Tossine
di Giuseppe Falcone
SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. Tossine batteriche: a) criteri di classificazione; b) stato molecolare ed eterogeneità; c) valutazione dell'azione tossica; d) produzione e sua regolazione; e) tossine come fattori di patogenicità; f) meccanismo d'azione. □ 3. Tossine di funghi, di vegetali superiori e di animali. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
Le tossine sono sostanze organiche complesse, prodotte da animali, vegetali e Protisti, che hanno la caratteristica di svolgere negli organismi viventi un'azione tossica al primo contatto, e di indurre, se inoculate in dosi subletali, uno stato di resistenza stimolando la produzione di anticorpi specifici. Tale immunogenicità le distingue dagli altri veleni di origine biologica.
Il termine ‛tossina' fu introdotto in biologia con la scoperta dei microrganismi patogeni, avvenuta nel periodo aureo della ricerca medica che coincise con l'opera fondamentale di L. Pasteur, di R. Koch e delle loro scuole, e con quella geniale di P. Ehrlich (v. microbiologia). Con la scoperta dei principali batteri patogeni, infatti, si pose urgentemente il problema, in realtà ancora oggi aperto, della comprensione del meccanismo con il quale essi producono malattia; ciò portò, nel 1884, alla dimostrazione che l'effetto letale esercitato da Corynebacterium diphtheriae era riferibile all'azione di una sostanza tossica solubile prodotta dal batterio. É. Roux e A. J.-É. Yersin nel 1888 isolarono tale sostanza e osservarono che la sua inoculazione in animali sensibili riproduceva il quadro tipico della malattia; tale acquisizione rappresentò un progresso fondamentale nello studio dell'azione patogena dei microrganismi.
Le ricerche successive mirarono all'identificazione dei vari prodotti tossici dei batteri patogeni, alla determinazione della loro natura chimica e del loro meccanismo d'azione e, non ultimo, alla messa a punto di mezzi idonei a neutralizzarne gli effetti tossici in vivo.
Si giunse così alla scoperta delle tossine tetanica e botulinica e, nel 1890, a quella dell'antitossina difterica a opera di E. von Behring e S. Kitasato. Fu allora possibile produrre sieri di cavallo ad azione protettiva, e si aprirono prospettive del tutto nuove per il controllo dell'effetto tossico in vivo.
L'approfondirsi delle conoscenze su tali sostanze consentì a Ehrlich di enunciare la prima teoria sulla loro azione biologica, secondo la quale la molecola della tossina avrebbe un gruppo ‛aptoforo' responsabile della sua fissazione ai recettori cellulari, la quale rende possibile l'estrinsecarsi della funzione specifica del gruppo ‛tossoforo'. Tale teoria ha rappresentato per lungo tempo uno schema valido per la sperimentazione e ha permesso la fertile evoluzione del pensiero scientifico sul meccanismo dell'azione tossica.
L'interesse per i molti aspetti biologici delle tossine fu stimolato in maniera determinante dalle numerose acquisizioni che si andarono rapidamente accumulando su quelle di origine batterica; d'altra parte, il fatto che la sperimentazione con esse non presentasse grosse difficoltà e la prospettiva che il loro studio contribuisse in maniera determinante alla comprensione della patologia infettiva condizionarono la scelta degli indirizzi di ricerca. Ciò può anche spiegare il motivo per cui sono rimaste invece frammentarie le conoscenze sulle tossine animali e vegetali, pur note, almeno alcune, da tempi remotissimi.
2. Tossine batteriche.
a) Criteri di classificazione.
Le tossine di origine batterica, a differenza di quelle animali, dei funghi e dei vegetali superiori e con la quasi esclusiva eccezione della tossina botulinica, non vengono introdotte preformate nell'organismo, ma sono elaborate dai batteri nell'ospite: esse rappresentano gli elementi classici della patogenicità batterica. La loro scoperta, alla fine del secolo scorso, chiarì in alcuni casi il meccanismo con il quale i batteri determinano malattia, ma portò altresì all'erronea convinzione che gli effetti dannosi esplicati dai batteri fossero da riportare esclusivamente alle tossine che producono. Oggi si sa, invece, che l'azione patogena è legata ai rapporti molto complessi che si stabiliscono tra ospite e parassita, e che può essere spesso in relazione anche con antigeni di per sé non tossici, ma capaci di determinare un danno all'organismo per lo stato di ipersensibilità che si stabilisce nei loro confronti.
Nel 1935 A. Boivin e L. Mesrobeanu estrassero dai corpi batterici di germi gram-negativi una sostanza tossica, non riscontrabile fra i prodotti extracellulari, che poteva dar conto di fatti patologici; si vennero così a distinguere le endotossine dalle esotossine, già note, che si ritrovano libere nel mezzo di coltura. Tale rigida schematizzazione, largamente accettata per lungo tempo, non può più esserlo oggi per diversi motivi; basta considerare che in particolari condizioni colturali germi gram-negativi possono liberare endotossine in assenza di lisi, attraverso la formazione di vescicole che, prendendo origine da evaginazioni della parete cellulare, nel cui strato più superficiale la tossina è localizzata, si liberano nel mezzo di coltura previa formazione di un meso. Nel 1950 W. E. Van Heyningen avvertì la necessità di una nuova classificazione e propose di considerare esotossine quelle prodotte dai germi gram-positivi ed endotossine quelle prodotte dai germi gram-negativi; ma poiché è stato dimostrato che microrganismi gram-negativi producono anche proteine tossiche con caratteristiche proprie delle esotossine, tale distinzione non sembra del tutto adeguata.
Altri criteri proposti, come quelli che prendono in considerazione il tipo di tessuto su cui le tossine agiscono o la loro differente natura chimica - essendo le endotossine complessi glicolipidici e le esotossine proteine - o ancora quello basato sull'alta e selettiva tossicità di queste ultime rispetto alle prime, non possono trovare, per motivi diversi, unanime consenso. Il criterio ideale potrebbe essere quello basato sull'intimo meccanismo d'azione delle tossine, ma le nostre conoscenze in proposito sono a tutt'oggi troppo scarse.
Allo stato attuale, pertanto, una classificazione valida, anche se non definitiva, potrebbe tener conto di alcuni aspetti fisiologici cellulari inerenti la produzione di queste molecole tossiche. A tale proposito si sa che la presenza di proteine batteriche nel mezzo di coltura può essere conseguenza della lisi di una frazione più o meno notevole della popolazione microbica, oppure dipendere dalla loro liberazione senza che la cellula subisca alterazioni tali da comprometterne i normali processi di crescita e divisione. Date le notevoli dimensioni delle molecole proteiche, è certo che il loro passaggio non può avvenire per semplice diffusione, bensì, più verosimilmente, secondo schemi già noti per le cellule superiori e forse notevolmente semplificati, che prevedono la sintesi di molecole proteiche su polisomi legati alla membrana cellulare e il loro passaggio diretto all'esterno. Ciò è conciliabile con la nozione che esistono alcuni enzimi attivi localizzati sulla membrana batterica, che l'unità fondamentale per la sintesi proteica in Escherichia coli e in Bacillus megatherium è rappresentata da un complesso labile membrana-ribosoma, e inoltre che a partire da preparazioni di membrane cellulari di Escherichia coli è stato possibile ottenere in vitro la sintesi di un enzima, quale la fosfatasi alcalina, che certamente è situato al di fuori della membrana cellulare e forse nella stessa parete. Il fatto che la sintesi della tossina difterica si attui appunto in stretta associazione con la membrana, tanto che la molecola neoformata si ritrova all'esterno dopo soli 30 secondi dalla sintesi, suggerisce che, probabilmente, analoghi meccanismi possono essere operanti anche nel caso di altre tossine batteriche.
