DELLA TORRE, Triadano
Nacque a Portovenere, nel territorio della Repubblica genovese, nella prima metà dei secolo XIV. Si ignora il nome del padre e non si hanno notizie su cariche da lui ricoperte prima del 1364, quando venne nominato podestà di Calvi in Corsica.
L'isola, nominalmente sotto il controllo genovese, ma insidiata dagli Aragonesi e in stato di endemica anarchia, era stata abbandonata a se stessa da Genova che, tranne sotto il dogato di Simone Boccanegra, non aveva provvedutoneppure formalmente a nominare un governatore. Nella "terra di comune" (come veniva chiamata la parte centrosettentrionale della Corsica) i "caporali" miravano a sostituirsi ai grandi feudatari, la cui fedeltà a Genova era tutta da verificare; a Sud, nella "terra dei signori", la Repubblica da tempo non era più in grado di far rispettare la sua sovranità.
In Corsica già nel marzo 1364 doveva trovarsi il D., incaricato di ricevere in consegna dal castellanò Rollando Zenogio il castello di Cinarca; non sappiamo, tuttavia, a quale titolo egli si trovasse nell'isola; forse era stato designato castellano di Cinarca o podestà dell'altra fortezza genovese di Calvi (come tale egli è ricordato infatti nell'aprile dello stesso anno, insieme a Filippo Scalia) e si attendeva l'uscita di carica del suo predecessore per rendere ufficiale la sua nomina. Per i cronisti corsi Giovanni Della Grossa (in A. P. Filippini) e Pietro Cirneo, comunque, il D. già allora era nell'isola come governatore.
Il Della Grossa afferma infatti che il D. arrivò in Corsica nel 1362 e, dopo aver distrutto i castelli dei signori con l'aiuto popolare, "tenne Corsica in suo tempo con molta pacie e con justicia e li signori di Corsica stettero tutti molto sbassati" (cfr. Petti Balbi, p. 38). Tuttavia, la data proposta da questi cronisti è sospetta, in quanto il D., personaggio di secondo piano, sarebbe stato in tale caso nominato governatore da Simon Boccanegra al posto del fratello del doge, Giovanni: fatto alquanto improbabile, considerata la politica nepotistica del Boccanegra. L'unica cosa certa è che il 12 apr. 1364 il nuovo doge Gabriele Adorno e gli Anziani della Repubblica si accordarono con il D. e con Filippo Scalia per affidare loro l'incarico di podestà di Calvi. Degenerata la lotta che opponeva la vecchia feudalità corsa, legata all'Aragona, ai "caporali" (come erano chiamati i capi delle Comunità contadine formatesi nella "terra di Comune"), a Genova infatti era arrivata la richiesta di intervento da parte di alcuni capi locali, Sambucuccio di Alando e Francesco d'Omessa, ed è in questo quadro che il D. e lo Scalia vennero inviati nell'isola come podestà di Calvi. Essi sostituirono Giovanni "de Magdalena", che terminò il suo mandato il 9 apr. 1364. Non si conosce la ragione di questa doppia nomina. Forse la Repubblica considerava entrambi amministrativamente solidali, ma è anche possibile una divisione delle rispettive sfere d'azione.
Nel luglio lo Scalia consegnò il castello forse allo stesso D. e tornò a Genova, non sappiamo se di propria iniziativa o perché richiamato in patria per consultazioni. Qui dovette esporre la precaria situazione del controllo genovese sull'isola, senza, però, convincere il doge ad un intervento diretto, per paura di una reazione aragonese. Pertanto, lo Scalia si offrì, anche a nome di altri soci, tra cui si dovette trovare il D., di provvedere al ristabilimento dell'ordine.
Il 22 agosto, o poco prima, fu stipulato un regolare contratto, che prevedeva in un primo tempo per lo Scalia, e poi anche per gli altri soci, il titolo di governatore dell'isola. Questo contratto, non pervenutoci, sottolinea il persistente disinteresse della Repubblica per un intervento diretto nell'isola, vista solo come fonte di pesanti oneri finanziari. Non conosciamo quali compensi siano stati previsti per questa società; forse, allo Scalia ed ai soci fu riservata la riscossione di gabelle e di rendite nell'isola, alcune delle quali erano già state percepite dal governatore Giovanni Boccanegra.
In breve tempo, tuttavia, i soci dello Scalia si ritirarono, cosicché all'inizio del 1365 (secondo anno dell'appalto) accanto a lui rimase il solo D., che viene indicato nei documenti come "potens dominus ex duobus gubernatoribus insule Corsice". Pertanto, i due abbandonarono la carica di podestà di Calvi (infatti, nel marzo dello stesso anno viene ricordato un altro personaggio in tale veste). In seguito, per ragioni che ci sfuggono, il D. uscì dalla società, cosicché nel 1366 come governatore è ricordato il.solo Scalia. Nonostante l'opinione del Della Grossa già ricordata, l'isola era tutt'altro che pacificata, obbligando lo Scalia ad una serie di operazioni militari contro i dinasti ribelli. Il 30 marzo 1368 lo Scalia si trovava a Genova dove, in accordo con Ranuccio, figlio del D., prorogava di un mese la scadenza concessa agli arbitri incaricati di decidere su alcune divergenze sorte tra i due ex soci. L'assenza del D. da Genova in quest'anno e la sua presenza in Corsica, probabilmente come privato cittadino, sono testimoniate a partire dal mese di agosto, quando Ranuccio pagava il nolo dovuto per il trasporto di cavalli spediti a Genova dal padre. Nel frattempo vennero nominati altri governatori (forse Nicolò da Levanto ed Alaone da Struppa), che tuttavia sembranoessere rimasti in carica solo breve tempo.
