Tsunami
Il maremoto è un fenomeno ben conosciuto e studiato, sia su scala oceanica sia su quella di bacini di modeste dimensioni. Infatti, sebbene i maremoti più devastanti abbiano usualmente origine negli oceani, eventi significativi hanno avuto e possono aver luogo anche in acque meno profonde, come per esempio in quelle del Mar Mediterraneo. L'onda di maremoto si forma quando la massa d'acqua, praticamente incomprimibile, investita dalla perturbazione sismica, tende a ritornare verso l'iniziale posizione di equilibrio per effetto della forza di gravità. È dunque la forza di gravità che, fungendo da forza di richiamo, dà effettivamente origine all'onda (che talora è detta anche gravitational wave). Di conseguenza si può pensare al maremoto come a un fenomeno originato da energia che oscilla alternativamente tra le due forme di energia cinetica e di energia potenziale gravitazionale. È evidente, allora, come l'entità di un maremoto sia strettamente correlata alla profondità H dell'oceano o del mare in cui viene generato: tanto più grande è lo spessore H dello strato d'acqua in prossimità della sorgente, tanto maggiore sarà la massa d'acqua spostata dall'equilibrio e, quindi, tanto maggiore sarà l'ampiezza massima dell'onda.
Le dimensioni delle onde di maremoto possono essere davvero enormi e raggiungere negli oceani ampiezze di alcuni metri; che, dopo un tragitto di migliaia di chilometri, in prossimità della costa, aumentano di un fattore che varia da 2 a 10. Si viene così a verificare lo shoaling, termine con cui si indica specificatamente la progressiva crescita dell'onda all'avvicinarsi alla terraferma (fig. 3). Il maremoto approssimandosi alla costa, a causa dell'assottigliamento dello strato liquido in cui si propaga, che produce una diminuzione della velocità v dell'onda (in prima approssimazione v=√gH, dove g è l'accelerazione di gravità), va a occupare un volume d'acqua sempre minore. Nel rispetto del principio di conservazione dell'energia e in conseguenza dell'incomprimibilità dell'acqua, l'energia trasportata dal maremoto è progressivamente ridistribuita, facendo aumentare l'ampiezza dell'onda. Avvicinandosi alla costa il maremoto perde energia man mano che si riversa a terra e parte dell'energia viene riflessa verso il largo, mentre l'energia dell'onda diretta verso terra viene dissipata dall'attrito sul fondo del mare e dalla conseguente turbolenza. Nonostante queste ingenti perdite il maremoto raggiunge la costa con un'energia enorme e ha una capacità di erosione tale in grado di cancellare in pochi minuti spiagge formatesi nell'arco di decine di anni. Inoltre ha la capacità di sommergere e inondare la terra emersa per centinaia di metri oltre la battigia e l'onda di maremoto, che si propaga a elevata velocità (almeno decine di km/h), può distruggere case e altri manufatti costieri che incontra sul suo percorso; raggiungendo un'altezza massima verticale rispetto al livello del mare, spesso chiamata altezza del run-up, di 10, 20 e anche 30 metri.
I maremoti di grandi proporzioni sono molto rari, in quanto richiedono come generatori dei terremoti di magnitudo prossima e superiore a 8. Terremoti di tale entità hanno una frequenza media di circa uno all'anno. Considerato inoltre che, all'incirca, solo uno ogni dieci di questi sismi si verifica al di sotto o in prossimità di un oceano e quindi, nelle condizioni di poter generare un maremoto, si può affermare che maremoti molto rilevanti avvengono, su scala globale, con una frequenza minore o uguale a uno ogni 10 anni.
In analogia con la scala Mercalli, usata per la misura dell'intensità di un terremoto, e basata sugli effetti che questo ha sugli esseri umani, sugli oggetti e sul paesaggio, viene definita anche una scala per misurare gli effetti dei maremoti. La prima scala per la misura dell'intensità dei maremoti, suddivisa in sei gradi (I-VI), è stata ideata, sul modello della scala Mercalli, da August Sieberg nel 1927 e modificata da Nicholas Ambraseys nel 1962. Poiché questa scala è ora considerata piuttosto approssimativa nel 2001 Gerassimos A. Papadopoulos e Fumihiko Imamura ne hanno proposta una versione nuova suddivisa in dodici gradi (I-XII), in perfetta analogia con la scala Mercalli e le sue successive modificazioni. La scala Papadopoulos-Imamura è ordinata in base agli effetti che il maremoto ha: (a) sugli esseri umani; (b) su oggetti di varia tipologia, ivi compresi i natanti; (c) sugli edifici e i manufatti, in genere. In analogia con i terremoti, i maremoti di intensità I, vengono rilevati solo dagli strumenti (i mareografi). Nella scala per l'intensità dei maremoti, esiste una, seppur molto approssimativa, corrispondenza tra i vari gradi di intensità e l'altezza dell'onda di maremoto.