Un ulteriore problema ancora aperto circa la liberazione di tossine nel mezzo in assenza di lisi è rappresentato dall'importanza che può rivestire al riguardo l'involucro più esterno, cioè la parete cellulare: non è, infatti, del tutto trascurabile, né pare essere casuale, il fatto che i germi gram-positivi, a parete più semplice, siano quelli nel cui terreno di coltura si ritrovano abitualmente tossine libere. È comunque evidente che il passaggio di una tossina all'esterno e la sua eventuale fissazione più o meno stabile sulla superficie cellulare sono fenomeni dipendenti sia dalle caratteristiche strutturali degli strati superficiali, sia dalle modalità di sintesi e dalle proprietà chimico-fisiche della proteina tossica. Le tossine sintetizzate sulla superficie saranno prontamente liberate al di fuori della membrana, onde la loro concentrazione endocellulare sarà minima, mentre quelle la cui sintesi si attua nel citoplasma si accumuleranno nella cellula e potranno essere liberate in seguito ad autolisi o con altri meccanismi non ancora del tutto noti, riportabili forse a pinocitosi inversa, a diffusione attraverso pori specifici, o a trasporto da parte di proteine localizzate nella membrana. Il problema, infine, della liberazione per autolisi di sostanze tossiche identificabili in costituenti strutturali dei batteri e, più precisamente, della loro parete, si pone in termini diversi, riguardando sostanzialmente il meccanismo della lisi cellulare e i fattori che la controllano.
Le tossine batteriche, pertanto, possono essere raggruppate in due categorie fondamentali: la prima comprende complessi molecolari identificabili in elementi strutturali normali della cellula, dotati di azione tossica e liberati soltanto per lisi; la seconda comprende le tossine in senso stretto, di natura proteica, che possono essere sintetizzate sulla superficie e quindi ritrovarsi labilmente legate a questa o libere nel mezzo, ovvero possono essere prodotte nel citoplasma e liberate poi per autolisi o altri meccanismi.
Al primo gruppo appartengono le endotossine, cioè i complessi molecolari propri della parete cellulare - come l'antigene O degli enterobatteri - originariamente ritenuti di natura glico-lipo-proteica. Ricerche più recenti hanno dimostrato l'assenza di proteine in preparazioni altamente purificate di endotossina, ma non si può del tutto escludere che in condizioni naturali tale associazione esista e che le proteine possano svolgere un ruolo importante nel caratterizzare dal punto di vista biologico le endotossine. È ormai assodato che la porzione glucidica del glicolipide conferisce alla molecola la specificità immunologica, mentre il lipide è responsabile delle proprietà tossiche del complesso, anche se il suo ruolo in tal senso non è del tutto chiarito: esso, infatti, non mostra di conservare integre le proprietà tossiche proprie del complesso se, una volta purificato, viene inoculato in un animale sensibile.
Al secondo gruppo appartengono le tossine classiche, che non si accumulano nel citoplasma in alcuna fase della crescita: la difterica, che raggiunge una concentrazione intracellulare massima inferiore allo 0,05% della quantità totale prodotta, l'alfa-tossina stafilococcica, la streptolisina O, la tossina eritrogenica, la tetanolisina, l'enterotossina B e l'alfa-tossina di Clostridium welchii.
In questo gruppo vengono comprese anche le tossine proteiche dei germi gram-negativi che sono liberate dopo accumulo nel citoplasma, quali le tossine di Bordetella pertussis, di Vibrio cholerae, di Shigella dysenteriae e di Pasteurella pestis.
b) Stato molecolare ed eterogeneità.
Le approfondite ricerche chimiche e immunologiche e i notevoli successi ottenuti nei tentativi di purificazione delle tossine più classiche hanno dimostrato che queste sono proteine non coniugate - per alcune delle quali è oggi nota la composizione in amminoacidi - che possono ritrovarsi in stati diversi di aggregazione e cioè come protossine, tossine semplici o complesse e miscele tossiche. Questo fatto, di notevole importanza biologica, crea problemi seri e difficili da superare nello studio dell'attività biologica svolta da tossine purificate. Alcune di queste, infatti, possono ritrovarsi, oltre che sotto forma di monomeri, anche come dimeri o polimeri; in tal caso se i gruppi tossofori delle singole unità resteranno esposti, la tossicità del complesso sarà additiva, corrisponderà cioè alla somma delle singole attività dei monomeri, mentre sarà più bassa se tali gruppi risulteranno mascherati nella condizione di aggregazione.
Le tossine botuliniche A, B ed E e l'alfa-tossina di Clostridium welchii, per esempio, sono liberate nel mezzo di coltura come protossine inattive o parzialmente attive; la loro tossicità viene espressa in maniera completa solo dopo attivazione a mezzo di enzimi proteolitici, cioè, probabilmente, per smascheramento di gruppi tossici, con meccanismi non del tutto noti, ma forse riferibili al distacco dalla molecola di piccoli frammenti inerti o alla sua depolimerizzazione nelle singole subunità. L'attivazione può avvenire spontaneamente nel mezzo di coltura per azione di enzimi proteolitici prodotti dai microrganismi nella fase stazionaria, come nel caso ben documentato di Clostridium botulinum, o attuarsi nell'interno della cellula, come sembra che si verifichi per la tossina tetanica.
L'esistenza di protossine che richiedono la frammentazione per estrinsecare la loro attività biologica rende conto della molteplicità molecolare osservata per alcune tossine, rilevabile come eterogeneità delle caratteristiche immunologiche, elettroforetiche e di comportamento all'ultracentrifuga. È noto che il peso molecolare della tossina botulinica risulta variabile entro i limiti estremi di 12.000 e 1.000.000 e che quella di tipo A, la prima tossina in senso assoluto ottenuta allo stato cristallino, si ritrova nei liquidi di coltura in due distinte forme molecolari, entrambe tossiche, rispettivamente con peso molecolare 150.000-200.000 e 400.000-450.000, e può essere artificialmente dissociata in unità tossiche aventi peso molecolare 70.000. Tale fenomeno si attua anche in vivo, tanto che, se la tossina A viene inoculata in ratti sotto forma di materiale con costante di sedimentazione di 17,9 S, la si ritrova nella linfa come molecola con costante di 7,9 S. Anche per la tossina tetanica, il cui peso molecolare fu originariamente stimato in 67.000, fu osservato da L. Pillemer e collaboratori che in preparazioni purificate andava spontaneamente incontro a perdita di tossicità, con contemporaneo aumento della costante di sedimentazione, verosimilmente per polimerizzazione e mascheramento dei gruppi tossofori.