Nel giugno 1370 il vicario dei podestà di Genova ordinò ai sovrastanti al carcere di Malapaga di custodire il D., a causa di un grosso debito da lui contratto nel confronti di un certo Gabriele Galluccio. Nel luglio il D. si trovava ancora a Genova, dove dovette infine sistemare in qualche modo la sua situazione economica. Fu allora, probabilmente dopo la caduta del doge Gabriele Adorno (agosto), che egli fu nuovamente designato governatore di Corsica, insieme con lo Scalia, il quale, secondo l'Assereto, gli fu affiancato proprio a garanzia della sua solvibilità. Tuttavia ancora nel 1371 il D. si vedeva confiscare beni da un suo creditore.
Nonostante le sue traversie finanziarie, il D. dovette possedere buone qualità di uomo d'azione, perché nell'isola rimase a lungo il ricordo della sua energica op era di controllo, come testimoniano il Della Grossa ed il Cirneo. Riuscì a spianare i castelli che i feudatari. ribelli avevano costruito; diede vita ad una parvenza di governo dell'isola, ottenendo la sottomissione di alcuni signorotti, tranne quella di Arrigo Della Rocca, che passò in Spagna, a Barcellona alla corte aragonese, per incitare il re alla conquista dell'isola. Il D. finì, tuttavia, col restare invischiato in una complessa faida familiare.
Era scoppiata una violenta lite tra due famiglie della pieve di Rogna, ben presto allargatasi, perché ad esse si mescolarono gli Altiani e i Da Casta, membri autorevoli delle due fazioni che si fronteggiavano in tutta l'isola, i Ristagnacci ed i Cagionacci (o Gaggionacci). Negli scontri seguiti, i Ristagnacci, socconimbenti, chiesero aiuto al governatore, che cercò dì riappacificare i contendenti, riunendo a parlamento gli uomini di Capocorso e di altre località; tuttavia, la lotta si estese a tutta la Corsica, costringendo il D. a ritirarsi nella sua residenza di Beguglia. Nel novembre 1372 arrivò nell'isola Melchione "de Petrarubea", inviato dalla Repubblica per controllare l'operato del governatore, che probabilmente era stato accusato di parzialità a favore dei Cagionacci.Il D., che aveva fino ad allora cercato di seguire una politica di equilibrio, distribuendo gli uffici tra le due fazioni, si decise a convocarne i rappresentanti a Casinca, per tentare un compromesso. Egli fu accompagnato al convegno da Deodato da Casta, di cui era nota la simpatia per i Ristagnacci, e si fermò alla Venzolasca, per passarvi la notte; il giorno dopo, i Cagionacci assaltarono il D. e la sua scorta, uccidendolo. Secondo il Cirneo; invece, ci fu uno scontro violento tra le due fazioni, durante il quale il D. cadde. L'episodio avvenne alla fine del 1372 o agli inizi dell'anno seguente, perché nel febbraio del 1373 una casa del D. nel borgo di Portovenere era già passata ai suoi eredi.
Il D. morì in povertà ed oberato da debiti; la sua vedova, Eliana, figlia di Federico da Levanto, dichiarava in testamento di lasciare cio che restava del suo patrimonio ai creditori del marito defunto, perché non erano stati tutti soddisfatti. Ancora nel 1382 il figlio Ranuccio, unico erede del D., fu citato per debiti contratti dal padre, ma dichiarò di non aver ricevuto nulla in eredità. Ranuccio fu anche in lite col Comune di Genova: le due parti si accusarono a vicenda di non aver osservato le convenzioni stabilite per il secondo governatorato esercitato dal D. insieme con lo Scalia. La lite, iniziata almeno nel 1374 (in quest'anno l'ufficio di Moneta del Comune provvgdeva a pagare il procuratore che ne aveva difeso le ragioni nella causa), terminò l'anno seguente con un compromesso in base al quale la sentenza, che non ci è pervenuta, fu rimessa all'arbitrato di quattro "populares".
Fonti e Bibl.: A. P. Filippini, La historia di Corsica, Tyurnon 1594, p. 98; P. Cirneo, Istoria di Corsica, Parigia 1834, p. 160; U. Assereto, Genova e la Corsica (1358-1378), in Giorn. stor. e letter. della Liguria, I (1900), pp. 254 s., 282, 291-95, 301-10, 312, 314, 322 s.; R. Colonna de Cesari Rocca-L. Villat, Histoire de Corse, Paris 1927, p. 160; J. Gregori, Nouvelle histoire de la Corse, Paris 1967, p. 36; G. Petti Bialbi, Genova e la Corsica nel Trecento, Roma 1976, ad Ind.