Se A ⊂ X, F: X × ???&out;I → Y è detta un'"omotopia relativa ad A" se Ft ∣ A = F0 ∣ A per ogni t. Se infine F1 è una funzione costante, F si dice un'"omotopia nulla" ed f = F0 è detta "omotopicamente nulla".
La relazione omotopia, ≃, risulta essere una relazione d'equivalenza, ed è tale che se per f0, f1: X → Y e g0, g1: Y → Z si ha f0 ≃ f1 e g0 ≃ g1 allora si ha anche g0 0 f0 ≃ g1 0 f1. Perciò si può definire la composizione di classi di omotopia ponendo [g] 0 [f] = [g 0 f]. Si ottengono così: una nuova categoria topologica, la "categoria omotopia" Htp della categoria Top, che è fondamentale in t. algebrica, i cui oggetti sono spazi topologici, e i cui morfismi sono classi di omotopia (relativa a ∅) di funzioni continue; e un funtore π: Top → Htp con π(X) = X e π(f) = [f]. I funtori T: Top → C, per i quali f0 ≃ 1 implica T(f0) = T(f1), si dicono "invarianti per omotopia"; essi ammettono una fattorizzazione
In particolare, spesso, in t. algebrica non si distingue tra spazi equivalenti in Htp (spazi detti "dello stesso tipo d'omotopia"), cioè tali che esistano funzioni continue, dette "equivalenze d'omotopia", f: X → Y e g: Y → X con f 0 g ≃ idY e g 0 f ≃ idX. I funtori invarianti per omotopia prendono lo stesso valore su spazi dello stesso tipo di omotopia, nel senso che trasformano equivalenze di omotopia f: X ≃ Y in isomorfismi T(f): T(x) ≅ T(Y).
Tutto quanto sopra si generalizza alle coppie topologiche: date due funzioni f0, f1: (X, X′) → (Y, Y′), se è A ⊂ X ed f0 ∣ A = f1 ∣ A, f0 si dice "omotopa a f1 relativamente ad A", e si scrive f0 ≃ f1 rel. A, se esiste una funzione (omotopia relativa ad A) F: (X × ???&out;I, X′ × ???&out;I) → (Y, Y′) tale che F(x, 0) = f0(x) ed F(x, 1) = f1(x) per x ∈ X, ed F(x, t) = f0(x) per x ∈ A e t ∈ ???&out;I. Si tratta ancora di una relazione di equivalenza, la quale permette di definire una "categoria omotopia di coppie" Htp(2) (coppie topologiche e classi d'omotopia, relativa a ∅, di funzioni fra coppie); e un funtore Top(2) → Htp(2). Htp(2) contiene Htp come sottocategoria piena.
Il gruppoide fondamentale. - Una funzione continua ω: ???&out;I → X si dice un "cammino" o un "arco" ω in X e, se l'"origine" ω(0) e la "fine" ω(1) dell'arco coincidono in un punto x0 ∈ X, ω si dice un "cammino chiuso" o un "nodo" in x0 ∈ X. Se ω e ω′ sono cammini in X con ω′(0) = ω′(1), si definisce un cammino prodotto ω•ω′ in X con
Inoltre due cammini ω e ω′ in X si dicono "omotopi", e si scrive ω ≃ ω′, se essi sono omotopi relativamente ad A = {0, 1} ⊂ ???&out;I. Per ogni x0, x1 ∈ X, la relazione ω ≃ ω′ è una relazione di equivalenza nell'insieme dei cammini da x0 a x1, e si dimostra che, prendendo come oggetti i punti di X e come morfismi x1 → x0 le classi di omotopia [ω] di cammini da x0 a x1, si ottiene una categoria, ([ω] 0 [ω′] =[ω 0 ω′]), ???&out;P(X) i cui oggetti formano un insieme e nella quale ogni morfismo è invertibile [ω]-1 = [ω-1]: ???&out;I → X, con ω-1(t) = ω(1 − t) (una siffatta categoria si dice un gruppoide); ???&out;P(X) è detto il "gruppoide fondamentale di X".