La situazione, già così complessa per questa grande variabilità molecolare, viene ulteriormente complicata dal fatto che in alcuni casi le tossine richiedono più di una specie molecolare per esplicare la loro azione biologica e, più precisamente, due o più componenti che separatamente non hanno potere tossico. Ciò si verifica per le cosiddette tossine complesse e per le miscele tossiche, in realtà non ancora facilmente differenziabili tra loro, anche se dal punto di vista teorico si può ammettere che nelle prime i diversi componenti debbano legarsi tra loro perché la tossicità si esprima, mentre nelle seconde agiscano in concomitanza, conservando però la loro individualità. È il caso della tossina di Bacillus anthracis, costituita da tre componenti proteici che, se inoculati singolarmente in animali sensibili, non esercitano azione tossica, mentre l'associazione del primo e del secondo fattore determina edema e morte; il potere letale è notevolmente esaltato dall'aggiunta del terzo componente. Si ignorano i motivi per cui nell'esplicare l'azione biologica i singoli costituenti delle tossine complesse debbano essere legati chimicamente tra loro, così come poco si sa sul meccanismo con cui i diversi componenti delle miscele tossiche interagiscono tra di loro. A questo proposito è stata prospettata l'ipotesi che essi svolgano la loro azione indipendentemente l'uno dall'altro ma in modo tale che l'attività globale porti all'effetto tossico, oppure che essi agiscano sullo stesso substrato specifico in momenti successivi.
Una più approfondita comprensione di tutti questi fenomeni potrà contribuire notevolmente a migliorare le nostre conoscenze sulle basi molecolari dell'attività tossica.
c) Valutazione dell'azione tossica.
L'impossibilità di ottenere direttamente dalle colture preparazioni pure e omogenee delle varie tossine batteriche pone il problema del loro dosaggio, che non può essere ovviamente basato su criteri gravimetrici e neppure chimici, in quanto i metodi per il riconoscimento, per esempio, delle proteine mancano degli elementi di specificità atti a rilevarne anche l'eventuale potere tossico. La tossicità, infatti, è un effetto squisitamente biologico e perciò apprezzabile soltanto su sistemi viventi; essa può esplicarsi come azione letale per l'animale sensibile, come attività necrotizzante ed eritematigena sui tessuti, come aumento della permeabilità vascolare, ecc. Talora l'azione delle tossine è altamente selettiva, come nel caso delle neurotossine, delle enterotossine e di alcune che agiscono per via enzimatica.
L'azione biologica delle tossine, perciò, è stata sempre studiata in vivo e sono stati elaborati metodi più o meno complessi per valutare la risposta di animali di laboratorio verso la stessa dose di tossina, onde stabilire il peso da attribuire alle differenze di suscettibilità dei singoli individui di una popolazione. La titolazione, pertanto, va effettuata in gruppi molto omogenei di animali di una determinata specie suscettibile, che possegga cioè il substrato adatto perché l'azione tossica si svolga, e in condizioni tali da permetterne l'evidenziazione; la tossina botulinica, per esempio, inoculata nella rana, non esplica alcuna azione se l'animale è tenuto a 16 °C, mentre ne provoca la morte a 30 °C. Non meno importante è la scelta della via di somministrazione, che deve essere tale da garantire alla tossina la possibilità di raggiungere inalterata le cellule sensibili. Parlare di tossicità, quindi, non ha alcun significato se non si indica, oltre alla specie animale, la via di somministrazione adoperata.
Nel tentativo di superare tali difficoltà si è fatto ricorso, per la titolazione delle tossine, all'uso di colture cellulari, ma il loro impiego, soddisfacente in alcuni casi, come per la difterica, presenta in genere inconvenienti gravi, allo stato attuale non facilmente superabili, quali la difficile standardizzazione delle colture nei vari laboratori e l'estrema sensibilità dei monostrati all'azione tossica aspecifica di sostanze presenti nel mezzo, anche in minima concentrazione. D'altra parte non è del tutto corretto dedurre dai risultati di queste indagini in vitro l'attività di una tossina in vivo, in quanto le cellule in coltura, sottratte alle influenze endocrine e nervose, vanno incontro a fenomeni di sdifferenziazione con variazioni delle caratteristiche morfologiche, enzimatiche e cariotipiche che possono alterarne le proprietà funzionali e modificarne la suscettibilità.
d) Produzione e sua regolazione.
La produzione di tossine è sottoposta agli stessi sistemi di regolazione operanti nelle sintesi proteiche. Si deve prospettare, quindi, anche per essa l'esistenza di geni strutturali e di geni regolatori e considerare l'influenza dei fattori ambientali sull'espressione di questi. Il significato, però, della produzione di molecole tossiche da parte dei batteri ci sfugge ancora nella sua completezza, soprattutto perché non si hanno indicazioni chiare su quello che esse rappresentano per la cellula. Il considerarle, in quanto proteine, come enzimi di cui non è noto il substrato è suggestivo, ma mancano sufficienti dimostrazioni in tal senso, anche se la loro altissima tossicità induce a ritenere che agiscano per via catalitica, svolgendo, cioè, una funzione biologica che è precipua degli enzimi.
Suggestivo è anche l'ammettere che esse possano interagire con molecole enzimatiche proprie dell'ospite, attivandole o inibendole, analogamente a quanto si osserva per le fosforilasi e per i biotinenzimi, come le carbossilasi, inibiti dall'avidina del bianco d'uovo crudo. In effetti, molti germi producono enzimi extracellulari come quelli di tipo proteolitico, streptochinasi, ialuronidasi, collagenasi, ecc., ma per essi non è stato ancora dimostrato un ruolo importante nel determinismo del fatto patologico; l'alfa-tossina di Clostridium welchii è forse, allo stato attuale, l'unica di cui si conosca il meccanismo d'azione a livello enzimatico e il fondamentale ruolo patogenetico.
Ritenere, d'altra parte, le tossine batteriche come metaboliti secondari, cioè prodotti naturali con ristretta distribuzione tassonomica, privi di una funzione evidente nella crescita cellulare e sintetizzati dal microrganismo quando esso cessa di dividersi, non è soddisfacente in quanto non si comprende un così grande dispendio energetico da parte della cellula per molecole apparentemente non necessarie al suo metabolismo.
Un'indicazione sul significato fisiologico delle tossine ci viene fornita dalle condizioni che ne caratterizzano la produzione nei Clostridi. È noto infatti che questi microrganismi, a eccezione di Clostridium oedematiens, producono tossine alla fine della fase di crescita esponenziale e che la tossicità dei filtrati aumenta con la lisi cellulare, che si verifica in concomitanza con la sporificazione. Mutanti asporigeni di Clostridium histolyticum, bloccati in fase di presporificazione, producono alfa-tossina in quantità enormemente ridotta rispetto al ceppo selvaggio, mentre altri mutanti, bloccati al secondo stadio della sporificazione o in stadi successivi, ne sono normali produttori. È stata così suggerita l'ipotesi che la produzione di tossina sia strettamente correlata con una fase precoce del processo di sporificazione; il fatto poi che i revertanti di tali ceppi presentino la reversione contemporanea dei due caratteri mutati lascia pensare che essi siano conseguenza di una mutazione che abbia interessato un solo gene, ma non vi sono indicazioni che chiariscano se si tratta del gene strutturale per la molecola di tossina o di quello regolatore che controlla sia la sintesi di questa, sia la sporificazione. La situazione, inoltre, non è ancora ben definita in questo senso, giacché non mancano indicazioni di possibilità diverse; G. Paquette e V. Fredette, infatti, hanno isolato, in seguito a trattamento con acridina, mutanti non tossigeni di Clostridium welchii, il che fa sorgere il problema dell'eventuale controllo della produzione di tossina da parte di un fago o di un episoma, cioè di elementi di DNA estranei al cromosoma cellulare.