Lo studio approfondito dei cataloghi dei maremoti storici nel bacino del Mediterraneo ha evidenziato che eventi di tale natura, anche di rilevanti proporzioni, si verificano con una certa frequenza. La messa in sicurezza delle coste mediterranee, in particolare di quelle italiane, non può, dunque, prescindere dal considerare il rischio maremoto. Nel Mediterraneo sono stati osservati maremoti di proporzioni notevoli. Le coste dell'Egitto, di Cipro, di Creta, dell'Italia meridionale e della Spagna meridionale sono le più esposte al fenomeno maremoto. Negli ultimi 2000 anni, non meno di una settantina di maremoti, correlati ad altrettanti eventi sismici, ha colpito le coste italiane. In alcuni casi l'apice del run-up (ovvero la fase finale dello shoaling, in cui, ormai a ridosso della linea costiera, l'ampiezza dell'onda di maremoto aumenta in modo non lineare) ha raggiunto diversi metri. Nel Mediterraneo, l'evento del 1303 fu particolarmente distruttivo, con effetti del maremoto conseguente a questo sisma, osservati lungo tutte le coste del Mediterraneo orientale: a Creta, a Cipro, lungo le coste libanesi e, soprattutto, in Egitto. Tra gli eventi che hanno colpito le coste dell'Italia meritano particolare menzione il maremoto dovuto all'evento sismico del 14 aprile 1672 nell'Adriatico centrale, quello conseguente al terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 e quello presso la Sciara del Fuoco (Stromboli) del 30 dicembre 2002 (quest'ultimo originato da una frana semiaerea). Anche se dal punto di vista statistico il Mar Tirreno risulta la zona italiana maggiormente esposta (soprattutto per la presenza di diversi vulcani sommersi), è difficile stilare una graduatoria di rischio; la maggior parte delle coste italiane può essere severamente colpita dal maremoto.
L'educazione della popolazione a questo fenomeno, spesso sottovalutato, è sicuramente il primo passo da compiere. È opportuno insegnare a chi si trova in aree a rischio (autoctoni, turisti e visitatori in genere) che un sisma in prossimità di una costa può, con buona probabilità, dare luogo a un maremoto. Inoltre, per alcune aree, è auspicabile la pianificazione di esercitazioni di evacuazione ed eventualmente la costruzione di rifugi opportunamente dislocati sul territorio. Comunque la prevenzione è la migliore alleata contro il maremoto. In questa direzione si possono intraprendere due vie: rilevare i fenomeni sismici e possibilmente, prevederne lo sviluppo. Dato che le onde sismiche viaggiano a una velocità almeno cinque volte superiore a quella del maremoto, se ci troviamo a distanza sufficientemente grande dall'epicentro, esse rappresentano un ottimo precursore deterministico per il maremoto stesso. La possibilità di rilevare la propagazione di un maremoto è legata alla realizzazione di una rete di sensori (tipicamente sensori di pressione come quelli del sistema DART, Deep-ocean assessment and reporting of tsunami, del Pacifico settentrionale) al largo delle coste, capace di segnalare l'avvicinamento di un'onda di maremoto in tempo utile per la messa in sicurezza di persone e cose lungo i litorali. Questo sistema, largamente impiegato in area oceanica dove i tempi di percorrenza delle onde di maremoto superano abitualmente le diverse ore, potrebbe essere utilizzato in gran parte del Mediterraneo, mentre risulta inadeguato in bacini di modesta estensione, come l'Adriatico, le cui coste sono interessate da eventi potenzialmente capaci di generare maremoti, localizzati anche in terraferma. In questo caso, infatti, le distanze tra la sorgente del maremoto (ipocentro) e le coste possono essere talmente brevi che i tempi di percorrenza non sono sufficientemente lunghi da permettere le operazioni di rilevazione e trasmissione dell'allarme alle zone a rischio. Un esempio calzante, ricavabile dal passato relativamente recente, è costituito dal terremoto del 1511. L'epicentro di questo evento sismico è stato localizzato nell'entroterra, in prossimità della costa su cui si affaccia la città di Trieste. Da numerose testimonianze storiche esso risulta aver generato un maremoto, anche se di modesta entità, che colpì le coste dell'alto Adriatico, comprese Trieste e Venezia. In questo caso le distanze tra l'epicentro e le principali località interessate dall'evento sono tali che i tempi di percorrenza del maremoto, pur in presenza di uno strato d'acqua molto sottile, che impedisce velocità molto elevate (inferiori a 100 km/h), sono dell'ordine delle decine di minuti. In condizioni di questo tipo, rilevare la propagazione del maremoto risulta di scarsa utilità al fine di una comunicazione di allarme sufficientemente tempestiva, tale da consentire la messa in sicurezza in tempo reale delle aree interessate. La previsione del maremoto, in questi casi, è quindi strettamente legata alla previsione del sisma generatore. Tuttavia, i terremoti non sono prevedibili con molta precisione, ma con incertezze spaziali di centinaia di chilometri e incertezze temporali di centinaia di giorni. Quindi, quando la distanza dalla costa della sorgente sismica è piccola, la previsione del maremoto, nelle zone circostanti, deve essere intesa come individuazione delle aree nelle quali può verificarsi un sisma in grado di produrre lo sviluppo del maremoto.
