Tasso, Torquato
Nato a Sorrento l’11 marzo 1544, da Porzia de’ Rossi e da Bernardo, già scrittore celebre, T. subì assai presto i riflessi delle lotte politiche che percorrevano l’Italia di medio Cinquecento. A seguito del difficile percorso del padre, infatti, negli anni della fanciullezza a Torquato toccarono una serie di spostamenti: prima a Bergamo, poi a Urbino e Venezia. Gli studi, condotti a Padova e Bologna, e gli esordi poetici diedero i segni di una eccezionale precocità: già alla metà degli anni Sessanta, dopo la pubblicazione del Rinaldo (1562) e la stesura di uno scritto teorico (i Discorsi dell’arte poetica), T. si guadagnò un posto a Ferrara, al servizio del cardinale Luigi d’Este, con l’incarico di comporre un grande poema sulla crociata. La stesura della Gerusalemme liberata si protrasse lungo un decennio e giunse al termine nel 1575. La ‘revisione romana’ cui T. decise di sottoporre il poema (1575-76) si rivelò molto complessa e la stampa dell’opera venne di fatto abbandonata, mentre il poeta prese ad alternare viaggi con soggiorni sempre più inquieti a Ferrara. I rapporti con il duca Alfonso II d’Este si fecero tesi, anche per le preoccupazioni del poeta che giunse ad autodenunciarsi all’Inquisizione, prima a Ferrara, poi a Roma. L’ennesima reazione eccessiva a corte, nel marzo 1579, determinò la sua reclusione nell’ospedale di S. Anna, appena fuori dal castello estense.
La prigionia fu lunga e dolorosa (oltre sette anni), e T. tentò in vari modi di guadagnarsi appoggi per la liberazione, impegnandosi in una stagione intensa di letture e composizioni: anzi tutto le rime, poi i dialoghi filosofici e diverse centinaia di lettere. Nel frattempo, nel 1581, la Gerusalemme liberata venne pubblicata, in un testo messo insieme da diversi editori e che T. non avrebbe mai approvato. La liberazione giunse nell’estate del 1586, per interessamento di Vincenzo Gonzaga: T. trascorse il decennio successivo, al di là di alcuni soggiorni a Firenze e Napoli, tra Mantova e Roma, con la progressiva benevolenza delle gerarchie pontificie, soprattutto sotto Clemente VIII Aldobrandini. Continuò a scrivere le tessere di un poderoso corpus lirico e di un sistema di dialoghi, impegnandosi in due grandi progetti: un poema sulla genesi, il Mondo creato, e la revisione della Liberata, che approdò alla Gerusalemme conquistata, edita a Roma nel 1593. Stanco, di una delusione fattasi sofferenza fisica, T. non riuscì ad arrivare all’incoronazione poetica in Campidoglio che gli era stata promessa, e morì a Roma, presso il monastero di S. Onofrio, il 25 aprile 1595.
In uno dei dialoghi filosofici composti nella prima stagione di S. Anna, il Della precedenza, si legge l’unica menzione esplicita di M. entro tutte le opere tassiane:
[Agostino Bucci] [...] la distinzione che io farò sarà tolta dalla diversità de’ fini e de gli oggetti, dalla quale suole derivare ogni diversità.
[Agostino Forni] Con grande attenzione io m’apparecchio ad udire.
[A.B.] Gli stati tutti o sono ordinati all’accrescimento o alla conservazione.
[A.F.] Riconosco nelle vostre parole la dottrina del prudentissimo Nicolò Machiavelli, che delle cose de’ stati così bene scrisse ne’ suoi Discorsi che dopo Aristotele niuno altro per aventura ugual lode ha meritato, se non forse Polibio e ’l Guicciardino.
[A.B.] È dottrina del Machiavelli; ma gli stati che sono ordinati alla conservazione non possono in alcun modo proporsi il fine della monarchia, e tanta ampiezza di paese lor si conviene quanta basta alla conservazione: e se eccedono, l’eccesso non di perfezione ma d’imperfezione è cagione. Or, se ’l governo degli stati viniziani e se parimente il governo di quelli del duca di Ferrara alla conservazione è dirizzato, con altra misura debbono essere misurati che con quella che misura gli stati ordinati all’accrescimento...
(Della precedenza 59-61, in Dialoghi, a cura di E. Raimondi, 3° vol., 1958, pp. 487-88).
Questa pagina venne letta da Luigi Firpo come una sorta di elogio accademico, realizzato da «un conformista succube al principio di autorità» (introduzione a Tre scritti politici, 1980, p. 27) che si aggirava con scarsa consapevolezza su un terreno rischioso. Del passo è in effetti sorprendente la menzione piana, posto che le opere machiavelliane erano all’Indice da un paio di decenni, e l’ammirazione nitida per la quale M. risultava autorità indiscutibile in materia politica, pareggiata a due storici per diversi motivi a lui contigui, Polibio e Francesco Guicciardini. Il luogo richiamato era Discorsi I vi, un capitolo cruciale, nel confronto tra il modello romano e quello rappresentato da Sparta e Venezia, colto da T. e applicato nel confronto, entro un contesto assai diverso, tra la Repubblica veneziana e il ducato di Ferrara.
