TRAZIONE
. Elemento comune a ogni locomozione è lo sforzo di trazione, o sforzo da spendere per tenere un mobile (veicolo terrestre, nave, dirigibile, velivolo, vettura guidata con funi o altrimenti) in moto. Esso è l'elemento principale che determina il consumo di forza motrice occorrente per eseguire il trasporto e che quindi serve, con altri elementi di scelta, a fissare la convenienza economica comparativa dei diversi sistemi di trasporto. Si esprime comunemente in kg. per tonnellata di peso lordo (peso del veicolo e del carico). Lo studio della locomozione si può dire che consista nell'individuare il valore di detto sforzo per ciascun sistema di trasporto, con le sue ragioni di variabilità secondo la forma del veicolo, le caratteristiche del moto (velocità, ecc.) e le condizioni della strada.
Rinviando per quanto concerne i trasporti per via d'acqua e per via d'aria alle voci: aeronautica; aeroplano; marina; nave, tratteremo qui della locomozione terrestre e anzi particolarmente di quella meccanica per aderenza. Per la locomozione meccanica con trazione per funi, v. ferrovia: Ferrovia funicolare; teleferica.
Trasporti terrestri. - Condizione indispensabile per il verificarsi della locomozione terrestre è l'esistenza di un determinato rapporto tra lo sforzo di trazione e il peso gravante sulle ruote motrici, rapporto cui si dà il nome di coefficiente di aderenza. Occorre cioè che il peso aderente P sia maggiore dello sforzo di trazione F e quindi sussista la relazione fP ≧ F, in cui f (coefficiente di aderenza) è un numero minore dell'unità.
Si tenga presente che è anche indispensabile, nella prima fase del moto, che F superi la resistenza al moto R di una quantità finita per vincere l'inerzia, cioè conferire velocità al veicolo, mentre allorché il veicolo è già in moto, può essere F 〈 R e la differenza sarà vinta a spese della forza viva. Nello sforzo motore bisogna intendere computata, allorché si tratta di moto in discesa, anche la componente della gravità.
L'aderenza è un fenomeno che ha le medesime cause dell'attrito, cioè si deve alle piccole asperità delle superficie a contatto; varia quindi con la natura e lo stato di tali superficie. Il coefficiente di aderenza è basso se le superficie a contatto sono lisce e untuose, è alto se queste sono scabre e secche. Così il coefficiente di aderenza della strada ordinaria è, in condizioni normali, altissimo; ma l'umidità e il fango, coprendo di uno strato viscido la superficie stradale, lo possono ridurre. Finché la trazione animale non permetteva che scarsi sforzi, erano tollerabili i cerchioni metallici, ma quando venne la trazione meccanica occorsero i cerchioni a camera d'aria con copertoni o fasciature scanalate (antidérapants), per accrescere la scabrosità fra le superficie a contatto. Assai più bassa è l'aderenza fra ruota e rotaia.
Abbiamo detto che l'aderenza è un fenomeno analogo all'attrito, ma non è attrito perché questo presuppone un movimento relativo fra le superficie a contatto, mentre l'aderenza si ha proprio quando il movimento non avviene. Si può, dunque, dire che l'aderenza è un attrito potenziale o a velocità nulla. Consegue da ciò che l'aderenza non subisce variazione alcuna col variare della velocità del veicolo o convoglio, mentre l'attrito diminuisce quando la velocità relativa delle superficie a contatto aumenta.
Il carattere dello sforzo influisce apparentemente sul valore dell'aderenza. Lo sforzo periferico nei diversi motori non è mai assolutamente costante; ma in alcuni è più, in altri meno variabile. Nei motori a combustione interna e nel motore a vapore con piccolo numero di cilindri, lo sforzo durante il giro di ruota varia notevolmente sia per il variare della pressione all'interno dei cilindri, sia per la diversa inclinazione delle bielle rispetto agli assi degli stantuffi. Nei motori elettrici la coppia motrice è, invece, pressoché costante. Più la coppia è costante, più elevato appare, ferme le altre circostanze, il coefficiente di aderenza. Il valore medio ammesso in pratica per il coefficiente di aderenza sulle ferrovie va da 1/6 a 1/5, numeri corrispondenti a condizioni favorevoli. Per le locomotive a vapore a semplice espansione serve il valore più basso, per quelle elettriche il più elevato. In percentuale del peso aderente questi coefficienti corrispondono rispettivamente a 16,7 e 20 ciò che equivale anche a dire che l'aderenza o forza di aderenza è rappresentata da kg. 167 a 200 per ogni tonnellata di peso aderente nel caso di trasporto su rotaie. Su strade può raggiungere talvolta un valore triplo o quadruplo.