Si definisce, fra gli oggetti di ???&out;P(X), una relazione di equivalenza ponendo x0 ≃ x1 se e solo se esiste qualche cammino ω in X da x0 a x1, cioè qualche morfismo [ω]: x1 → x0. Le classi di equivalenza di questa relazione (dette anche le "componenti del gruppoide") si dicono le "componenti per archi" dello spazio X. Lo spazio topologico X è detto "connesso per archi" se il suo gruppoide fondamentale ???&out;P(X) ha una sola componente; X risulta allora uno spazio connesso (non viceversa). Si verifica che se f: X → Y è una funzione continua, esiste un funtore covariante f#: ???&out;P(X) → ???&out;P(Y), con f#(x) = f(x) ed f#[ω] = [f • ω], ed f manda ogni componente per archi di X in qualche componente per archi di Y.
Il funtore gruppo fondamentale. - Per ogni oggetto x di ???&out;P(X) se [ω], [ω′]: x → x sono due morfismi la composizione [ω] • [ω′] = [ω • ω′]: x → x, è un'operazione di gruppo nell'insieme dei morfismi x → x. Ebbene, fissato un punto x0 di uno spazio topologico X, il gruppo delle classi di equivalenza di cammini con origine e fine in x0, gruppo che s'indica con π1(X, x0), si dice il "gruppo fondamentale" o "gruppo di Poincaré" (1895), di X in x0; e si trova un funtore covariante π1 dalla categoria omotopia di spazi con punto base, cioè delle coppie topologiche (X, {x0}), e funzioni preservanti il punto base, alla categoria dei gruppi, detto il "funtore gruppo fondamentale" (se f: (X, {x0}) → (Y, {y0}), π1(f) = f#: π1(X, x0) → π1(Y, y0) è un omomorfismo di gruppi; ed f ≃ f′ implica f# = f#′). Talvolta il gruppo fondamentale s'indica con π1(X) anziché con π1(X, x0).
Se x0 e x1 appartengono a una stessa componente connessa per archi allora π1(X, x0) e π1(X, x1) risultano isomorfi; due spazi connessi per archi con lo stesso tipo di omotopia (come spazi senza punto base), hanno gruppi fondamentali isomorfi. Nel caso particolare in cui il gruppo π1(X, x0) è ridotto all'elemento neutro, si dice che la componente connessa di X contenente x0 è "semplicemente connessa", X è semplicemente connesso, se esso è connesso per archi e ha π1(X) = 0. L'utilità del funtore gruppo fondamentale è legata al problema del calcolo effettivo del gruppo fondamentale di uno spazio. Il problema è in generale molto diffificile, esistono tuttavia metodi validi per ampie classi di spazi, per es., per gli "spazi triangolabili" (o i "complessi simpliciali", v. topologia, App. III, 11, p. 961) vale il cosiddetto "teorema dell'approssimazione simpliciale", importante strumento che conduce a descrivere π1(X) mediante generatori e relazioni (J. W. Alexander, 1915-26; O. Veblen, 1905; e infine la versione di E. C. Zeeman, 1964). Più recentemente fu osservato che numerosi procedimenti e risultati possono ottenersi, in più ampie classi di spazi, mediante un importante teorema di H. Seifert, (1931), ed E. R. van Kampen (1933), e sue generalizzazioni (P. Olum, 1958; R. Brown, 1965-67). Il teorema di van Kampen non è però vero per spazi topologici arbitrari (H. B. Griffiths, 1955).
Il funtore gruppo fondamentale è, in certe situazioni, strumento potente per distinguere oggetti topologici mediante le proprietà algebriche; fra le sue applicazioni ricordiamo la classificazione delle superfici triangolabili, che, con l'aiuto di argomentazioni geometriche, si ottiene a meno di omeomorfismi, nonostante che il gruppo fondamentale sia un invariante algebrico di "tipo omotopia". Un'altra notevole applicazione si ha nel problema della classificazione degli "spazi di ricoprimenti" di un dato spazio X, i quali risultano descritti, in certe situazioni, mediante i sottogruppi del gruppo fondamentale.
