TRECCANI DEGLI ALFIERI, Giovanni
– Nacque a Montichiari (Brescia) il 3 gennaio 1877, da Luigi Pancrazio Treccani (1835-1906) e da Giulietta Gaifami (1840-1928). Era il secondo di sei figli (tre dei quali, Teodoro, Paola ed Emilio, morti bambini); uno dei fratelli sopravvissuti, Angelo, era di due anni più grande, mentre l’altro, Giuseppe, di tre anni più piccolo.
Il cognome Treccani era piuttosto diffuso a Montichiari, ed esisteva da diversi secoli: tra gli antenati accertati di Giovanni, il più lontano, Tonello, era vissuto intorno al 1390, mentre, nella frazione Novagli, una cascina già appartenente alla famiglia Treccani presenta tuttora uno stemma in pietra del 1762 che raffigura tre cani (Il patrimonio rurale di Montichiari, 2008, p. 80). Poiché il nonno e il prozio paterni di Giovanni, Angelo e Carlo, avevano esercitato a lungo la funzione di alfieri – portavano cioè lo stendardo municipale nelle principali manifestazioni pubbliche di Montichiari – i concittadini avevano preso l’abitudine di designare la loro famiglia come Treccani degli Alfieri; Giovanni scelse in seguito questa dizione come proprio patronimico nobiliare.
Dalla parte paterna, la famiglia di Giovanni era dedita tradizionalmente, almeno sin dalla fine del Cinquecento, alla cura di possedimenti agricoli (in particolare nella frazione Vighizzolo; ibid., pp. 27, 31, 34) e alla lavorazione della seta; era stata un tempo facoltosa, ma si era poi relativamente impoverita (negli ultimi decenni dell’Ottocento, comunque, tutti e tre i figli di Luigi e Giulietta poterono permettersi di studiare, cosa a quell’epoca non consueta nella piccola borghesia della provincia italiana).
La madre di Giovanni discendeva invece da un ramo laterale di un’antica e nobile famiglia di Brescia, quella dei Gaifami (le cui prime notizie certe risalgono al Duecento); tale ramo in seguito (nel Trecento) si era spostato nel Mantovano, stabilendosi infine (nel Quattrocento) a Castiglione delle Stiviere, la cittadina (vicina a Montichiari) dove Giulietta Gaifami sarebbe poi nata.
All’inizio del Novecento, Luigi Treccani – benché citato in tutti i documenti ufficiali come «negoziante», in quanto intestatario nominale di una farmacia adiacente alla sua abitazione – dirigeva una piccola filatura in contrada degli Alberghi (oggi corso Martiri della libertà), aiutato dal figlio Angelo; Giulietta Gaifami gestiva un caffè-bigliardo con pasticceria; Giuseppe, il più giovane dei tre fratelli, chimico farmacista (diplomatosi all’Università di Pavia), lavorava nella farmacia di proprietà del padre (Beltrami Treccani, 2019, pp. 3 s.).
Giovanni, crescendo, fece sua la misurata dignità caratteristica della propria famiglia, fatta di laboriosità e di sentimenti di coesione con i luoghi nativi, resi più saldi, sul lato paterno, dai benefici terrieri ancora posseduti e, sul lato materno, dalla memoria di antenati nobili e colti. La sorte lo avrebbe provvisoriamente allontanato dalla routine della vita agreste e di provincia; ma lì e a tali sensibilità egli sarebbe sempre tornato.
A un’altra tradizione familiare egli sarebbe stato sempre fedele, quella di un patriottismo di impronta risorgimentale (e quindi lontano dal nazionalismo sviluppatosi a partire dall’inizio del Novecento). Tale patriottismo era fondato, tra l’altro, sulla memoria collettiva e popolare delle battaglie della seconda guerra d’indipendenza che si erano svolte nei pressi della sua città natia – in particolare quelle di Solferino e San Martino del 1859, che avevano visto suo padre assistere i feriti dell’esercito sabaudo insieme al cugino, don Domenico Treccani – ed era stato rafforzato dagli insegnamenti dello scrittore ed ex garibaldino Giuseppe Cesare Abba, suo professore all’istituto Tartaglia (G. Treccani degli Alfieri, Nel cammino della mia vita, s.l. 1961, p. 431).
Treccani frequentò a Montichiari, dal 1885 al 1889, le scuole elementari, a Desenzano sul Garda (Brescia), dal 1889 al 1892, le scuole tecniche del collegio-convitto municipale Bagatta (qui maturò per la prima volta l’idea di diventare ingegnere) e a Brescia, dal 1892 al 1895, l’istituto tecnico Nicolò Tartaglia, dove conseguì il diploma nella sezione fisico-matematica.
Nell’estate del 1895, diciottenne, si recò a Milano per cercare lavoro. Lì, nell’abitazione dello zio materno Lodovico Gaifami – proprietario in quella città di una falegnameria industriale – conobbe Adriano Centenari, uno dei fondatori della società milanese Centenari & Zinelli (creata nel 1872, era stata la prima impresa italiana a fabbricare tessuti elastici). In seguito, nella fabbrica di Centenari poté ammirare i telai Jacquard, i primi sistemi meccanici programmabili mediante schede perforate. Decise allora non solo di diventare un tecnico tessile, ma anche di portare la propria istruzione all’altezza delle più avanzate conoscenze e metodiche di quel tipo di manifattura.
Era necessario, per questo, frequentare un’apposita scuola. Treccani si avviò così, nel settembre del 1895, alla volta di Crefeld – dal 1929 ribattezzata Krefeld – nella Renania settentrionale. Questa era chiamata la città della seta per la grande quantità di fabbriche specializzate ivi presenti, e ospitava la più importante scuola superiore tessile d’Europa, la Staatliche Ingenieurschule für Textilwesen. Era un’istituzione che, oltre agli insegnamenti teorici, comportava anche quelli pratici, e permetteva agli studenti di esercitarsi su macchinari di avanguardia; vi convenivano giovani di tutto il mondo. Per poter partire, Giovanni dovette superare la resistenza del padre, dovuta all’alto costo di quel soggiorno di formazione all’estero (5000 lire, escluse le spese di mantenimento); ma la sua determinazione gli guadagnò la fiducia e un prestito dello zio Lodovico.
In due anni (cioè in anticipo di un anno) concluse i corsi ordinari e quelli di perfezionamento. Al ritorno in Italia, nell’autunno del 1897, portò con sé – oltre a un’ottima conoscenza del tedesco – il bagaglio di un’eccezionale esperienza di studio e di applicazione pratica, che comprendeva il disegno, la meccanica, l’analisi dei tessuti e dei mezzi più idonei a fabbricarli, la conoscenza delle fibre tessili e dell’intero ciclo del loro trattamento (trattura, filatura, cardatura, tessitura, tintoria, stamperia, finissaggio).
L’esperienza di Krefeld emancipò Treccani dal retaggio – solido, ma da lui avvertito come angusto – della vita di provincia. Nuove nozioni tecniche e spirito di modernizzazione furono lievito in un temperamento che per serietà, dedizione e desiderio di primeggiare aveva trovato una piena corrispondenza nella tedesca Fleissigkeit (assiduità nello studio).
Treccani aveva diligentemente annotato le numerose osservazioni fatte nel corso dei suoi studi, che in seguito raccolse in diversi volumi (questi costituirono la prima parte, autoriale, della sua personale biblioteca tecnica, nel tempo arricchita di volumi di pregio e grandi edizioni – di carattere storico, artistico e letterario – che avrebbero rivelato in lui il fiuto del collezionista e il gusto del bibliofilo).
Negli anni successivi Treccani coltivò a lungo, ma invano, progetti di soggiorni in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Nell’immediato, tra il novembre del 1897 e il luglio del 1898, lavorò a Milano, disegnando tessuti per le officine di Gaetano Alzati (specializzate nella produzione di macchine per l’industria tessile).