Nelle gallerie in cattive condizioni di aerazione, l'aderenza è inferiore al normale per effetto del vapore d'acqua, che, uscendo insieme col fumo dai camini delle locomotive, si deposita sulle rotaie e le copre di una patina viscida. A questa ragione si deve la nota regola che consiglia di adottare nelle gallerie pendenze inferiori a quelle massime usate a cielo scoperto per poter mantenere, malgrado la riduzione dell'aderenza, la costanza del carico rimorchiato.
Il coefficiente di aderenza si può artificialmente aumentare.
Per ottenere l'aumento del coefficiente per brevi periodi, come occorre specialmente negli avviamenti e nei frenamenti, riesce utile l'impiego della sabbia, la quale, lasciata cadere sulle rotaie, ne aumenta la scabrosità. Per lo spargimento si ricorre al mezzo semplicissimo di disporre la sabbia in una scatola sul cui fondo sono applicati dei tubi che terminano a perpendicolo sulle rotaie: il macchinista o manovratore con una trasmissione apre o chiude l'accesso della sabbia ai tubi. La sabbia, però, se è un po' umida, facilmente si agglomera e non cade. Si evita questo inconveniente ricorrendo ad apparecchi lanciasabbia a vapore o ad aria compressa oppure al riscaldamento della sabbia per mezzo di resistenze elettriche. Altro mezzo per aumentare l'aderenza, è quello di ricorrere alla lavatura delle rotaie, avendo l'esperienza dimostrato che, agli effetti dell'aderenza, le rotaie molto bagnate si comportano come quelle asciutte. Lo stato peggiore è quello della rotaia umidiccia o fangosa. La lavatura è usata sui tronchi a forte pendenza delle tramvie urbane, che meglio vi si prestano per la forma a gola delle rotaie; essa serve anche ad evitare lo stridore che fanno le ruote al passaggio sulle curve.
Peso aderente è il peso gravante sui perni delle ruote motrici. Se, per es., abbiamo una vettura elettrica con due assi e due motori, è peso aderente il peso totale della vettura; ma se la vettura a due assi ha un solo motore collegato ad un solo asse, il peso aderente è uguale alla metà circa del peso della vettura. Si torna al peso totale se si accoppiano i due assi mediante una biella. Il peso della locomotiva essendo rilevante, occorre distribuirlo su più assi, uno solo dei quali è motore. In tal caso l'aderenza sarebbe limitata ad una piccola frazione del peso. Ma accoppiando più assi portanti all'asse motore mediante bielle, in maniera che le ruote collegate debbano contemporaneamente o tutte rotolare o tutte strisciare, diventa aderente l'intero peso che grava sugli assi fra loro accoppiati. Questo semplice espediente permette, quindi, di aumentare l'aderenza rilevantemente, sino a fare che tutto il peso della locomotiva sia aderente, e non trova altro ostacolo che nella rigidezza della base della locomotiva, venendo gli assi accoppiati ad essere invariabilmente connessi fra loro. L'accoppiamento degli assi fa però salire anche le resistenze passive del meccanismo.
L'importanza dell'aderenza è fondamentale, in quanto influisce direttamente sul limite massimo di pendenza che si può dare ad una strada. Infatti deve essere al limite fP = F, e nel moto uniforme F = R cioè fP = R. Poiché la resistenza totale è dovuta alle resistenze al moto (che esprimeremo unitariamente con r) e alla pendenza (che rappresenteremo unitariamente con i) pari in kg. per tonnellata ai millimetri di pendenza per metro, se chiamiamo Q il peso non aderente, al limite dovrà essere:
Per avere un'idea del limite di i faremo due ipotesi: a) che il peso sia tutto aderente; b) che il peso rimorchiato sia eguale al peso motore o aderente; nel primo caso la (1) diventa: f = r + i da cui i = f − r e nel secondo f = 2 (r + i) da cui: i = f/2 − r.
