Torino dopo l’auto
Divenuta una delle mete italiane preferite dal turismo, la città – dalla bellezza ora austera ora folle di un centro a misura d’uomo e che contrariamente allo stereotipo di factory-town non è grigia ma verde – ha saputo reinventarsi all’epoca della crisi post-industriale, puntando su cultura e formazione.
Torino, già prima capitale d’Italia e poi capitale dell’auto, è la città italiana che più ha saputo rinnovarsi nel corso degli ultimi lustri. Se oggi lo stabilimento Fiat di Mirafiori confina con gli Stati Uniti, il Brasile e la Cina, il resto della città si è aperto da tempo al resto del mondo. Sia dal punto di vista dell’immigrazione dal Sud e dall’Est del pianeta – a Porta Palazzo, il mercato all’aperto più grande d’Europa, si parla una ‘babele’ di lingue – sia in fatto di flussi turistici. Se fino a ieri infatti Torino era esclusa dal cosiddetto Grand tour con le sue classiche tappe Milano-Venezia-Firenze-Roma-Napoli, ora è tra le mete più visitate del paese. E quel che sorprende chi vi si reca, vista la sua antica fama di factory-town, è la bellezza ora austera ora folle di un centro a pianta ortogonale e a misura d’uomo in cui convivono Barocco e Liberty, Neogotico e Neoclassico. Torino inoltre contrariamente allo stereotipo non è grigia ma verde: oltre al parco del Valentino e a quello della Pellerina e ai tanti giardini che si aprono nel cuore della città, la collina al di là del Po permette di trovarsi in piena campagna a pochi minuti dal centro. Ma non solo: come altri luoghi alle prese con la necessità di reinventarsi all’epoca della crisi post-industriale, Torino ha deciso di puntare sulla cultura e sulla formazione. Così, nel corso degli anni il Salone internazionale del libro è diventato con la Buchmesse di Francoforte il più importante appuntamento europeo del settore, e il Museo nazionale del cinema una delle maggiori attrazioni con il Museo di antichità egizie, secondo solo a quello del Cairo. Quanto alla formazione, il Politecnico di Torino è uno degli atenei italiani più frequentati da studenti stranieri provenienti da ogni parte del mondo. Ma ci sono anche il Salone del Gusto, che valorizzando una delle eccellenze italiane alla luce degli insegnamenti di Slow food® è capace di richiamare da ogni continente folle di visitatori, e Eataly, uno dei marchi italiani più conosciuti a livello planetario in fatto di cibo di qualità e ristorazione. Torino insomma è diventata un luogo con una sua capacità di attrazione, fatta di qualità della vita e trasmissione di sapere: cosa abbastanza straordinaria, se si pensa al posto che occupava fino a 20 anni fa nell’immaginario degli italiani, complice il sedimentarsi nella memoria collettiva dell’idea di metropoli industriale, a partire dai notiziari televisivi dell’epoca del boom e della grande immigrazione dalle regioni meridionali, e poi del periodo della contestazione, con a seguire gli ‘anni di piombo’, la ‘marcia dei quarantamila’ e l’inizio di un declino industriale che a un certo punto, con la scomparsa di Gianni Agnelli, sembrava inarrestabile. Il cambiamento, iniziato prima delle Olimpiadi invernali del 2006, non ha tuttavia impedito a Torino di patire le conseguenze della recessione.