L’occasione che rivelando le sue capacità avrebbe anche fatto la sua fortuna di imprenditore giunse con la richiesta avanzata nell’estate del 1898 ad Alzati dall’impresa Lanificio Rossi, che cercava un ‘compositore’ (disegnatore) di tessuti.
Il Lanificio era in quel periodo la più grande azienda tessile d’Italia: comprendeva numerosi stabilimenti sparsi nella provincia di Vicenza (il principale era quello di Schio) e occupava circa 5000 operai (Caruso, 2017). Fondato dall’industriale Francesco Rossi (1792-1845), era stato portato dal figlio Alessandro (1819-1898) al primato nazionale, che aveva fatto di Schio la Manchester italiana: un’industria avanzata per le tecnologie in uso, la differenziazione delle fonti energetiche sfruttate e la razionalizzazione degli spazi di lavoro, sotto la direzione e con la consulenza di tecnici stranieri, soprattutto francesi e belgi (Treccani entrandovi fu l’unico italiano). Era anche un modello di relazioni sociali avanzate, ed è significativo che di Alessandro Rossi, morto pochi mesi prima dell’arrivo in azienda di Treccani, quest’ultimo avrebbe un giorno firmato la voce nella sua Enciclopedia Italiana di scienze, lettere e arti (XXXI, 1936, pp. 140 s.).
Treccani, con 100 lire in tasca, nel luglio del 1898 partì alla volta di una delle principali fabbriche del Lanificio, quella di Piovene Rocchette, che dipendeva da Gaetano Rossi, uno dei figli di Alessandro; vi rimase fino al 1912.
Iniziò come disegnatore, ma ben presto i suoi superiori si accorsero che all’estero aveva acquisito competenze preziose per l’azienda, che gli consentivano di avanzare proposte interessanti. Vennero così apportate ai macchinari, con risultati positivi, le modifiche che egli andava a mano a mano promuovendo, tanto che Gaetano Rossi, alla chiusura del bilancio 1898-99, gli espresse la sua soddisfazione, gli diede una gratifica di 5000 lire (con cui Treccani poté saldare il debito contratto nel 1895 con lo zio) e lo nominò vicedirettore dello stabilimento.
Divenuto ormai uno dei dirigenti, Treccani prese diverse iniziative innovative, sia tecniche (ulteriori modifiche al funzionamento dei telai, nuovi disegni per i tessuti, introduzione di nuove sostanze chimiche per le tinture) sia organizzative (diminuzione dell’orario di lavoro degli operai da 12 a 11 ore, mantenendo la stessa paga); ne risultarono per lo stabilimento di Piovene una maggiore produttività e una minore percentuale di tessuti difettosi. Come aveva fatto a Krefeld, per migliorare il proprio lavoro Treccani prese a redigere delle note tecniche, formate da un diario quotidiano di osservazioni e da un registro delle invenzioni e degli aggiustamenti che via via andava escogitando.
La sua carriera conobbe un’ascesa ininterrotta: nel 1901 (a ventiquattro anni) fu nominato direttore dello stabilimento di Piovene, e nel 1910 direttore del ramo del Lanificio Rossi che era presieduto da Gaetano.
Nel 1909 aveva assunto la direzione di un altro grande stabilimento del gruppo Rossi, il Cotonificio Rossi di Vicenza (dove lavoravano circa 2500 operai); prima ne promosse la trasformazione tecnica e poi si adoperò perché sormontasse le difficoltà che avevano colpito l’intero settore cotoniero.
Nel 1911, tuttavia, rifiutò la direzione generale del Lanificio Rossi (che occupava ormai 12.000 operai): aveva infatti deciso di imboccare una sua strada all’esterno di questa azienda, anche perché erano cominciate a girare voci, a lui molto sgradite, di un suo possibile matrimonio d’interesse all’interno della famiglia Rossi. L’occasione di costruirsi un futuro come industriale in proprio gli giunse dalle difficoltà in cui si era venuto a trovare in Italia il settore cotoniero (investito, a partire dal 1907, da una forte crisi di sovrapproduzione, che culminò nel 1910, con esiti disastrosi). Nel 1911 Treccani fu chiamato – da Centenari, amico del deputato Carlo Dell’Acqua, appartenente a una famiglia di grandi imprenditori lombardi del cotone – a cercare di porre rimedio alla situazione drammatica nella quale versava il Cotonificio Valle Ticino (una delle principali aziende del settore) e accettò la proposta, dimettendosi da tutti i suoi incarichi nelle aziende del gruppo Rossi (vi sarebbe tornato solo vent’anni dopo, nel 1931). Fece scalpore, nell’ambiente imprenditoriale, la sua decisione di lasciare dei posti sicuri e prestigiosi per occuparsi di un’impresa sull’orlo del fallimento.
Il Cotonificio era nato nel 1905, in pieno boom cotoniero, con un capitale iniziale prima di 3 e poi di 4 milioni, investiti dagli industriali Benigno Crespi, Gaspare Gussoni e Fedele Borghi. Comprendeva cinque stabilimenti – due a Turbigo (Milano) e uno rispettivamente a Vanzago (Milano), Trecate (Novara) e Cerano (Novara) – in cui lavoravano circa 3000 operai. Nel 1911 si trovava in uno stato drammatico: era privo di capitale circolante; aveva una perdita di bilancio pari alla metà del capitale azionario e un debito di 7 milioni (cifra enorme per l’epoca; G. Treccani, Memoriale, Milano 1945, p. 11); gli stabilimenti, sebbene in buono stato, erano male attrezzati e peggio utilizzati; le politiche di vendita erano inadeguate per un prodotto eseguito solo con cascame; infine, molta delle merce prodotta era risultata difettosa (in parte era rimasta in magazzino e in parte era stata venduta, provocando le proteste dei clienti).
Treccani fu accolto inizialmente come consigliere delegato, e nel giugno del 1912 divenne direttore. Elesse dimora nella cittadina di Vanzaghello (scelta perché all’incirca equidistante dalle quattro località dove avevano sede gli stabilimenti dell’azienda) e prese a effettuare spostamenti quotidiani nelle due sedi amministrative di Turbigo e Milano.
Il risanamento dell’azienda richiese due anni (1913-14). Treccani escogitò un sistema di tessitura e filatura su commessa, per conto di terzi provvisti di materia prima; rimise in funzione il cascamificio; tenne sotto stretta sorveglianza i conti.
Ma poiché intendeva risanare e nello stesso tempo rilanciare il Valle Ticino, era necessario eliminarne gli alti debiti. Prese così un’iniziativa ardita e inedita nel mondo industriale, ma basata su un’idea chiara dell’azienda che intendeva dirigere: convocò i dodici creditori principali e propose loro di trasformare i crediti in azioni del Cotonificio; come garanzia del proprio coinvolgimento personale nell’operazione, si propose lui stesso come azionista. Inoltre, per evitare temporeggiamenti e manovre dilatorie, fissò una data precisa, il 15 giugno 1914, come termine ultimativo, minacciando in caso contrario di presentare le proprie dimissioni, il che avrebbe fatto tornare l’azienda nella tragica situazione precedente. L’azzardo funzionò: i creditori accettarono e non solo i debiti del Valle Ticino furono azzerati, ma la produzione aumentò e vennero recuperati molti dei clienti che negli anni precedenti lo avevano abbandonato (per la storia del ruolo di Treccani in questa azienda, si v. Rivolta - Schenal - Villa, 2011).