Un aspetto particolare della tossinogenesi è quello osservato da V. J. Freeman nel 1951: alcuni ceppi di Corynebacterium diphtheriae non tossigeni acquistano tale proprietà in seguito a lisogenizzazione con fagi provenienti da stipiti tossigeni e, più precisamente, col fago beta. La tossina liberata non sarebbe preformata nella cellula, ma piuttosto prodotta ex novo, come è stato dimostrato da N. B. Groman e L. Barksdale, sotto informazione genetica introdotta dal fago. Tale informazione, a differenza di quanto accade per i fagi trasducenti, è contenuta nel genoma fagico, anche se non si può escludere che il gene, originariamente cellulare, si sia inserito, per fenomeni analoghi a quelli che si verificano nella formazione di fagi temperati trasducenti, nel genoma di un fago non difettivo. Già nel 1883 il San Felice aveva osservato che la produzione di tossina poteva essere indotta in bacilli tetanici non tossigeni per aggiunta di un filtrato di coltura di germi tossigeni, e nel 1927 M. Frobisher e J. H. Brown descrissero l'azione di un agente filtrabile, proveniente da ceppi di streptococchi beta-emolitici isolati da casi di scarlattina, che induceva la produzione di tossina eritrogenica da parte di altri stipiti. Solo, però, dopo gli studi sulla tossinogenesi in Corynebacterium diphtheriae è stato possibile comprendere come in questo secondo caso, e forse anche nel primo, responsabile dell'acquisizione della proprietà tossigena sia un fago capace di conversione.
Vi sono indicazioni che fanno pensare che anche la produzione di alcune tossine stafilococciche, quali l'alfa-tossina e la fibrinolisina, e di altre streptococciche, quali la ialuronidasi, sia legata a fenomeni analoghi di eredità infettiva. Ulteriori ricerche in tal senso potranno forse stabilire l'esistenza di una situazione analoga anche per la produzione di altre tossine, e chiarire l'eventuale importanza dei fagi nell'elaborazione di altri prodotti cellulari.
Le condizioni ambientali, e in particolare la concentrazione di alcuni composti inorganici, possono influenzare la produzione di tossine. L'esempio paradigmatico è rappresentato dalla dimostrazione di A. M. Pappenheimer e collaboratori che Corynebacterium diphtheriae in presenza di concentrazioni limitanti di ferro produce tossina e coproporfirina III e che, aumentando la concentrazione del ferro, per ogni due atomi aggiunti si ha la scomparsa di una molecola di tossina e di due di coproporfirina. Ciò indusse a ritenere che la tossina difterica non fosse altro che la parte proteica del citocromo b1 della cellula batterica, ipotesi che non è stata però confermata. L'importanza del ferro è comunque certa; Sato e Kato, per esempio, hanno identificato e isolato da cellule cresciute in eccesso di ferro una frazione proteica capace di inibire completamente la sintesi della tossina in sistemi acellulari. Si tratta di una porfirina contenente ferro con attività catalasica, inibita dalla tripsina; non è noto il meccanismo col quale essa agisce, ma vi sono indicazioni di una sua interferenza con l'mRNA che serve da stampo per la sintesi di tossina difterica o, in via alternativa, di una sua azione come repressore per tale sintesi.
Un altro contributo circa l'aspetto fisiologico della produzione di tossina difterica è derivato dagli studi comparativi condotti su ceppi tossigeni e non tossigeni in terreni privi di ferro, dai quali è risultato che entrambi gli stipiti accumulano nel terreno quantità uguali di porfirina e protema, ma, mentre la proteina prodotta dal ceppo tossigeno è risultata, almeno per il 50%, tossica, antigenica e monodispersa, quella prodotta dall'altro ceppo non era tossica né antigenica ed era polidispersa. Ciò ha indotto a ritenere che gli stipiti non tossigeni contengano un fattore non diffusibile e forse identificabile in una proteasi capace di scindere la tossina in subunità non tossiche.
Anche la produzione di tossina tetanica, di neurotossina dissenterica e di alfa-tossina di Clostridium welchii sembra essere controllata dalla concentrazione di ferro nel mezzo; pare che anche lo zinco abbia importanza nel regolare la produzione di alcune tossine e in particolare è noto che esso influenza, con meccanismo ancora non precisato, la sintesi di alfa-tossina in Clostridium welchii.
e) Tossine come fattori di patogenicità.
L'estrinsecazione del potere patogeno dei microrganismi presuppone la sopravvivenza e la moltiplicazione di questi nei tessuti, condizioni che si realizzano grazie all'attività di fattori batterici, le aggressine, che permettono di superare le difese naturali dell'ospite. La patogenicità, cioè la capacità di determinare un fatto patologico, si identifica con la produzione stessa di tossina per quei germi che producono sostanze dotate di altissima tossicità e tali da produrre da sole i sintomi tipici della malattia. È il caso delle tossine classiche, la cui produzione è una prerogativa propria di poche specie patogene, quali per esempio Corynebacterium diphtheriae, Clostridium tetani, Clostridium botulinum.
In moltissimi altri casi, invece, le tossine non sono i soli fattori responsabili del quadro morboso, come è suggerito da alcune osservazioni: anche ceppi avirulenti producono tossine; alcune tossine iniettate nell'animale non riproducono il quadro completo della malattia; gli anticorpi antitossine non hanno sempre effetto protettivo. Esempi tipici sono rappresentati dall'alfa-tossina di Staphylococcus aureus, dalla tossina eritrogenica, dall'alfa-tossina di Clostridium welchii e dall'endotossina dei germi gram-negativi.
Per la maggior parte dei germi patogeni, quindi, i meccanismi con cui si attua il fatto patologico sono ancora poco noti e non è sempre chiaro il ruolo sostenuto dalle tossine e dagli enzimi prodotti. Questa situazione è resa spesso più complessa dall'instaurarsi di uno stato di ipersensibilità anche verso prodotti batterici di per sé non tossici, il che può avere un'importanza fondamentale nel quadro morboso, anche se l'ipersensibilità verso un determinato antigene microbico non implica necessariamente una sua importanza nella patogenesi della malattia. Non vi è dubbio, infatti, che le alterazioni patologiche osservabili nel corso dell'infezione tubercolare siano da riferire fondamentalmente all'ipersensibilità verso i costituenti del micobatterio; lo stesso fenomeno è stato ampiamente dimostrato nella lebbra, nella febbre reumatica e nella brucellosi cronica. Anche in molte altre infezioni batteriche sono svelabili a mezzo di test cutanei un'ipersensibilità di tipo ritardato e, a volte, fenomeni di tipo Arthus verso prodotti microbici, cosicché in teoria non si può escludere per nessuna malattia infettiva che alcuni aspetti delle manifestazioni morbose siano da riportare a fenomeni del genere: ciò è particolarmente valido per quelle ad andamento cronico, caratterizzate dalla persistenza intracellulare del parassita.
La possibilità, infine, che attività microbiche modifichino particolari costituenti dell'ospite in maniera tale da renderli irriconoscibili da parte del sistema immunocompetente, vale a dire veri e propri autoantigeni in grado di provocare fenomeni di autoimmunità, non è da trascurare, anche se la dimostrazione non è sempre agevole (v. immunologia e immunopatologia: Malattie autoimmuni).