Abbiamo detto che f è uguale a 1/6, cioè a kg. 167 per tonnellata per le ferrovie, e al triplo per la strada ordinaria; lo sforzo di trazione in un calcolo di prima approssimazione si può tenere eguale per la strada ferrata a 5 kg. e per la strada ordinaria a 25 kg. per tonnellata; perciò la pendenza massima teoricamente ammissibile nel caso di un veicolo automotore isolato sarebbe di circa 160‰ per una ferrovia e di circa il 45% per una strada. Ma questo è caso puramente teorico. Se si vuole permettere la trazione animale, a sforzo limitato, non si può eccedere anche per strade di debole traffico la pendenza del 7 e 8%. Per strade automobilistiche a grande traffico sulle quali si vogliono ammettere i rimorchi non si va al di là del 4%. Per ferrovie vere e proprie non si supera il 25 ÷ 30‰. Solo su qualche tramvia da esercitarsi senza rimorchio, si sono raggiunte pendenze dal 150 al 160‰.
Le ragioni del grande distacco della pratica dalla teoria, sono diverse. Anzitutto, se, in quelle condizioni di pendenza, il convoglio si arrestasse, non potrebbe rimettersi in moto, giacché abbiamo supposto lo sforzo motore eguale al resistente, mentre per vincere l'inerzia è necessario che lo sforzo motore superi di poco o di molto la resistenza. Vi è poi una considerazione economica, inquantoché trasportare il solo veicolo motore significa rinunciare al carico, limitandolo al guidatore (automobile condotto dal viaggiatore), e ammettere un peso utile non superiore al peso motore, vuol dire introdurre soltanto per questo nel rendimento totale del trasporto un coefficiente del o,50. Per le ferrovie, allorquando concorrono circostanze che consigliano di adottare tracciati a pendenza superiore al trentacinque o quaranta per mille può essere conveniente, tenuto conto di altri elementi, rinunziare all'aderenza naturale e ricorrere alle ferrovie a dentiera (dette anche ad aderenza artificiale) nelle quali la trasmissione dello sforzo fra veicolo motore e rotaia avviene per mezzo di una coppia dentata (dentiera fissa al binario, ruota dentata fissa al motore).
È agevole persuadersi che su pendenze molto elevate, ad esempio del 50‰ e più, è preferibile la ferrovia ad aderenza artificiale invece di quella ad aderenza naturale, benchè la resistenza al moto, nel caso della dentiera, sia all'incirca tripla. Supponiamo, infatti, di disporre di una locomotiva di 400 cavalli. Lo sforzo F di cui essa sarà capace ci è dato approssimativamente dalla relazione F = 270 × 400/V, in cui V è la velocità di marcia espressa in km. all'ora. Fissiamo la velocità di marcia in 10 km./ora (sulle ferrovie ad aderenza artificiale si praticano velocità ridottissime): lo sforzo disponibile sarà di 10.800 kg. che permetterà di trasportare (ammessa la resistenza al moto di kg. 15 per tonnellata) un peso totale di 166 tonnellate. Se la locomotiva pesa tonn. 40 resteranno, a rappresentare il carico rimorchiabile, tonn. 126. Nel caso invece di una ferrovia ad aderenza naturale, il massimo sforzo non potrebbe superare 40.000 : 6 = 6666 kg. e il peso totale del treno risulterebbe di 121 tonn., sicché il suo carico utile si ridurrebbe a 81 tonn.
