Abstract
Al riconoscimento del trust nel nostro ordinamento civilistico per effetto della ratifica della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 non ha fatto seguito una disciplina completa e specifica volta a regolamentare la fiscalità dell’istituto, lasciata quindi per la gran parte all’interpretazione degli operatori e segnata dalla emersione di diverse problematiche, che vengono qui delineate.
Il trust non è un soggetto di diritto ma si risolve in un complesso di diritti su determinati beni, i quali, secondo quanto prevede all’art. 2 la Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985, relativa alla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento (resa esecutiva in Italia con l. 16.10.1989, n. 364), sono posti sotto il controllo di un trustee, dal cui patrimonio restano separati, nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato (in argomento Lupoi, M., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2009, 9). Tale assetto si realizza, nel common law, attribuendo la legal ownership, proprietà “formale”, del fondo al trustee ed una equitable ownership sugli stessi ai soggetti beneficiari delle disposizioni del soggetto istitutore.
La possibilità di configurare il trust stesso come centro di imputazione di effetti giuridici è esclusa nel diritto civile (Lupoi, M., Istituzioni del diritto dei trust, cit., 10), sicché lo stesso dovrebbe dirsi, in linea di principio, anche in ambito tributario (Fantozzi, A., Il diritto tributario, Torino, 2003, 311), escludendo in particolare la sua soggettività passiva. Così come la titolarità formale dei beni, ai sensi dell’art. 2, co. 2, lett. b) della Convenzione de L’Aja, compete al trustee, in linea di principio è quindi al medesimo che andrebbe riferita ogni altra situazione derivante dal rapporto diretto, seppur limitato nel dominio, tra esso ed i beni affidatigli e dunque anche le posizioni rilevanti per il diritto tributario. In contrario sembra porsi l’intervento con cui nel 2006 il legislatore ha espressamente incluso, a certe condizioni, il trust tra i soggetti passivi dell’IRES, sollevando il dubbio sull’attribuzione ad esso di una generale soggettività tributaria.
La disciplina tributaria del trust risulta lacunosa e settoriale. Le scarne disposizioni derivano essenzialmente dall’intervento operato con la l. 27.12.2006, n. 296. Altro provvedimento di rilievo è il d.l. 3.10.2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla stessa l. n. 296/2006, il cui art. 2, co. 47, ha reistituito l’imposta sulle successioni e donazioni assoggettando ad essa, oltre alle tradizionali figure dei trasferimenti di beni e diritti mortis causa, per donazione o a titolo gratuito, anche la «costituzione di vincoli di destinazione», espressione che la prassi e recente giurisprudenza (infra, § 3.1) considerano direttamente riferita anche al trust.
La l. n. 296/2006, intervenendo sull’art. 73, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (t.u.i.r.), ha aggiunto il trust tra i soggetti passivi dell’IRES (art. 73, co.1, lett. b), c) e d) t.u.i.r.), prevedendo tuttavia che, ove i beneficiari siano individuati, i redditi derivanti dal fondo in trust siano imputati direttamente ad essi (art. 73, co. 2, t.u.i.r.) quali redditi di capitali (art. 44, co. 1, lett. g-sexies t.u.i.r., inserita ex-novo dal provvedimento in discorso). La stessa legge, modificando le lettere b) e g) dell’art. 13, co. 1, d.P.R. 29.9.1973, n. 600, ha altresì incluso il trust tra i soggetti tenuti agli obblighi contabili, che andranno riferiti al trustee in quanto soggetto con il rapporto più immediato con i beni in trust e le vicende che li riguardano. La l. n 296/2006 introduce infine all’art. 73, co. 3, t.u.i.r. alcune specifiche presunzioni di residenza che, al pari dei criteri “ordinari” per l’individuazione della stessa, risultano di difficile applicazione pratica all’istituto (Fransoni, G., La residenza del trust, in Corr. trib., 2008, 2582).
Già prima degli interventi legislativi di cui si è detto (retro, § 1.2), si era cercato di individuare il soggetto al quale imputare l’obbligo contributivo per i redditi derivanti dai beni facenti parte del trust fund (in tema Fantozzi, A., Trust e fisco in Italia. La soggettività del trust, in Barla De Guglielmi, E., a cura di, Trust: opinioni a confronto, Milanofiori Assago, 2006, 159).