Per molti decenni, nel tentativo di chiarire il ruolo svolto da una tossina nel determinismo delle alterazioni patologiche causate da un microrganismo, si è pensato di valutare in vivo l'attività tossica di prodotti ottenuti in vitro e di studiare l'eventuale azione protettiva esplicata da anticorpi specifici. In molti casi, purtroppo, tali metodi sono risultati inadeguati, sia perché alcune tossine possono essere prodotte in vitro e non in vivo, sia perché esse, quand'anche prodotte, possono non avere un evidente significato patogenetico. Poiché, d'altra parte, in vivo possono agire prodotti non dimostrabili in vitro, si è avvertita l'esigenza di studiare la produzione di tossine da parte di batteri patogeni in un ambiente più naturale di quello realizzabile nelle colture di laboratorio, quale può essere garantito dai tessuti di animali sensibili; ciò ha portato alla scoperta di tossine mai prima messe in evidenza nelle colture, come quella di Pasteurella pestis e quella già citata di Bacillus anthracis. Questi sistemi hanno permesso di porre in luce situazioni particolarmente complesse e non ancora chiarite nella loro essenza: così è stato visto che Pasteurella pestis, mentre in vitro produce solo una tossina letale per il topo, in vivo ne produce anche una letale per la cavia, costituita da due componenti proteici, distinti sia dalla tossina murina sia dal lipopolisaccaride.
L'impossibilità di dimostrare la capacità di un batterio di produrre tossine può dipendere anche dalla mancanza di sistemi adeguati a svelare l'azione tossica di eventuali prodotti. Così, il fatto che né cellule né filtrati acellulari di Vibrio cholerae esercitino azione tossica se inoculati in animali, ha rappresentato per molto tempo un vero enigma che è stato recentemente risolto con la dimostrazione che filtrati di colture, inoculati nell'ansa ileale legata di coniglio, determinano il passaggio di liquido nel lume intestinale non per danneggiamento dell'epitelio né per aumentata permeabilità dei vasi a grosse molecole, ma piuttosto per stimolazione dell'epitelio intestinale alla secrezione. Tale sistema sperimentale si è dimostrato ulteriormente utile permettendo di evidenziare in ceppi enteritogeni di Escherichia coli una tossina prima ignorata, onde si prospetta la possibilità che altre tossine vengano svelate con simili mezzi e che siano messi a punto metodi analoghi per più approfondite indagini sull'azione tossica di prodotti batterici.
f) Meccanismo d'azione.
Siccome le tossine batteriche esplicano azione tossica su tessuti diversi, sorge ovviamente, per ciascuna di esse, il problema di individuare il meccanismo con cui si svolge tale azione e il modo in cui la tossina riesce a raggiungere quei tessuti sui quali, in ultima analisi, si esplica l'azione farmacologica.
Ehrlich fu il primo a prospettare l'ipotesi che le tossine agissero in quanto in grado di fissarsi a speciali recettori del protoplasma per l'alta affinità esistente tra questi e il loro gruppo aptoforo. A. von Wassermann e K. Takaki dimostrarono nel 1898 la specificità del processo: essi, infatti, osservarono che un estratto di cervello, e in grado minore uno di midollo spinale, era capace di fissare la tossina tetanica tanto da rendere poi atossica la miscela che la conteneva. Tale fenomeno pose il problema del riconoscimento delle sostanze responsabili della fissazione: per molto tempo questa fu messa in rapporto con la presenza nei recettori specifici di lipidi, di proteine o di complessi lipoproteici. Ricerche di W. E. Van Heyningen hanno dimostrato che alla base della fissazione ai tessuti della tossina tetanica vi è la sua combinazione con un ganglioside, dovuta alla presenza nella molecola di quest'ultimo di una unità di galattosio terminale e di acido sialico. Il ganglioside, di per sé idrosolubile, forma con cerebrosidi e sfingomieline complessi insolubili, i più attivi dei quali sembra contengano ganglioside in proporzione del 25%. La tossina viene fissata da parte del tessuto nervoso di animali a essa sensibili, ma non da quello di animali naturalmente resistenti come la rana, nella quale il ganglioside non è complessato e perciò è solubile e incapace di operare la fissazione. Ancora oggi non è chiaro il significato della fissazione, ma è certo che l'effetto letale della tossina non è identificabile con tale fenomeno. Il problema, di carattere generale, dell'identificazione dei recettori specifici e del significato della fissazione a questi delle tossine è ancora attuale e probabilmente lontano dall'essere risolto, anche se si vanno continuamente accumulando progressi in tal senso. Ne è un esempio la recente dimostrazione che l'enterotossina colerica, secreta dai vibrioni nel lume intestinale dell'ospite, si fissa ai gangliosidi delle membrane cellulari. La tossina, che è una proteina termolabile con peso molecolare 87.000, è costituita da una subunità maggiore, biologicamente inerte, che funge da carrier, e da un frammento attivo, più piccolo, con peso molecolare 27.000, che fissandosi al recettore di membrana attiva l'adenilciclasi cellulare, innalzando i livelli intracellulari di AMP ciclico. Ciò comporta una più intensa secrezione di cloruri, l'inibizione dell'assorbimento del sodio da parte delle cellule della mucosa e il passaggio di grosse quantità di acqua nel lume intestinale, onde la diarrea profusa che, nei casi più gravi, può raggiungere il volume di un litro per ora. La forte perdita di liquido isotonico, di bicarbonato e di potassio determina quindi acidosi e shock ipovolemico.
Il fatto che alcune prostaglandine innalzano il contenuto intracellulare di AMP ciclico suggerisce la possibilità che la tossina sia stereochimicamente simile a uno di tali ormoni e che una volta fissata alle cellule intestinali ne stimoli l'attività adenilciclasica, in maniera però incontrollata e continua, contrariamente a quanto si verifica per le prostaglandine, la cui azione è intermittente e controllata. Conseguentemente, gli studi sulla tossina colerica hanno contribuito enormemente alla chiarificazione del ruolo dell'AMP ciclico nella crescita e nella differenziazione cellulare; è stato infatti dimostrato che la tossina attiva la lipolisi e la glicogenolisi, inibisce la sintesi di DNA e la proliferazione cellulare e stimola l'attività tirosinasica e la deposizione di melanina in melanociti di topo.
Le modalità con le quali le tossine raggiungono le cellule a esse sensibili non sono sempre evidenti e rappresentano un altro aspetto di importanza fondamentale per comprendere come, nel corso dell'infezione, si realizzino i fatti patologici; ciò è particolarmente vero per le tossine ad azione elettiva sul sistema nervoso.
La diffusione della tossina tetanica dalla sede di produzione al sistema nervoso centrale (SNC), per esempio, è una delle questioni da molto tempo in discussione e ancor oggi controversa. Nel 1892 A. Bruschettini studiò tale problema e pervenne per primo alla conclusione, ampiamente confermata in tempi recenti, che la tossina tetanica diffonde per via neurale dai muscoli ai nervi motori e, lungo questi, attraverso le radici anteriori fino al midollo spinale. A questo riguardo, anzi, G. N. Kryzhanovski dimostrò che l'integrità delle vie motrici è un presupposto indispensabile perché la tossina inoculata in un muscolo raggiunga i centri nervosi, mentre nessuna o scarsissima importanza hanno a tal proposito le vie sensitive.