Lo "sforzo di trazione" (si dice anche "resistenza al movimento") dei veicoli terrestri in genere è dovuto alle seguenti cause: a) attrito volvente delle ruote sulla strada o sulle rotaie e attrito radente nei perni; perdite di energia per movimenti parassiti, cioè spostamenti in direzione diversa da quella principale del moto, urti delle ruote contro la superficie stradale o contro le rotaie; urti, infine, se si tratta di convogli, fra veicoli e veicoli, i quali non si possono tenere strettamente agganciati fra loro: b) resistenza dell'aria (le cause elencate ai punti a) e b) dànno luogo, prese insieme, a ciò che si chiama lo sforzo di trazione in orizzontale ed in rettifilo); c) resistenze dovute alle curve; d) resistenza della gravità dovuta alla pendenza nel moto in salita (che si trasforma in sforzo motore alla discesa); e) resistenza dovuta all'inerzia della massa del veicolo o convoglio (che si trasforma in potenza quando si considera un treno già dotato di velocità).
Premesso che, di massima, riferiremo sia lo sforzo motore sia la resistenza alla periferia delle ruote, quanto è detto sopra vale per i veicoli da trasporto come per le locomotive e i veicoli automotori in genere (automotrici elettriche, automobili). Naturalmente, se lo sforzo si misura ai cilindri (sforzo indicato) o ai motori elettrici, bisogna tener conto del rendimento del meccanismo di trasmissione dai cilindri, o dai motori elettrici, alle ruote. Talvolta lo sforzo della locomotiva si misura al gancio del tender per avere lo sforzo utile alla trazione del peso rimorchiato; è evidente che lo sforzo al gancio differisce dallo sforzo al cerchione per le resistenze della locomotiva considerata come veicolo e dallo sforzo indicato per le resistenze predette aumentate di quelle dovute al meccanismo di trasmissione.
Fermandoci alle resistenze indicate in a) noteremo che esse difficilmente si presterebbero a una determinazione analitica, giacché occorrerebbe pur sempre ricorrere ad esperimenti per determinare i coefficienti di attrito variabili, come si sa, fra limiti estesi a seconda della condizioni delle superficie a contatto, della velocità, della qualità del lubrificante, dell'entità delle pressioni, ecc., ed è pressoché impossibile la valutazione a priori dell'effetto degli urti e dei movimenti parassiti.
Quanto alla resistenza dell'aria, che costituisce la parte più importante delle resistenze al movimento dei convogli, bisogna tener presente che essa, pur essendo fondamentalmente funzione della superficie investita e della velocità, risente della forma totale del corpo in moto, per modo che vi è differenza fra la resistenza di un parallelepipedo e quella di una lastra di lieve spessore che presenti all'aria eguale superficie d'investimento. Si può dire, anzi, che nel caso di un convoglio la resistenza totale dell'aria è l'effetto anzitutto della pressione sulla superficie frontale del trattore, poi dell'attrito sulle pareti laterali dei rotabili, della pressione che agisce su parte della parete frontale di ciascun veicolo a causa dell'intervallo che esiste fra veicolo e veicolo, della depressione che si verifica alla coda del treno dietro l'ultimo veicolo. Naturalmente la parte prevalente della resistenza è quella dovuta alla superficie frontale e secondo alcuni sperimentatori si potrebbe valutare la resistenza totale (ra) dell'aria su un convoglio con la formula solita ra = kSV2 in cui k è una costante, S la superficie frontale del trattore in metri quadrati, V la velocità in km./ora.
È poi facile comprendere che la resistenza dell'aria, valutata in funzione del peso, come si fa di solito per omogeneità con gli altri elementi della resistenza, varia secondo che si tratta di veicoli carichi o di veicoli vuoti, ed è relativamente minore per i treni di grande composizione in confronto ai treni di composizione media e piccola.
Così la resistenza dell'aria per tonnellata di peso nel caso di un trattore isolato è assai più elevata che per un convoglio composto di molti veicoli; è altresì maggiore per un treno lento che per un treno celere di egual peso totale, giacchè il secondo deve essere composto di veicoli più pesanti del primo a parità di superficie investita e così un treno di materiale vuoto rispetto a un treno di materiale carico, ecc.
È risultato pure da molteplici esperienze che la forma della superficie frontale influisce notevolmente sulla resistenza dell'aria. Di qui l'uso di costruire automobili, automotrici e locomotive a sagome appuntite. Si è trovato che fra una locomotiva a faccia anteriore piana e una locomotiva protetta sul davanti da una specie di prua di forma conveniente si può ottenere una differenza di consumo di carbone di circa il 10%. Nelle automobili moderne prevalgono le forme cosiddette aerodinamiche.