Secondo parte della dottrina, il trustee stesso, in quanto formale titolare dei beni e comunque soggetto in più immediato rapporto con gli stessi, avrebbe manifestato una relazione riconducibile al “possesso” riguardo ai redditi attinenti il trust fund e sarebbe quindi stato tenuto a sopportare il relativo peso tributario (Giovannini, A., Problematiche fiscali del trust, in Boll. trib., 2001, 1125; Fedele, A., Visione d’insieme della problematica interna, in AA.VV., I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, 275; Gallo, F., Trusts, interposizione ed elusione fiscale, in AA.VV., Il trust in Italia oggi, Milano, 1996, 292). Da altri, il soggetto d’imposta veniva individuato nei beneficiari, cui era ricondotta la capacità contributiva relativa ai redditi derivanti dai beni in trust, considerando che ogni incremento patrimoniale che interessi il trust fund determina, stanti gli obblighi del trustee, un aumento nel “valore” di quei diritti che, più o meno attualmente, essi possono vantare (Marchese, S., Trusts e imposizione sul reddito: alcune riflessioni, in Trusts, 2001, 5 nonché Gaffuri, G.-Albertini, F.V., Disciplina fiscale del trust: costituzione e trasferimento dei beni, in Boll. trib., 1995, 1701). Infine, altri ritenevano che il trust stesso, quale patrimonio autonomamente organizzato per la soddisfazione degli interessi dei beneficiari, potesse essere individuato come autonomo soggetto passivo, in applicazione della disciplina sulle imposte sui redditi già esistente (Salvati, A., Profili fiscali del trust, Milano, 2004; Miccinesi, M., Il reddito del trust nelle varie tipologie, in Trusts, 2000, 309). Di questo stesso avviso era l’Amministrazione finanziaria, che riteneva che il trust fosse sussumibile tra gli enti che l’art. 87 t.u.i.r. individuava allora quali soggetti passivi dell’IRPEG, e quindi dotato di autonoma soggettività passiva (SECIT, Relazione 11.5.1998, n. 37).
Nel dibattito sviluppatosi si è inserito il successivo intervento di cui alla l. n. 296/2006, con la quale, modificando l’art. 73 del t.u.i.r., il trust è stato aggiunto tra i soggetti passivi dell’IRES assieme alle società ed enti di cui alle lettere b), c) e d) del primo comma di tale articolo, salva l’ipotesi, prevista con addenda all’art. 73, co. 2 t.u.i.r., in cui i beneficiari del trust siano individuati, nella quale i redditi derivanti dai beni in trust vengono imputati direttamente ad essi, a prescindere dalla effettiva percezione, e non si configura una soggettività passiva ai fini dell’IRES.
Gli interventi di cui si è detto sembrano tuttavia volti più a fornire una soluzione tecnica semplificatrice a fronte della dissociazione tra titolarità della fonte e riferibilità del presupposto che nell’istituto si verifica, piuttosto che ad esprimere un generale riconoscimento di soggettività tributaria al trust.
La stessa qualificazione come soggetto passivo IRES appare una ipotesi di chiusura, dettata per i casi in cui, non essendo individuabili i beneficiari, non possa essere impiegato il modello “ordinario” della tassazione per trasparenza, e conferma, unitamente al dato testuale dell’impiego, nelle modifiche all’art. 73 t.u.i.r., delle locuzioni «nonché i trust» e «compresi i trust» la alterità del trust rispetto agli altri soggetti passivi (Fransoni, G., La disciplina del trust nelle imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2007, 231; De Renzis Sonnino, N.L., La soggettività passiva del trust, in Fransoni, G.-De Renzis Sonnino, N.L., a cura di, Teoria e pratica della fiscalità dei trust, Milano, 2008, 111; Tassani, T., Osservazioni sulla disciplina fiscale del trust nell’imposizione diretta (alla luce della finanziaria 2007), Consiglio nazionale del notariato, Studio n. 22-2007/T), come pure la impossibilità di ricomprendere il trust tra le «altre organizzazioni» di cui all’art. 73, co. 2, t.u.i.r. (Fransoni, G., La disciplina del trust, cit., 237), categoria “di chiusura” entro la quale, altrimenti, si sarebbe potuto includerlo semplicemente esplicitandolo nell’art. 73, co. 2, t.u.i.r.