In seguito ai risultati ottenuti con il Valle Ticino, nel 1914 egli venne chiamato a risolvere la grave situazione di un’altra impresa tessile, il Cotonificio Cova (nato nel 1905), che aveva tre stabilimenti in Lombardia. Ma in questo caso la crisi era ormai troppo avanzata e nel 1915 Treccani dovette sottoscrivere il fallimento dell’azienda; riuscì, tuttavia, almeno a contenerne gli effetti sulla mano d’opera, poiché due degli stabilimenti rimasero aperti e presero a produrre per conto del Valle Ticino (sarebbero stati poi aggregati a una delle nuove aziende create da Treccani, la Tessiture bergamasche). A causa di quest’ultimo, seppur parziale, successo, nel 1915-16 Treccani venne chiamato come consulente da diverse aziende tessili in difficoltà (i cotonifici Veneziano, Alberto Amman e Fossati & Lamperti, e il lanificio Targhetti).
In quegli anni Treccani realizzò progressivamente, nella sua attività pratica di dirigente industriale, un modello di organizzazione funzionale che si può considerare sostanzialmente portato a compimento nel 1917. A garanzia della continuità e dell’integrità dell’intero ciclo (approvvigionamento, lavorazione e vendita), esso integrava sette ditte tessili, sei delle quali da lui create ad hoc: il Cotonificio Valle Ticino (che egli riteneva di aver di fatto creato ex novo, perché nel 1911 lo aveva «fatto risuscitare», Memoriale, cit., p. 11), l’Industria tessuti tinti e la Fabbrica telerie (1914), la Tintoria italiana e la Tessiture bergamasche (1915), la Manifattura tessuti Candidi (1916), la Manifattura tessile a colori (1917).
Non è dato sapere con certezza se Treccani avesse in mente sin dall’inizio di costruire in questa forma il suo «sistema» (p. 12) o se esso prese vita poco alla volta e in maniera empirica; in ogni caso, quando lo descrisse retrospettivamente, nel citato Memoriale del 1945, sembrò sostenere la prima ipotesi: «Queste [sette] società acquistavano il tessuto grezzo, lo facevano finire e lo vendevano. Ognuna ebbe in Milano una propria sede per uso magazzino, campionario e studio [...]. Sono stato indotto a studiare quel sistema di organizzazione aziendale dalla constatazione che i grandi disastri sono dovuti quasi sempre alla parte commerciale, necessariamente speculativa: ribassi delle materie prime, ribassi e rialzi dei cambi monetari o dei noli, fallimenti [...]. Nella divisione del lavoro, nella separazione giuridica e di fatto delle aziende industriali da quelle commerciali, consiste il mio sistema, che in quegli anni e in seguito ha avuto tanto successo; ad esso io ascrivo in particolare la fortuna mia e delle mie industrie» (p. 12).
Sempre nel Memoriale, rivendicò e addirittura teorizzò la scelta di creare aziende di dimensioni ridotte, relativamente autonome tra loro ma cooperanti, in opposizione al modello della concentrazione monopolistica, che tendeva a fondere le aziende tra loro, in complessi di enormi dimensioni (p. 12).
L’ingresso dell’Italia in guerra, nel 1915, fece ulteriormente aumentare, per via delle commesse militari, la domanda di prodotti delle aziende di Treccani e in particolare del pilastro del suo ‘sistema’, il Valle Ticino (a conclusione della guerra Treccani ne avrebbe acquistato l’intero pacchetto di azioni, diventandone proprietario unico).
Nel maggio del 1915 Treccani si presentò volontario a Milano al corso allievi ufficiali; venne nominato sottotenente, ma, in quanto dirigente d’industria, fu esonerato dal servizio.
Negli anni della guerra, creò, oltre a quelle prima citate, altre cinque aziende, operanti in diversi settori dello sforzo bellico: Amideria subalpina (chimica), Anonima autotrasporti (autoveicoli), Costruzioni Motta (edilizia), Thermo-Sanitas (idraulica), Costruzioni macchine tessili (meccanica).
Nel settembre del 1917 Treccani sposò Giulia Quartara (1889-1960), figlia del marchese Ernesto Barnaba Quartara (1852-1917) – genovese, direttore generale del ministero della Marina – e di Vittoria Gavazzi (1860-1936) – discendente di un’antica famiglia lombarda, attiva prima nel settore della seta e poi anche in quello bancario.
Tramite i Quartara, a Treccani divennero consueti il mondo della politica e quello della cultura teatrale e musicale, ma anche gli ambienti, meno tradizionali, frequentati dal fratello della moglie, Giorgio Quartara (1883-1951), radicale e anticlericale, grande viaggiatore e prolifico saggista. Tra il 1917 e il 1919 i coniugi Treccani acquistarono quattro fra palazzi e ville nei centri urbani di grandi città (due a Milano e due a Roma), che si aggiunsero alle case e ai terreni acquistati in precedenza da Giovanni a Montichiari e a Vanzaghello. Dal loro matrimonio nacquero quattro figli, Luigi (1919-1995), Ernesto (1920-2009), Vittorio (1923-1985) e Carla (1924-1996). Il padre fu solito tenere, per ciascuno, un diario dalla nascita alla maggiore età, consegnato in dono al tempo della loro uscita dalla casa natale.
Nei primi anni del dopoguerra Treccani proseguì la sua attività di creatore di nuove aziende. Tra la fine del 1918 e la fine del 1920, infatti, ne fondò tre, che venivano a completare e a integrare le altre 12 imprese del gruppo Treccani sul piano commerciale e finanziario: la Società per il commercio con l’Oriente (che si occupava della «vendita di tessuti speciali per quelle regioni, [...] mediante scambio merci, date le difficoltà dei cambi monetari», Memoriale, cit., p. 12), la Spedizioni Barbacini («col compito fiduciario di provvedere allo sbarco delle materie prime, specie cotone, e di curare le spedizioni dei tessuti in tutte le parti del mondo»), la Banca industriale lombarda («col compito di regolare e facilitare il movimento finanziario e di cassa delle 14 società, funzionando da stanza di compensazione»).
Un altro elemento che spiega il successo delle aziende del gruppo Treccani fu l’introduzione precoce dell’automazione nel processo produttivo e il fatto che tale innovazione aveva basi materiali del tutto autonome: nel 1920, infatti, il Valle Ticino era l’unica azienda tessile in Italia (e una delle poche nel mondo) a usare telai automatici (3000 erano quelli in funzione nei suoi stabilimenti) che erano fabbricati all’interno e non all’esterno del gruppo industriale di appartenenza (provenivano infatti da un’altra impresa di Treccani, la Costruzioni macchine tessili).
A testimonianza della fama e del prestigio raggiunti, tra il 1917 e il 1920 Treccani ricevette diverse onorificenze da parte dell’Ordine della Corona d’Italia: ne venne infatti nominato cavaliere il 27 maggio 1917, ufficiale il 21 dicembre 1919, commendatore il 22 febbraio 1920 (Archivio storico del Senato della Repubblica, ASR, Roma, schede on-line); quindi grande ufficiale il 28 dicembre 1922 e gran cordone il 20 ottobre 1932, mentre il 14 settembre 1939 ricevette la nomina a cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Il 20 febbraio 1920 fu nominato cavaliere del lavoro in quanto (come afferma la motivazione ufficiale, riportata nel Memoriale, cit., p. 15) «industriale tessile innovatore che si è fatto da sé, creando nuove industrie su basi originali a vantaggio dell’economia nazionale e dei lavoratori».
Il 1920 costituì l’apice dell’attività imprenditoriale di Treccani, come egli stesso avrebbe in seguito scritto («l’anno 1920 ha rappresentato il culmine della mia potenza industriale e quindi economica»; p. 15). Era non solo uno dei più importanti industriali del Paese, ma anche uno degli uomini più ricchi.