Data la difficoltà di tener conto di tutti questi elementi, non resta che ricorrere a determinazioni globali, ricavandone formule empiriche che forniscano la resistenza in chilogrammi per tonnellata di peso in funzione della velocità, elemento in base al quale variano sia la resistenza dell'aria sia altre cause di resistenza (urti, ecc.).
Se ci riferiamo a un autoveicolo tipo del peso di 12 quintali a vuoto, e 15 quintali a pieno carico, avente una superficie resistente di mq. 1,7, mentre il coefficiente di resistenza al rotolamento su strada con pavimentazione permanente raggiunge per detto autoveicolo kg. 22, la resistenza dell'aria alla velocità di 40 km./ora è di kg. 14, a 50 km./ora di kg. 21, a 60 km./ora di kg. 31, a 80 km./ora di kg. 54, a 100 km./ora di kg. 85, e a 120 km./ora di kg. 122. Pertanto lo sforzo totale di trazione occorrente per questo autoveicolo sui tratti in orizzontale della strada, mentre è di kg. 36 alla velocità di 40 km./ora e di kg. 43 a 50 km./ora, sale a kg. 53 a 60 km./ora, a kg. 76 a 80 km./ora, a kg. 107 a 100 km./ora, e a kg. 144 a 120 km./ora. Quindi lo sforzo totale di trazione diventa più del doppio quando la velocità passa da 40 a 80 km. ora, circa il triplo quando la velocità passa da 40 a 100 km./ora e il quadruplo quando la velocità passa da 40 a 120 km./ora.
Può ritenersi che la velocità economica, che dà luogo al minimo consumo di combustibile, su strada permanente o asfaltata per le autovetture ordinarie sia notevolmente minore della massima (per alcuni veicoli intorno ai 50 ÷ 60 km./ora), specialmente perché la resistenza dell'aria non raggiunge ancora a tale velocità ridotta valori considerevoli. Inoltre, la resistenza al rotolamento cresce anch'essa notevolmente a causa delle perdite di energia dovute agli urti provocati dalle irregolarità inevitabili della via.
Per le ferrovie esistono numerosissime formule che valgono per i calcoli di prima approssimazione, ed altre naturalmente più complicate che si adattano a calcolazioni di maggior esattezza. Tutte le formule del genere si presentano sotto uno dei seguenti aspetti analitici:
in cui, come si è già avvertito, r è sempre espresso in kg. per tonn., I in km. all'ora. Per i valori dei coefficienti a, b e c rimandiamo alle opere speciali (v. la bibl.).
Le resistenze finora esaminate valgono per i tratti in rettifilo; sui tratti in curva intervengono altre resistenze, che nel caso delle ferrovie sono abbastanza conosciute per le cause e per l'entità, mentre mancano dati estesi per i veicoli stradali.
Le cause consistono nella solidarietà della ruota con l'asse e nel parallelismo degli assi, che sono due particolarità dei veicoli ferroviarî. La solidarietà della ruota con l'asse fa sì che quando le ruote debbono, come nelle curve, svilupparsi su percorsi disuguali, è inevitabile che esse subiscano degli strisciamenti in avanti o all'indietro, nei quali l'attrito radente si sostituisce al volvente. Il parallelismo degli assi, a sua volta, dà luogo a strisciamenti in senso trasversale al binario e ad attrito fra il bordino delle ruote ed il fungo della rotaia esterna.
Qui bisogna notare che il parallelismo degli assi non è quasi mai assoluto, solendosi adottare disposizioni costruttive intese a provocare una maggiore o minore convergenza degli assi. Ad ogni modo le formule note sono tutte in funzione del raggio delle curve e dello scartamento del binario, risultando che la resistenza in curva cresce col diminuire del raggio della curva stessa e col crescere dello scartamento. Chiamata re questa speciale resistenza, la si valuti con la formula re = 650/(ρ − 55) per il caso dello scartamento ordinario e coll'altra re = 400/(ρ − 20) per ii caso dello scartamento ridotto (ρ raggio della curva).