Neppure la tassazione per trasparenza può deporre per una qualche autonomia tributaria del trust, trattandosi di regime impiegato, in generale, in ipotesi in cui si riscontra una dissociazione fra titolarità della fonte e riferibilità del presupposto, presente anche nel trust, idoneo quindi a privilegiare il riferimento alla posizione del beneficiario, considerato possessore dei redditi, rispetto a quella del trustee, mero titolare formale (Fransoni, G., La disciplina del trust, cit., 234; Id., L’individuazione dei beneficiari e il regime della “trasparenza”, in Fransoni, G.-De Renzis Sonnino, N., a cura di, Teoria e pratica, cit., 43).
Non sembra pertanto che agli interventi di cui alla l. n. 296/2006 possa essere riconosciuto valore di sistema, e che gli stessi consentano la generale configurazione del trust come soggetto passivo di imposta in relazione alle manifestazioni di capacità contributiva connesse ai beni in esso vincolati.
La disciplina conseguente alla l. n. 296/2006 introduce una fondamentale suddivisione dei trust basata sul fatto che i beneficiari siano o meno «individuati». Con tale espressione, contenuta nell’art. 73, co. 2, t.u.i.r., si fa riferimento all’esistenza di beneficiari «di reddito individuato» (Agenzia delle Entrate, Circ. n. 48/E-2007, cit.) e quindi di soggetti titolari del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di redditi conseguiti tramite il trust fund ed ai quali sia riferibile la capacità contributiva di cui gli stessi sono manifestazione. Al ricorrere di tali condizioni, il trust si considera trasparente ed i redditi ad esso relativi sono imputati direttamente ai beneficiari, a prescindere dalla effettiva percezione, e quindi tassati in capo ad essi quali redditi di capitale, secondo l’art. 44, co. 1, lett. g-sexies) del t.u.i.r.
Diversamente, il trust si considera fiscalmente “opaco” ed i redditi derivanti dai beni segregati sono assoggettati ad IRES, della quale il trust diviene soggetto passivo.
La prassi amministrativa (Agenzia delle Entrate, circ. n. 48/E-2007, cit.) riconosceva la tassazione per trasparenza del solo fixed trust, nel quale cioè i beneficiari sono individuati già nell’atto istitutivo del trust. Più di recente si è indicato che il fixed trust deve essere considerato trasparente «per natura» (Agenzia delle Entrate, circ. 27.12.2010, n. 61/E), con ciò lasciando intendere che altre tipologie di trust potrebbero rientrare nel regime della trasparenza per le assegnazioni individuali di redditi che in essi si determinino anche occasionalmente. Il cd. “trust misto”, nel quale strutturalmente si verifica l’erogazione in favore dei beneficiari di una parte soltanto delle utilità derivanti dal fondo, mentre le restanti vengono accumulate, viene considerato trasparente per i soli redditi distribuiti, mentre gli altri sono assoggettati ad IRES direttamente in capo al trust (Agenzia delle Entrate, circ. n. 61/E-2010, cit.), anche quando ciò derivi da una scelta discrezionale del trustee (Stevanato, D., «Stretta» dell’Agenzia delle Entrate sulla fiscalità dei trust: a rischio il sereno sviluppo dell’istituto?, in Corr. trib., 2011, 539).
In determinati casi, in cui il potere di disporre dei beni permanga in capo al disponente anche dopo l’istituzione e la dotazione del trust e dunque non si verifichi un suo effettivo spossessamento, il trust viene considerato fiscalmente invalido (Agenzia delle Entrate, circolari nn. 61/E-2010, cit. e 10.10.2009, n. 43/E) in quanto privo di elementi costitutivi propri di quel modello che la Convenzione de L’Aja impegna gli Stati contraenti a riconoscere, e quindi “inesistente” in quanto mera struttura interposta, con la conseguenza che i redditi derivanti dai cespiti sono imputati direttamente al settlor, come se il trust fund non fosse mai stato affidato al trustee, e tassati secondo le ordinarie categorie reddituali.