La diffusione della tossina per via nervosa, se non rende conto di per sé della generalizzazione della sintomatologia del tetano, permette bensì di comprendere come l'introduzione di antitossina in alte dosi impedisca la comparsa del tetano generalizzato, ma non di quello locale, in cavie inoculate con tossina per via intramuscolare. La generalizzazione del tetano fu originariamente interpretata come espressione della diffusione della tossina nell'organismo per via linfatica ed ematica e della successiva fissazione al SNC. In effetti oggi si tende a ritenere che, pur verificandosi il passaggio in circolo della tossina tetanica, essa raggiunga i centri nervosi sempre per via neurale: in sostanza, cioè, la diffusione per via ematica sarebbe il presupposto essenziale perché si verifichi l'interessamento della totalità delle vie nervose periferiche.
La diffusione della tossina ai centri lungo le vie nervose avviene sia per progressione lungo gli spazi tra fibra e fibra, sia per trasporto lungo l'assoplasma delle singole fibre nervose; in questo caso la tossina penetra nelle terminazioni nervose periferiche e per via retrograda raggiunge il soma delle cellule nervose. A tale livello la tossina agisce, rispetto ai mediatori chimici inibitori, con meccanismo competitivo, analogo a quello svolto dalla stricnina. Pertanto le due sostanze convulsivanti agiscono solo sulle attività dei neuroni centrali che risentono dell'azione di interneuroni inibitori. Esse sono necessariamente inefficaci sui riflessi monosinaptici, mentre potenziano grandemente i riflessi polisinaptici.
Quale sia, però, il meccanismo più intimo dell'azione tossica ancora ci sfugge e non si comprende in qual modo l'inibizione della triosofosfatodeidrogenasi e l'aumento dell'attività ATP-asica, fruttosio-1,6-difosfatoaldolasica e latticodeidrogenasica, dimostrati nel muscolo avvelenato, possano essere interpretati come effetti specifici della tossina tetanica.
Questi aspetti non del tutto chiariti, concernenti l'azione della tossina tetanica, rappresentano i problemi ancora vivi di un po' tutte le tossine batteriche; le recenti tecniche di separazione e purificazione ci lasciano sperare che presto lo studio dell'azione tossica possa essere attuato anche a livello molecolare. Infatti l'approfondimento delle conoscenze sulla chimica di queste proteine e soprattutto sulla sequenza degli amminoacidi e sulle loro più fini caratteristiche strutturali potrà forse permettere di riportare a determinati raggruppamenti chimici la loro azione tossica.
Sussiste, comunque, vivo l'interesse, già allo stato attuale delle conoscenze, per l'azione farmacologica delle tossine batteriche; sotto tale aspetto vanno nettamente distinte le tossine proteiche, ad azione specifica, dalle endotossine. Queste ultime, infatti, possedendo svariate proprietà biologiche comuni e aspecifiche, pongono il problema di uno studio unitario mirante soprattutto a chiarire come la molteplicità di azione possa essere ricondotta a uno stesso tipo di complesso molecolare e attraverso quali meccanismi si attui la loro multiforme tossicità. Le endotossine causano entro una o due ore dall'inoculazione uno stato di shock che può portare a morte l'animale, determinano aborto e necrosi emorragica dei tumori, ed esercitano un'azione pirogena caratterizzata da un lieve e rapido rialzo termico seguito, dopo circa 30 minuti dall'inoculazione, da un ulteriore e prolungato aumento della temperatura per liberazione di pirogeno endogeno dai leucociti (v. febbre). Dopo ripetute iniezioni, infine, esse determinano uno stato di tolleranza, per cui il loro effetto tossico si riduce notevolmente.
Un aspetto particolare del ruolo patogenetico è rappresentato dal fenomeno di Sanarelli-Schwarzmann, che consiste in una particolare reazione necrotico-emorragica che può essere prodotta nella cute o in alcuni organi. Nel primo caso esso può essere evocato per iniezione nella cute di coniglio di una piccola quantità di endotossina, seguita da una successiva inoculazione per via endovenosa, dopo 24 ore, di un'analoga dose della stessa o di altra endotossina, mentre nel secondo caso le somministrazioni vengono effettuate entrambe per via endovenosa. Il fenomeno, tutt'altro che chiarito nei suoi molteplici aspetti, sembra riportabile alla capacità delle endotossine di indurre aumento lento e prolungato della coagulabilità ematica intravascolare e di interferire con la funzione fagocitaria del sistema reticoloendoteliale. In seguito alla prima iniezione si formerebbero piccoli coaguli intravascolari rapidamente eliminati dal reticoloendotelio; con la seconda inoculazione di endotossina, che deprime l'attività di questo, i coaguli non più rimossi bloccherebbero i piccoli vasi. Non è affatto chiaro se fenomeni del genere siano implicati nella patologia infettiva, per quanto sia stato suggerito che essi possano essere alla base delle lesioni emorragiche osservabili, per esempio, nel corso di infezioni meningococciche.
L'attivazione intravasale della coagulazione da parte dell'endotossina è inoltre alla base della sindrome da coagulazione intravasale disseminata, termine con cui si designa il complesso delle reazioni e degli effetti provocati dalla deposizione intravascolare diffusa di fibrina. Sembra che le lesioni tromboemboliche ed emorragiche generalizzate, tipiche di tale condizione, siano in alcuni casi in rapporto con la capacità di un'endotossina sia di esercitare un'azione lesiva sui granulociti (che liberano materiali con attività di tipo tromboplastinico) e sulle piastrine (che con la liberazione del fattore III accelerano la formazione di trombina), sia anche di provocare l'attivazione del fattore XII del sistema della coagulazione, o fattore di Hageman, oltre che del proattivatore del plasminogeno e del sistema che porta alla produzione di chinine. Mentre, infatti, la plasmina prodotta ridurrà la quantità di fibrina formata, le chinine liberate determineranno l'ulteriore attivazione del fattore di Hageman, amplificando cosi tutto il sistema, e modificheranno la permeabilità vascolare con effetti emodinamici di notevole rilevanza. In effetti esistono meccanismi regolatori che tendono a impedire a sostanze come l'endotossina l'eccessiva attivazione di tali sistemi, per esempio l'inibitore di C1, il quale blocca non solo l'attivazione del primo fattore complementare, ma anche quella del fattore di Hageman, della plasmina e delle chinine; qualora però la quantità di endotossina sia elevata, tali meccanismi omeostatici saranno inefficaci.
Il sistema complementare, effettore della batteriolisi immunitaria e mediatore chiave del processo infiammatorio, consiste in un complesso di fattori proteici presenti nei compartimenti extracellulari come precursori inattivi, che possono essere attivati sequenzialmente (v. immunologia e immunopatologia). In molti casi ciò implica una scissione proteolitica con la formazione di due frammenti, di cui il minore contribuisce allo sviluppo del processo infiammatorio, mentre il maggiore, agendo specificamente sul fattore successivo, consente il progredire della reazione complementare. L'attivazione classica del sistema viene operata da complessi antigene-anticorpo, attraverso la reazione della regione CHI e CHII del frammento Fc della molecola immunoglobulinica col primo fattore complementare C1. L'attivazione del fattore C3 è uno stadio importante in quanto comporta l'attivazione irreversibile della ‛cascata complementare' e inoltre perché il frammento più piccolo è attivissimo nel determinare la liberazione di sostanze che aumentano la permeabilità vasale, la degranulazione dei mastociti, l'azione chemiotattica, l'aggregazione piastrinica. È di notevole importanza il fatto che, in via alternativa, il C3 può essere attivato direttamente da sostanze diverse, tra cui l'endotossina dei batteri gram-negativi, attraverso un sistema di proteine del siero detto properdinico (in quanto la proteina più importante ne è appunto la properdina) con esclusione dei primi fattori complementari.