Poco vi è da dire sulla resistenza dovuta alla gravità, la cui componente lungo una linea in pendenza è rappresentata da P sen α (se α è l'angolo corrispondente alla pendenza). Ma poiché gli angoli delle pendenze stradali o ferroviarie sono piccolissimi, è lecito confondere il seno con la tangente, e ciò offre il vantaggio che si può adottare per espressione di questa resistenza lo stesso numero che rappresenta la pendenza. Così la resistenza per tonnellata in una salita a pendenza del 0,010 (10‰) è data da kg. 1000 × 0,010 = 10, cioè da tanti chilogrammi per tonnellata quanti sono i metri di pendenza per chilometro. Nelle discese si ha un analogo sforzo motore.
Una resistenza sui generis da tener presente è quella dovuta all'inerzia delle masse in moto, resistenza che esiste solo nel periodo in cui la velocità cresce, cioè fino a quando si ha un'accelerazione.
La resistenza dovuta all'avviamento si calcola dunque ricordando che la forza è uguale alla massa per l'accelerazione, cioè, se chiamiamo con W lo sforzo acceleratore, P il peso, sarà W = P/g × dv/dt.
Poiché l'accelerazione si esprime in metri al secondo per secondo (m./sec.2), sapendo che g = 9,81, cioè circa 10, si può dire che la resistenza dell'accelerazione è rappresentata da tanti chilogrammi per tonnellata quanti sono i centimetri al secondo per secondo che si vogliono ottenere. Così per raggiungere la velocità di 100 km./ora (m. 27,7 al secondo) in 90 secondi, cioè accelerare di circa 30 centimetri al secondo per secondo, occorre che lo sforzo motore superi la resistenza di kg. 30 per tonnellata. Ciò equivale a dire che in quelle condizioni l'equilibrio fra sforzo motore e resistenze si ottiene considerando una resistenza di acceleramento di kg. 30.
Ad ogni modo, per il calcolo esatto della resistenza dovuta all'accelerazione, bisogna tener conto del fatto che il trattore (sia automobile, automotrice, locomotiva a vapore o elettrica, ecc.) ha sempre alcune parti in movimento rotatorio (contemporaneo al moto di traslazione), la cui inerzia bisogna vincere a spese dello sforzo di trazione. Si suole perciò sostituire al peso reale P, un peso maggiore αP(α = 1,10 ÷ 1,40), che si chiama peso d'inerzia.
Per arrestare rapidamente un veicolo o convoglio o per moderarne la velocità si ricorre ai freni. La frenatura può essere applicata al motore (controvapore, controcorrente, ecc.) oppure al veicolo. I primi sistemi sono in disuso; prevalgono quelli agenti sull'asse motore (freni a nastro o ad espansione delle automobili) o contro i cerchioni delle ruote (caso dei veicoli a trazione animale e di quelli ferroviarî). Allorché i freni agiscono sugli assi o contro le ruote bisogna evitare che per un eccesso di pressione queste scorrano sulla strada o sulle rotaie (slittamento) giacché in tal caso il frenamento riesce meno efficace e meno regolare, senza contare che i cerchioni, siano di gomma (automobili) siano di acciaio (veicoli ferroviarî), ne restano danneggiati.
Per evitare ciò occorre che lo sforzo frenante non superi l'aderenza cioè che fra la pressione Q esercitata dal freno, il coefficiente m dell'attrito frenante, il coefficiente f di aderenza e il peso P gravante sull'asse corra la relazione:
Per le ferrovie, ad es., si ricava che la pressione dei ceppi contro le ruote non dovrebbe superare il 60% del peso gravante sull'asse. Questo rapporto tra pressione contro i ceppi e peso del veicolo, che ha molta importanza negli studî concernenti i freni, viene detto percentuale di frenatura. Nel caso di veicoli su strada, poiché il coefficiente di aderenza è molto elevato in confronto all'attrito dei ceppi, la percentuale di frenatura può essere accresciuta e lo slittamento più facilmente evitato. (Nulla muta se i ceppi agiscono non sul cerchione, ma su un disco solidale all'asse).