Perché il trust possa trovare collocazione all’interno dei gruppi considerati alle lettere b), c) e d) del primo comma dell’art. 73 t.u.i.r. e dunque per determinare il suo reddito complessivo, secondo l’art. 75 t.u.i.r. risulta necessario accertarne la qualifica “commerciale” o meno. I criteri indicati nei commi 4 e 5 dell’art. 73 t.u.i.r. per la individuazione dell’oggetto esclusivo o principale degli enti richiedono a tal fine degli adattamenti. Il riferimento primario sarà quindi costituito dall’atto istitutivo, assimilabile allo statuto esaminato per gli altri soggetti passivi IRES (Fransoni, G., Il regime fiscale, cit., 245). L’oggetto principale, in considerazione del criterio “ermeneutico” di cui all’art. 73, co. 4, t.u.i.r., andrebbe poi individuato nell’attività idonea a consentire il conseguimento del risultato (cfr. Fedele, A., Il regime fiscale delle associazioni, in Riv. dir. trib., 1995, 327) che dalla istituzione del trust il disponente si attende.
Al fine dell’individuazione della residenza fiscale del trust, la disciplina ordinaria dettata nell’IRES necessita degli adattamenti del caso. Il criterio della sede legale non risulta applicabile al trust (Fransoni, G., La disciplina del trust, cit., 247; in generale, sul tema, Fransoni, G., La residenza del trust, cit., 2582), mentre anche in relazione a quello della sede dell’amministrazione sorgono difficoltà, posto che la stessa potrebbe al più coincidere con la sede del trustee, agevolando manovre elusive (Fransoni, G., La disciplina del trust, cit., 249; questa, invece, la soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate, circ. n. 48/E-2007, cit.). Anche il criterio dell’oggetto principale non è di immediata applicazione, trattandosi di parametro dettato per organismi caratterizzati dallo svolgimento di una attività (Fransoni, G., La disciplina del trust, cit., 249).
Nell’art. 73, co. 3, t.u.i.r. sono previste delle presunzioni di residenza dei trust istituiti in Paesi diversi da quelli che, ai sensi del d.m. 4.9.1996, consentono lo scambio di informazioni: una prima, relativa, allorché almeno uno dei disponenti (al momento dell’istituzione) ed almeno uno dei beneficiari (anche in seguito) siano residenti in Italia; una seconda, assoluta, che opera nel caso in cui, successivamente alla istituzione del trust un soggetto residente in Italia effettui in suo favore una attribuzione che importi il trasferimento della proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote. La “costituzione” del trust alla quale testualmente la seconda disposizione fa riferimento va intesa come luogo di redazione dell’atto istitutivo (Lupoi, M., Imposte dirette e trust dopo la legge finanziaria, in Trusts, 2007, 5) oppure di localizzazione del trustee (Fransoni, G., La disciplina del trust, cit., 254). Con formula invero dubbia, l’Amministrazione finanziaria ritiene invece che a dover essere considerata sia la formale fissazione della «residenza» del trust in un Paese cd. “non-white list” (Agenzia delle Entrate, circ. n. 48/E-2007, cit.).
La novella del 2006 ha infine previsto, con delle inserzioni nel primo comma dell’art. 13, d.P.R. 29.9.1973, n. 600, che il trust sia obbligato alla tenuta delle scritture contabili, sia laddove eserciti attività commerciale, che ove il suo oggetto esclusivo o principale sia costituito dallo svolgimento di una attività non commerciale (retro, § 2.3). La prassi ha inoltre indicato che il trust dovrà essere dotato di un proprio codice fiscale nonché, ove eserciti attività commerciale, di una propria partita IVA (Agenzia delle Entrate, circ. n. 48/E-2007). Allo stesso modo, è richiesta la presentazione della dichiarazione dei redditi annuale, in specie mod. Unico SC, adempimenti ai quali provvederà il trustee (Agenzia delle Entrate, circ. n. 47/E-2008, cit.).
Con il d.l. n. 262/2006, convertito con modificazioni dalla l. n. 296/2006, è stata reistituita l’imposta sulle successioni e donazioni, ora applicata «sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione» (art. 2, co. 47, d.l. n. 262/2006) (Bartolazzi Menchetti, E.M., Successioni e donazioni [imposta sulle], in Diritto on line Treccani, 2016; Fedele, A., Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da P. Rescigno, coordinato da M. Ieva, Padova, 2010, 575; Gaffuri, G., L’imposta sulle successioni e donazioni: trust e patti di famiglia, Padova, 2008).