Nel 1921 una nuova crisi economica mondiale coinvolse anche l’Italia (che da parte sua era in recessione già dal 1917). Le aziende di Treccani non furono risparmiate: quella principale, il Valle Ticino, vide cadere il valore nominale delle proprie azioni da oltre 300 lire a poco più di 50. Invece di vendere (come molti proprietari di imprese quotate in Borsa, presi dal panico, stavano facendo), Treccani, usando il proprio patrimonio personale e prestiti ottenuti da alcune banche, comprò le azioni dell’azienda, ristabilendo così un clima di fiducia; a pochi mesi dall’inizio della crisi le azioni avevano ormai ripreso il loro valore precedente.
La crisi del 1921, benché superata felicemente dal gruppo Treccani, aveva tuttavia evidenziato la sua vulnerabilità ai fattori esogeni (che si rivelò fatale dopo il 1926). Nella prima metà degli anni Venti Treccani ritenne quindi prudente diversificare, ma anche internazionalizzare, il proprio portafoglio azionario; acquistò, quindi, quote del capitale di aziende impiantate in Italia, ma fondate o finanziate da imprese straniere, ed entrò anche nei loro consigli di amministrazione: la Società italiana di elettricità Siemens-Schuckert, fondata nel 1908 come divisione italiana dell’omonimo gruppo tedesco; la Compagnia generale di elettricità (CGE), fondata nel 1921 come divisione italiana del gruppo statunitense General electric; la Società bergamasca per l’industria chimica, fondata nel 1921 con capitali provenienti da tre grandi aziende farmaceutiche svizzere (la J.R. Geigy, la CIBA – Chemische Industrie BAsel – e la Sandoz); la Società italiana radiomarittima (SIRM), fondata nel 1927 da Guglielmo Marconi con capitali britannici di diversa provenienza.
Gli anni tra il 1926 e il 1931 videro in Italia una grave e progressiva crisi del settore tessile (e in particolare di quello cotoniero), che portò al disgregamento del ‘sistema tessile’ di Treccani: il Valle Ticino assorbì infatti, per forza di cose, quasi tutte le altre aziende collegate che operavano nello stesso settore; rimase la sola Tintoria italiana, che sarebbe stata comunque venduta da Treccani nel 1933.
Anche se non aveva più un vero e proprio gruppo industriale, Treccani non cessò la sua attività di imprenditore. Rimase alla guida del Valle Ticino, che dopo il 1933, cessata la crisi economica mondiale, riuscì comunque a far crescere nuovamente di dimensioni, tanto che nel 1937 arrivò a occupare 4500 lavoratori e a comprendere ben 11 stabilimenti (nelle province di Milano, Bergamo, Varese e Novara): due filature (Turbigo, Vittuone), cinque tessiture (Cerano, Fagnano Olona, Trecate, Vanzago, Vanzaghello), una tessitura a colori (Nese), un candeggio e una tintoria (Cerano), una tintoria con stampa tessuti e lavorazione velluti (Fagnano Olona).
Treccani assunse inoltre incarichi direttivi in altre aziende (in alcune delle quali non aveva nessuna partecipazione azionaria). Nel 1931 venne chiamato alla Lanificio Rossi come membro del consiglio di amministrazione, e nel 1934 ne divenne presidente. All’incirca negli stessi anni fu presidente del Credito commerciale, della Società italiana di elettricità Siemens-Schuckert, della Società bergamasca per l’industria chimica, del Cotonificio Cesare Macchi, della svizzera Fédérale assurance, della Centenari & Zanelli; fu vicepresidente della Società anonima fabbriche fiammiferi ed affini (SAFFA).
Fino all’età di quarant’anni Treccani non si lasciò coinvolgere direttamente dalla politica. Nel dicembre del 1918 (subito dopo la fine della guerra) aderì all’Associazione dei liberali di Milano, di cui divenne l’anno successivo vicepresidente.
Tuttavia, in quanto noto industriale ricevette da Benito Mussolini – in occasione del loro primo incontro, nell’estate del 1919 – la richiesta di sostenere i Fasci italiani di combattimento, fondati nel marzo di quell’anno, e di partecipare nelle loro liste alle elezioni politiche che dovevano svolgersi in novembre, ma rifiutò.
Iniziò comunque ad avvicinarsi progressivamente al movimento fascista, almeno sul piano culturale. Va probabilmente inserita in quest’ambito la decisione di creare una ‘tribuna’ per le sue posizioni teoriche. Nel marzo del 1920, infatti, finanziò a Milano la fondazione di una rivista settimanale di politica, Risorgimento (diretta da Gian Galeazzo Arrivabene), che sarebbe vissuta per due anni (fino al giugno del 1922) e per la quale avrebbe scritto alcuni articoli.
Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali italiani fascisti agli intellettuali di tutte le nazioni. Dopo qualche esitazione, l’8 novembre 1925 scrisse a Giovanni Gentile «per essere prontamente iscritto al Partito fascista» (Archivio della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, AFG, s. 1, s.s. 2) e la sua iscrizione venne ufficializzata il 12 dicembre.
Questo non gli impedì di mantenere negli anni successivi, in determinate occasioni, una certa indipendenza di giudizio. Disapprovò pubblicamente più volte, per es., la politica economica e monetaria del governo Mussolini, e per questo rifiutò nel luglio del 1928 – quantomeno così avrebbe affermato nel 1945 (Memoriale, cit., p. 6) – di sostituire Giovanni Volpi come ministro delle Finanze. Inoltre, nonostante varie pressioni ricevute dall’alto, non volle separarsi da collaboratori che erano noti come antifascisti; il caso più noto è quello di tre dirigenti del Valle Ticino che aveva reclutato tra il 1915 e il 1920: Vittorio Arsuffi, Nilo Cova e Mario Ruggenini.
L’adesione di Treccani al fascismo fu indubbiamente dettata da ragioni di opportunità (avrebbe detto in seguito, in un’intervista, suo figlio Ernesto: «La sua era un’adesione utilitaristica, come quella di tutti gli industriali», Vergani, 1989).
Un forte impegno di Treccani in ambito culturale ebbe inizio – almeno stando alle sue dichiarazioni retrospettive (Memoriale, cit., p. 21) – nel 1919, quando egli stanziò 100.000 lire per il restauro del monumento a Sebastiano Venier – comandante delle forze veneziane nella battaglia di Lepanto (1571) – situato nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia e disegnato e costruito nel 1907 dallo scultore Antonio Dal Zotto.
Annotava nel suo diario, nel dicembre del 1918: «La ricchezza ha un’alta funzione sociale da compiere; essa [...] non deve essere considerata fine a se stessa [...] ma mezzo per raggiungere nobili fini; [...] [in particolare] l’industria [...] deve essere larga di appoggio agli studiosi [...] [perché] si può contribuire allo sviluppo delle lettere, delle scienze e delle arti, anche senza essere letterati, scienziati o artisti, proteggendo quelle e animando questi» (cit. in Bellingeri, 2009, p. 223).
Nel gennaio del 1920 Treccani donò 300.000 lire all’Accademia nazionale dei Lincei, «che versava in critiche condizioni» (Memoriale, cit., p. 21). La notizia dell’iniziativa giunse a un largo pubblico tramite un articolo che Francesco D’Ovidio, presidente dell’Accademia e senatore, scrisse sul quotidiano romano Il giornale d’Italia. Nell’autunno del 1922 Treccani si dichiarò pronto a finanziare con 500.000 lire la creazione, presso l’Università di Roma, di una cattedra per il fisico Albert Einstein, che aveva appena ricevuto il premio Nobel; la proposta non ebbe seguito, ma la sola idea incontrò la disapprovazione del capo del governo.
In cerca di un’occasione per un atto di mecenatismo non meramente episodico, Treccani elaborò il progetto di dar vita a una Fondazione Giovanni Treccani per la promozione degli studi scientifici in Italia, dotata di considerevoli fondi di avvio (3 milioni, tutti provenienti dal suo patrimonio personale). Nei primi mesi del 1923 il progetto lo portò a sondare il parere di Mussolini e di Gentile, allora ministro della Pubblica Istruzione.