Il valore del coefficiente di attrito fra ceppi e cerchione, che per le ferrovie si aggira intorno a o,250 (kg. 250 per tonnellata), è in realtà variabile tra limiti piuttosto larghi. Esso si può esprimere in funzione della velocità V con la relazione m = ρ (1 + αV)/(1 + βV) in cui α = 0,0112 e β = 0,06, mentre il coefficiente ρ assume il valore di 0,45 per il caso di superficie asciutte, e quello di 0,25 se le rotaie sono bagnate. Come si vede dalle formule esso descresce al crescere della velocità.
Negli autoveicoli e nelle vetture tramviarie si sogliono rivestire le superficie dei dischi o quelle dei ceppi di un materiale atto ad accrescere l'attrito, come il ferodo, composto di amianto e limatura metallica.
Siamo ora in grado di tracciare il diagramma completo del moto fra una partenza e un arresto; tenendo conto delle tre fasi, di avviamento, di regime, di arresto. La fase di arresto va divisa in due: prefrenatura e frenatura, intendendosi con prefrenatura o coasting il periodo in cui il veicolo marcia senza forza motrice per utilizzare una parte della sua forza viva. Negli esercizî a fermate frequenti (tramvie urbane, metropolitane) l'osservanza del coasting ha grande influenza nel ridurre il consumo di energia.
Supposta sostituita alla reale accelerazione variabile quella media costante, nella fig. 1 la linea doppia rappresenta l'accelerazione rispetto al tempo, la linea continua rappresenta la velocità, la linea a punto e tratto lo spazio, sempre rispetto al tempo. Questa triplice figura si chiama diagramma di trazione e serve a definire tutti gli elementi del moto, cioè tempo impiegato per un dato percorso, velocità massima e media, ecc.
Riferito al profilo (v. figura), può consentire ricerche di ogni genere che abbiano per base gli elementi del moto. Essendo la curva delle velocità l'integrale delle accelerazioni e la curva degli spazî l'integrale di quella della velocità, si passa assai facilmente dall'una all'altra.
Bibl.: Revue générale des chemins de fer, Parigi, 1878 segg.; C. Colson, Transports et tarifs, Parigi 1908; F. Tajani, Trattato moderno di materia mobile ed esercizio delle ferrovie, Milano 1928-32.
Trazione animale.
Tale denominazione indica genericamente il traino di veicoli su strada per mezzo di uomini, cavalli o buoi o su piccoli binari per mezzo di uomini o cavalli o, come si dice, per mezzo di motori animati.
Lo studio delle possibilità dei motori animati è interessante per l'ingegnere per dedurre le caratteristiche della via: per es., la pendenza massima da assegnarsi a una strada non può superare un certo limite oltre il quale il traino non può più avvenire.
Dei motori animati in uso sopra citati, solo il cavallo è stato ripetutamente oggetto di studî ai fini della trazione nel secolo XIX, quando la sua importanza, non ancora scemata dagli autotrasporti, era fondamentale nel traffico stradale, ciò che più non è ai nostri giorni nei quali in talune regioni industriali il traffico è ormai pressoché a trazione meccanica. Scarsi invece sono sotto questo punto di vista i dati relativi all'uomo e al bue.
Per l'uomo si ritiene di solito che il lavoro medio che può essere sviluppato in un secondo, ossia la potenza, sia di 15 kgm. e che quindi, tenendo presente che l'uomo deve compiere un certo lavoro per spostarsi, al passo - circa 1 metro al secondo - lo sforzo di trazione sia di 10 ÷ 12 kg. Per il bue lo sforzo di trazione medio alla velocità di 0,7 ÷ 0,8 m. al secondo è di 200 ÷ 250 kg. Tanto per l'uomo quanto per il bue la durata di lavoro è di 8 ÷ 10 ore inframezzate da periodi di riposo.
Il cavallo può esercitare uno sforzo di trazione utile di 50 ÷ 100 kg che per pochi istanti può salire fino a 200 e, secondo osservazioni di Lavalard, anche a 450 kg.; per il fatto che lo sforzo di trazione del cavallo è limitato dalla reazione orizzontale del terreno sopra gli zoccoli - la quale è proporzionale al peso gravante su questi - si ritiene di solito che lo sforzo di trazione utile sia proporzionale al peso del cavallo, e precisamente sia mediamente 1/6 di questo per cavalli da tiro, 1/12 per cavalli da corsa. Al passo il cavallo può marciare a 1 ÷ 1,20 m./sec. per 8 ÷ 10 ore, al trotto a 2,50 ÷ 3 m /sec. per 2,5 ÷ 4 ore. Queste durate di lavoro non sono continuative, ma debbono, come è noto, essere inframezzate da brevi periodi di riposo.