L'endotossina, innescando la cascata del complemento, attraverso la plasmina prodotta agisce per via proteolitica sul C1 attivandolo, o direttamente sul sistema properdinico con conseguente formazione di C3-convertasi, determinando appunto la liberazione di sostanze che aumentano la permeabilità vasale, la degranulazione dei mastociti, il richiamo di leucociti e l'aggregazione delle piastrine; l'azione del complemento sulle piastrine e sui mastociti, con la conseguente liberazione di fattori solubili, contribuisce anch'essa, e in maniera determinante, all'instaurarsi della sindrome da coagulazione intravasale.
Si formano in definitiva, nell'interno dei vasi, aggregati piastrinici e depositi di fibrina che non possono essere rimossi dal sistema reticoloendoteliale, che, come è noto, può essere bloccato dall'endotossina.
Le tossine proteiche, come si è detto, svolgono un'azione più specifica delle endotossine; si è già fatto cenno alle azioni esplicate dalla tossina di Vibrio cholerae sulla mucosa intestinale e da quella tetanica sul sistema nervoso centrale, sul quale agiscono anche altre tossine, quali la tossina termolabile di Bordetella pertussis e, pur se in via indiretta, la neurotossina di Shigella dysenteriae.
La tossina botulinica, che è la più potente sostanza tossica conosciuta, essendo l'attività specifica, per mg di azoto, di quella di tipo A pari a 220 × 106 DML per il topo, svolge la sua azione a livello del sistema nervoso periferico. Se ne conoscono sette tipi immunologici, in base ai quali sono riconoscibili altrettanti tipi di Cl. botulinum. La tossina botulinica agisce su tutte le terminazioni colinergiche del sistema nervoso periferico, fibre autonome pre- e postgangliari del sistema nervoso autonomo e fibre motrici che innervano i muscoli scheletrici. È stato dimostrato che la paralisi che caratterizza l'intossicazione botulinica non è dovuta al blocco del passaggio degli impulsi lungo le fibre nervose, cioè sembra che la tossina non blocchi la propagazione del potenziale d'azione nervoso, ma piuttosto inibisca la liberazione dell'acetilcolina a livello delle placche neuromuscolari; essa penetrerebbe a livello delle terminazioni presinaptiche delle fibre nervose bloccando i meccanismi che portano al rilascio del trasmettitore colinergico e non influenzandone la sintesi o l'accumulo nelle vescicole sinaptiche. Il suo meccanismo d'azione è quindi diverso da quello del curaro che, com'è noto, previene l'azione dell'acetilcolina bloccando i recettori colinergici a livello della membrana postsinaptica della fibra muscolare (v. sinapsi). Non si sa a che cosa sia dovuta la diversa suscettibilità dei vari animali né si conoscono perfettamente le ragioni per cui la tossina botulinica rimane attiva pur essendo introdotta per via digerente; problema, questo, ancora aperto per tutte le tossine che vengono prodotte o introdotte per tale via. La resistenza all'idrolisi acida e la possibilità di disaggregazione in subunità altamente tossiche, comunque, sembrano essere di importanza fondamentale al fine di garantirne una concentrazione nell'intestino tale da rendere possibile il passaggio attraverso la parete intestinale - nonostante la scarsa permeabilità di questa alle proteine - di quelle poche molecole sufficienti a determinare l'intossicazione. L'azione altamente specifica della tossina botulinica ha consentito la comprensione dei meccanismi subcellulari che modulano, mediante la liberazione di acetilcolina, la trasmissione nervosa a livello della placca neuromuscolare.
Agisce sul sistema nervoso periferico anche un'altra tossina batterica, quella difterica, la quale induce paresi atonica asimmetrica per danneggiamento selettivo delle cellule di Schwann, mentre il danno a carico del cilindrasse è lieve; a ciò sono da attribuire le paralisi che possono verificarsi durante la malattia. La sua azione fondamentale, però, è quella esplicata sull'apparato cardiovascolare; essa è responsabile del collasso circolatorio acuto, a esito letale, osservabile talora nel corso di gravi forme di difterite.
Lo studio del meccanismo con cui questa tossina agisce e le ricerche di A. M. Pappenheimer ed E. D. Hendee sui rapporti col sistema citocromico destarono un enorme interesse per l'eventuale ruolo che gli enzimi delle cellule batteriche possono svolgere nell'azione tossica. Questi autori, infatti, avanzarono l'ipotesi che la molecola della tossina fosse molto simile alla proteina del citocromo b1 batterico e che essa agisse negli animali sensibili sostituendosi alla normale proteina del citocromo, con conseguente interferenza col sistema respiratorio cellulare. A conferma di questa ipotesi essi osservarono che le pupe in letargo di Platysamia cecropia erano insensibili ad alte dosi di tossina, mentre piccole quantità uccidevano il bruco, le prepupe e gli adulti che, a differenza delle prime, sono provvisti del citocromo.
Le innumerevoli ricerche eseguite successivamente sulla tossina difterica hanno avuto come scopo fondamentale la comprensione dell'elettività della sua azione cardiotossica; a tale proposito è stata attribuita grande importanza da alcuni all'abbassamento del contenuto in carnitina del miocardio e alla conseguente ridotta ossidazione degli acidi grassi a lunga catena, per il loro alterato ritmo di trasferimento nei mitocondri. Altri autori hanno piuttosto riconosciuto alla base dell'azione della tossina difterica l'inibizione della sintesi proteica, che si esplicherebbe in maniera elettiva proprio sul muscolo cardiaco. Preparazioni di tossina adeguatamente attivate inibiscono infatti in vitro la sintesi proteica in sistemi ottenuti da cellule eucariotiche, bloccando la fissazione degli amminoacidi attivati alle catene peptidiche in corso di sintesi sui ribosomi, attraverso l'inattivazione del fattore di traslocazione EF2, per trasferimento su questo del gruppo ADP-ribosio dal NAD+.
Il fatto che la tossina, reagendo con la transferasi II in presenza di nicotinammideadenindinucleotide (NAD), dia luogo alla formazione di un complesso costituito da tossina, transferasi II e adenosindifosforibosio, che altro non è se non il NAD da cui sia stata allontanata la porzione nicotinammidica, ha suggerito l'ipotesi che essa possa agire come enzima avente il NAD per substrato.
È stato calcolato che una singola molecola di tossina è in grado di trasformare, nello spazio di qualche ora, tutto il contenuto cellulare di EF2 nella sua forma inattiva.
