trapassato remoto
Il trapassato remoto è uno dei ➔ tempi composti dell’➔indicativo, che indica principalmente un evento compiuto in un passato immediatamente prossimo a un altro evento passato, in generale espresso dal ➔ passato remoto. A differenza della costruzione con il ➔ trapassato prossimo, che può occorrere anche in frasi principali, il trapassato remoto appare obbligatoriamente solo in frasi subordinate (➔ subordinate, frasi), in quanto presuppone la presenza di un momento di riferimento nel passato (Bertinetto 1986 e 1991). Nella ➔ lingua d’oggi
è una forma praticamente inesistente, dato che il suo uso è ristretto alla lingua letteraria di tono elevato e a volte arcaizzante, e, dal Novecento in poi, non se ne hanno che isolate occorrenze.
Ha la seguente struttura: una voce del passato remoto dell’ausiliare (essere o avere) + participio passato del verbo, eventualmente accordato (➔ participio; ➔ accordo):
(1) quando tutti ebbero bevuto, l’umore migliorò notevolmente
(2) dopo che le ragazze furono partite, i genitori se ne tornarono a casa
Come è ovvio, i verbi cosiddetti difettivi (ad es. soccombere, prudere, urgere, vertere), che sono privi di participio passato, sono privi anche di trapassato remoto.
Il trapassato remoto appare solo in subordinate temporali (➔ temporali, frasi) che esprimono un’anteriorità immediata rispetto al passato remoto nella principale:
(3) Appena egli si fu allontanato, ella si guardò attorno e scese fino alla casupola della vecchia Pottoi (Deledda 1979: 75)
A differenza del trapassato prossimo, il trapassato remoto non può apparire quando il momento di riferimento non è percepito come collocato immediatamente dopo la conclusione del momento dell’avvenimento:
(4)
a. quando Carlo aveva finito di mangiare da una buona oretta, andò in spiaggia
b. *quando Carlo ebbe finito di mangiare da una buona oretta, andò in spiaggia
Inoltre, rispetto al trapassato prossimo, il trapassato remoto non è compatibile con avverbi come ormai e già, i quali combinati con questa forma indicano una distinzione tra il tempo della principale e quello della subordinata temporale. Negli esempi seguenti si nota inoltre che il momento del riferimento della principale è collocato dopo l’evento espresso dalla subordinata (cfr. Bertinetto 1991: 112):
(5)
a. Luigi arrivò a casa quando la famiglia era già uscita
b. *Luigi arrivò a casa quando la famiglia fu già uscita
La subordinata temporale con trapassato remoto appare spesso con appena indicante un evento passato da poco:
(6) appena ebbe finito di parlare, fu colto da un singhiozzo inarrestabile
Negli esempi con quando il trapassato remoto esprime un evento immediatamente anteriore rispetto a quello espresso dal passato remoto:
(7) quando ebbe fatti forse quaranta passi, sentì un altro – olà – che un gabelliere gli gridava dietro (Alessandro Manzoni, I promessi sposi XXXIV).
Le poche volte che se ne serve, ➔ Manzoni preferisce l’uso strettamente temporale del trapassato remoto:
(8) Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensieri, chiamato un frate confessore, lo pregò che cercasse della vedova di Cristoforo (Manzoni, I promessi sposi IV)
(9) Il qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e, appena ebbe data un’occhiata alle donne, dovette accorgersi che i suoi presentimenti non eran falsi (ivi, V)
(10) Quand’ebbe però capito bene cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in bocca (ivi, III)
Altri scrittori, coetanei coevi di Manzoni, hanno invece un repertorio più vasto. Mazzini usa il trapassato remoto nella frase causale in cui la distanza tra l’evento indicato dal trapassato e quello indicato dal passato remoto non è necessariamente breve:
(11) Gran parte della lotta rivoluzionaria si consumava tra essa e il potere dei re; e, poich’ebbe ottenuta vittoria, il patriziato rimase dominatore (Mazzini 1976: VII, 28)
Gli usi nella letteratura hanno una certa varietà. Così in Deledda si trova un trapassato che dà la sensazione di un prolungamento del «dire addio»:
(12) A poco a poco, quando ebbe segretamente detto addio ad ogni più piccola cosa, ad ogni albero, ad ogni pietra, alle bestie ed agli uomini, le idee gli si rischiararono e cominciò a vedere nell’avvenire (Deledda 1965: 139)
In fasi precedenti della lingua il trapassato remoto appariva anche, ad es., nelle subordinate causali, come nel seguente testo settecentesco, in cui codifica una certa durata e ripetizione nell’azione:
(13) Rugger afflitto non apriva bocca;
e poich’egli ebbe sofferto e sofferto,
a Carlo Magno un giorno fece istanza
che a Filinoro facesse aver creanza
(Gozzi 1911: 145).
Come il trapassato prossimo, così anche il trapassato remoto ha ➔ aspetto perfettivo, ma la sua perfettività, rispetto a quella del trapassato prossimo, è più rigorosa, dato che presenta il processo passato come completamente e immediatamente concluso rispetto a quello espresso dal passato remoto o dalle altre espressioni temporali con cui appare.