Gentile lo chiamò a Roma il 26 aprile 1923 e gli disse che avrebbe fatto meglio a investire i suoi fondi non nella Fondazione, ma nel riscatto di un preziosissimo codice miniato quattrocentesco, La Bibbia di Borso d’Este, una delle più alte espressioni della miniatura rinascimentale europea; la questione, spiegò Gentile, andava risolta con urgenza, perché una grande biblioteca privata statunitense, la John Pierpont Morgan Library di New York, si era già detta interessata ad acquistare l’opera. Dopo cinque giorni concitati di trattativa a Parigi, il 1° maggio Treccani riuscì nell’impresa, giungendo a un accordo di acquisto che comportava l’esborso di 3,3 milioni di franchi francesi, pari a circa 5 milioni di lire (e a 4 milioni di euro di oggi). Secondo il contratto di acquisto, il codice sarebbe rimasto di proprietà personale dell’industriale. Treccani però, coerentemente con le sue idee, non solo rifiutò un’allettante offerta di acquisto della Morgan Library (4,3 milioni di franchi, che gli avrebbero consentito il recupero dell’intera somma spesa e un guadagno aggiuntivo netto di 1,5 milioni di lire), ma decise anzi che la Bibbia di Borso dovesse appartenere all’intera nazione. Si affrettò quindi a telegrafare a Mussolini, per comunicargli che intendeva fare dono dell’opera allo Stato italiano. Al suo ritorno, perfezionò sul piano legale la restituzione, che venne qualificata come donazione privata (sulla vicenda si vedano: G. Treccani, in La Bibbia di Borso d’Este: ricupero e riproduzione, Milano 1937; Cappelletti, in La Bibbia di Borso d’Este, 1997; Bellingeri, 2009, pp. 223-225).
L’episodio ebbe vasta risonanza e gli valse numerosi articoli sulla stampa, nazionale e internazionale, e diversi riconoscimenti pubblici, anche istituzionali.
A Treccani fu tributata la cittadinanza onoraria di Ferrara (che aveva prodotto la Bibbia di Borso) e di Modena (che l’aveva custodita per tre secoli). Nei mesi seguenti, diverse città italiane reclamarono la custodia dell’opera: Milano (residenza principale di Treccani), Modena, Ferrara e Roma (in quanto capitale). Treccani rifiutò di lasciarsi coinvolgere in questa contesa, e lasciò che essa venisse sciolta dal re Vittorio Emanuele III (cui l’opera era stata consegnata il 7 giugno); questi l’affidò infine, il 25 luglio, alla Biblioteca Estense di Modena, seguendo il principio di ‘provenienza del bene’. Le polemiche e le trattative però continuarono e l’attribuzione a Modena divenne definitiva solo con un decreto ministeriale del 27 maggio 1924. Il 19 aprile 1925 – alla presenza di Treccani e Gentile (ormai non più ministro) – i due volumi della Bibbia di Borso vennero infine esposti per la prima volta nelle sale della Biblioteca Estense, in cui si trovano ancor oggi (Per celebrare..., 1925; Bellingeri, 2009, pp. 225-230).
In seguito alla vicenda della Bibbia di Borso, Gentile propose al re che Treccani venisse nominato senatore, cosa che avvenne il 18 settembre 1924. Fu da allora attivo in Senato; nel dicembre del 1924 votò la fiducia al governo Mussolini, e fece parte di importanti commissioni, tra cui quelle per il giudizio dell’Alta corte di giustizia (1929-34) e quella dell’economia corporativa e dell’autarchia (1939-43).
Di notevole rilievo fu anche l’attività di Treccani come collezionista di opere d’arte, iniziata nel 1912 e proseguita sino alla sua morte (ma poco studiata, dopo un pionieristico articolo coevo – Morassi, 1930 – sino a Brison, 2014). Quanto per lui fosse importante è dimostrato dal fatto che nella sua autobiografia-testamento (Nel cammino della mia vita, cit.) molte delle 205 fotografie raffigurano quadri da lui acquistati.
Treccani nel 1912 prese ad acquistare quadri di pittori italiani dell’Ottocento; sua guida per questo periodo della storia dell’arte fu Ugo Ojetti, scrittore e critico d’arte (e futuro condirettore della sezione Arte dell’Enciclopedia Italiana). Treccani fu piuttosto eclettico nei suoi acquisti, che riguardarono differenti ‘scuole’ (il verismo, la scapigliatura, il simbolismo, il divisionismo), rappresentate da pittori come Filippo Palizzi, Daniele Ranzoni, Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Giacomo Favretto, Filippo Carcano, Adolfo Feragutti Visconti, Giovanni Segantini, Giulio Aristide Sartorio.
Nel 1923, in seguito alla vicenda del recupero della Bibbia di Borso, Treccani entrò in contatto con lo storico dell’arte Adolfo Venturi, il quale lo incoraggiò a orientarsi anche verso l’acquisto di opere di arte antica, e dal 1924 in poi comprò per suo conto, spesso all’estero, quadri di pittori italiani (o delle loro ‘botteghe’). Inizialmente privilegiò gli artisti attivi nel Quattrocento e Cinquecento – Piero di Cosimo, Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio, Fra’ Bartolomeo detto Baccio della Porta, Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, Angiolo Tori, detto il Bronzino, Girolamo da Correggio – e in seguito si orientò per lo più verso la scuola veneziana del Settecento – Giambattista Tiepolo, Francesco Guardi, Domenico Fedeli, detto il Maggiotto, Giuseppe Angeli, Francesco Zuccarelli, Giovanni Paolo Pannini.
Si può dire che nel 1930, dopo quasi vent’anni, la collezione Treccani fosse in sostanza completata. Quell’anno uscì il citato studio di Antonio Morassi, uno storico dell’arte ex allievo di Venturi, pubblicato su Dedalo (la rivista diretta da Ojetti) con il titolo La raccolta Treccani.
Treccani, nel corso degli anni (soprattutto dopo il 1923), prestò con grande generosità molti suoi quadri per mostre temporanee, anche all’estero, o esposizioni permanenti; tra queste ultime, privilegiò la Biennale di Venezia e la Permanente di Milano (istituzione che diresse dal 1936). Inoltre fece fotografare diversi suoi quadri per le tavole a colori dell’Enciclopedia Italiana.
La collezione Treccani, nel 1961 divisa tra i quattro figli dell’imprenditore, risulta oggi quasi completamente dispersa.
L’intesa che era nata tra Gentile e Treccani nel corso della vicenda della Bibbia di Borso si rafforzò in seguito al coinvolgimento di entrambi nel progetto di una enciclopedia italiana.
Esistevano al riguardo dei precedenti. Nel 1919 era stata progettata una Enciclopedia nazionale in 24 volumi, su iniziativa dello storico Mario Menghini e di Ferdinando Martini, che riuscirono a coinvolgere la Società italiana per il progresso delle scienze (presieduta dal matematico Vito Volterra e amministrata dal direttore della Banca d’Italia Bonaldo Stringher) e l’editore Bemporad. Tra il 1921 e il 1922, una Grande enciclopedia italica in 18 volumi era stata progettata dall’editore Angelo Fortunato Formiggini, che era riuscito a ottenere la collaborazione di circa mille tra editori, stampatori e librai, disponibili a diventare azionisti del costituendo Consorzio italiano editori e librai. Martini aiutò Formiggini a creare un ente culturale che aveva tra i suoi compiti anche quello di finanziare la nuova enciclopedia e di dirigerne la stesura, e che venne denominato Istituto per la propaganda della cultura italiana (poi trasformato, in novembre, nella Fondazione Leonardo per la cultura italiana, con Martini come presidente e il fisico Orso Maria Corbino, in quel momento ministro della Pubblica Istruzione, come vicepresidente). Anche Gentile venne coinvolto nel progetto: se in linea generale era molto favorevole all’idea di creare una ‘enciclopedia nazionale’, riteneva però che la Grande enciclopedia italica non avesse né sufficienti basi finanziarie né, soprattutto, una coerenza editoriale, cioè una fisionomia precisa come opera; anche Benedetto Croce, interpellato da Formiggini, lo mise in guardia dal rischio di fare un’opera eclettica («una Enciclopedia deve avere un’anima sua, una sua coerenza»; cit. in Formiggini, 1923, p. 161).