L’imposta sulle donazioni è in generale considerata volta a colpire i fenomeni giuridici ora individuati nel comma 47 dell’art. 2 d.l. n. 262/2006 non per la semplice modificazione soggettiva nella titolarità di situazioni, bensì per l’effetto traslativo, produttivo di una attribuzione patrimoniale e quindi di un effettivo incremento economicamente valutabile, ottenuto a titolo liberale o gratuito che ne derivi (Fedele, A., Il regime fiscale, cit.; Id., L’oggetto dell’imposta (art. 1 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346), in Mariconda, G.-Fedele, A.-Mastroiacovo, V., a cura di, Codice delle leggi tributarie, Torino, 2014, 600; Gaffuri, G., L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., 25). Ciò vale anche in relazione alla «costituzione di vincoli di destinazione» menzionata nel predetto comma 47, che rileva pertanto unicamente laddove alla costituzione del vincolo si associ un effetto traslativo (Agenzia delle Entrate, circ. 22.1.2008, n. 3/E) e che peraltro, a parere di illustre dottrina (Fedele A., Il regime fiscale, cit., 594), non potrebbe costituire una innovativa ed autonoma ipotesi applicativa dell’imposta sulle donazioni, in quanto comunque riconducibile ad un trasferimento attuato a titolo gratuito.
In relazione al trust, l’Amministrazione finanziaria ritiene che l’affidamento dei beni al trustee integri «in ogni caso» il presupposto dell’imposta sulle successioni e donazioni, o per il realizzarsi di un trasferimento a titolo gratuito in favore del fiduciario, o comunque per la sua idoneità a costituire un vincolo di destinazione sul fondo (Agenzia delle Entrate, circ. 27.3.2008, n. 28/E). L’imposta andrebbe quindi applicata in sede di trasmissione dei beni al trustee, indipendentemente dalla verifica di un effettivo arricchimento e addirittura nel caso di trust “autodichiarato”, nel quale sia il settlor stesso ad assumere le funzioni di trustee (Agenzia delle Entrate, circ. n. 48/E-2007). Questo ultimo indirizzo risulta accolto da recente giurisprudenza di legittimità, che considera autonomamente soggetta ad imposta sulle donazioni la mera costituzione di vincoli di destinazione e perciò ritiene assoggettabile al tributo la semplice perdita di disponibilità dei beni da parte del settlor (Cass., sez. VI, ordinanze 24.2.2015, nn. 3735 e 3737; 26.2.2015, n. 3886; 18.3.2015, n. 5332). Tale orientamento non appare condiviso dalla dottrina (Stevanato, D., La “nuova” imposta su trust e vincoli di destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione, in Giur. trib., 2015, 400; Busani, A.-Papotti, R.A., L’imposizione indiretta dei trust: luci e ombre delle recenti pronunce della Corte di cassazione, in Corr. trib., 2015, 1203).
Nell’affidamento dei beni al trustee manca infatti una attribuzione patrimoniale (su cui Nicolò, R., (voce) Attribuzione patrimoniale, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 283) e quindi un trasferimento rilevante ai fini dell’imposta in discorso, poiché il fiduciario acquista sui beni una posizione giuridica limitata per lo stesso titolo che assume, nonché per la segregazione patrimoniale che il trust comporta. La trasmissione dei beni è strumentale alla realizzazione di un più ampio progetto del settlor, il quale eventualmente determinerà nel complesso un effetto attributivo che solo potrà essere definito come gratuito o oneroso e quindi informare della sua stessa qualifica i passaggi ad esso strumentali, da considerare globalmente (si rinvia a Bartolazzi Menchetti, E.M., Qualificazione dell’atto di affidamento di beni al trustee nelle imposte sui trasferimenti, in Ficari, V.-Mastroiacovo, V., a cura di, Corrispettività, onerosità e gratuità: profili tributari, Torino, 2014, 108).
Le ricostruzioni secondo cui l’imposta sulle successioni e donazioni andrebbe applicata immediatamente, al momento della dotazione del trust da parte del settlor, non sembrano quindi soddisfacenti poiché valorizzano la mera dismissione dei beni da parte del disponente, senza verificare se si realizzi un effetto traslativo rilevante ed individuando assetti gratuiti ove, più semplicemente, difetta la corrispettività (Fransoni, G., Allargata l’imponibilità dei vincoli di destinazione, in Corr. trib, 2008, 646).