Il trapassato remoto appare liberamente, senza restrizioni, soltanto con verbi telici, in particolare con i verbi di trasformazione (come negli esempi 3 e 5; Bertinetto 1986: 487). I verbi stativi hanno il trapassato prossimo ma non il trapassato remoto (salvo quando il loro significato diventi trasformativo, come con avere nel senso di «ottenere»: quando ebbe avuta la parola, cominciò la sua orazione):
(14)
a. *quando Paola ebbe avuto freddo durante la gita, rimase infreddolita per tutto il resto del giorno
b. quando Paola aveva avuto freddo durante la gita, rimaneva infreddolita per tutto il resto del giorno
Il verbo stativo essere non ha trapassato remoto (*fui stato), cosa che si ripercuote anche sulla costruzione del passivo (*fui stato stato). Il trapassato remoto manca di forma passiva, indipendentemente dall’azionalità del verbo, dato che il trapassato non può esprimere uno stato permanente, come fa normalmente la costruzione passiva (➔ passiva, costruzione). Per esprimere il passivo, occorre usare il passato remoto passivo, equivalente al trapassato remoto attivo (cfr. Bertinetto 1991: 114):
(15) quando la tavola fu sparecchiata, Erkki restò a lungo sovrappensiero [= quand’ebbero sparecchiato la tavola, Erkki restò a lungo sovrappensiero]
Ci sono poi forme del verbo che, tranne in rari casi, non appaiono affatto con il trapassato remoto: tali sono, ad es., la seconda persona singolare e plurale e la prima persona plurale. Per questo non troviamo forme del tipo quando fosti arrivato o appena avemmo saputo.
Sebbene il trapassato remoto appaia solo nelle subordinate temporali, se ne trovano rari esempi in proposizioni principali, da considerarsi come ➔ arcaismi:
(16) Ma il La Marina […] lo ebbe appena veduto che lo investì con un diluvio d’aspre parole (Tommaso Landolfi, Una cronaca brigantesca, cit. in Bertinetto 1991: 110).
Il trapassato remoto, come il trapassato prossimo, sostituisce l’antico piuccheperfetto latino (habuĕram, cantavĕram) quando si crea la nuova perifrasi con il passato remoto di habēre + participio passato (Rohlfs 1969: 49; Tekavčić 1972: 510). Nell’esempio seguente, preso dal Ritmo di Sant’Alessio, probabilmente del Duecento, il trapassato remoto nella principale esprime il fatto compiuto della nascita di Sant’Alessio, il passato remoto il battesimo:
(17) Poi [lu] fante foe natu, Alessiu foe prenominatu «dopo che il bambino fu nato, fu battezzato Alessio» (vv. 72-73, cit. in Tekavčić 1972: 510)
Come notato sopra, in italiano antico il trapassato remoto aveva una gamma d’usi più vasta rispetto all’italiano odierno (Ambrosini 1960-1961). In ➔ Dante oscilla tra il valore temporale del passato remoto e quello del trapassato prossimo. Appariva nella principale indicando l’azione del passato come immediatamente conclusa, quando a sua volta il passato remoto metteva in rilievo l’apertura o la chiusura dell’evento (Brambilla Ageno 1978: 231):
(18) dove in un punto furon dritte ratto
tre furie infernal di sangue tinte
(Dante, Inf. IX, 37-38)
Nelle temporali, ad es. in quelle introdotte da poi che o congiunzioni simili, l’azione espressa dal trapassato remoto si presenta come compiuta e conclusa rispetto a quella del passato remoto nella principale. L’azione della temporale viene prospettata come iniziata prima dell’evento espresso dal passato remoto ma con un effetto prolungato (Brambilla Ageno 1978: 231). L’azione espressa dal trapassato remoto non implica necessariamente un’anteriorità immediata:
(19) Ma poi ch’i fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle
(Dante, Inf. I, 13-18)
Il trapassato remoto si oppone a volte al passato remoto, con una sfumatura aspettuale di tipo risultativo:
(20) Poi che messer Carlo di Valos [= Valois] ebbe rimesso Parte nera [= «i guelfi»] in Firenze, andò a Roma: e domandato danari al Papa, gli rispose che l’avea messo nella fonte dell’oro (Dino Compagni, Cronica, libro 2, cap. 25, cit. in Egerland 2010: 891).
Deledda, Grazia (1965), Elias Portolu, Milano, Mondadori (1a ed. 1954).
Deledda, Grazia (1979), Canne al vento, Milano, Mondadori (1a ed. Milano, Treves, 1913).
Gozzi, Carlo (1911), La Marfisa bizarra. Poema faceto, Bari, G. Laterza e Figli (1a ed. Firenze, Paolo Colombani all’insegna della Pace, 1772).
Manzoni, Alessandro (1953), Opere, Milano - Napoli, Ricciardi.Mazzini, Giuseppe (1976), “A Carlo Alberto di Savoja. D’alcune cause che impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia. Della Giovine Italia”, in Scritti Politici, a cura di F. Della Peruta, Torino, Einaudi.
Ambrosini, Riccardo (1960-1961), L’uso dei tempi storici nell’italiano antico, «L’Italia dialettale» 24, pp. 13-124.
Bertinetto, Pier Marco (1986), Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Firenze, Accademia della Crusca.
Bertinetto, Pier Marco (1991), Il verbo, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1991, pp. 13-161.
Brambilla Ageno, Franca (1978), Verbo: indicativo. Sintassi, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970-1978, 6 voll., vol. 6° (Appendice. Biografia, lingua e stile, opere), pp. 222-233.
Egerland, Verner (2010), Frasi subordinate al participio, in Grammatica dell’italiano antico, a cura di G. Salvi & L. Renzi, Bologna, il Mulino, 2 voll., vol. 2º, pp. 881-901.
Renzi, Lorenzo, Salvi, Giampaolo & Cardinaletti, Anna (a cura di) (1991), Grande grammatica italiana di consultazione, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione).
Rohlfs, Gerhard (1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3º (Sintassi e formazione delle parole) (1a ed. Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 3º, Syntax und Wortbildung).
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