Spazi di ricoprimenti. - Si tratta di oggetti le cui origini provengono dall'analisi, e che ora sono molto importanti in t. e in altri settori della matematica (geometria differenziale, gruppi di Lie, ecc.).
Sia p: X??? → X una funzione continua, e per ciascun x ∈ X esista un intorno aperto Ux di x in X, tale che p-1(Ux) sia l'unione disgiunta di sottoinsiemi aperti Vα di X???, e la restrizione p/Vα : Vα → Ux sia un omeomorfismo per ogni Vα. Allora si dice che X??? è uno "spazio di ricoprimenti" di X (X è lo "spazio di base"), con "proiezione di ricoprimento p". Per es., la sfera S2 è uno spazio di ricoprimenti del piano proiettivo P2 con la proiezione p: S2 → P2 che identifica punti diametralmente opposti.
Fibrazioni. - Si dice che una funzione continua p: E → B ha la "proprietà del sollevamento dell'omotopia" rispetto a uno spazio X, se date le funzioni continue f′: X → E ed F: X × ???&out;I → B tale che F(x, 0) = p 0 f′(x) per x ∈ X, esiste una funzione continua F′: X × ???&out;I → E tale che F′(x, 0) = f′(x) per x ∈ X e p 0 F′ = F; cioè se esiste una F′ che renda commutativo il seguente diagramma:
Una funzione continua p: E → B, la quale abbia la proprietà del sollevamento dell'omotopia rispetto a ogni spazio è detta una "fibrazione" (o uno "spazio fibrato di Hurewicz", 1955); B è lo "spazio di base" ed E lo "spazio totale" della fibrazione. Per b ∈ B, p-1(b) è detta la "fibra su b". Risulta che ogni cammino ω in B con ω(0) ∈ p(E) può esser "sollevato" a un cammino ω̄ in E, cioè esiste un ω̄ tale che sia ω = p 0 ω̄. Se dati due cammini ω e ω′ in E con p 0 ω = p 0 ω′ e ω(0) = ω′(o) risulta necessariamente ω = ω′, allora si dice che la funzione p ha la "proprietà del cammino unico di sollevamento". Le fibrazioni con questa proprietà hanno il gruppo fondamentale dello spazio totale isomorfo a un sottogruppo del gruppo fondamentale dello spazio di base. Si dimostra che ogni proiezione di ricoprimento è una fibrazione con cammino unico di sollevamento.
J. P. Serre (1951) ha dato una definizione di spazio fibrato che è più debole di quella di Hurewicz (R. Brown, 1966); altre definizioni, più deboli, sono di A. Dold e R. Thom (1958), e di A. Dold (1963).
Fibrati. - Dalla definizione di spazio di ricoprimenti si nota che X??? è localmente il prodotto del suo spazio di base X e di uno spazio discreto. Il concetto che generalizza questa situazione è quello di "fibrato" introdotto da H. Whitney (1935) e sorto da problemi di t. e geometria delle varietà. Esso ha dato luogo a una teoria che ha avuto negli ultimi anni un enorme sviluppo, specialmente nel caso in cui le fibre sono spazi vettoriali (con la creazione, fra l'altro, seguendo A. Grothendieck, M. F. Atiyah ed F. Hirzebruch, intorno al 1960, della K-teoria), e ha condotto alla costruzione di nuovi invarianti topologici.