La molecola della tossina è formata da un'unica catena polipeptidica con due ponti disolfurici, ma, perché essa possa svolgere azione tossica, è necessaria la sua attivazione, consistente nella riduzione di uno dei due ponti disolfurici e nell'idrolisi di un legame peptidico. Ciò comporta la scissione della molecola in un frammento A, con peso molecolare 24.000, termostabile ed enzimaticamente attivo, e un frammento B, con peso molecolare 38.000 e poco stabile, che conferisce alla molecola tossica la proprietà di fissarsi alle cellule. La prima tappa per lo svolgimento dell'azione tossica è rappresentata appunto dalla fissazione della molecola della tossina ai recettori superficiali cellulari attraverso la porzione idrofobica B della molecola, mentre la seconda tappa è caratterizzata dall'attività peptidasica e riducente della membrana cellulare sulla tossina, attività che porta alla liberazione del frammento A enzimaticamente attivo all'interno della cellula, dove potrà esplicare la sua azione tossica.
La varia suscettibilità delle diverse specie animali all'azione della tossina difterica potrebbe essere legata alla diversa presenza di recettori sulle cellule o anche alla diversa attività delle membrane cellulari in relazione all'attivazione e penetrazione della tossina nelle cellule.
Le tossine batteriche possono svolgere anche un'azione meno selettiva, come quella citolitica. La streptolisina O, la pneumolisina, la tetanolisina, l'alfatossina di Clostridium welchii e le lisine di Clostridium bifermentans, Bacillus cereus, Bacillus laterosporus, Bacillus alvei, Listeria monocytogenes sono tra loro correlate immunologicamente e posseggono molte caratteristiche comuni, quali l'attivazione a opera del colesterolo, l'ossigenolabilità e la riattivabilità da parte di composti solfidrilici. Il fatto che le cellule sensibili alla streptolisina O, a differenza di quelle a essa resistenti, contengano costantemente nella membrana colesterolo, per il quale la tossina ha alta affinità, induce a ritenere che la lisi cellulare si verifichi o per combinazione col colesterolo della membrana o per il suo allontanamento da questa; l'azione della tossina, cioè, sarebbe analoga a quella degli antibiotici polienici. Tossine citolitiche, quali la leucocidina, l'alfa-tossina, la beta- e la gamma-emolisina stafilococciche, la streptolisina S e le lisine di Clostridium histolyticum, Clostridium chauvaei, Clostridium septicum, Bacillus subtilis e di germi gram-negativi, si differenziano dalle prime in quanto non sono attivabili a mezzo di composti solfidrilici. La streptolisina S è inibita da piccole quantità di fosfatidilcolina, sostanza che sembra sia implicata, a livello delle membrane cellulari, nei meccanismi della lisi. Anche per le tossine citolitiche è probabile che si tratti di enzimi per i quali purtroppo non è noto, nella quasi totalità, il relativo substrato.
3. Tossine di funghi, di vegetali superiori e di animali.
Queste tossine sono molto meno note di quelle batteriche, anche se l'interesse verso alcune di esse risale a tempi remotissimi, a quando, cioè, l'uomo si trovò nella necessità di riconoscere ed escludere dalla propria alimentazione le piante e gli animali velenosi.
Le nostre conoscenze al loro riguardo sono molto frammentarie e sommarie, ma i problemi che esse pongono sono praticamente identici a quelli già esaminati per le tossine batteriche; anche per esse è viva l'esigenza di conoscerne più a fondo le proprietà chimiche e biologiche e di comprenderne appieno il meccanismo dell'azione tossica. Il loro studio, procedendo secondo gli indirizzi più validi già seguiti per le tossine batteriche, potrà aprire, anche per esse, nuove prospettive.
Recentemente sono state messe in evidenza due tossine di microfunghi del tipo delle endotossine batteriche, e più precisamente una canditossina, da cellule di Candida albicans, e una fumigatossina, da Aspergillus fumigatus. La prima è una proteina con peso molecolare 80.000, letale per il topino in cui determina lesioni emorragiche nei parenchimi; la seconda è una proteina di alto peso molecolare, anch'essa letale per il topo. Per entrambe non si conoscono le condizioni che ne determinano la produzione e neppure la localizzazione cellulare.
Numerose altre sostanze tossiche vengono prodotte da miceti; tra queste vanno ricordate l'ergotina, la spondesmina, le afiatossine ecc., non inquadrabili tra le tossine in senso stretto perché non immunogene. Esse sono, comunque, di enorme importanza biologica; basti pensare che l'afiatossina B1 può essere ritenuta come una delle più potenti sostanze carcinogene naturali che si conoscano (v. neoplasie: Oncologia sperimentale). Alla stessa stregua vanno considerati i costituenti tossici dei macrofunghi, quali i ciclopeptidi di alcune amanite, la muscarina e altri veleni responsabili delle varie sindromi da ingestione di funghi velenosi.
I principi tossici delle piante superiori sono anch'essi molteplici e di differente natura chimica: alcaloidi, polipeptidi, ammine, glicosidi, sali di acidi organici (ossalati), resine e proteine o fitotossine. Queste ultime sono presenti in un numero piuttosto esiguo di piante e hanno alta tossicità; basta ricordare quelle contenute nei semi di Aleurites fordii e specie correlate, in quelli di Iatropha curcas, Abrus precatorius e Ricinus communis e nella corteccia di Robinia pseudo-acacia. Sono tutte grosse molecole, paragonabili alle tossine batteriche, che causano in vitro l'agglutinazione degli eritrociti; è stato ipotizzato che agiscano in vivo come potenti enzimi proteolitici.
Anche nel regno animale sono riscontrabili, accanto a principi tossici diversi, vere e proprie tossine, come quelle prodotte da alcuni serpenti. In questi animali la secrezione del veleno presenta strette analogie con quella salivare, onde è suggestivo pensare che nel corso dell'evoluzione filogenetica la saliva possa essersi trasformata nel veleno mortale per la preda. L'azione tossica si svolge come cooperazione di parecchi componenti indipendenti: infatti è noto da ricerche elettroforetiche che il veleno dei Colubridi è risolvibile in 7-8 differenti proteine, quello di Bothrops jararaca in 11 e quello di Vipera ammodytes in 8.
Tra i principi attivi di tali veleni sono stati identificati enzimi, quali L-amminoacidossidasi, enzimi proteolitici, fosfolipasi A o lecitinasi A (crotossina), fosfolipasi B o lecitinasi B (ad azione emolitica), proivasina I, colinesterasi e varie fosfatasi come fosfomono- e fosfodiesterasi, 5′-nucleotidasi, adenosintrifosfatasi. Questi enzimi pongono problemi analoghi a quelli connessi con i prodotti extracellulari ad attività enzimatica di batteri patogeni e fondamentalmente quello dell'eventuale ruolo svolto nel fatto patologico.
La colinesterasi è caratteristica dei veleni dei Colubridi, nei quali è presente in concentrazione maggiore che in qualsiasi tessuto di ogni essere vivente, mentre manca nel veleno dei Crotalidi e dei Viperidi, caratterizzato invece dalla presenza di proteasi.
In certi animali acquatici possono essere presenti sostanze neurotossiche, emotossiche e cardiotossiche; si tratta in genere di ammine, esteri della colina e glicosidi di steroidi, oltre che di proteine, come è stato di recente dimostrato. Tali sono i principi tossici degli Cnidari e dei Celenterati, quello ad azione paralizzante dei secreti ghiandolari di Cefalopodi e Gasteropodi, l'ittiotossina del sangue dell'anguilla e della murena e quello iniettato con gli aculei di Scorpaena e Trachinus. Scarsissime sono ancora le notizie su queste tossine e su molti altri principî tossici prodotti da organismi viventi.
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