La cronologia di questa pagina del Della precedenza non è certa, ma sono convincenti le argomentazioni di Ezio Raimondi che vogliono il dialogo (e la terna di cui fa idealmente parte, insieme al Forno overo de la nobiltà e al Della dignità) pertinente alla prima stagione trascorsa a S. Anna, tra il 1579 e il 1580. Possibile dunque che la volontà tassiana di provarsi sul terreno del dialogo filosofico, così attestando la propria lucidità, spingesse le argomentazioni anche su versanti non troppo prudenti. È sempre della stessa stagione, e più precisamente della prima redazione del Nifo overo del piacere, il Gonzaga overo del piacere onesto, una discussione sul contrasto tra una prospettiva morale e una prospettiva utilitaristica (Dialoghi, cit., 2° vol., t. 1, pp. 186-88, per una pagina pertinente al Nifo; si veda anche 3° vol., pp. 448-57 per il Messaggiero) che sembra risentire delle argomentazioni di Principe xviii (L. Firpo, introduzione a Tre scritti politici, cit., p. 22). Oggetto del Gonzaga è la figura del perfetto ambasciatore, investito nella zona conclusiva del testo di una funzione di consiglio e persino di istruzione del principe che rimanda in modo nitido al precedente del Cortegiano. In questo intreccio di tematiche si conferma come la prospettiva della corte rimanesse costante nella riflessione del T., e si conferma anche la sua tensione a misurare uno scarto e un declino rispetto a quanto idealmente fissato da Baldassarre Castiglione: lo si nota soprattutto nel Malpiglio overo de la corte (1584), che ambiva a rappresentare un aggiornamento del Cortegiano e che individuava amaramente nell’infingere la virtù più necessaria al cortigiano di secondo Cinquecento.
Entro questa dinamica le tracce machiavelliane si concentrano intorno all’avvio degli anni Ottanta, e sembrano poi, come per una consapevole scelta di prudenza, quasi dissolversi nel seguito della scrittura dei dialoghi, anche in quella zona più avanzata, primi anni Novanta (Minturno overo de la bellezza, Porzio overo de la virtù), nella quale T. esaminava a fondo, su base aristotelica, le virtù di prudenza e saggezza che sono state analizzate da Gian Mario Anselmi. Fuori dalla scrittura di dialoghi, e lasciando qui indiscussa la questione della sovranità e dell’esercizio del potere entro la Liberata – questione implicata con la complessa riflessione sulla necessaria unità del poema – o ancora ricordando solo di passaggio alcuni versi del Torrismondo (I iii, vv. 795 e segg.), altri due testi meritano una segnalazione in chiave machiavelliana: la lettera politica a Giulio Giordani e la Risposta di Roma a Plutarco.
Retrodatata da Firpo al 1578, la lettera a Giordani nacque a margine di una conversazione urbinate, probabilmente stimolata anche dall’indiretto coinvolgimento di Sperone Speroni: T. vi si impegnò a discutere la preminenza di repubblica o principato sull’asse della durata, con richiami, ancora secondo Firpo, di «inconscio machiavellismo» (Tre scritti politici, cit., pp. 73 e 146-47). Altrettanto significativa la tangenza con passi dei Discorsi (I iv e II i) della Risposta di Roma a Plutarco, un’impegnativa orazione composta da T. verso la fine degli anni Ottanta, anche qui su richiesta di un nobile interlocutore quale Fabio Orsini. Nel prendere le difese della virtù dei Romani, rispondendo puntualmente al De fortuna Romanorum e al De fortuna vel virtute Alexandri di Plutarco – l’esemplare postillato si conserva oggi nella Biblioteca Apostolica Vaticana – T. andava a recuperare la riflessione dei Discorsi e in diversi passaggi, come anche nello scorcio conclusivo, echeggiava elementi e luoghi machiavelliani, seppure con prudenza e senza mai citare la celebre pagina del Segretario.
Nell’insieme, i testi tassiani raffrontabili con l’opera machiavelliana attestano un’apertura che in taluni passaggi sembra sormontare il contesto compatto di proibizioni, condanne e di crescente antimachiavellismo; sono pagine distribuite lungo poco più di un decennio, dal 1579 ai primi anni Novanta, ma è probabile che T. conoscesse le opere di M. già dalla giovinezza. Mancano supporti documentari per questa conoscenza e per le concrete letture che la determinarono: non solo non rimane traccia di volumi machiavelliani nei resti della biblioteca di T., né rimane alcuna registrazione negli inventari noti dei suoi libri, ma neppure entro l’epistolario si trova una menzione del Segretario, fosse pure la richiesta di un’autorizzazione di lettura come quella che T. inoltrò per un altro capolavoro finito all’Indice, il Decameron di Boccaccio (Le lettere, a cura di C. Guasti, 2° vol., 1854, pp. 224-25, nr. 230).
Bibliografia: Tutte le citazioni dai dialoghi tassiani sono tratte da Dialoghi, a cura di E. Raimondi, 3 voll., Firenze 1958. Si vedano inoltre: Le lettere, a cura di C. Guasti, 5 voll., 1852-1855 (con indicazione del numero d’ordine); Tre scritti politici, a cura di L. Firpo, Torino 1980, (in partic. introduzione pp. 7-82); Risposta di Roma a Plutarco, testo a cura di E. Russo, commento a cura di C. Gigante, E. Russo, Torino 2007, pp. 93-96.
Per i testi critici si vedano: G. Sasso, Machiavelli e i detrattori, antichi e nuovi, di Roma: per l’interpretazione di Discorsi I 4, in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 1° vol., Milano-Napoli 1987, pp. 401-536 (in partic. pp. 430-31); G. Scianatico, La questione della sovranità nei Dialoghi di Torquato Tasso, in Id., L’idea del perfetto principe. Utopia e storia nella scrittura del Tasso, Napoli 1998, pp. 94-96, 120, 133; Torquato Tasso e la cultura estense, a cura di G. Venturi, 3 voll., Firenze 1999 (in partic. G.M. Anselmi, Etica e politica nei Dialoghi, 1° vol., pp. 237-46; S. Prandi, I tre tempi della dialogistica tassiana, 1° vol., pp. 293-313).