Le tre quantità: sforzo di trazione, velocità di marcia, durata di lavoro, che indicheremo qui rispettivamente con Z, v, e t, non sono indipendenti l'una dall'altra: p. es., un cavallo che eserciti un elevato sforzo di trazione e marci a una velocità relativamente non piccolissima, non può lavorare che per durate inferiori a quelle usuali, a meno di esaurirsi e deperire rapidamente.
La relazione che lega Z con v e con t può chiamarsi, estendendo una denominazione corrente nella trazione elettrica, col nome di caratteristica meccanica, o semplicemente caratteristica; più di frequente però, nel caso del cavallo, questa relazione prende il nome di formula delle forze. Essa dà una delle tre quantità, di solito Z, in funzione delle altre due.
Esistono numerose formule delle forze; esse sono essenzialmente di due sorta a seconda che valgono entro un campo di variabilità ristretto o esteso. Ricorderemo qui fra le molte della prima categoria la formula di Mascheck e della seconda categoria la sola esistente e cioè la nuova formula delle forze.
La formula di Mascheck. - La formula che Mascheck diede nel 1850, probabilmente traducendo in simboli un'ipotesi esposta da I. V. Poncelet nel 1839, lega Z, v, t con la relazione lineare seguente:
dove Zn, vn, tn indicano i valori normali o medî di Z, v, t (numericamente sopra indicati).
Il lavoro complessivo che può aversi in una giornata, o come si dice, la prestazione giornaliera, è:
In Z (e quindi in Zn) va compreso, come osservò il prof. G. Stabilini, anche lo sforzo che il cavallo compie per spostare il proprio corpo; onde ragguagliando questo a uno sforzo di trazione fittizio Za, che con P. Machart possiamo chiamare sforzo automotore e che può ritenersi uguale a 1/10 del peso del cavallo, e ponendo l'indice u per distinguere lo sforzo di trazione utile, la formula di Mascheck deve per le applicazioni scriversi nella forma:
che è la formula di Mascheck corretta.
La (1) e la (3) valgono per valori di v e t non troppo discosti da quelli normali, poiché l'esperienza quotidiana c'insegna che fra tutti i motori sono senza dubbio quelli animati a possedere la maggiore elasticità, ossia l'adattabilità a sforzi, velocità e durate di lavoro variabili entro limiti non troppo ristretti senza che di troppo vari il rendimento, in modo che la troppo semplice legge lineare della (1) o della (3) non può rappresentarne in via generale la caratteristica.
La nuova formula delle forze. - Sulla base delle numerose osservazioni fatte nel secolo XIX è stata qualche anno fa dedotta una nuova formula delle forze, nella quale non compaiono i valori assoluti di Z, v, t; naturalmente essa dà solo un'indicazione di larga approssimazione sulla caratteristica, sia perché le esperienze da cui è tratta sono poco più di cinquanta, sia anche perché queste esperienze furono fatte con cavalli di razza e peso diversi.
La nuova formula delle forze è:
(Z in kg., t in ore, v in m./sec.).
Influenza del numero dei motori nello sforzo di trazione utile. - Quando un veicolo è trainato da più di due cavalli, questi si disturbano a vicenda e nel valutare lo sforzo di trazione ritraibile da essi occorre applicare un coefficiente di riduzione: 0,95 per tre cavalli, 0,89 per quattro, 0,70 per cinque. Così, per esempio, lo sforzo di trazione che può aversi da quattro cavalli uniti, supposto di 75 kg. quello fornito da ciascuno di essi, è di 75 × 4 × 0,89 = 267 kg.
Un'altra riduzione si ha nelle curve quando i cavalli siano in fila indiana; essa può calcolarsi con semplici considerazioni geometriche che non è qui il luogo di riportare.