Soltanto nel caso del trust “di scopo” cd. charitable, con il quale il disponente si propone di realizzare finalità liberali mediante i proventi del fondo, potrebbe essere tassato già l’affidamento dei beni al trustee, per la immediata funzionalizzazione dei beni allo scopo individuato che così si determina e che, analogamente a quanto avviene per le fondazioni, consentirebbe di valorizzare la destinazione del patrimonio, piuttosto che il suo trasferimento (Fedele, A., Visione d’insieme della problematica interna, in AA.VV., I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, 279).
Nel trust liberale con beneficiari, al fine di valorizzare appieno la complessa e progressiva realizzazione del disegno del disponente appare possibile ricorrere per analogia al trattamento previsto per la donazione sottoposta a condizione sospensiva dall’art. 58, co. 2, d.lgs. 31.10.1990, n. 346, considerando la posizione dei beneficiari come di semplice «aspettativa giuridica» sui beni del fondo ed applicando l’imposta proporzionale soltanto all’atto della devoluzione finale (per tutte, Comm. trib. reg. di Firenze, sez. XXIV, sent. 27.11.2011, n. 77), con considerazione delle utilità da essi effettivamente ricevute ed applicazione in loro favore delle franchigie, delle aliquote agevolate di cui all’art. 2, co. 48, d.l. n. 262/2006 e delle agevolazioni di cui all’art. 3, co. 4-ter, d.lgs. n. 346/1990, in ragione del rapporto con il disponente. Diversamente, sarebbe possibile l’applicazione delle sole agevolazioni spettanti per le qualità dei beneficiari individuati già nell’atto istitutivo.
La tassazione investirà peraltro la vicenda del trust nel suo complesso, sicché, per il principio generale di alternatività tra imposta di registro e sulle successioni e donazioni emergente dall’art. 25 del d.P.R. 26.4.1986, n. 131 (Agenzia delle Entrate, circolare 7.10.2011, n. 44/E), l’atto di dotazione non potrebbe essere assoggettato ad imposta di registro, neppure in misura fissa.
Ai fini delle imposte ipotecaria e catastale valgono considerazioni analoghe a quelle svolte in ordine all’imposta sulle successioni e donazioni (retro, § 3.1).
L’Amministrazione finanziaria considera il presupposto dei tributi in discorso integrato per la mera esecuzione della formalità, senza necessità di riscontro della sussistenza di un effetto traslativo e, pertanto ritiene che alla semplice trasmissione dei beni immobili al trustee siano applicabili le imposte ipocatastali in misura proporzionale (Agenzia delle Entrate, circ. n. 48/E-2007, cit.).
La più attenta dottrina ritiene invece che il presupposto dei tributi qui esaminati vada identificato con quello delle imposte “principali”, di registro o sulle successioni e donazioni, dunque con il complesso degli effetti dell’atto o provvedimento soggetto a trascrizione o della vicenda successoria (Fedele, A., (voce) Ipoteca – Diritto tributario, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 854), e che l’individuazione dei soggetti passivi dovrebbe dirigersi, più che verso i meri richiedenti la formalità, in quelli considerati dagli altri tributi sui trasferimenti (Cardarelli, S., (voce) Ipotecarie (imposte), in Dig. comm., 1992, 559). L’atto di affidamento dei beni al trustee, pertanto, in quanto privo di effetti traslativi nel senso specificato (retro, § 3.1) e di arricchimento del destinatario, anche ai fini delle imposte ora considerate dovrà essere qualificato fiscalmente neutro (Brunelli, C., Negozio fiduciario e imposte indirette, Consiglio nazionale del notariato, Studio n. 86/2003/T) e non soggetto all’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale per l’assenza di un trasferimento degli stessi beni (Comm. trib. reg. di Milano, sez. XLVI, sent. 20.7.2015, n. 6579).