L’interessamento di Gentile si incontrò con la simile inclinazione di Treccani. Quest’ultimo non si limitò al ruolo di finanziatore, ma studiò il problema con molta attenzione (dal punto di vista sia editoriale sia economico) e prese iniziative concrete: «Dissi quindi ai proponenti [Menghini e Stringher] che avrei fatto preparare un nuovo progetto da un tecnico di mia fiducia. Studiai, a tale scopo, le organizzazioni delle più celebri enciclopedie esistenti [...] e mi fermai sul sistema monografico dell’XI edizione [1910-1911, in 29 volumi] della Britannica, [che avrebbe dovuto essere] ampliata nel volume e col doppio delle illustrazioni, dato l’immenso patrimonio artistico dell’Italia. L’Enciclopedia nostra doveva seguire una via di mezzo tra i due tipi allora più diffusi: il dizionario enciclopedico con innumerevoli piccoli articoli, tipo grande Larousse, e l’enciclopedia monografica, tipo Enciclopedia Britannica; avrebbe avuto 60.000 voci principali e altre 24.000 secondarie [...]. Il preventivo [che feci preparare] portò ad un costo di Lire 1.500.000 ogni volume [...] per 36 volumi [...] cioè ad un costo totale dell’edizione di 54 milioni. Dopo lunghe riflessioni e controlli, decisi l’impresa, senza scopo di lucro per me, cioè assumendomi tutti gli oneri e rinunciando agli eventuali utili» (Memoriale, cit., p. 30).
Il 18 febbraio 1925 venne così fondato l’Istituto Giovanni Treccani, per la pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti. L’atto costitutivo ne dichiarava la natura interamente privata, «nel desiderio di servire la Patria procurando alla cultura italiana uno strumento di cui essa da lungo tempo aveva bisogno per il suo stesso incremento e per la diffusione di una esatta nozione e di un giusto giudizio del contributo che l’Italia ha in ogni tempo arrecato e arreca al patrimonio spirituale dell’umanità» (art. 1), e sanciva: «L’Istituto s’ispira bensì alla coscienza del glorioso passato del popolo italiano e degli alti destini a cui esso può e deve aspirare; ma è apolitico nel senso assoluto della parola» (art. 4). Nel suo discorso d’insediamento, Treccani ribadì quest’ultimo concetto, rifiutando per l’Enciclopedia qualsiasi taglio politico e affermando che se la politica può dividere gli uomini, la scienza li può tutti unire. Venne nominato presidente dell’Istituto (artt. 7, 8, 9) e fu affiancato dai due direttori, scientifico ed editoriale, Gentile e Calogero Tumminelli.
Avendo speso per il riscatto della Bibbia d’Este molto più del previsto, Treccani per finanziare la nuova enciclopedia dovette vendere tre sue proprietà immobiliari di valore: gli edifici di Milano in cui avevano sede gli uffici centrali di due delle sue aziende (l’Industria tessuti tinti e la Manifattura tessile a colori) e un grande palazzo a destinazione residenziale situato in via Nazionale a Roma.
Il carteggio del presidente Treccani con il direttore scientifico Gentile rivela l’attenzione per la più ampia inclusione delle forze intellettuali disponibili; una marcata preoccupazione che l’Enciclopedia fosse opera gradita al papa e ai cattolici; una meticolosa vigilanza per l’equilibrio del bilancio; una fiducia – riposta prima di tutti in Gentile – che l’Enciclopedia riuscisse anche in un compito di pacificazione nazionale (AFG, s. 1, s.s. 2, lettere del 20 febbraio 1925, 18 luglio 1925, 30 e 31 marzo 1926, 30 aprile 1926; prefazione a Enciclopedia Italiana Treccani, Milano 1947).
Di Treccani fu l’idea, nel 1925, di affiancare all’Enciclopedia un Dizionario biografico degli Italiani. Anche in questo caso c’erano dei precedenti, come l’iniziativa dello storico orientalista Leone Caetani, le cui schede, fatte raccogliere per il Saggio di un dizionario bio-bibliografico italiano (di cui uscì solo il primo volume, A-Baffi, nel 1924), fornirono poi la base del lungo lavoro preparatorio dell’opera.
Nel 1928 la direzione del Dizionario biografico fu affidata a Fortunato Pintor, bibliotecario del Senato; le circa 180.000 schede nominative elaborate entro il 1943 costituirono il punto di avvio per un’impresa il cui primo volume sarebbe apparso soltanto nel 1960, poco prima della morte di Treccani (sulla vicenda si v. Romanelli, in Treccani 1925-2015, 2015).
Per l’Enciclopedia furono iniziative di Treccani la dotazione di una biblioteca speciale di opere enciclopediche (di cui fu nominato responsabile il linguista Stefano La Colla) e l’acquisto del palazzo Canonici Mattei di Paganica, in cui si insediarono circa 70 stipendiati stabili.
Il lavoro di preparazione (scelta dei collaboratori, redazione del lemmario, formazione dello schedario, raccolta dei dati) prese quasi quattro anni (dall’inizio del 1925 alla fine del 1928) e il primo volume uscì nel marzo del 1929; venne mantenuta la periodicità di quattro volumi pubblicati all’anno. In totale, il lavoro, progettato per dieci anni, ne durò dodici (1925-1937). Al corpus principale seguirono, nel 1938, due volumi di Indici e uno di aggiornamento, intitolato Appendice.
Dell’Enciclopedia, Treccani fu anche autore (e uno dei più prolifici), a partire dal quarto volume (1929) e in quasi tutti i seguenti (un elenco completo delle voci da lui compilate in G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani, cit., pp. 125 s.). Collaborò alla sezione Industria – diretta prima da Eugenio Callara e poi da lui stesso – occupandosi in particolare del settore tessile, delle fonotrasmissioni e comunicazioni, dei settori elettrico e idroelettrico. Compilò 70 voci (equivalenti a 167 colonne di testo) e 29 tavole di carattere tecnico, in prevalenza descrittive di fibre e tessuti (Batista, Broccato, Calicot, Fustagno, Ordito, Popeline, Taffetas, Trama...), della loro composizione, dei modi di lavorazione e trattamento; sue anche le voci Filatura (con un aggiornamento nell’Appendice.del 1938) e Armatura (componente di Tessitura). Tra le sue voci, 12 biografie di personaggi, prevalentemente lombardi, che si erano occupati (come pionieri, industriali o ingegneri) di cotonifici, setifici, tintorie e stamperie di tessuti, società elettriche e idrauliche (Eugenio e Costanzo Cantoni, Ettore Conti, famiglia Crespi, Ernesto De Angeli, Carlo Esterle, famiglia Gavazzi, Ettore Ponti, Alessandro Rossi, famiglia Visconti di Modrone). Una voce destinò a Joseph-Marie Jacquard, inventore del celebre telaio che porta il suo nome. Sue anche le voci sull’industria tessile di un’edizione ridotta dell’Enciclopedia, progettata e in parte compilata, ma mai portata a termine: l’Enciclopedia in 12 volumi, detta anche Enciclopedia minore.