Una funzione continua p: E → B è un "fibrato" con "spazio totale" E, "spazio di base" B e "spazio fibra" F se esiste un ricoprimento aperto {U} di B, e per ogni U ∈ {U} un omeomorfismo ϕU: U × F → p-1(U) con p 0 ϕU(x, y) = x per x ∈ U ed y ∈ F; per ogni b ∈ B, p-1(b), che è omeomorfo a F, si dice la "fibra sopra b". Il fibrato ξ = (E, B, F, p) viene inoltre fornito di un "gruppo strutturale" G, che agisce su E e su F. Si tratta di una struttura molto ricca, e in particolare, se lo spazio di base B è paracompatto e di Hausdorff, la proiezione p del fibrato è una fibrazione. Si hanno generalizzazioni delle strutture dei fibrati, dovute a J. W. Milnor (1964) e C. P. Rourke e B. J. Sanderson (1968).
Omologia e coomologia. - Per le "teorie di omologia", che forniscono sequenze di funtori covarianti da categorie topologiche alla categoria dei gruppi abeliani, e le loro generalizzazioni mediante tecniche quasi esclusivamente algebriche (omologia e coomologia con coefficienti), che costituiscono uno dei campi più estesamente sviluppati e approfonditi della t. algebrica; per il loro uso nelle soluzioni di un gran numero di problemi topologici; e infine per le teorie di coomologia generalizzata - nozioni introdotte e approfondite da G. W. Whitehead (1962), E. H. Spanier (1966), C. R. F. Maunder (1970) e A. Dold (1972) - v. topologia, in App. III loc. cit. e algebra omologica, in questa Appendice.
La coomologia di uno spazio fornisce invarianti algebrici più sensibili che non l'omologia, in quanto è possibile dotarla anche di una struttura moltiplicativa (prodotto interno o "cup-prodotto"), che le permette di distinguere anche tra spazi che hanno gruppi di coomologia isomorfi. In coomologia sono state anche definite e studiate certe nuove "operazioni" (N. E. Steenrod, 1957; J. F. Adams, 1960; C. R. F. Maunder, 1963) utili per le applicazioni. Inoltre omologia e coomologia con coefficienti in sistemi speciali hanno fornito profondi risultati riguardanti: i teoremi della dualità di Lefschetz e di Alexander-Poincaré (R. Swan, 1964; E. H. Spanier, 1966; M. J. Greenberg, 1967); lo studio dei fibrati; lo studio delle varietà topologiche, cioè degli spazi di Hausdorff localmente omeomorfi a uno spazio euclideo. A questo proposito notiamo che proprio la t. algebrica, con i suoi strumenti ha favorito un impulso nuovo, dopo gli stimolanti risultati di J. W. Mimor, R. Thom, S. Smale, M. Kervaire, M. Morse, J. R. Munkres, J. H. C. Whitehead (intorno al 1960), agli studi di quelle proprietà delle varietà differenziabili (v. varietà, App. III, 1, p. 1069), che sono invarianti per omeomorfismi differenziabili ("diffeomorfismi"); questi studi vanno sotto il nome di "t. differenziale".
Omotopia. - Altre classi di funtori, invarianti di tipo omotopia, sorgono dallo studio degl'insiemi di morfismi delle categorie omotopia, ed esse occupano un ruolo molto importante negli sviluppi moderni della topologia. Dati due spazi X e Y con punto base, la relazione fra le funzioni continue X → Y, preservanti i punti base, di esser omotope è una relazione di equivalenza; sia [X, Y] l'insieme delle classi determinate da questa equivalenza. Una funzione continua f: Y0 → Y1, dà luogo a una funzione d'insiemi f*: [X, Y0] → [X, Y1] con f*[h] = [fh], e risulta che [X, -] è un funtore covariante dalla categoria Htp di Top* alla categoria degl'insiemi, cosicché un'equivalenza di omotopia f: Y0 ≃ Y1 induce una biiezione f*: [X, Y0] → [X, Y1]. Si dimostra che una funzione continua f: Y0 → Y1 è un'equivalenza di omotopia se è tale che la f* sia biunivoca per tutti gli spazi X, e di più (J. H. C. Whitehead), che per un'ampia classe di spazi, inclusi i poliedri, basta che la f* sia biiettiva per X = Sn per tutti gli n. Dualmente si ha un funtore contravariante [-, Y] tale che g: X0 ≃ X1 induce una biiezione g*: [X1, Y] → [X0, Y]; e una funzione continua g: X0 → X1 tale che la g* sia biunivoca per tutti gli spazi Y, è un'equivalenza d'omotopia. Si dimostra inoltre che se Y è un "H-spazio" (cioè ammette una moltiplicazione continua m: Y × Y → Y tale che, se i1, i2: Y → Y × Y sono definite da i1(y) = (y, y0) ed i2(y) = (y0, y), dove y0 è il punto base di Y, sia mi1 ≃ mi2 ≃ 1Y) "associativo" e "con omotopia inversa" (cioè la moltiplicazione, indicata con m, soddisfa a certe condizioni che producono in Y una struttura similare a quella di un gruppo), allora nell'insieme [X, Y] si può introdurre una naturale struttura di gruppo, e in tal caso se g: X0 → X1 è una funzione continua (o, rispettivamente, un'equivalenza di omotopia), g* è un omomorfismo (un isomorfismo), la trasformazione essendo funtoriale. Lo stesso accade in [X, Y] (e relative funzioni) se, Y essendo uno spazio topologico arbitrario, X è un "H′-spazio" (nozione "duale" di quella di H-spazio) associativo con inversa. (Gli H-spazi, introdotti da H. Hopf, 1941, sono stati studiati recentemente da W. Browder, J. M. James, J. D. Stasheff, R. Sibson, 1960-69; gli H′-spazi furono introdotti da B. Eckmann e P. J. Hilton, 1958).
Poiché la sfera Sn per ogni n ≥ 1 risulta essere un H′-spazio associativo con inversa, l'insieme [Sn, Y] risulta un gruppo per tutti gli spazi Y. Per ogni spazio Y con punto base, ed n ≥ 1, il gruppo [Sn, Y] si dice l'"n-esimo gruppo d'omotopia di Y" e lo s'indica con πn(Y) (E. Čech, 1932; W. Hurewicz, 1935). In particolare per n = 1, il gruppo che si ottiene è isomorfo al gruppo fondamentale π1(Y, y0). Si definiscono anche gruppi di omotopia relativa; si studiano le relazioni fra (co)omologia e omotopia, s'introducono e si adoperano strumenti analoghi alle "sequenze esatte". Il problema della classificazione degli spazi a meno di equivalenze di omotopia è legato al rilevante problema del calcolo dei gruppi di omotopia; importanti per questo, come anche per l'assiomatizzazione della teoria dell'omotopia, sono le fibrazioni; però non esistono algoritmi, si studiano perciò le proprietà dei gruppi e si dànno metodi particolari per spazi particolari. Molti risultati si sono ottenuti per i "CW-spazi" (o CW-complessi di J. H. C. Whitehead, 1949, che sono spazi di Hausdorff sui quali sia definita una certa decomposizione, che li presenta come una generalizzazione dei complessi simpliciali); per es., per le sfere Sn, che ammettono strutture di CW-complessi, si sono ottenuti risultati per il calcolo di πr(Sn), con certe limitazioni di r rispetto a n (H. Toda, 1963; J. P. May, 1965-66; C. R. F. Maunder, 1965; M. E. Mahowald, 1967).
Topologie di Grothendieck. - Sono t. su categorie, introdotte nel 1957-60, e ora estesamente studiate anche per le loro applicazioni. Sia C una categoria, C * la sua duale e ??? C = [C*, S] la categoria dei funtori contravarianti da C alla categoria S degl'insiemi (per le nozioni e notazioni usate qui, v. categorie, in questa Appendice). Sia X ∈ ∣ C ∣, (un oggetto di C), ed R un sottofuntore di HX = homC(-, X), cioè, per tutti gli A ∈ ∣ C ∣, sia R(A) ⊂ homC(A, X), in modo che queste inclusioni formino una trasformazione naturale i: R → HX; si dirà che R è un "setaccio" (crible, in franc.; sieve, in ingl.) per X. Se C è ristretta, per l'immersione di Yoneda, X ??? HX ed f ??? Hf = homC(-, f), si usa riguardare C come sottocategoria (piena) di ??? C P e per ogni C-morfismo v: Y → X, c'è, in ??? C P, un "quadrato cartesiano" (o "prodotto fibrato" Y ØX R = v-1(R)), per v e i
con v-1(i) inclusione di un sottofuntore (di Hy), si ha quindi i 0 ã = v 0 v-1(i) e per ogni h: F → Y e k: F → R con v 0 h = i 0 k, esiste un unico morfismo l: F → v-1(R) tale che h = v-1(i) 0 l e k = ã 0 l.