Una volta individuate le aree dove possono avvenire terremoti capaci di generare un maremoto, la metodologia da applicare è quella del calcolo di scenari di pericolosità con i quali definire le linee guida per le azioni di prevenzione. Ciò è realizzato tramite il calcolo di mareogrammi (equivalenti ai sismogrammi), ottenuti con metodi sia analitici sia numerici. In base ai modelli analitici, è evidente che un maremoto può essere generato sia da sismi con ipocentro sotto il fondo marino sia da eventi nell'entroterra, ma in prossimità della linea di costa. Tale fatto modifica notevolmente, aumentandolo, il numero delle zone sismiche capaci di produrre maremoti.
Per il già citato caso del 1511 sono stati realizzati diversi esperimenti di simulazione, facendo variare i parametri più significativi, quali la profondità del mare attraversato, la distanza della sorgente dalla costa, la profondità ipocentrale, la magnitudo. I risultati ottenuti hanno fornito dei valori per le ampiezze massime a Trieste e a Venezia che risultano in buon accordo con quanto riportato nelle cronache dell'epoca, nelle quali si riferisce che: "Un maremoto… violento fu quello causato dal disastroso terremoto del 1511 […]. Le ondate provocate dal sommovimento del mare costrinsero la popolazione di Trieste a mettersi in salvo nella parte alta della città, mentre a Venezia le onde si elevarono fino all'altezza delle finestre delle case…. Si sentirono orribilissimi terremoti, uno dei quali, il 26 marzo [1511], tra le ore due e le tre dopo mezzogiorno […] molti villaggi restarono rovinati, e sì grande era l'accrescimento del mare, che gli abitanti di Trieste si trasportarono ad alloggiare sotto il Castello".
Un altro esempio di valutazione preventiva del pericolo maremoto è fornito dagli studi promossi nel 2004 dall'APAT (Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici) per la messa in sicurezza dell'area industriale di Priolo-Augusta rispetto ai rischi da terremoto e maremoto. Per quanto riguarda il maremoto, dalle simulazioni effettuate al calcolatore, risulta che, nei diversi casi considerati, le aree inondate sono sensibilmente coincidenti (a meno di una maggiore penetrazione alle spalle del porto Xifonio). Quindi, nell'ipotesi di impermeabilità, resistenza e non tracimabilità delle difese esterne esistenti, la costa interna della rada è sensibilmente al riparo da grandi danni. Al contrario, l'isola di Augusta risulta estremamente esposta.
Okal 1988: Okal, Emile A., Seismic parameters controlling far-field tsunami amplitudes: a review, "Natural hazards", 1, 1988, pp. 67-96.
Papadopoulos, Imamura 2001: Papadopoulos, Gerassimos A. - Imamura, Fumihiko, A proposal for a new tsunami intensity scale, in: Proceedings of the International Tsunami Symposium 2001, Seattle, 2001, pp. 569-577.
Ward 1980: Ward, Steven N., Relationship of tsunami generation and an earthquake source, "Journal of physics of the earth", 28, 1980, pp. 441-474.
Yanovskaya 2003: Yanovskaya, Tatiana B. - Romanelli, Fabio - Panza, Giuliano F., Tsunami excitation by inland/coastal earthquakes: the Green function approach, "Natural hazards and earth system sciences", 3, 2003, pp. 353-365.