Nei dodici anni che vanno dal 1925 al 1937, comunque, l’Enciclopedia ebbe una vita non priva di difficoltà (si v. la Nota storica in Presidenza dell’Istituto..., 2007, pp. XIII-XV). Infatti l’Istituto, in quanto impresa interamente privata, non resse sotto i colpi della rivalutazione della lira, nel 1927, e della crisi economica mondiale del 1929, anche perché il bilancio dell’Enciclopedia presto si rivelò troppo ottimistico nelle previsioni di spesa: i primi dieci volumi, usciti tra il 1929 e il 1931, costarono circa 3 milioni l’uno, anziché 1,5 come preventivato.
Nel 1931 Treccani fu quindi costretto a unire l’Istituto a tre case editrici (la Bestetti & Tumminelli, la Treves e l’Anonima libraria italiana); venne formata la Società anonima Treves-Treccani-Tumminelli, presieduta da Ettore Bocconi (proprietario dell’Anonima libraria) e diretta da Tumminelli. In tal modo fu possibile portare avanti la stampa dei volumi. L’improvvisa morte di Guido Treves (maggio 1932) causò lo scioglimento del sodalizio, e Treccani fu infine costretto a chiedere l’intervento dello Stato.
Nel 1933, con la costituzione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani (r.d.l. 24 giugno 1933, n. 669, convertito con l. 11 genn. 1934, n. 68), l’impresa mutò la sua natura privata in una compartecipata dello Stato. Il fondo di dotazione di 25 milioni di lire – firmato alla presenza di Mussolini a palazzo Venezia il 30 giugno 1933 – fu ripartito in parti uguali tra cinque enti di diritto pubblico (Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Istituto nazionale delle assicurazioni, Istituto poligrafico dello Stato). Una piccola parte del capitale rimase nelle mani di Treccani. A presiedere l’Istituto fu chiamato Guglielmo Marconi (presidente dell’Accademia d’Italia); Treccani divenne vicepresidente, Gentile direttore scientifico e vicepresidente, Domenico Bartolini (presidente del Provveditorato generale dello Stato) direttore generale.
Il nuovo statuto non modificò né la finalità scientifica né la natura apolitica dell’Istituto. L’opera, infatti, era più che avviata: erano stati pubblicati 18 volumi e gli altri 17 erano in parte già impostati.
Sul piano personale, tuttavia, per Treccani la creazione dell’Istituto significò l’inizio di un progressivo allontanamento dalla direzione dell’Enciclopedia.
Alla conclusione dell’opera, nel 1937 Treccani si dedicò a un’impresa che si collegava al periodo iniziale della sua attività come mecenate: la riproduzione in facsimile della Bibbia di Borso d’Este (Riprodotta integralmente per mandato di Giovanni Treccani, recitava significativamente il sottotitolo). L’edizione comprendeva anche una raccolta di documenti e un ampio studio storico e artistico scritto da Adolfo Venturi. Pochi mesi dopo, Treccani fece uscire un’opera più ridotta, La Bibbia di Borso d’Este: ricupero e riproduzione, in cui si ripubblicavano la raccolta di documenti e lo studio di Venturi, accompagnati da un testo di Treccani stesso in cui si faceva la storia sia del recupero del 1923 sia della riproduzione del 1937.
Nello stesso 1937, Treccani fu insignito del titolo di conte, a carattere ereditario (r.d. del 21 ottobre), e per sua decisione prese il nome di Giovanni Treccani degli Alfieri.
L’anno successivo si concesse quel viaggio negli Stati Uniti che progettava da quarant’anni. Nell’estate del 1938 partì infatti alla volta di New York con i due figli maggiori, Luigi ed Ernesto (Paolucci, 2009, pp. 45 s.). Il soggiorno in quel Paese durò oltre un mese, e toccò alcune importanti città (New York, Boston, Washington, Filadelfia, Chicago). Doveva essere, in linea di principio, un viaggio di istruzione destinato ai due giovani – com’era abitudine nelle famiglie dei grandi industriali lombardi – ma Treccani ne approfittò per visitare fabbriche e aziende.
Durante e dopo gli ‘anni dell’Enciclopedia’ Treccani non smise di intervenire, come mecenate e/o dirigente, in numerose istituzioni culturali, e in alcune occasioni si fece promotore di raccolte di fondi a favore delle loro maestranze. Si trovò, inoltre, non di rado a difendere, sul piano legale, l’autonomia di queste istituzioni dai tentativi di ingerenza (politica, amministrativa o finanziaria) delle autorità fasciste. A queste attività, affiancò negli anni il finanziamento della pubblicazione di volumi di vario tipo (tra cui diversi libretti commemorativi su opere liriche), spesso da lui direttamente promossa. Per tutte queste iniziative, nel 1939 fu insignito della laurea honoris causa in lettere dall’Università degli studi di Milano.
In quello stesso anno, quando era ormai stato quasi completamente estromesso dalla direzione effettiva dell’Enciclopedia, scrisse la prefazione all’opera collettiva Enciclopedia Italiana Treccani: idea, esecuzione, compimento (poi riedita, con modifiche, nel 1947), nella quale rendeva conto, nominativamente, dei meriti e delle responsabilità di tutti i collaboratori dell’opera.
Nel periodo bellico la produzione della sua azienda, il Valle Ticino, diminuì di circa un quarto, sia per la mancanza di materie prime sia per la difficoltà di esportare i prodotti finiti.
Nel 1942 Treccani venne privato del diritto (riconosciutogli dal citato r.d.l. del 1933 che aveva creato l’Istituto della Enciclopedia Italiana) di recuperare il capitale investito nell’edizione dell’Enciclopedia.
Ne sarebbe conseguita, nel dopoguerra, una vertenza legale e finanziaria fra Treccani e l’Istituto. Quella legale si concluse il 3 luglio 1954, con un decreto del presidente della Repubblica Luigi Einaudi che riconobbe Treccani come principale ideatore, fondatore e realizzatore dell’Enciclopedia, e lo nominò presidente onorario dell’Istituto. Quella finanziaria si concluse il 18 febbraio 1956, con una soluzione a favore di Treccani.
Caduto il fascismo il 25 luglio 1943, pur rimanendo a Milano Treccani non aderì alla Repubblica di Salò, e in varie occasioni (Memoriale, cit., pp. 8-10) operò in forma privata a vantaggio di singoli (ebrei e partigiani), assicurando inoltre finanziamenti a gruppi lombardi collegati al CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia).
Il 18 febbraio 1944 la casa di Vanzaghello – in cui si era nel frattempo spostata la famiglia Treccani per sfuggire ai bombardamenti che colpivano Milano – venne perquisita dalla polizia, che cercava il figlio Ernesto, già in passato arrestato per attività antifasciste. Treccani riuscì a far uscire il figlio di nascosto (lo avrebbe in seguito aiutato a fuggire in Svizzera), ma venne portato nella Questura di Milano e a lungo interrogato. Tali interrogatori si ripeterono più volte in seguito (anche a causa di denunce anonime che lo accusavano di aiutare i partigiani), pur senza che mai venisse emesso nei suoi confronti un mandato di arresto (ibid., pp. 9 s.).
Nonostante tutto questo, quando – in seguito al ritorno del re e del governo nella capitale (luglio 1944) – si prospettò la riapertura del Senato, Carlo Sforza – presidente dell’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo – aprì un procedimento contro Treccani, e il 7 agosto 1944 lo deferì all’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo (ACGSF), per il 6° gruppo di imputazione («Senatori ritenuti responsabili di aver mantenuto il fascismo e resa possibile la guerra sia coi loro voti, sia con azioni individuali, tra cui la propaganda esercitata fuori e dentro il Senato»; Archivio storico del Senato della Repubblica, schede on-line).