Una "t." T su C consiste di una classe J(X) di setacci per X ("setacci di ricoprimento" di X o "raffinamenti" di X, rispetto a T), per ogni X ∈ ∣ C ∣, tale che: 1) se R ∈ J(X) e v: Y → X è un C-morfismo, v-1(R) ∈ J(Y); 2) se R ∈ J(X) ed R′ è un altro setaccio per X, allora se per ogni v: Y → X in R è v-1(R′) ∈ J(Y), R′ ∈ J(X); 3) X ∈ J(X).
Data una categoria C dotata di una t. T, CT, i funtori F: C* →, si dicono "prefasci" (d'insiemi), in particolare F è detto un "fascio" se per l'inclusione iR: R ⊂ X di ogni setaccio di ricoprimento R ∈ J(X) per tutti gli X ∈ ∣ C ∣ l'applicazione hom???C (iR, F): hom???C (X, F) → hom ???C (R, F) è biiettiva. Le t. su una categoria Cconsiderate come classi di setacci, sono ordinate per inclusione, e si verifica che c'è una più grande t. su C per cui tutti gli HX sono fasci: questa è detta la "t. canonica" su C. Inoltre data una classe ℋdi setacci, c'è una più piccola t. su C in cui i dati setacci sono tutti di ricoprimento: la "t. generata da ℋ".
Sia ora {uα: Xα → X} una famiglia di C-morfismi, allora in ???C l'unione delle immagini di uα dà l'inclusione iR di un setaccio R in X, che si dice "generato" da {uα}. Per ogni X ∈ ∣ C ∣ sia data una classe Cov(X) di famiglie {uα}. Le classi Cov(X) formano una "pretopologia" τ su C, se: 1) {1X: X → X} ∈ Cov(X); 2) se {uα} ∈ Cov(X) e v: Y → X è un C-morfismo, allora il prodotto fibrato per v e uα esiste per ogni α e v-1(uα) ∈ Cov(Y); 3) se {uα} ∈ Cov(X) e {vαβα: Xαβα → Xα} ∈ Cov(Xα), allora {uα 0 vαβα} ∈ Cov(X).
Per ogni X ∈ ∣ C ∣, sia Jτ(X) la classe dei setacci generati dagli elementi di Cov(X), e J(X) la classe di quei setacci che contengono un setaccio in Jτ(X). Le classi J(X) definiscono una t. T, che si dice "generata" da τ, essa è la più piccola t. su C per cui tutti gli Jτ(X) consistono di setacci di ricoprimento; ed F: C * → S è un fascio per T se e solo se per {uα: Xα → X}αεA ∈ Cov(X), in
è g 0 f = h 0 f, e per ogni l:
con g 0 l = h 0 l, esiste un unico morfismo w: S → F(X) tale che l = f 0 w. Esempio: Sia C la categoria degl'insiemi aperti di uno spazio topologico (i morfismi sono le inclusioni). Per X ∈ ∣ C ∣, sia {uα: Xα → X} ∈ Cov(X) se e solo se ⋃ Xα = X. Si ottiene così una pretopologia; la t. da essa generata è quella canonica, e la condizione richiesta in [1], (qui Xα ØX Xβ = Xα ⋂ Xβ), fornisce l'originale definizione di fascio d'insiemi su uno spazio topologico (v. topologia, App. III, 11, p. 962).
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