E malgrado la sua tradizionale capacità di accoglienza e di solidarietà – Torino è tra le altre cose la città dei ‘santi sociali’ – è aumentato da ultimo il numero di famiglie e di persone espulse dal mercato del lavoro costrette a fare ricorso a mense pubbliche e a rivolgersi a istituzioni religiose e non, per procurarsi pacchi viveri e capi di vestiario. Da un punto di vista urbanistico, invece, la città non ha saputo fare tesoro – fatta eccezione per il Lingotto ‘ricreato’ da Renzo Piano, il primo esempio italiano di fabbrica riciclata – di capolavori di architettura industriale che si è preferito abbattere per far posto a ordinari quartieri residenziali, mentre altrove, a Berlino come a Zurigo, sarebbero diventati musei, laboratori, università, centri culturali o biblioteche, luoghi indispensabili per una città che voglia diventare un polo culturale conosciuto e apprezzato a livello internazionale. Quanto alla qualità dell’aria, trovandosi al vertice della Pianura Padana, ossia di una delle zone più inquinate d’Europa, ed essendo in larga parte circondata da montagne, Torino è purtroppo tra i comuni in cui si respirano più polveri sottili d’Italia. Priva di quell’identità forte che la contrassegnava fino a tutti gli anni Ottanta del Novecento, oggi più che mai Torino è davvero quello che vuole uno degli stereotipi che la riguardano, ovvero una città-laboratorio. E forse proprio nell’assenza di un unico fattore caratterizzante si gioca la scommessa riguardante il suo futuro, tutt’ora aperta.
Il Salone del libro del Lingotto
Il 27° Salone internazionale del libro ha chiuso il 12 maggio 2014 con tanti numeri positivi: un incremento dei visitatori di circa il 3% rispetto al 2013, ma soprattutto il pubblico che ha affollato gli stand è tornato ad acquistare e, dopo anni di contrazione e la prima ripresa dello scorso anno, l’aumento medio di vendite rispetto al 2013 oscilla fra il 10 e il 20%. Ospite d’onore dell’edizione 2014 è stata la Santa Sede, che non solo ha esposto preziosissimi manoscritti della Biblioteca Vaticana, ma ha accolto i visitatori nel suo stand con un ‘cupolone’ fatto di libri, progettato da Roberto Pulitani. Prossimo paese ospite del Salone 2015 sarà la Germania. Susanna Tamaro, madrina del Salone 2014, ha tenuto la prolusione inaugurale, mentre tra gli incontri di maggior rilievo sono da ricordare il dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi e Claudio Magris, gli incontri con Federico Rampini, Piero Angela, Luis Sepúlveda, Niccolò Ammaniti, Piergiorgio Odifreddi. Particolare rilievo è stata data all’editoria indipendente con la macrosezione Officina. Editoria di progetto. Momento fondamentale di business per editori e agenti letterari di tutto il mondo anche quest’anno è stato l’IBF (International book forum), la Wall Street del Salone, sinonimo di scambio di diritti tra editori e agenti letterari italiani e stranieri. Tra le altre manifestazioni: lo stand del Veneto come regione ospite, il concorso Lingua Madre dedicato alla donne straniere residenti in Italia, l’editoria digitale, la letteratura per ragazzi, un ricordo della Prima guerra mondiale, gli eventi portati tra le vie e le piazze di Torino.
I valori dell’agroalimentare: da Torino al mondo
Fondato a Torino nel 2007, Eataly è il progetto che ha dato maggiori soddisfazioni al suo fondatore, Oscar Farinetti, classe 1954, piemontese di Langa, tiepido fautore del chilometro zero, ma piuttosto assertore degli scambi tra popoli attraverso l’offerta di prodotti di qualità eccellenti e possibilmente bio. Paradiso della qualità agroalimentare, Eataly è l’estensione a tutti i giorni dell’anno e a ogni angolo del pianeta del concetto del Salone internazionale del gusto – altra manifestazione torinese d’eccellenza, organizzata da Slow food®, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Torino a partire dal 1996 con cadenza biennale, in questa edizione del 2014 dedicata all'agricoltura familiare – con l’obiettivo di dimostrare che l’alta qualità può essere alla portata di tutti. Dopo la prima sede del Lingotto, Farinetti ha aperto non solo in altre città del Piemonte (Pinerolo e Monticello d'Alba, ma anche un secondo negozio a Torino in via Lagrange nel 2011) e in tutta Italia (Milano, Roma, Firenze, Genova, Bari, Bologna), ma è sbarcato anche a New York, Chicago, Istanbul, Dubai.