Inoltre, dopo la liberazione di Milano (25 aprile 1945), il nuovo prefetto, Riccardo Lombardi, emise un mandato di arresto nei confronti suoi e di una decina di grandi industriali, per attività svolte durante il fascismo; Treccani decise allora di lasciare la sua abitazione, e venne ospitato a turno per quasi due mesi da diversi amici. Il mandato di arresto venne poi revocato, ma Treccani venne sospeso dai diritti di proprietà e di direzione del Valle Ticino.
Il 24 maggio 1945 Treccani scrisse al presidente del Senato, Pietro Tomasi della Torretta, chiedendo che il giudizio sulla sua condotta fosse avocato al Senato, ma la sua richiesta non venne accolta. Di conseguenza, pochi giorni dopo indirizzò all’Alta corte un ampio Memoriale (stampato privatamente), in cui raccontò, spesso con molti particolari e con taglio discorsivo, la sua carriera di industriale e di mecenate culturale, l’evoluzione del suo patrimonio e la storia dei suoi rapporti con il fascismo, allegando anche numerose testimonianze di altri sul suo operato quotidiano. Pochi mesi dopo, il 10 luglio, lo ripresentò, accompagnandolo questa volta con un documento dal tono ben diverso e molto più breve, Memoria, in cui, con argomenti e linguaggio prettamente legali, si difendeva punto per punto dalle accuse di collaborazione con il fascismo, dettagliando le circostanze e le motivazioni di ogni suo singolo voto nel corso dei vent’anni passati in Senato.
Nonostante questi due documenti di autodifesa, il 25 luglio 1945 l’Alta corte lo dichiarò decaduto dalla carica di senatore. Treccani presentò un ricorso, che il 24 giugno 1946 venne però dichiarato inammissibile. L’8 luglio 1948 la Corte di cassazione (Sezioni unite civili) annullò la sentenza di decadenza di Treccani; egli, tuttavia, non rientrò più in Senato.
Nel 1947 gli erano stati restituiti i diritti di proprietà e di direzione del Valle Ticino. Negli anni immediatamente successivi, l’azienda ritornò ai livelli produttivi precedenti alla guerra, soprattutto grazie agli aiuti statunitensi giunti in Italia tramite l’European recovery program (ERP, il cosiddetto piano Marshall); questi aiuti favorirono in particolare l’industria cotoniera, attraverso l’arrivo di cotone grezzo a basso prezzo. Ma nei primi anni Cinquanta questo settore conobbe una grave crisi, dovuta sia alla fine dell’ERP (che di fatto terminò la propria attività nel 1951, anche se si concluse formalmente nel 1952), sia alla mancata modernizzazione degli impianti (causata prima dagli eventi bellici e poi dalla mancanza di liquidità). Anche il Valle Ticino venne coinvolto, e tra il 1953 e il 1954 le sue diverse fabbriche cessarono la produzione e chiusero (non senza duri conflitti sindacali, che in alcuni casi portarono all’occupazione degli stabilimenti da parte delle maestranze).
Gli anni Cinquanta rappresentarono per Treccani anche un periodo di rinnovato impegno in iniziative scientifico-editoriali di rilievo; alcune di queste erano state da lui progettate molto tempo prima, ma la guerra e le sue tragiche vicissitudini le avevano rese irrealizzabili.
Nel 1941 Treccani aveva creato, all’interno dell’Associazione per l’alta cultura di Milano, una Fondazione Giovanni Treccani degli Alfieri per la Storia di Milano. Dopo la guerra, sotto la sua direzione si poté iniziare la realizzazione di quest’opera, che uscì tra il 1953 e il 1966, in 17 volumi (cui se ne aggiunsero tre nel 1995-1996). Si trattava di una storia organica, completa, non soltanto economica e politica, opera di un folto gruppo di studiosi (circa un centinaio), specializzati nelle varie epoche e su vari argomenti. Treccani poté vederne pubblicata una parte, cui contribuì, oltre che con la prefazione e con le presentazioni di alcuni volumi, con il suo importante archivio fotografico sulla città (Brison, 2010).
Non poté vedere invece la pubblicazione di un’altra grande opera da lui progettata e diretta, la Storia di Brescia, che uscì in 5 volumi nel 1963-1964. Venne realizzata da un collettivo di una sessantina di studiosi, secondo un modello di lavoro ormai sperimentato.
Nel corso del 1960 Treccani scrisse un’autobiografia, Nel cammino della mia vita; era progettata per fini ‘privati’, visto che venne stampata (all’inizio dell’anno successivo) in poche copie destinate ai figli. Il libro, molto ampio (di quasi 900 pagine, di cui 559 di testo, con 205 fotografie, e 319 di appendici documentarie), «è una sorta di testamento spirituale [...], nel quale Treccani ripercorre tutta la sua vita, dalla giovinezza, all’approdo nel mondo delle industrie tessili, alla carriera politica; il volume è corredato, oltre che da moltissime fotografie, da un’ampia appendice di documenti con il testo dei discorsi tenuti [...] nell’arco di una vita nelle più svariate occasioni di lavoro e di rappresentanza. Sullo sfondo della narrazione scorre la storia italiana della prima metà del Novecento, costellata da moltissimi personaggi con il quale Treccani fu in rapporto» (Brison, 2014, p. 2). Morì a Milano il 6 luglio 1961.
Opere. Capitale e lavoro, in Risorgimento: rivista settimanale politica, 1920, vol. 1, n. 26, pp. 9-11; Il diritto nuovo, ibid., n. 28, pp. 11 s.; L’idea dell’Enciclopedia e del Dizionario biografico degli italiani, in Realtà: rivista mensile del Rotary, 1938, vol. 24, n. 3, pp. 193-199; Memoria del senatore Giovanni Treccani degli Alfieri avanti l’Ecc. Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, Milano, 10 luglio 1945, http://notes9.senato.it/Web/senregno. NSF/0/b63d097635c7482f4125646f00613088/$FILE/2245%20Treccani%20Degli%20Alfieri%20Giovanni%20fascicolo.pdf; Memoriale, Milano 1945, riedito, con aggiunte e modifiche, con il titolo Per la verità, Milano 1946, http:// notes9.senato.it/Web/senregno.NSF/0/b63d097635c7 482f4125646f00613088/$FILE/2245% 20Treccani%20Degli%20Alfieri%20Giovanni%20fascicolo.pdf; Nel cammino della mia vita, s.l. 1961. Opere edite contenenti sue prefazioni, discorsi o interventi: La Bibbia di Borso d’Este. Riprodotta integralmente per mandato di Giovanni Treccani, I-II, Milano 1937; La Bibbia di Borso d’Este: ricupero e riproduzione, Milano 1937, ristt. 1939 e 1942; Enciclopedia Italiana Treccani: idea, esecuzione, compimento, Milano s.d. [1939?], nuova ed., con modifiche, come Enciclopedia Italiana Treccani: come e da chi è stata fatta, Milano 1947; Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948; Storia di Milano, I-XVII, Milano 1953-1966, 1995-1996; Storia di Brescia, I-V, Brescia 1963-1964.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici (AFG): s. 1, Corrispondenza; s.s. 2, Lettere inviate a G. Gentile, f. Treccani Giovanni; s.s. 3, Lettere di Gentile, f. Treccani Giovanni; s. 5, Attività scientifica e culturale, s.s. 3, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani; Archivio dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani; Archivio storico del Senato della Repubblica, ASR: fondo Senato del Regno. Segreteria, s. Atti relativi alla nomina dei senatori, s.s. 1, Fascicoli dei senatori, f. 2245, Treccani Giovanni; fondo Senato del Regno, Segretariato, s. 3, Epurazione; schede on-line: s. Senatori d’Italia, s.s. Senatori dell’Italia fascista, s.v., http://notes9. senato.it/web/senregno.nsf/cf491b6bb00c0941c1257114003827fa/b63d097635c7482f4125646f00613088?OpenDocument.
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Si ringraziano Cecilia Castellani e Riccardo Martelli.