Gli interventi in tema di IRES non sembrano fondare una immediata assimilazione del trust alle società commerciali o alle organizzazioni senza personalità giuridica che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, che l’art. 4, co. 2, d.P.R. 26.10.1972, n. 633, considera soggetti passivi IVA in ogni caso, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi poste in essere (Corasaniti, G., La soggettività passiva del trust ai fini delle imposte diverse da quelle sui redditi, in Fransoni, G.-De Renzis Sonnino, N., a cura di, Teoria e pratica della fiscalità dei trust, Milano, 2008, 66), né alle «società e gli enti» od agli «enti privati», ai quali si riferisce l’art. 3, co. 1, lett. a) ed e), d.lgs. 15.12.1997, n. 446 nell’individuare i soggetti passivi dell’IRAP, sicché neppure può ritenersi operante la presunzione di cui al secondo periodo dell’art. 2, d.lgs. n. 446/1997, per la quale nell’attività esercitata dalle società e dagli enti il presupposto dell’IRAP si considera comunque realizzato (Corasaniti, G., La soggettività passiva, cit., 74). L’Amministrazione finanziaria ritiene tuttavia che l’inclusione del trust tra i soggetti passivi dell’IRES comporti necessariamente la sua soggezione anche all’IRAP (Agenzia delle Entrate, Circ. n. 48/E-2007).
Sia ai fini dell’IVA che dell’IRAP, pertanto, si rende necessaria un’analisi caso per caso in ordine all’attività posta in essere nell’ambito del trust, al fine di riscontrare se essa sia riconducibile all’esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, secondo le disposizioni generali dettate nell’art. 4, d.P.R. n. 633/1972 per il primo tributo, o nell’art. 2, d.lgs. n. 446/1997, per il secondo.
Nel silenzio della legge, soltanto per esigenze tecniche di semplificazione si potrebbe individuare nel trust stesso il centro di imputazione dell’attività commerciale svolta dal trustee tramite il fondo affidatogli. Il trust opaco è del resto già considerato soggetto passivo IRES, sicché anche in considerazione delle affinità riscontrate nel procedimento di accertamento dei due tributi, sembra possibile la scelta, anch’essa semplicemente tecnica, di mantenere evidenza del legame tra l’attività del fiduciario ed i cespiti, e della loro funzionalizzazione ad uno scopo. È poi chiaro che lo stesso sistema formale dichiarativo e contabile già indicato (retro, § 2.5) verrà impiegato anche ai fini dell’IVA.
Anche ai fini dell’ICI, e ora dell’IMU, dovrebbe infine negarsi che fino all’intervento di una specifica previsione di legge, possa essere attribuita al trust una autonoma soggettività tributaria (per più ampie considerazioni, Bartolazzi Menchetti, E.M., Soggettività passiva del trust ai fini dell'ICI, Boll. trib., 2013, 610). Non è possibile, infatti, imputare al trust quella condizione di «possesso» degli immobili indicata dagli artt. 1, d.lgs. 30.12.1992, n. 504 e 8, d.lgs. 14.3.2011, n. 23 quale presupposto dell’imposta, né la qualità di proprietario o titolare di diritti reali sugli immobili cui l’art. 3, d.lgs. n. 504/1992 e l’art. 9, d.lgs. n. 23/2011 ricollegano la qualifica di soggetto passivo. Le suddette disposizioni riferiscono, anzi, il rapporto tra il soggetto passivo e gli immobili a precise relazioni civilistiche, dunque a un sistema nel quale la soggettivazione del trust è categoricamente esclusa. Anche in questo caso, la tendenza degli enti locali a considerare il trust come soggetto passivo dell’ICI-IMU ed il riconoscimento di questa prassi, compiuto da certa giurisprudenza di merito (Comm. trib. prov. di Parma, sez. IV, sent. 6.6.2012, n. 89), appaiono quindi sorretti da esigenze di semplificazione amministrativa.
Art. 4, co. 2, d.P.R. 26.10.1972, n. 633; art. 13, d.P.R. 29.9.1973, n. 600; art. 20, 25, 27, d.P.R. 26.4.1986, n. 131; art. 44, 73, 75, 149, d.P.R. 22.12.1986, n. 917; l. 16.10.1989, n. 364; art. 3, 58, d.lgs. 31.10.1990, n. 346; art. 1, d.lgs. 30.12.1992, n. 504; d.m. 4. 9.1996; art. 3, d.lgs. 15.12.1997, n. 446; d.l. 3.10.2006, n. 262; l. 27.12.2006, n. 296; direttiva 28.11.2006, n. 2006/112/UE; art. 8, d. lgs. 14. 3.2011, n. 23.
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